sabato 31 agosto 2019

Note sul materialismo e il razionalismo nella liturgia

Mi è stata raccontata non molto tempo fa la vicenda di un vescovo italiano che, trovatosi costretto in una parrocchia a celebrare ad orientem per via dell'orientamento non modificabile dell'altare, si è letteralmente messo a sbraitare durante la messa deprecando tale cosa. Al di là del quadretto piuttosto patetico, ciò induce a riflettere particolarmente sul significato della celebrazione versus populum, un significato che contrasta non solo con la prassi ma anche con la dottrina tradizionale cristiana.

Ci sono almeno due ideologie che hanno indotto i novatori cattolici (ma una cosa simile sta avvenendo pure nel mondo ortodosso: cercando su internet si troveranno delle immagini di preti greci che sciaguratamente hanno montato dei tavolini avanti all'iconostasi per celebrarvi coram populo) a compiere una scelta che in tal modo stravolge l'orientamento antico: il comunitarismo e il materialismo. Tali innovazioni chiaramente non si sono manifestate solamente sull'orientamento dell'altare, ma, prima ancora, sulla sua separazione effettiva dall'aula; esattamente un anno fa scrivevo un articolo (QUI) sulla storia della segregazione tra Santuario e navata, distinzione fisica che rispecchia una distinzione sacramentale di origine apostolica. 

La prima ideologia, erede della concezione protestante del sacerdozio universale (o battesimale) [1], secondo la quale il popolo "concelebra" con i sacri ministri l'ufficio liturgico, stravolge il concetto di segregazione tra clero e popolo testé esposto. Significativamente, poi, l'atto liturgico non viene più rivolto a Dio, verso quale tutto il popolo si rivolgeva guidato dal sacerdote, ma racchiuso nell'autocelebrazione della comunità. Queste critiche sono tuttavia molto note, e molto spesso citate non solo negli ambienti più strettamente tradizionali, ma anche in quelli più vagamente conservatori.

Decisamente meno affrontato è il problema del razionalismo, non secondariamente per il fatto che trattasi di un problema scomodo: radici razionaliste nell'impostazione della liturgia si ritrovano ben prima del Concilio Vaticano II, e affondano le proprie radici nel basso Medioevo e nell'epoca tridentina. Si possono individuare in modo abbastanza semplice, perché a un occhio allenato e liturgicamente e dottrinalmente tali elementi alloctoni rispetto alla concezione patristica sulla quale si è strutturato il rito romano nei primi secoli appaiono subito in tutta la loro alterità.
Per spiegarli, dobbiamo fare una promessa filosofica. Al razionalismo si accompagna pressoché sempre il materialismo; i razionalismi spirituali di stampo idealista nascono relativamente tardi e risentono del clima particolare del tardo Settecento e primo Ottocento, e non influiscono in modo prepotente sull'ambiente ecclesiastico come il razionalismo classico e materialista aveva fatto nei secoli passati. Una grande disputa tra materialità e spiritualità la vediamo a Costantinopoli nel XIV secolo: è quella tra Barlaam di Calabria e Gregorio Palamas, nella quale la dottrina delle separazione delle energie dalle essenze divine, sostenuta dal secondo e accettata generalmente nella Chiesa Ortodossa, è invece fortemente avversata dal primo. Le istanze del monaco di Seminara, che non a caso era forte sostenitore della riunione tra le Chiese, erano di fatto quelle della Chiesa latina, ed è significativo che questa fosse una delle prime dottrine che i Pontefici di Roma chiedevano agl'Imperatori di accettare quando questi si presentavano coll'intento (sovente puramente politico, per ottenere aiuti militari dall'Occidente,  anche se non mancavano sovrani seriamente convinti come Giovanni V, del resto figlio di una nobile cattolica) di convertirsi e in tal modo riunire le chiese. Del resto il razionalismo in questa materia contaminò già S. Agostino con la dottrina dell'esclusività delle cause seconde, è visibile nell'Aquinate (che pure cerca di moderarsi, ma non può prescindere troppo dalla tradizione agostiniana) quando si parla della grazia soprannaturale ma creata. Il risultato è che oggi possono esserci preti cattolici (da me personalmente uditi) che in predica affermano con fermezza che non esiste nel modo più assoluto altro mezzo con cui si trasmette la Grazia all'infuori dei Sacramenti, di mezzi materiali. Questa considerazione è abbastanza pericolosa, e ci pone davanti ad alcuni problemi: sicuramente dobbiamo dire che i Sacramenti siano mezzi privilegiati della Grazia, ma possiamo realmente dire che siano gli unici? Risulterebbe allora difficile capire la vita di S. Maria Egiziaca, che in vita sua fece appena due Comunioni e una confessione, ma nella quale oggettivamente la grazia non poté che sovrabbondare nei suoi quarant'anni di peregrinazione nel deserto; nessun eremita, anche se prete, celebrava abitualmente l'Eucaristia fino ai tempi di Pio XII; i fedeli stessi, fino a Pio X almeno, facevano poche volte all'anno la comunione, seguendo una prassi tradizionalmente consolidata. I Sacramenti sono parte importante, cuore taluni dicono, della vita della Chiesa, e devono essere "usati" dal Cristiano, ma non ne possono essere la totalità: una tale accentuata materialità ridurrebbe a zero l'azione dello Spirito [2]. Gli effetti di tale materialismo sacramentale sono evidenti: meglio dire quattro messe basse piuttosto che una messa solenne, meglio fare la Comunione ogni giorno, etc. etc. [3].
La materializzazione della Religione la vediamo anche nella corrispondenza cercata dalla devozione per ogni elemento spirituale con uno materiale: le Stazioni della Via Crucis materializzano la Passione Redentrice; il Sacro Cuore materializza l'amore di Dio, e via così. La spiritualità della Chiesa viene però così annientata da una brama di toccare, di vedere, di considerare con la ragione e non con il cuore.

Dopo questa lunga digressione, torniamo in tema liturgico, soffermandoci sulla brama di vedere poc'anzi menzionata. L'abolizione delle separazioni, così come il voltare l'altare verso il popolo, rispondono a questa brama di vedere. Ma già il Concilio di Trento accontentava questa brama di vedere, ordinando che le iconostasi e i tramezzi che separavano il Santuario dall'aula venissero ridotte a basse balaustre, che mantenevano il significato teologico della segregazione, ma non garantivano l'invisibilità dei Sacri Misteri. Ma i mirabili eventi che avvengono durante la liturgia, e particolarmente durante l'Eucaristia, li percepiamo anzitutto con il cuore, con l'interiorità spirituale, e non con l'intelligibilità razionale. Specialmente nei luoghi dove era trascurata l'adeguata istruzione religiosa, in alcune parti dell'Europa Occidentale, il popolo poteva non capire questo, e l'assenza di segni materiali poteva indurli ad accogliere eresie contro la Presenza Reale; questo fenomeno negativo fu però combattuto in modo sbagliato, non curando l'istruzione spirituale di queste persone, ma cercando di rendere visibile il Mistero, con le elevazioni dopo le parole "della Consacrazione", eseguite con l'esplicita intenzione di ostendere al popolo i Santi Doni [3], oppure con l'Adorazione Eucaristica, che riduce la pienezza salvifica del Mistero alla contemplazione visiva dell'ostia (peraltro separata dal calice) [4].
Come sempre, quando per sanare una situazione critica si viene meno all'esattezza della legge, di fatto si avalla l'errore minore e lo si lascia incautamente proliferare [5]: così nei secoli le pratiche materialiste vennero accettate e finanche sponsorizzate dall'autorità ecclesiastica. Particolarmente interessante è la storia dell'icona della Madonna "di sotto gli organi", opera duecentesca attribuita a Berlinghiero Berlinghieri e custodita nel Duomo di Pisa [a sinistra]; fino alla fine del XVIII secolo essa rimase completamente velata, e tali veli non venivano tolti nemmeno quando l'icona veniva portata in processione per le vie della città. Cionondimeno i pisani, pur non avendo materialmente mai visto il soggetto, le serbavano immutata e viva devozione, cosa che appare a dir poco incomprensibile alle menti di chi si è ormai assuefatto al razionalismo moderno.

La perniciosità di tali ideologie è evidente a chiunque le studi minimamente, e i loro devastanti effetti appariranno tremendamente palesi. Purtroppo, in un modo che sempre più sponsorizza questi errori, del resto già profondamente radicati nella consuetudine, molto difficile appare separarsene, ritornando alla fedeltà alla Tradizione autentica della Chiesa di Cristo.

[1] Bisogna guardarsi da questo errore così come dal suo opposto, il clericalismo; la Chiesa è fatta anche di laici, che hanno il loro ruolo fondamentale nella sua costituzione, e anche nei suoi atti liturgici. Ma, come detto, essi devono restare ben separati (che non vuol dire inferiori!) dai sacerdoti, che sono tali perché hanno una consacrazione che permette di ministrare le cose sacre, i Sacramenti.
[2] Taluni reputano il progressivo sminuire lo Spirito nella Chiesa latina una conseguenza del Filioque, anche se l'interpretazione di ciò non è univoca (si pensi che Barlaam di Calabria, che alcuni teologi ebbero a definire più tomista dell'Aquinate e col suo antienergismo era massime sostenitore di una forma di materialismo, era comunque un monaco ortodosso, che rigettava dunque convintamente il filioquismo).
[3] Molti tradizionalisti criticano il fatto che nel rito moderno il sacerdote, anche quando celebra a Oriente, si debbe voltare al popolo per le due elevazioni. A questa obiezione i sostenitori attenti del rito moderno rispondono che in questo modo si rende meglio la natura dell'atto, che è una ostensione piuttosto che una elevazione. Non hanno tutti i torti: l'unica vera elevazione, antichissima, è quella alla fine del Canone, e che sia una elevazione e non un'ostensione si capisce dal fatto che nelle rubriche tridentine il sacerdote qui eleva i Doni all'altezza dei propri occhi, verso la Croce, e non al cielo per mostrarli. Tuttavia qui vediamo ancora una volta la problematicità sostanziale del rito moderno: anziché rimediare a quegli errori di concezione che si erano diffusi nei secoli attorno al rito tradizionale (che nella forma esprime invece l'ortodossia patristica), li avalla e adatta pure la forma a tali errori. Si tornerà su questo discorso.
[4] Non si vuole qui negare in modo assoluto la possibilità, ad esempio, della Benedizione Eucaristica, che è una prassi molto più antica dell'Adorazione e ha le sue ragioni teologiche; si contestano piuttosto altre prassi come l'Adorazione perpetua, le Quarant'ore, o anche solo l'Adorazione senza nessun altro atto liturgico, che snaturano il Sacramento e lo rendono oggetto appunto di un vedere razionalista.
[5] Stessa cosa avviene a livello morale: si pensi, esempio fra tanti, all'introduzione del divorzio nei paesi di tradizione cattolica. L'istituto viene introdotto per sanare situazioni problematiche (mariti che picchiano le mogli [o viceversa], tradimenti etc.), ma la sua esistenza fa sì che la gente poi vi ricorra senza reale necessità (oggi a migliaia avvengono i divorzi per cause realmente minime e insignificanti). Stesso discorso può farsi per la concessione del secondo matrimonio ai preti, recentemente rilasciato in modo generale dal Fanar. Nella tradizione cristiana, l'atteggiamento di economia è sempre disposto in modo personale, per il caso individuale, e non in modo generale, proprio per evitare questi problemi.

martedì 20 agosto 2019

Il valoroso Metropolita greco Ambrogio di Kalavryta annuncia le sue dimissioni: ritratto di un vescovo coraggioso

Apprendiamo dal portale greco Romfea (QUI) che domenica scorsa, al termine della Divina Liturgia, Sua Eminenza il Metropolita Ambrogio di Kalavryta, della Chiesa Ortodossa di Grecia, conosciuto per le sue schiette critiche all'anarchia regnante nella Chiesa e nella società, ha annunciato le sue dimissioni. Esse sono state sottoposte al Santo Sinodo nella giornata di ieri, per iniziare il processo di nomina del successore. Egli ha spiegato in un'intervista il giorno successivo che il suo ritiro è dovuto all'avanzare dell'età e al venir meno delle forze, avendo egli ormai 81 anni.
Riprendiamo la notizia, servendoci anche del piccolo elogio di questo vescovo pubblicato dal portale russo Pravoslavie.ru (QUI), per offrire ai lettori il ritratto di un pastore coraggioso e saldo nella fede, una figura di vescovo purtroppo pressoché introvabile da decenni nel mondo cattolico.

S.E. Ambrogio nel 1978
Il Metropolita Ambrogio, difatti, non rinunciò mai a proclamare con forza la Verità. Egli ha spesso pubblicamente parlato e scritto dei danni che le autorità atee in Grecia hanno portato alla Chiesa e alla nazione. Egli scrisse poi una lettera a Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo circa i problemi dell'ecumenismo al Concilio di Creta del 2016, e non si è fatto problema a redarguire pubblicamente persino il primo ministro.

Egli si è pronunciato contro l'anti-canonica invasione del territorio della Chiesa Ortodossa Ucraina da parte del Patriarcato di Costantinopoli.

Nell'ottobre del 2017, il Metropolita Ambrogio ordinò che le campane di tutte le chiese della sua diocesi suonassero ogni giorno per una settimana a lutto, in segno di protesta contro la legge "sul riconoscimento legale dell'identità di genere", che ha semplificato il processo per il cambio legalizzato di sesso, permettendo a chiunque dai 15 anni in su (sic!) il cambio solo mediante notifica alle autorità competenti.

Sua Eminenza ha sofferto insulti e persecuzioni in questi anni, per via delle sue salde posizioni ortodosse. Egli fu portato in tribunale e condannato a 7 mesi di prigione per "discorsi d'odio e incitamento alla violenza" contro gli "omosessuali", a cagione di un articolo postato su un blog pubblico nel 2015 nel quale egli condannava tali comportamenti contro natura, proprio mentre il parlamento stava votando in favore delle unioni civili omosessuali.

Nella sua lettera di dimissioni, il Metropolita Ambrogio ha ringraziato Iddio dell'opportunità di aver subito persecuzione a cagione del Suo nome, secondo il motto evangelico: Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam, quoniam ipsorum est regnum coelorum. Beati estis cum maledixerint vobis et dixerint omne malum adversus vos propter nomen meum: gaudete et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in coelis.

lunedì 5 agosto 2019

XLVII Convegno di Instaurare a Fanna il 22 agosto


Giovedì 22 agosto 2019
Santuario di Madonna di Strada, Fanna (PN)
Costituzionalismo, ordine politico, bene comune

Programma
ore 9,00   -  Arrivo dei partecipanti. Iscrizione al convegno.
ore 9,15 - Celebrazione della santa Messa in rito romano antico e canto del «Veni Creator»
ore 10,45 - Apertura dei lavori. Saluto di Instaurare ai partecipanti. Introduzione ai lavori.
ore 11,00 - Prima relazione: «La dottrina politica cattolica di fronte al costituzionalismo: problemi di ieri e di oggi»
del prof. Miguel AYUSO, Ordinario nell’Università Comillas di Madrid, Presidente emerito dell’Unione
Internazionale Giuristi Cattolici.
ore 12,00 -  Interventi e dibattito.
ore 13,00 - Pranzo.
Ore 15,30 -  Ripresa dei lavori. Seconda relazione: «L’ordine politico e il problema del bene comune nella dottrina
dell’americanismo» del prof. John RAO, docente all’Università St. John di New York.
Ore 16, 15 - Terza relazione: «Critica alla Costituzione repubblicana e proposta di Costituzione di Carlo Francesco
D’Agostino» del dott. don Samuele CECOTTI, cultore di Filosofia politica.
ore 17,00 - Interventi e dibattito.
Ore 17,30 - Chiusura dei lavori. 

Avvertenze

Il convegno è aperto a tutti gli «Amici di Instaurare». Non è prevista alcuna quota d’iscrizione. I partecipanti avranno a loro carico solamente le spese di viaggio e quelle del pranzo che sarà consumato al Ristorante «Al Giardino» di Fanna a prezzo convenzionato. Si prega, a questo proposito, di dare la propria adesione scrivendo all’indirizzo di posta elettronica: instaurare@instaurare.org entro il giorno 14 agosto 2019. L’adesione è necessaria al fine di favorire l’organizzazione.
Non è permessa la distribuzione di alcuna pubblicazione né la registrazione dei lavori del convegno senza la preventiva autorizzazione della Direzione del convegno.
I giornalisti devono essere accreditati. A tal fine essi debbono scrivere al seguente indirizzo di posta elettronica: instaurare@instaurare.org
Il santuario di Madonna di Strada è facilmente raggiungibile con propri mezzi: si trova sulla strada che da Spilimbergo porta a Maniago, pochi chilometri prima di quest’ultimo centro. Chi si servisse dell’autostrada deve uscire dalla stessa a Portogruaro, prendere la direzione di Pordenone e proseguire (senza uscire dall’autostrada a Pordenone) fino a Sequals. A Sequals girare a sinistra in direzione di Maniago e proseguire per una decina di chilometri: sulla sinistra, come indicato dai cartelli stradali, si trova il santuario di Madonna di Strada.
Al fine di favorire l’organizzazione del convegno è gradita la segnalazione della propria partecipazione anche da parte di chi non partecipasse all’incontro conviviale.
Per comunicazioni e informazioni si prega di scrivere al citato indirizzo di posta elettronica: instaurare@instaurare.org 

Breve nota introduttiva

Il convegno non è destinato a «tecnici», vale a dire a cultori specialistici della questione. L’incontro, infatti, sarà un’occasione per esaminare
la questione in termini culturali. I lavori mostreranno innanzitutto la genesi di una dottrina, i suoi sviluppi, le sue aporie. Soprattutto
evidenzieranno i problemi «satellitari» al costituzionalismo: concezione della libertà e dei diritti umani, questione della legalità e della
legittimità, il liberalismo e la sua «naturale» evoluzione, i rapporti fra potere spirituale e temporale. Si tratta di temi di grande attualità
e dalla decisiva incidenza sulle scelte quotidiane individuali e collettive. Oggi la dottrina del costituzionalismo è in crisi. I suoi effetti
rilevanti. Soprattutto sono attuali le conseguenze apportate dal costituzionalismo per quel che attiene al problema del bene comune. La
dottrina del costituzionalismo è «costretta» a identificare, in ultima analisi, l’ordine politico con l’ordine positivo costituzionale (nell’ipotesi
migliore, quindi, con i limiti e gli spazi di libertà residuale rispetto alle esigenze della convivenza; perciò con un ordine «anarchico»). Essa
rappresenta un ostacolo insormontabile per il bene comune (classicamente inteso). Nei secoli passati la dottrina del costituzionalismo è
stata «costretta», da una parte e in una prima fase, a delineare (soprattutto nel continente europeo) il bene comune come bene pubblico,
portando – la tesi può apparire assurda, ma assurda non è – talvolta al totalitarismo, considerato (erroneamente) rimedio all’individualismo.
Nella versione «americana» essa ha portato, conservando e nello stesso tempo segnando (coerentemente rispetto alle posizioni più
radicali della dottrina protestante) una «svolta», verso una forma di rinnovato ed accentuato individualismo, dissolutore della stessa
concezione del bene che si è fatto esclusivamente «privato».
La considerazione della questione «Costituzionalismo, ordine politico, bene comune» offrirà l’occasione per la presentazione della critica
alla Costituzione repubblicana di Carlo Francesco D’Agostino (di cui ricorre il ventennale della morte) e per l’illustrazione del suo progetto
di Costituzione conforme all’ordine naturale, il quale si allontana dalla dottrina del costituzionalismo come storicamente impostosi.

Suggerimento

A chi volesse previamente approfondire la questione oggetto del convegno si consiglia la lettura dei seguenti libri, alcune copie dei quali saranno comunque disponibili presso
il Santuario di Madonna di Strada in occasione dell’incontro:
M. AYUSO, Costituzione. Il problema e i problemi, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019.
D. CASTELLANO, De Christiana Republica. Carlo Francesco D’Agostino e il problema politico (italiano), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004.
S. CECOTTI, Della legittimità dello Stato italiano. Risorgimento e Repubblica nell’analisi di un polemista cattolico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012.

giovedì 1 agosto 2019

Tra primato e giurisdizione: una fonte cronachistica medievale

Cristo consegna il Pastorale a un Vescovo:
segno che la giurisdizione viene direttamente
da Dio (miniatura del Beato Angelico)
Le tristi vicende che stanno coinvolgendo la Chiesa Ortodossa in Ucraina, di cui abbiamo anche su questo sito parlato, riportando notizie e commenti autorevoli, hanno -com'è noto- origine dalla pretesa di primato avanzata dal Patriarca di Costantinopoli, sulla scorta di alcune aberranti affermazioni teologico-ecclesiologiche (come quelle del metropolita Elpidophoros o del metropolita Zizioulas) le quali andrebbero a replicare, o meglio a superare persino le pretese primaziali avanzate dal Papato Romano dopo il 1870 [1]. Per comprendere tuttavia come la Chiesa nei secoli passati affrontava faccende del genere, cioè come la Tradizione e i Sacri Canoni si pongono davanti a eventi di tale sconcertante portata, può essere utile analizzare un episodio rimontante al X secolo che ci viene narrato dal cronista medievale Rodolfo il Glabro, monaco di Cluny.

Dopo aver provocato un po' dovunque, nel corso di varie battaglie, grandi spargimenti di sangue umano, preso dal terrore dell'inferno, [Folco d'Angiò] si recò al Santo Sepolcro di Gerusalemme. Da quello sfrontato che era, se ne tornò pieno d'esultanza, e per qualche tempo lasciò la consueta ferocia divenendo più umano. Progettò allora di costruire una chiesa in uno tra i terreni migliori di sua proprietà, e sistemarvi una comunità di monaci che si adoprassero giorno e notte per la salvezza della sua anima. E poiché non lasciava nulla al caso, cominciò a interpellare un gran numero di religiosi sui santi alla cui memoria gli convenisse dedicare quella chiesa perché pregassero il Signore onnipotente per l'assoluzione della sua anima. Tra gli altri anche sua moglie, che era persona di grande saggezza, gli consigliò di adempiere al voto fatto celebrando la memoria di quelle potenze celesti che l'autorità dei testi sacri colloca più in alto, i Cherubini e i Serafini. Aderendo all'idea con entusiasmo, egli fece costruire una bellissima chiesa nel distretto di Tours, a un miglio di distanza dal castello di Loches.

Conclusa presto la costruzione della basilica, inviò subito un messaggio all'arcivescovo di Tours, Ugo, nella cui diocesi era stata fondata la chiesa, perché venisse a consacrarla com'egli aveva stabilito. Ma quello non si mosse, spiegando di non poter trasmettere al Signore, per mezzo di tale consacrazione, il voto di un uomo che si era impadronito di tanti beni e di tanti servi appartenenti alla chiesa madre della sua diocesi; gli sembrava opportuno che Folco restituisse prima quanto aveva ad altri sottratto ingiustamente, e solo dopo offrisse a Dio, giusto giudice, le proprietà che intendeva consacrargli. Quando i messaggeri gli riferirono tutto questo, Folco, tornando alla solita ferocia, reagì con grave collera alla risposta del vescovo, giunse ad aperte minacce contro di lui, e infine spinse i suoi calcoli più in alto che poté: si caricò di monete d'oro e d'argento e partì alla volta di Roma. Qui riferì a Papa Giovanni [XVIII] la ragione del suo viaggio, espose le sue richieste e gli fece ricchissimi doni. L'altro mandò senza indugio con Folco a consacrare la basilica uno di quelli che nella chiesa del beato Pietro principe degli Apostoli sono detti cardinali, di nome Pietro, e gli ordinò di eseguire, senza lasciarsi intimorire, qualunque cosa Folco avesse reputato giusto, come se gliene venisse l'autorità dal pontefice romano. Quando la cosa si riseppe, tutti i vescovi della Gallia compresero che una tale sacrilega temerarietà era dipesa da cieca ingordigia, e che l'uno con le sue rapine e l'altro con l'accettarne il frutto avevano provocato un nuovo scisma nella Chiesa di Roma. La deprecazione fu universale, perché appariva del tutto inammissibile che il titolare della sede apostolica violasse per primo le disposizione apostoliche e canoniche, soprattutto dopo che era stato ribadito da molte autorità, e fin dai tempi antichi, che nessun vescovo poteva esercitare un simile diritto nelle diocesi altrui, salvo che non lo ordinasse o non lo tollerasse il vescovo locale.

Un giorno di maggio si radunò una grandissima folla per assistere alla consacrazione della chiesa. La grande maggioranza dei presenti era là convenuta perché costretta col terrore da Folco a prender parte al trionfo del suo orgoglio; tra i vescovi intervennero per necessità soltanto quelli che erano oppressi sotto il suo potere. Il giorno stabilito fu iniziata con grande magnificenza la cerimonia della consacrazione; quando si concluse, e venne celebrato secondo l'uso il rito della messa, ciascuno tornò a casa propria. Ma quello stesso giorno, verso l'ora nona, mentre il cielo, percorso da dolci venti, appariva da ogni parte sereno, d'un tratto sopraggiunse da mezzogiorno un terribile uragano, che si abbatté sulla chiesa, la riempì di un turbine di vento e la scosse a lungo con violenza, finché tutta la travatura cedette sfasciando i soffitti, e così l'intera copertura della sommità occidentale del tempio rovinò a terra. Il fatto fu risaputo da molti in quella regione, e non vi furono dubbi che il voto era stato reso vano dall'arroganza e dalla temerarità; fu un chiaro segno per ognuno, al presente e in futuro, che cose del genere non si dovevano ripetere. Perché, se il pontefice della Chiesa di Roma è ritenuto degno di venerazione più d'ogni altro in tutto il mondo per l'autorità della sede apostolica, non per questo gli è consentito di violare il tenore delle disposizioni canoniche. Ora, siccome ciascun vescovo della chiesa ortodossa, come sposo della propria diocesi, reca in sé con pari dignità l'immagine del Salvatore, così a nessuno di essi in generale è lecito intervenire nelle diocesi di altri con atti di prepotenza.

(Rodolfo il Glabro, Historiarum libri, II, 5-7, trad. di Giovanni Orlandi, ed. Fondaz. Lorenzo Valla, 1989)

L'esposizione, commentata secondo lo stile dei cronisti medievali, è cristallina, e il fatto ricorda preoccupantemente le vicende odierne. E' persino inutile discutere, come fa P. Lamma (in Momenti di storiografia cluniacense, Roma, 1961, p. 57, nota 2) del "tono episcopalista" di Rodolfo contrapposto alla polemica antivescovile della tradizione strettamente cluniacense: ci sono dei fatti, ovvero la rivolta di alcuni vescovi di fronte a un atto scismatico del pontefice romano, che non lasciano adito a interpretazioni, e ci danno una visione limpida di come la Chiesa del primo millennio condannasse severamente atti di prevaricazione della giurisdizione che ogni singolo vescovo ha direttamente da Cristo (si evince nel testo). E se la contestazione dell'ingerenza nel territorio di altri vescovi è diretta qui al Papa di Roma (che si riconosce essere primus per onore tra i vescovi di tutto il mondo), quanto più dovrà applicarsi alle altre sedi?
Nei procellosi tempi odierni, è necessario tenere avanti a sé gl'insegnamenti dei Padri e dei maestri della Tradizione, perché solo seguendo i canoni apostolici e millenari della Chiesa si potrà serbare intatto il depositum fidei (che non è separato dalla componente ecclesiologica) della Chiesa di Cristo.

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NOTE:
[1] Certamente l'affermazione di una primazia della sede romana, almeno in Occidente, data agli ultimi decenni del primo millennio, ovvero dal consolidamento dell'alleanza franco-romana, e già nel Dictatus Papae di Gregorio VII del 1075 si possono ravvisare segni della pretesa universalità del Papato. Tuttavia, si è ancora molto lontani dalla quella figura di Rex in re spirituali che si affermerà dopo il Vaticano I (guarda caso in coincidenza con la perdita di ogni regalità in re temporali): mi ha sempre colpito che nel Museo delle Religioni di Pietroburgo il Cattolicesimo sia diviso in due sezioni, quella pre-Pio IX e quella post-Pio IX, e solo in quest'ultima sezione sia pieno di oggetti posseduti dai papi, di loro immaginette etc. (oltre che di immagini del Sacro Cuore e di altre devozioni diffuse negli ultimi due secoli): ciò è segno che, almeno vista dall'esterno, sussiste una notevole differenza tra questi due momenti della storia della Chiesa.