In questi tempi procellosi, in cui stiamo assistendo al sovvertimento di ogni aspetto della vita religiosa da parte della gerarchia romana, rischia di scapitare completamente una delle più antiche istituzioni del Cristianesimo, che costituì il più solido appiglio nei più gravi periodi di crisi della Chiesa: trattasi del monachesimo.
Sarà qui superfluo dilungarsi sulle origini egiziane del fenomeno monastico, tanto nella sua forma anacoretica quanto in quella cenobitica, della sua diffusione e normalizzazione prima in Oriente (ad opera prevalentemente di San Basilio il Grande) e poi in Occidente (ad opera di San Benedetto che viene non a torto ricordato come il Padre del monachesimo occidentale). Quello monastico è però un fenomeno comune e trasversale a tutto il Cristianesimo: non a caso nell’Italia meridionale bizantina sorgevano monasteri di spiritualità greca ma legati parimenti alle regole di San Benedetto e di San Basilio, mentre sul Monte Athos, cuore della vita monastica orientale, fino al XIII secolo sorse un prestigioso monastero latino d’impostazione benedettina. Questa trasversalità si deve semplicemente al fatto che i principi su cui si fonda questa scelta di vita in favore di Dio sono nientemeno che l’espressione più pura e radicale della nostra Religione.
Nessuno infatti può negare il monachesimo senza negare le basi stesse del Cristianesimo: sostenere, come fa qualche esponente della scuola radicale, che la vita monastica e l’ascesi non siano pratiche cristiane, è negare in toto la sequela di Cristo, l’
imitatio Christi che diventa l’unico modo di orientare la nostra vita alla perfezione richiestaci da Dio stesso, seguendo l’esempio di Colui che, oltre ad essere il nostro Redentore, è anche il nostro Maestro e la nostra ottima guida. Negare l’
askesis, l’esercizio delle virtù, praticato nei monasteri nella sua forma più pura, è negare in toto la stessa contrapposizione tra opere dello Spirito e opere della carne che ci viene insegnate dalle Scritture (sebbene sia San Paolo a farne, in più punti del suo ricco corpus epistolare, una sistematizzazione, tale opposizione era enucleata già in moltissimi passi del Vecchio Testamento), nonché la necessità, per ottenere il premio eterno, di aderire alla virtù, alle opere dello Spirito, ripudiando i vizi e le concupiscenze della carne. Chi nega tutto ciò, non nega soltanto il monachesimo, ma buona parte del Vangelo!
Oggi purtroppo il monachesimo è avversato da più parti: la
fuga mundi, l’allontanamento volontario dalle tentazioni e dalle concupiscenze della carne, la preghiera liturgica incessante, il silenzio e la meditazione… queste immagini, che dovrebbero richiamarci il modo più completo e integrale di imitare la perfezione Nostro Signore, suscitano invece disprezzo, che nasconde assai probabilmente un certo spavento, una paura che l'animo psicologico e mondano prova davanti a una scelta radicale, così apparentemente (cioè agli occhi del mondo) inefficace, "stolta e scandalosa" (per riprendere gli aggettivi con cui giudei e pagani descrivevano la volontaria consegna di Cristo a coloro che lo crocifissero).
Nei giorni scorsi è stato grande il dibattito attorno al libro di Rod Dreher,
The Benedict Option, presentato lo scorso 11 settembre alla Camera dei Deputati, peraltro con la partecipazione di alcune personalità del mondo ecclesiastico tra cui il conservatore arcivescovo Georg Gaenswein. Inutile dire che un libro che, pur con semplicità e a tratti con superficialità [1], indica la via della
fuga mundi, del Cristianesimo vissuto integralmente in piccoli cenobi, come la strada forse unica rimasta per la salvezza della nostra Religione in quest'epoca di laicismo imperante e diabolica scristianizzazione.
Inutile dire che un opera che così apertamente difende il valore fondamentale del monachesimo, e anzi lo indica come la via stretta da percorrere di questi tempi, è stata immediatamente subissata di critiche da coloro che vedono la vita ritirata come contraria al proprio (personalissimo e poco spirituale) modo d'intendere il Cristianesimo.
Le prime voci contrarie sono arrivate naturalmente dagli alfieri del progressismo teologico, dai "difensori d'ufficio" del nuovo corso religioso dei palazzi romani: padre Spadaro, Massimo Faggioli (che ha contrapposto la scelta benedettina alla completamente diversa "chiesa in uscita" di Bergoglio) e immancabilmente Alberto Melloni (che, ostentando la sua solita lettura esclusivamente politica delle vicende religiose, ha etichettato il libro di Dreher come il "tentativo dell'estrema destra di darsi un'identità religiosa" [2]). Non c'è in fondo da stupirsi, visto che personaggi di tal fatta hanno da tempo dimostrato la loro insofferenza profonda nei confronti della vita monastica e dell'abbandono delle cure del mondo. Del resto lo stesso Bergoglio, in suoi recenti scritti, ha sostenuto che "Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio", cercando dunque di liquidare il monachesimo (che è silenzio, isolamento, solitudine, preghiera, riposo dell'animo in Dio) come qualcosa di malsano, contraddicendo gl'insegnamenti di tutti i grandi santi, a partire dai Padri del deserto, che insegnavano come questi fossero invece i modi precipui di avvicinarsi a Dio. San Paisios dell'Athos diceva, in modo completamente opposto, che il compito fondamentale del monaco non è quello di curare i malati o dar da mangiare ai poveri, ma pregare Dio per loro: "Il dovere del monaco è di sudare, marcire, scoppiare nella propria cella. La preghiera è l'arma più potente di tutte. Se aiuto o libero un carcerato, non ho fatto molto: la preghiera lo salva non per questa vita, ma per la vita eterna. Non è proprio del monaco visitare i malati, ma pregare per la loro anima. Nella Chiesa ci sono quelli che curano i malati e quelli che li assistono. Il monaco è un'altra cosa. Ma chi è più prigioniero dei defunti, di quanti sono nell'Ade e non possono fare nulla per la propria conversione? Noi invece possiamo salvarli. Dobbiamo fare preghiere e metànie per i defunti e per i vivi". Dicendo questo, San Paisios criticava quei monaci che abbandonavano la via contemplativa per seguire quella attiva, dicendo che così sarebbero andati ad "avvicinarsi all'Occidente". Dalle nostre parti, purtroppo, la mentalità espressa da Bergoglio è già sdoganata e diffusa da molti anni.
Ciò che mi ha inizialmente sorpreso, è la reazione scomposta e avversa di taluni "tradizionalisti", i quali accusano l'opzione dello scrittore americano (e per estensione l'intero fenomeno monastico) di pavidità e inattività. Tra qualche moderata e ragionata voce che suggerisce migliorie al progetto (ancora parecchi mesi fa lessi una teoria tutto sommato interessante, per cui all'
opzione Benedetto si sarebbe dovuta affiancare un'
opzione Atanasio di difesa strenua delle verità di fede), non sono mancate tuttavia gravi manifestazioni di dissenso, leggendo le quali è possibile vedere come spesso, purtroppo, il tradizionalista o il conservatore, nella sua lotta al progressismo, finisce per mettersi sul suo stesso piano [3].
Particolarmente, ho letto un articolo apparso su un'agenzia stampa (online) tradizionalista italiana, già a me personalmente nota per il modo puramente ideologico di affrontare qualsiasi argomento, sia esso di religione, di etica o financo di cultura, sicché qualsiasi persona dotata di un certo senso critico che la leggesse non potrebbe che trovarla inaffidabile e ridicola.
L'autore dell'articolo, dopo una discutibile introduzione in cui cerca di screditare la persona di Rod Dreher per via della sua appartenenza alla Chiesa Ortodossa Russa (peraltro dimostrando, o forse inducendo, una certa confusione terminologica nell'uso di parole come
scisma,
apostasia e
perdita di fede), inizia a criticare accesamente l'
opzione Benedetto, definendola come un' "opzione catacombalista".
L'estensore dell'articolo accusa sostanzialmente la tesi dello scrittore statunitense perché, a parer suo, costituirebbe un rifiuto della "buona battaglia", della "concezione militante del Cristianesimo", un abbandono del campo pensando di esser già stati sconfitti. Al di là del fatto che l'articolista pare non aver quantomeno capito il libro (visto che afferma che quanto si propone in esso "non è propriamente una fuga dal mondo nel senso di ritirarsi in eremi, grotte o monasteri", mentre a me appare che si proponga proprio questo), questi sposa una visione assai ideologica e "sociale" della difesa della religione, in cui l'ideale massimo è il combattimento pubblico del mondo moderno. E' purtroppo larga la schiera di coloro che intendono il vivere cristianamente in questo modo, incapaci (o semplicemente non interessati) a pregare incessantemente Dio con fede e speranza (come ci è comandato nel Vangelo e come è massimamente necessario di questi tempi), ma attivissimi nel promuovere petizioni, appelli, correzioni, sfilate e convegni polemici (solitamente dai temi trattati si capisce subito se un convegno ha un intento formativo o puramente combattivo), con attitudine da cecchino pronto a sparare contro chiunque non risponda al suo ideale di cattolicesimo (che talora è un ideale molto povero e limitato a concezioni novecentesche, che di fatto preludono la crisi attuale), difendendo appunto un ideale, piuttosto che la Fede. Questa gente che si occupa di Chiesa con lo spirito di generali dell'esercito o di politici d'opposizione danneggia il Cristianesimo piuttosto che sostenerlo.
In questo senso, oggi, i monasteri tradizionali d'Oriente e d'Occidente sono i pochissimi posti dove può avvertirsi lo spirito autentico del Cristianesimo, trovarsi la
pace di Cristo che tanto spesso ricorre nei testi eucologici, che è esattamente opposta ai tormenti e le inquietudini del mondo. Peraltro, il libro di Dreher affronta un tema che potremmo definire del
monachesimo interiore, perché non è principalmente un invito alla vocazione monastica, quanto piuttosto "una chiamata a tutti i cristiani a voler mettere in pratica la loro fedeltà allo spirito della sequela, formando una nuova e vibrante controcultura coltivando una serie di
praxis e realizzando piccole comunità che sono il riflesso di un cristianesimo che si realizza come un cammino di libertà intelligente solidale non in fuga dal mondo, ma che con grande devozione nello spirito di ringraziamento sanno di essere chiamata in modo responsabile a lavorare con audacia evangelica in un progetto di una nuova evangelizzazione nel mondo", per dirlo con le parole dell'abate Zielinski (peraltro citato nell'articolo in questione, ma assai di sfuggita e contraddittoriamente, visto che l'abate è sostenitore del libro). Insomma, è un invito al monachesimo come "via della vita", secondo una definizione già data nientemeno che da San Benedetto.
L'articolista e tutti i suoi compagni ideologi inoltre sono imprecisi su più punti: la "battaglia" che dobbiamo combattere da Cristiani "non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra" (Efesini 6, 12). E' dunque una battaglia spirituale, non una battaglia pubblica e mondana. E' la succitata battaglia delle opere dello Spirito contro le opere della carne. La stessa "concezione militante del Cristianesimo" a cui si appella (accusando peraltro Dreher di parteggiare per l'ecumenismo vaticanosecondista, quando egli per primo, in un'intervista rilasciata a un periodico ortodosso americano, afferma che uno dei motivi che lo portarono ad aderire all'Ortodossia, accanto agli scandali sessuali della Chiesa Cattolica statunitense, furono proprio alcuni aspetti del Vaticano II) è massimamente una militanza spirituale contro il demonio.
Inoltre, a mio avviso, nell'atteggiamento di costoro può individuarsi una certa tendenza rivoluzionaria, una "lotta continua" contro il modernismo e non solo. Questo atteggiamento di resistenza attiva, pur affascinante da un certo punto di vista, non ha nulla a che vedere con la resistenza passiva, nel foro interno, che insegna San Tommaso, ed è pericoloso perché dimostra come l'ideale della rivoluzione serpeggi pure tra i cristiani conservatori (lo si vede nell'appoggio sfegatato che vien dato a certe compagini politiche, certo meno peggio dell'altre, ma che comunque viaggiano su un piano rivoluzionario).
Ma allora, chi ha paura del monachesimo? Chi vive nella mondanità, tanto da progressista quanto da conservatore, e non vuole rinunciare a questo modo orgoglioso e in fondo facile di vivere per intraprendere la sequela di Cristo attraverso la porta stretta, nella via dell'umiltà. Ci sono persino preti e chierici, tanto nel Cattolicesimo (dove sono ormai la maggioranza) quanto nell'Ortodossia che, pur facendo voti monastici, in realtà provano odio e paura per questa scelta sincera di vita cristiana. Quegli che è legato alla mondanità non può che disprezzare il monachesimo, e cercare di screditarlo.
In ogni momento buio della storia della Chiesa, il monachesimo ha rappresentato l’ancora di salvezza per i Cristiani. San Paisios l’Athonita diceva che "i monaci sono i fari sulle rocce dell'umanità". Nei monasteri, contrariamente a quanto sostiene qualcuno, si è sempre difesa la vera fede contro ogni eresia: i monasteri hanno costituito i veri (e talora unici) baluardi dell'ortodossia e della vita spirituale secondo il Vangelo, come appare chiaro studiando la storia della crisi iconoclasta in Oriente, o del
saeculum obscurum del Papato Romano in Occidente. E allora, anche in questi tempi non meno (ma forse più) procellosi che allora, dove possiamo trovare rifugio per i nostri animi vessati e confusi, se non nella Grazia di Dio, che così copiosa s'effonde sui monasteri? Nonostante gli attacchi dei detrattori, l'opera di Dreher è un invito ineluttabile a riscoprire l'essenza del monachesimo, parte essenziale e imprescindibile del Cristianesimo.
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NOTE
[1] Si noti che la semplicità non è sempre un attributo negativo. Guardo per esempio a due libri che ho di fronte a me sulla scrivania:
Santi di tutti i giorni, l'autobiografia dell'archimandrita Tikhon di Sretenskij, e la
Filocalia, raccolta di scritti ascetici e mistici dei Padri pubblicata nel XVIII secolo dal monaco Nicodemo l'Aghiorita. Chiaramente, il secondo è più profondo del primo, e affronta argomenti complessi dell'ascesi e della mistica cristiana, mentre il primo, pur muovendosi in quest'ambito, lo fa con molta più leggerezza e appunto semplicità. Cionondimeno, se dovessi iniziare a far riflettere una persona che di mistica sa poco o nulla, quale opera sarebbe più adatta per farla approcciare a questo argomento di capitale importanza?
[2] E' tipico di una visione mondana ricondurre tutto alla politica; ciò non significa che nelle vicende di Chiesa non ci sia mai stato qualche influsso politico (su questo blog ne ho citati parecchi), ma leggendo Alberto Melloni (che riesce a infilare la politica, e -si badi bene- solo la politica, persino negli scandali pederasti statunitensi) si ha un'idea di come per certi autori "cristiani" d'oggi tutto ciò che concerne lo Spirito non sarebbe "causa adeguata", cioè non sarebbe in grado di produrre alcun moto nella società o nell'umanità.
[3] Il motivo per cui il modernismo e il secolarismo sono la negazione della dottrina e della prassi tradizionale del Cristianesimo è perché i primi si muovono su un piano mondano, della carne, mentre il secondo si basa essenzialmente sul piano dello Spirito. Taluni conservatori e "tradizionalisti", anziché porsi sul piano spirituale per annientare quello mondano, preferiscono ingaggiare con i progressisti una vera e propria lotta ideologica su quest'ultimo, difendendo di fatto non il Cristianesimo, ma piuttosto una vaga idea di "vecchio" contro un'altrettanto vaga idea di "nuovo", idee catapultate sul piano della carne e completamente avulse dal piano spirituale del Cristianesimo.