giovedì 30 aprile 2020

"Ottavario per la restaurazione della Liturgia" 1-8 maggio

Volentieri ci uniamo all'iniziativa, nata su Facebook su proposta di alcuni amici australiani e recentemente rilanciata anche da New Liturgical Movement, di un ottavario di preghiera per la restaurazione della liturgia autentica, cioè antecedente alle riforme degli anni '50. La prima settimana di maggio è un momento alquanto propizio per questa preghiera, in quanto nessun'altra settimana (oltre ovviamente alla Settimana Santa, e forse alla prima settimana di gennaio) ha subito così tante modifiche in quegli anni.


Nell'immagine in alto si può notare un confronto dei giorni di questa settimana secondo l'edizione tipica del 1920 del Messale Romano vs. quella del 1962. Come si può notare, è assente la festa dei Ss. Filippo e Giacomo (portata chissà perché all'11 maggio, dove resterà per pochi anni, venendo spostata al 3 maggio da Paolo VI), e il suo posto è preso dalla festa di S. Giuseppe operaio, ovvero l'orrido rimpiazzo della vecchia festa del Patrocinio di S. Giuseppe, spostata e trasformata à la communiste. La festa dell'Invenzione della S. Croce (che nella tradizione romana, a differenza di quella greca, è più importante rispetto a quella settembrina dell'Esaltazione) è soppressa del tutto. La festa caratteristicamente romana del martirio di S. Giovanni avanti la porta Latina è soppressa. La festa dell'Apparizione di S. Michele Arcangelo sul Monte Gargano, uno dei miracoli di più antica venerazione di tutta la Cristianità, è soppressa.

Sotto, per illustrare anche ulteriori variazioni avvenute, riporto una tabella con il calendario dei primi otto giorni di maggio di quest'anno, secondo i due Messali e integrandoli col proprio delle Venezie:

Data
Edizione Tipica 1920
con proprio di Venezia
Edizione Tipica 1962
con proprio di Venezia
Ven 1°
Ss. Filippo e Giacomo – doppio 2cl.
S. Giuseppe operaio – I cl.
Sab 2
Ottava di S. Marco – doppio mag. *
Comm. dell’Ott. del Patrocinio
S. Atanasio – III cl.
Dom 3
Invenzione della S. Croce – d.2cl.
Comm. e Ult. Evang. della Domenica
Domenica III dopo Pasqua – II cl.
Lun 4
S. Monica – doppio 
Comm. dell’Ott. del Patrocinio
S. Monica – III cl.
Mar 5
S. Pio V – doppio
Comm. dell’Ott. del Patrocinio
S. Pio V – III cl.
Mer 6
Ott. del Patrocinio – doppio mag.
Comm. e Ult. Evang. di S. Giovanni avanti la Porta Latina
Feria – IV cl.
Gio 7
S. Stanislao – doppio
S. Stanislao – III cl.
Ven 8
Apparizione di S. Michele – d. mag.
Feria – IV cl.

* la festa di S. Atanasio, a Venezia, è traslata in perpetuo all’11 maggio, pur essendo una semplice doppia. Questa eccezione alle regole di traslazione stabilite dalla Divino Afflatu fu probabilmente ammessa per evitare turbamenti nel popolo, dacché un tempo in Città una grande festa si aveva in questo giorno per il Santo Dottore presso la chiesa di S. Zaccaria ove si venera il suo corpo.

L'ottavario si prega in due modi: anzitutto, celebrando le feste che vi cadono secondo il costume antico; in secondo luogo, pregando con la colletta riportata nell'immagine (che si canta la Vigilia di Pasqua dopo la seconda profezia, ovviamente anch'essa abolita sotto Pio XII). Essendo in tempo di Pasqua, va pregata senza premettere il Flectamus genua.

Orémus. Deus, incommutábilis virtus et lumen ætérnum: réspice propítius ad totíus Ecclésiæ tuæ mirábile sacraméntum, et opus salútis humánæ, perpétuæ dispositiónis efféctu, tranquíllius operáre; totúsque mundus experiátur et vídeat, dejécta erigi, inveteráta renovári, et per ipsum redire ómnia in intégrum, a quo sumpsére princípium: Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus per ómnia sǽcula sæculórum. Amen.
Preghiamo. O Dio, potenza immutabile e luce eterna, volgi propizio lo sguardo sull'opera mirabile della tua Chiesa, e, secondo quanto fin dall'eternità hai decretato, degnati di operare la salvezza umana. E tutto il mondo sperimenti e veda rialzarsi le cose abbattute, le invecchiate rinnovarsi, e tutte ritornare nella loro integrità; per mezzo di Colui da cui ebbero origine, il Signore nostro Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Buona festa dei Ss. Filippo e Giacomo e buon ottavario a tutti!

mercoledì 29 aprile 2020

Squalor vetustatis: l'atteggiamento dei novatori davanti alla tradizione liturgica

Leggendo il Motu Proprio Abhinc duo annos del 1913, col quale si completa e approva definitivamente il grande stravolgimento liturgico del Breviario Romano iniziato nel 1911 con la costituzione apostolica Divino afflatu, a un certo punto s'incontra un'espressione alquanto particolare per descrivere l'ufficio romano tradizionale: squalor. Si tratta di un espressione alquanto pesante, se detta nei confronti di una struttura rituale che vanta un'antichità più che millenaria, che non ci aspetteremmo mai di trovare in bocca a un Papa come S. Pio X.

L'ufficio nel 1910 aveva indubbiamente molteplici problemi, dovuti all'ingolfamento del santorale con troppo numerose feste doppie, sovente di santi privi di sentito culto ed inseriti nel calendario unicamente per acconsentire (non necessariamente a titolo gratuito) alle pressanti richieste di ordini religiosi che in tal modo intendevano dar lustro alla propria famiglia. Questa però, semmai, è l'incoscienza di chi, tra il XVII e il XIX secolo, ha appesantito oltre misura un calendario dalla struttura delicata come quello dell'ufficio romano.

Un'espressione cruda come squalor indica chiaramente la mentalità deleteria dei novatori, pronti a picconare senza ritegno le tradizioni più antiche: tutto ciò è vecchio, polveroso, non corrisponde alla mentalità dell'uomo moderno, dobbiamo inventarci da capo qualcosa di nuovo per sostituirlo. La stessa mentalità che, come è da tutti riconosciuto, aveva animato la squadra di Bugnini nel 1955 prima e nel 1969, cancellando senza ritegno riti e preghiere che la sapienza degli Apostoli e dei Padri aveva stabilito, definendoli come "superati" o "inutili", si ritrova nella commissione incaricata della riforma del Breviario sotto il pontificato di Pio X.

Gli scopi dichiarati di detta commissione erano affatto legittimi e auspicabili, anzi richiesti sin dai tempi di Benedetto XIV: una revisione sostanziale del numero e del grado delle feste e delle lezioni patristiche e agiografiche. Un lavoro molto simile a quello compiuto sotto Pio V e confluito nel Breviario del 1568, insomma. Il prodotto finale, tuttavia, fu ben diverso: a fronte di una riduzione veramente minimale o quasi nulla del numero e del grado delle feste (accompagnato da un simpatico balletto di alcune feste dalla domenica ai giorni infrasettimanali, più volte cambiate tra 1911 e 1913), ci si ritrova davanti a rubriche completamente modificate, ad antifone di tradizione medievale soppresse e riscritte ex novo, ma soprattutto a uno schema di distribuzione settimanale del salterio che non ha nulla a che fare con la tradizione romana. Salmi che la tradizione plurisecolare di tutti i riti aveva identificato come vespertini portati nell'ufficio del mattino, divisione di salmi (pratica che a Roma non si era mai conosciuta), la distruzione della triade di salmi laudativi alla fine dell'ufficio mattutino, pratica che rimonta addirittura alla sinagoga, pregata da Nostro Signore medesimo durante la Sua vita terrena...


 
La fine delle Laudi della Domenica in un Breviario tradizionale (totum, Augustae Taurinorum, Marietti, 1900) e un Breviario riformato da Pio X (pars verna, Turonibus, Mame, 1933)

La riforma piana contiene alcuni elementi indubbiamente accettabili; la revisione delle norme di traslazione è accettabile; la garanzia di un privilegio della domenica rispetto alle feste doppie è accettabile se non auspicabile, considerata la moltiplicazione delle stesse; l'adozione del salterio feriale nella maggior parte delle feste, salvo i due ranghi più alti, si può parimenti accogliere per buona [1]. Ma a quale scopo una riforma così radicale e novatrice del salterio? Una delle ragioni addotte fu il peso che l'Ufficio Divino costituiva per il clero che lo doveva recitare. Questa pericolosa disaffezione del clero alla preghiera liturgica era una tendenza ormai da molti decenni, ma nel corso del XX secolo raggiunse gli apici. Nel Medioevo era normale per qualsiasi canonico o religioso cantare in coro tutti gli uffici, compresi quelli extra nei giorni di rango inferiore; nessun domenicano avrebbe mai pensato di essere meno "predicatore", di avere meno tempo di predicare, dovendo dedicare otto ore della propria giornata al canto della lode a Dio. Già dal Cinquecento questa mentalità liturgica si affievolisce, quando gli ordini controriformistici, col pretesto del non perdere tempo che si potrebbe spendere nella predicazione, insomma nella "vita attiva", adottano la prassi di leggere in tono retto gli uffici in coro, o peggio di non celebrarli proprio, come i Gesuiti. L'equilibrio tra vita attiva e vita contemplativa, tra lavoro e preghiera, che caratterizza il Cristianesimo, ed è meravigliosamente simboleggiato nelle figure di Marta e Maria nel Vangelo di Luca, inizia a rompersi in favore della prima, con una tendenza all'attivismo sempre maggiore. Quelli che oggi pensano solo ai migranti anziché alla liturgia, se fossero nati sessant'anni prima avrebbero pensato sempre alla dottrina sociale anziché alla liturgia: per i "tradizionalisti" forse sarebbero più cattolici, ma agli occhi di qualsiasi Padre della Chiesa o santo medievale sarebbero apparsi eretici, se non praticamente atei. Tornando a noi, la pratica liturgica quotidiana decade definitivamente con le soppressioni rivoluzionarie di capitoli e conventi, e gli ostacolati tentativi di rinascita della vita monastica nell'Ottocento francese non sortiscono purtroppo gli effetti desiderati. Arriviamo così al detto Novecento, in cui il clero e i vescovi chiedono insistentemente una riduzione del loro carico di preghiera, divenuto oramai la lettura privata di un Breviario; quello che i loro padri, senza tutte le comodità inventate nel secolo precedente, trovavano il tempo di cantare in coro per otto ore al giorno, questi non avevano tempo di leggere a mente per un paio d'ore. Paradossalmente, mentre tutte queste riforme si compiono per alleggerire il peso della preghiera liturgica, il can. 152 del Codice di Diritto Canonico del 1917 impone al clero la novità dell'obbligo della preghiera non liturgica quotidiana, cioè il Rosario e la visita al Sacramento. L'anomalia di ciò è notata persino dal liturgista Léon Gromier in un suo brillante articolo del 1955 [2].

Abbiamo brevemente descritto quanto pretestuosa fosse la lamentela del clero per l'eccessivo peso dell'ufficio. Ora tuttavia, ammettendola ma non concedendola, vedremo di presentare alcune soluzioni. In alcuni kelià dell'Athos e in generale in Grecia, dove soprattutto in seguito alla turcocrazia i monasteri sono per la maggioranza piccoli e ospitano un numero limitato di monaci, complice anche la lunghezza dell'ufficio superiore a quello romano, essendo difficile per quei pochi interrompere frequentemente il lavoro manuale durante il giorno per recarsi in chiesa a cantare le ore, almeno Terza e Sesta vengono cantillate a memoria dai monaci, generalmente in coppia, durante il lavoro. La cosa non è difficile, poiché i salmi sono uguali tutti i giorni, e cambia solo il tropario della festa, che è generalmente ricordato essendo cantato a ogni ora; le similitudini con le ore tradizionali romane sono molte, visto che si recitavano le stesse parti del salmo 118 tutti i giorni, con le uniche varietà di capitoli, responsori e colletta, che potevano comunque essere mandati a memoria. Nelle cattedrali e nelle parrocchie greche, dove pur quotidianamente si canta (anche se vi è un solo prete) il Mattutino e il Vespro, le ore minori sono sovente tralasciate. Un'eliminazione di queste nella recita privata del breviario avrebbe alleggerito un po' il peso dell'ufficio, senza costringere a una rimodulazione totale del salterio.

Quella abbozzata qui è una soluzione, ma ce ne possono essere tante altre. Sicuramente, l'unica che non si sarebbe dovuta prendere in considerazione era modificare l'ordine tradizionale dei salmi. In età tridentina, due cose venivano presentate come intoccabili nella liturgia, vista la loro antichità venerabile: il Canone della Messa e il salterio del Breviario. Cambiare uno di questi sarebbe stato prossimo all'eresia, sarebbe stato rinnegare, svalutare, considerare inadeguata ("erosa dallo squallore della vetustà") la tradizione che aveva santificato la Chiesa sin dai tempi dei Padri. Eppure nel 1911-13 i novatori non ebbero remore a picconare quel millenario edificio che era il salterio romano. Nulla di strano che cinquant'anni dopo un successore del Papa che approvò questo primo picconamento non ebbe remore ad aggiungere il nome di un santo nel Canone dell Messa. E appena sette anni dopo il salterio fu nuovamente picconato, anzi sminuzzato in tanti pezzettini distribuiti lungo il corso di un mese, e il Canone della Messa fu nuovamente e molto più pesantemente violato, persino nel suo cuore.

In questi giorni, un famoso teologo e sedicente liturgista, Andrea Grillo, in una sua serie di scritti contro il motu proprio Summorum Pontificum, continua a sostenere che la necessità della riforma del Messale Romano negli anni '60 fu dovuta al fatto che i padri conciliari del Vaticano II avessero ritenuto inadeguata la "forma" antica del Messale. Un disprezzo per le forme antiche e per la tradizione apostolica che come si vede ha origini lontane, ma che è da sempre l'atteggiamento di chi vuole innovare con la distruzione, secondo le proprie idee o secondo presunti bisogni pastorali, piuttosto che secondo lo spirito dei Padri. Un disprezzo e una facoltà di distruzione che nessuno ha il diritto di avere di fronte alla Tradizione, nemmeno dei padri conciliari, nemmeno un papa.

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NOTE

[1] A questo punto forse ci sarebbero solamente due problemi da risolvere, ossia a chi spetti la salmodia feriale e a chi non spetti: con una desiderabile e assai sostanziale riduzione del numero di doppi, si potrebbe lasciare quella festiva a questi ultimi ed estendere invece la feriale ai semidoppi. Resta inoltre da studiare il modo di distribuire armonicamente i 12 salmi (raggruppati due a due sotto un totale di 6 antifone) del mattutino feriale in tre notturni per le feste semidoppie. Una soluzione sul modello domenicale sarebbe un primo notturno di 6 salmi e due notturni da 3, ma bisognerebbe rivedere completamente il corpus antifonale; mantenendo le antifone si potrebbero avere tre notturni "anomali" da 4 salmi.

[2] L. GROMIER, La simplification des rubriques du missel et du bréviaire, in Revue de Droit Canonique 5 (1955), p. 175

venerdì 24 aprile 2020

Testi propri del Patriarcato di Venezia per la festa di S. Marco

Sperando di fare cosa gradita ai nostri lettori, a questo link è possibile scaricare un libretti con i testi propri dell'Ufficiatura (Vespro e Mattutino) e della Messa della festa di S. Marco secondo il Proprio della Patriarcale, Primaziale e Metropolitana Arcidiocesi delle Venezie.


Frontespizio della pubblicazione
Le rubriche seguite nel testo sono quelle precedenti alla bolla Divino Afflatu, con una nota per l'adattamento per chi segue le rubriche piane, e il Proprio utilizzato è quello rimasto in vigore dal XIX secolo fino agli anni '60 del secolo scorso, cioè quello adottato in seguito al trasferimento della sede Patriarcale nella ex Ducale Basilica Marciana del 1806 e la conseguente adozione del rito romano e soppressione del rito patriarchino proprio in uso in detta chiesa. Tali testi sono frutto di una fusione tra quelli in precedenza impiegati nella Basilica e quelli in uso nel resto della Città e del Dominio. I salmi sono riportati secondo la versione cosiddetta "latina antica", in uso nella Basilica Marciana, nonché in altre antiche chiese al mondo (tra cui la Patriarcale Basilica Vaticana di S. Pietro).

Tra le molte cose che si potrebbero notare circa questi testi, mi limiterò a segnalare i molti riferimenti alla Patria Veneta di cui il Santo è eletto speciale Patrono (cfr. gl'inni, l'ant. al Magn. del I Vespro e le ant. ai salmi delle lodi), e la relazione stretta tra S. Marco e il suo maestro spirituale S. Pietro, che porta la Chiesa Veneta, in quanto custode delle beate spoglie del primo, ad avere un prestigio quasi pari alle sedi fondate dal secondo (cfr. i sermoni di S. Pier Damiani letti nel II Notturno della festa e dei giorni fra l'Ottava; l'ant. al Magn. del II Vespro, costruita ricalcando quella del Vespro della festa dei Ss. Pietro e Paolo).

lunedì 20 aprile 2020

L'unica Risurrezione avviene la domenica, non il sabato: un'omelia.

Durante la scorsa settimana, tra le altre, ho seguito con particolare interesse le funzioni della Settimana Santa celebrate presso la Cattedrale di S. Nicola ad Acarne, dei Genuini Cristiani Ortodossi di Grecia (paleoimerologhiti). Ho trovato particolarmente interessante l'omelia pronunciata dal Metropolita Crisostomo di Attica e Beozia alla liturgia vesperale del Sabato Santo mattina, nella quale dà una spiegazione del significato di "Prima Risurrezione", di quale servizio sia quello realmente della Risurrezione di Cristo (il Mattutino di Domenica) e del perché alcuni caratteri di gioia siano anticipati a una funzione del Sabato. Le sue considerazioni sono ovviamente inerenti al rito bizantino, ma possono valere anche per il rito romano mutatis mutandis (si paragoni il Sorgi o Dio al Gloria), e avvalorano quanto abbiamo recentemente detto circa la funzione vigiliare del Sabato.

Trascrivo e traduco di seguito il passo più significativo. Si può ascoltare dal min. 2:25:20 di questo video. La predicazione poi prosegue illustrando la centralità della Risurrezione e la necessità del Battesimo per la salvezza (il Metropolita ricorda inoltre che in questo giorno e la domenica di Pasqua il trisagio è sostituito dal Quanti in Cristo siete stati battezzati, a ricordo del fatto che in questa liturgia vesperale e nel giorno di Pasqua avvenivano i battesimi dei catecumeni, così come del resto la benedizione dell'acqua battesimale si trova nella liturgia vesperale nel rito romano).


Abbiamo terminato la celebrazione del Vespro della Risurrezione di Nostro Signore, insieme alla Divina Liturgia di San Basilio il Grande. In questa celebrazione, che si compie in modo eccezionale, cantiamo degli inni dell'Antico Testamento insieme a inni del cuore al Signore. La Chiesa prega e supplica tutte le cose di lodare Dio: benedite, sole e luna, stelle del cielo, il Signore; inneggiate il Signore e magnificatelo per tutti i secoli. Benedite il Signore, fuoco, luci, neve, freddo, alberi, mare, creature viventi, vento, ogni cosa creata da Dio, inneggiate al Signore. Ogni anno in questo giorno cantiamo: "Inneggiate al Signore e magnificatelo per tutti i secoli". E pure voi, sacerdoti tutti, inneggiate al Signore. Poi, in questa straordinaria celebrazione, durante la Divina Liturgia per la precisione, ed esattamente dopo la lettura dell'Apostolo, il celebrante canta: "Sorgi o Dio: giudica la terra, poiché tu avrai eredità in tutti i popoli". Mentre cantiamo quest'inno con gioia, suonano le campane delle parrocchie; il celebrante o il vescovo cosparge la chiesa di foglie di alloro, che hanno un significato simbolico di vittoria. E, prima della Risurrezione di Cristo, la profetizziamo e ci prepariamo ad accoglierla con questi simboli di vittoria, poiché Egli è il vincitore della morte. Tra poche ore ascolteremo: Cristo è risorto! Da dove? Dai morti! E per mezzo della morte, essendo morto, ha calpestato la morte, e ha donato la vita a quanti erano nei sepolcri; stando nel suo santissimo sepolcro ci ha donato la vita. Simbolicamente, dunque, spargiamo nei santi templi durante questa celebrazione le foglie di alloro con il significato simbolico di vittoria. Alcuni cristiani, e questo lo abbiamo sentito quand'eravamo bambini e lo sentiamo ancora oggi, dicono che questa liturgia della Risurrezione si chiama: "la Prima Risurrezione". C'è dunque una seconda Risurrezione? Una è la Risurrezione del Signore, non c'è né una prima, né la seconda. La Risurrezione avviene al Mattutino della domenica, della domenica di Pasqua. Al mattino del Sabato Santo si compie questa celebrazione nelle parrocchie, per comodità dei fedeli laici: abbiamo fatto la liturgia con il Vespro; nei monasteri si fa nel tardo pomeriggio. Al Vespro, poi, cantiamo degl'inni risurrezionali: profetizziamo, infatti, e ci prepariamo ad accogliere il Risorto dai morti con questo Vespro della Risurrezione. Non è dunque una Prima Risurrezione, e nel momento in cui vengono sparsi gli allori dal celebrante, nel momento in cui si canta "Sorgi o Dio: giudica la terra", non significa che questa sia la Risurrezione. "Sorgi o Dio": questo ha scritto del resto il profeta Davide molti anni prima. Cosa dice il profeta a Dio? O Dio, sorgi! Giudica la terra! Poiché tu avrai eredità in tutti i popoli. Pertanto, per evitare confusione, la Risurrezione è una, e il "Sorgi o Dio" che abbiamo ascoltato è imperativo, come dice il profeta Davide.

domenica 19 aprile 2020

Ἀναστήτω ὁ Θεός! Χριστὸς ἀνέστη!

Χριστὸς ἀνέστη! Ἀληθῶς ἀνέστη!


Stichirà della Santa Pasqua

Ἦχος πλ. α’
Στίχ. Ἀναστήτω ὁ Θεός, καὶ διασκορπισθήτωσαν οἱ ἐχθροὶ αὐτοῦ, καὶ φυγέτωσαν ἀπὸ προσώπου αὐτοῦ οἱ μισοῦντες αὐτόν.

Πάσχα ἱερὸν ἡμῖν σήμερον ἀναδέδεικται, Πάσχα καινόν, Ἅγιον, Πάσχα μυστικόν, Πάσχα πανσεβάσμιον, Πάσχα Χριστὸς ὁ λυτρωτής, Πάσχα ἄμωμον, Πάσχα μέγα, Πάσχα τῶν πιστῶν, Πάσχα, τὸ πύλας ἡμῖν τοῦ Παραδείσου ἀνοῖξαν, Πάσχα, πάντας ἁγιάζον πιστούς.

Στίχ. Ὡς ἐκλείπει καπνός, ἐκλιπέτωσαν, ὡς τήκεται κηρὸς ἀπὸ προσώπου πυρός.

Δεῦτε ἀπὸ θέας Γυναῖκες εὐαγγελίστριαι, καὶ τῇ Σιὼν εἴπατε· Δέχου παρ΄ ἡμῶν χαρᾶς εὐαγγέλια, τῆς Ἀναστάσεως Χριστοῦ, τέρπου, χόρευε, καὶ ἀγάλλου Ἱερουσαλήμ, τὸν Βασιλέα Χριστόν, θεασαμένη ἐκ τοῦ μνήματος, ὡς νυμφίον προερχόμενον.

Στίχ. Οὕτως ἀπολοῦνται οἱ ἁμαρτωλοὶ ἀπὸ προσώπου τοῦ Θεοῦ. καὶ οἱ δίκαιοι εὐφρανθήτωσαν.

Αἱ Μυροφόροι γυναῖκες, ὄρθρου βαθέος, ἐπιστᾶσαι πρὸς τὸ μνῆμα τοῦ Ζωοδότου, εὗρον Ἄγγελον, ἐπὶ τὸν λίθον καθήμενον, καὶ αὐτὸς προσφθεγξάμενος, αὐταῖς οὕτως ἔλεγε· Τί ζητεῖτε τὸν ζῶντα μετὰ τῶν νεκρῶν; τί θρηνεῖτε τὸν ἄφθαρτον ὡς ἐν φθορᾷ; ἀπελθοῦσαι κηρύξατε, τοῖς αὐτοῦ Μαθηταῖς.

Στίχ. Αὕτη ἡ ἡμέρα, ἣν ἐποίησεν ὁ Κύριος, ἀγαλλιασώμεθα, καὶ εὐφρανθῶμεν ἐν αὐτῇ.

Πάσχα τὸ τερπνόν, Πάσχα Κυρίου, Πάσχα, Πάσχα πανσεβάσμιον ἡμῖν ἀνέτειλε, Πάσχα, ἐν χαρᾷ ἀλλήλους περιπτυξώμεθα, ὦ Πάσχα λύτρον λύπης· καὶ γὰρ ἐκ τάφου σήμερον ὥσπερ ἐκ παστοῦ, ἐκλάμψας Χριστός, τὰ Γύναια χαρᾶς ἔπλησε λέγων· Κηρύξατε Ἀποστόλοις.

Sorga Iddio, e sian dispersi i suoi nemici, e fuggano dalla sua presenza quanti lo odiano.

Oggi ci è stata mostrata una sacra Pasqua, una nuova Pasqua, Santa, una Pasqua spirituale, una Pasqua venerabilissima, Cristo il liberatore nostra Pasqua, una Pasqua immacolata, una grande Pasqua, la Pasqua dei fedeli, la Pasqua, l'aprirsi per noi le porte del Paradiso, la Pasqua che santifica tutti i fedeli.

Come svanisce il fumo, svaniscano, come si consuma la cera alla vista del fuoco.

Venite dalla vostra visione, o Donne evangeliste, e dite a Sion: Ricevi da noi gli annunzi di gioia, della Risurrezione di Cristo, gioisci, danza, e rallegrati Gerusalemme, poiché hai veduto Cristo Re procedere come sposo dal sepolcro.

Così periranno i peccatori alla vista di Dio, e i giusti si rallegreranno.

Le donne Mirofore, di buon mattino, si recarono alla tomba di Colui che dà la vita, trovarono un Angelo seduto sulla pietra, ed egli rivolgendosi a loro, così disse: Perché cercate il Vivente tra i morti? Perché piangete l'Incorruttibile come se fosse nella corruzione? Andate e portate l'annunzio ai suoi Discepoli.

Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso.

O Pasqua gioconda, Pasqua del Signore, Pasqua, una Pasqua venerabilissima è fiorita per noi, Pasqua, abbracciamoci in gioia gli uni gli altri, o Pasqua, liberazione del dolore: e infatti oggi dalla tomba, come dal talamo, rilucé Cristo, e riempì di gioia le Donne dicendo: Portate l'annunzio agli Apostoli.


Gli Stichirà della Santa Pasqua a Roma

Durante la celebrazione papale del mattino di Pasqua, esisteva in antichità la consuetudine di cantare dinanzi al Papa gli Stichirà di Pasqua della liturgia bizantina. Tale prassi risale all'epoca in cui sul soglio di Pietro si susseguirono diversi papi di origine orientale (greca o siriaca), fra VII e VII secolo.
I versetti del salmo 67, intervallati con i tropari riportati sopra, versi teologici e poetici che cantano la resurrezione del Signore e la gioia della Pasqua cristiana, sono cantati nell'ufficio risurrezionale bizantino alla fine delle Lodi, prima della celebrazione della Divina Liturgia del giorno di Pasqua e sono ripetuti nella celebrazione del secondo Vespro, dopo la proclamazione del Vangelo della resurrezione (Giovanni 20,19-25).
Si tratta di un testo fra i più belli, poetici e lirici della liturgia pasquale. In esso risuona il gioioso annunzio della resurrezione di Cristo. Nell'attuale stesura risalgono ai secoli VI e VII, ma in essi si possono cogliere motivi teologici delle omelie dei Padri orientali come Giovanni Crisostomo, Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno, ma forse risuonano in essi testi ancora più primitivi come le omelie pasquali del secolo II, di Melitone di Sardi e dell'Anonimo scrittore contemporaneo che ci ha trasmesso una splendida omelia pasquale, attribuita in seguito a Ippolito di Roma o a Giovanni Crisostomo.

Il sacerdote ed erudito italo-albanese Pietro Pompilio Rodotà (professore di Lingua Greca presso la Biblioteca Vaticana, 1707-1770) la espone così nella sua opera "Dell'origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia osservato dai greci, monaci basiliani, e albanesi libri tre" (Roma, 1763): "(Benedetto canonico di S. Pietro) non solamente ci conferma nel sentimento dell'uso delle lezioni greche e latine nel sabato Santo; ma ci presenta una seguenza, o sia prosa, che cantavasi in lingua greca dal primicerio colla scuola de' cantori del tempo, che il Papa, i Cardinali, e gli altri ministri dopo i vespri di Pasqua si rifocillavano colle tre diverse sorti di vini greco, pactisi e procoma. La prosa greca era del tenore seguente. Pascha sacrum nobis hodie ostensum est, pascha novum, sanctum pascha, mysticum pascha; la quale cantasi da' Greci anche di presente ne' giorni pasquali".

Καλὴ Ἀνάσταση
σε ὅλους τοὺς εὐσεβεῖς καὶ ὀρθοδόξους Χριστιανούς!

sabato 18 aprile 2020

La soluzione georgiana per tenere aperte le chiese

Rallegrati in Cristo dalla discesa della Santa Luce, che anche quest'anno, nel mezzo della prova, ha visitato e illuminato il suo popolo manifestandosi nelle mani del Patriarca di Gerusalemme Teofilo III, proponiamo questo video che mostra la soluzione adottata dalla Chiesa Ortodossa di Georgia per continuare le celebrazioni pur nel rispetto delle misure sanitarie dovute al Coronavirus.


Fonte: Katanixi

P.S.: i fedeli ortodossi in America, ci giunge notizia, non potranno ricevere quest'anno la Santa Luce, in quanto ciò gli è stato precluso dalla decisione del Sinodo Eparchiale delle Americhe presieduto dal delfino di Bartolomeo, il metropolita Elpidoforo, giusta le quali il miracoloso fuoco, al pari delle uova benedette, dei rami di palma, delle candele, e dell'olio santo, non potrà essere distribuito ai fedeli perché possibile veicolo di contagio (cfr. qui).

venerdì 17 aprile 2020

Il Funerale di Cristo nell'uso francescano di Terra Santa

In questo Venerdì Santo (secondo l'antico calendario), proponiamo un video portato all'attenzione di un nostro lettore, nel quale si possono seguire le cerimonie del "Funerale di Cristo" compiute lo scorso Venerdì Santo del calendario gregoriano (10 aprile) presso la Basilica del Santo Sepolcro in Gerusalemme dai frati della Custodia Francescana di Terra Santa.


Il rito, celebrato pontificalmente dal Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, si è svolto sostanzialmente nella sua forma antica, così come descritto nell'Ordo Processionum quae Hierosolymis in Basilica S. Sepulcri D.N. Jesu Christi a Fratribus Minoribus peraguntur (Romae, 1925). Dalla Brevis notitia (pp. 10-11) posta a prefazione di questo Processionale traiamo la seguente silloge storica circa l'origine di detto rito:
Processio funerea, quae Feria VI in Parasceve in hoc Templo a Franciscalibus peragitur, ad recolenda mysteria depositionis Jesu Christi e cruce ejusdemque repositionis in sepulcro, initio saeculi XVII instituta fuit. Imago Salvatoris in cruce pendentis processionaliter defertur, fideliumque venerationi exhibetur, ac tandem caeremoniae depositionis et sepulturae circa ipsam complentur. P. Bonifacius a Ragusa memoriae tradidit hanc processionem saeculo XVI non a Fratribus Minoribus, sed ab Aethiopibus peragi: Religiosi latini tunc aliam processionem celebrabant, deferentes scilicet Sanctissimam Eucharistiam a Monte Calvario ad S. Sepulcrum et ad Capellam Apparitionis.
Circa annum 1620, ut refert Lucas Waddingus, caeremoniae crucifixionis, depositionis e cruce et sepulturae peragebantur quidem a nostratibus in Monte Calvario, sed una cum officiis Missae Praesanctificatorum, eo scilicet tempore cum Passio a Diaconis decantabatur. Franciscus a Secli (1628), de hac funerea processione scribens, eam Feria V in Coena Domini peractam refert; Antonius Del Castillo (1629-1640) vero et Didacus a Cea (1639), in Parasceve quidem, sed statim post completorias preces.
Inchoabatur primo in Monte Calvario, sed haud multo post in Capella Apparitionis, et stationes variae fieri coeptae sunt ad sacella deambulatorii, quandoque etiam ad Columnam Flagellationis et ad Capellam Carceris. Ritus et caeremoniae quae in decursu processionis fiebant, praesertim caeremonia crucifixionis Imaginis Salvatoris, a peregrinis saepe commemorata sed hodie obsoleta, maxima cum gravitate et pietate peragebantur et animos adstantium vehementer commovebant. Mos quoque habendi plures sermones diversis linguis jam ab initio invaluit. Processionem hanc magna cum solemnitate et pontificali ritu a Rev.mo Terrae Sanctae Custode celebratam fuisse, auctores passim commemorant, eaque etiam praesenti tempore summo in honore habetur et magno populi concursu quotannis peragitur.
"La processione funebre, che il Venerdì Santo in questo Tempio è compiuta dai Francescani per commemorare i misteri della deposizione di Gesù Cristo dalla croce e la sua reposizione nel sepolcro, fu istituita all'inizio del XVII secolo. L'immagine del Salvatore pendente dalla croce viene portata processionalmente, ed esposta alla venerazione dei fedeli, e alfine attorno ad essa si compiono le cerimonie della deposizione e della sepoltura. P. Bonifacio da Ragusa racconta che questa processione nel XVI secolo era compiuta non dai Minori, bensì dagli Etiopi: i Religiosi latini allora celebravano un'altra processione, portando la Santissima Eucaristia dal Monte Calvario al Santo Sepolcro e alla Cappella dell'Apparizione.

Attorno al 1620, come riferisce Luke Wadding, le cerimonie della crocifissione, deposizione dalla croce e sepoltura erano compiute invece dai nostri sul Monte Calvario, ma insieme alle funzioni della Messa dei Presantificati, nel momento cioè in cui la Passione veniva cantata dai Diaconi. Francesco da Secli (1628), scrivendo a riguardo di questa processione funebre, riporta che si svolgesse il Giovedì Santo; Antonio del Castillo (1629-1640) invece e Didaco da Cea (1639) il Venerdì Santo, ma subito dopo la Compieta.

Si iniziava dapprima sul Monte Calvario, ma non molto tempo dopo nella Cappella dell'Apparizione, e si iniziavano a compiere varie stazioni ai sacelli del deambulatorio, talora anche alla Colonna della Flagellazione e alla Cappella del Carcere. I riti e le cerimonie che avvenivano durante la processione, soprattutto quelle della crocifissione dell'Immagine del Salvatore, spesso ricordate dai pellegrini ma oggi dimenticate, si compivano con somma pietà e reverenza, e commuovevano assai gli animi dei presenti. Sin dall'inizio invalse l'uso di tenere svariati sermoni in diverse lingue. Gli autori qua e là ricordano che tale processione fosse celebrata con gran solennità e in rito pontificale dal Rev.mo Custode di Terra Santa, ed essa anche al tempo presente è tenuta in sommo onore, e ogni anno celebrata con grande concorso di popolo".

Come si sarebbe potuto intuire, il costume è di provenienza orientale. Nel rito bizantino, durante il canto del Vespro, il corpo del Salvatore viene deposto dalla Croce, e dal Santuario l'Epitafio e portato al luogo della sepoltura, e ivi incensato e profumato con aromi. Quindi, esso viene processionalmente portato nel cuore della notte per le strade durante il canto del Mattutino del Sabato. I riti dei Francescani sono evidentemente derivati dalle usanze orientali.
La nota ci ricorda che fino al Seicento invece essi celebravano una processione eucaristica secondo il costume occidentale: in molti riti medievali occidentali, e anche a Roma nei secoli più antichi, il Giovedì Santo venivano consacrate tre ostie: una per la consumazione quel giorno, una per i Presantificati, e una da riporre nel Sepolcro durante il Vespro che segue i Presantificati, e quindi da portare in processione nel pomeriggio secondo un rituale suggestivo e complesso, in cui le consuete riverenze al Sacramento erano sostituite da altre più cupe e modeste, per significarne la temporanea morte. Coerentemente con le due teologie (dell'immagine e del Sacramento) sviluppate in Oriente e Occidente, il Cristo sepolto è portato in processione con un'icona negli usi orientali e con l'Ostia consacrata negli usi occidentali. Il Messale Tridentino non contiene più questa processione teoforica, che del resto a Roma era già disusata da parecchi secoli, ma suoi contemporanei locali (Aquilejese, Ambrosiano...) ne contengono tracce evidenti. Presso la Ducale Basilica di S. Marco in Venezia essa fu compiuta con il rito patriarchino (con il quale si svolgevano ordinariamente le cerimonie in essa) fino al 1806, quando divenne Patriarcale e assunse il Rito Romano; la processione continuò nondimeno a svolgersi, così come del resto nella maggior parte delle Venezie e dell'Istria, sino al Patriarcato di Giuseppe Sarto, che la sostituì con una processione con le reliquie della Passione. Di questo però si parlerà meglio in altra occasione.

Tornando al rituale francescano di provenienza orientale del video, notiamo le seguenti cose: gli atti cerimoniali sono svolti esattamente come dal Processionale summenzionato. I sermoni in diverse lingue sono sostituite dalla lettura di Vangeli della Passione nei medesimi idiomi (a parte quello tradizionalmente tenuto in greco, che qui è in polacco), sostituzione a mio avviso non deprecabile. Il Vangelo della Deposizione secondo Giovanni è comunque cantato nel suo tono proprio. Il Miserere è cantato in tono primo durante la processione con l'Immagine del Salvatore; il Processionale offre un altro tono, non incorporato nell'ochtoichos, dagli accenti mesti e solenni. Unica nota negativa: sono omessi (forse per la relativa difficoltà musicale?) tre dei quattro responsori che il Processionale prevedeva si cantassero all'inizio, dopo il Vangelo e durante la turificazione nel Sepolcro. Questi sono sostituiti dal più banale canto quaresimale Parce Domine. Tali responsori, di cui offriamo le partiture sotto, erano l'Offerimus ergo, il Velum templi e il Sepulto Domino. Quest'ultimo accompagnava tipicamente anche le processioni eucaristiche occidentali di questo giorno. Alla fine di tutta l'ufficiatura è qui invece regolarmente cantato il Christus factus est con cui si conclude pressoché ogni ufficio di questo Triduo: si noti che è cantato anche il propter quod etc., cioè la forma propria del Sabato Santo. Questo ufficio infatti, collocandosi tra la Compieta del Venerdì e le Tenebre del Sabato, ha già caratteri di quest'ultimo, come del resto la processione con l'Epitafio nel rito costantinopolitano è liturgicamente del Sabato Santo.

Offerimus ergo

Velum templi

Sepulto Domino

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FONTI della storia della Processione (citate in Ordo Processionum etc.)

BONIFACIUS A RAGUSA (1552-1564), Liber de perenni cultu, ed. 1875, pp. 41-42.
L. WADDINGUS, Annales Minorum, ed. 1635, III, p. 497.
FRANCESCO DA SECLI, Viaggio di Gerusalemme, ed. 1639, p. 124.
A. DEL CASTILLO, El devoto peregrino, ed. 1705, p. 247.
DIDACUS A CEA, Thesaurus Terrae Sanctae, p. 285.

domenica 12 aprile 2020

Santa Pasqua 2020

Dominica Resurrectionis
Ἡ Ἁγία Ἀνάστασις
Santa Pasqua di Risurrezione
MMXX


Deus qui hodierna die per Unigenitum tuum aeternitatis nobis aditum, devicta morte, reserasti, da nobis, quaesumus, ut qui resurrectionis dominicae solemnia colimus per innovationem tui Spiritus, a morte animae resurgamus. Per eundem.

O Dio, che oggi per mezzo del tuo figlio Unigenito, sconfitta la morte, ci hai riaperto le porte dell'eternità, concedi, te ne preghiamo, che noi che celebriamo solennemente la risurrezione del Signore, rinnovati dal tuo Spirito, risorgiamo dalla morte dell'anima. Per lo stesso Signore nostro.

(Colletta di Pasqua nel Sacramentario Gelasiano) 


Χριστὸς ἀνέστη ἐκ νεκρῶν,
θανάτῳ θάνατον πατήσας
καὶ τοῖς ἐν τοῖς μνήμασι
ζωὴν χαρισάμενος.

Христо́съ воскре́се ᾿из ме́ртвыхъ,
сме́ртїю сме́рть попра́въ,
᾿и су́щимъ во гробѣ́хъ живо́тъ дарова́въ.

Cristo è risorto dai morti,
colla morte ha sconfitto la morte,
e a quanti erano nei sepolcri
ha donato la vita.



AUGURI DI UNA SANTA PASQUA!

La direzione di Traditio Marciana

venerdì 10 aprile 2020

Observationes de veritate horarum

OSSIA RIFLESSIONI SOPRA GLI ORARI E IL SIGNIFICATO DELLE LITURGIE DELLA SETTIMANA SANTA, E SPECIALMENTE DEL SABATO SANTO

Come sappiamo, ormai da tre anni la fu Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha concesso ad alcuni istituti "tradizionalisti" la possibilità di celebrare la Settimana Santa secondo il rito antecedente le disastrose riforme del 1955, cosa che era de facto e grazie a Dio già praticata in alcuni luoghi. Tuttavia, non sempre a un lodevolissimo desiderio di celebrare i riti centrali della fede cristiana secondo i libri liturgici antichi, la cui struttura rimonta agli Ordines Romani e dunque alle più antiche fasi dello sviluppo liturgico romano, si accompagna una piena comprensione del significato di questi. Uno dei punti meno compresi, specialmente in Europa, è il significato della liturgia del Sabato Santo e, strettamente legato a questo, l'orario delle celebrazioni (cosa non secondaria, dacché la veritas horarum con la quale abbiamo titolato questo intervento fu uno degli assunti principali coi quali la commissione guidata da Bugnini argomentò la necessità di una riforma dei sacri riti). Scriviamo dunque queste righe proprio al fine di aiutare la comprensione di questo aspetto così sovente frainteso, nella speranza che si possa presto giungere a una completa e corretta comprensione dei riti della Grande Settimana.

Prima di passare alla trattazione specifica del Sabato, vediamo generalmente la struttura oraria della Settimana Santa in genere. Faremo continui riferimenti alla tradizione bizantina per stabilire un parametro: tutti i riti liturgici hanno avuto la loro origine dalla liturgia gerosolimitana, sviluppando poi caratteri propri anche a seconda dell'ethnos in cui sono cresciuti, ma sempre presentando uno sviluppo organico con tratti comuni. In particolare, nella questione degli orari, possiamo notare come quelli che identificheremo come "corretti" sono frutto di una secolare stratificazione che si ritrova identica nel rito romano e nel rito bizantino, e che ha come principale scopo il poter vivere con armonia e pienezza di significato i momenti culminanti dell'anno liturgico.

Anzitutto: per tutta la Quaresima, nel rito romano, i Vespri si sono cantati prima di mezzogiorno. Non mi soffermerò su questo aspetto che trovo in sé discutibile (la rubrica del resto dice ante comestionem, e volendo seguire la prassi più antica l'unico pasto del giorno di digiuno si prende alla sera): tuttavia è importante marcare il principio, che cioè la tradizione della Chiesa ha facoltà di modificare l'orario dei riti liturgici, e che anzi la veritas horarum degli stessi non è data dalle ore del giorno solare, ma da quelle del giorno liturgico. Il giorno liturgico è scandito dalle sue sette lodi quotidiane, e può, ma non necessariamente deve, coincidere con quello solare. Questo stesso costume è poi ritenuto nel rito bizantino almeno durante la Settimana Santa: la liturgia dei Presantificati, celebrata insieme al Vespero, si canta al mattino del Lunedì, Martedì e Mercoledì Santi, mentre alla sera è cantato l'Ufficio dello Sposo, cioè il Mattutino del giorno successivo.

L'anticipazione dei Mattutini è un tratto caratteristico di molte tradizioni liturgiche: nelle chiese slave tuttora, ma anche in molte cattedrali occidentali prima delle riforme, è uso quotidiano. I Mattutini in Occidente nascono dall'unione dei quattro notturni di cui parla San Benedetto nella sua Regola (le cui identificazioni orarie non sono ancora del tutto chiare), ma è evidente che al di fuori di un monastero è un costume difficilmente praticabile radunare il clero e il popolo quattro volte durante la notte per celebrare un ufficio liturgico; e non è nemmeno pensabile, come da prassi invalsa poi nei monasteri, convocarlo anche una sola volta nel cuore della notte, a mezzanotte (uso certosino) o tre ore prima dell'alba (uso benedettino). Dunque è chiaro che nelle Cattedrali, nelle Collegiate e idealmente nelle Parrocchie [1] l'ufficio del Mattutino dev'essere cantato a un'ora che permetta la partecipazione del clero e dei fedeli. Particolarmente, i Mattutini cosiddetti delle Tenebre, quelli del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, non possono che cantarsi la tarda serata precedente. Ragione dei gesti rituali che si compiono durante il canto di questi uffici è il terminare nella piena oscurità (non occorre ricordarne le ragione simboliche): stante che fuori dai monasteri è impensabile celebrarli in piena notte, ha più senso officiarli nella tarda serata del giorno precedente, quando le tenebre già son calate, oppure alla mattina, come invece la riforma di Pio XII obbliga, vietando il canto anticipato delle Laudi? Pare che in alcuni luoghi ove si segue la liturgia bugniniana le Tenebre vengano cantate alle 9 o alle 10 del mattino; dev'essere molto ridicolo nascondere la quindicesima candela e spegnere quelle dell'altare mentre dalle finestre penetra la piena luce del sole. Anche cantarle alle 7, vista la stagione in cui cade la Pasqua, non consentirebbe comunque di sfruttare il necessario buio.
Nel rito bizantino, i Mattutini del Triduo (il Mattutino del Giovedì, l'adorazione della Croce coi Dodici Vangeli del Venerdì Santo, l'ufficio dell'Epitafio del Sabato) sono celebrati la sera precedente da oltre mille anni e, del resto, se le rubriche del Typikòn prescrivono di portare in processione il Cristo morto nello scuro, accompagnato da molti lumi, il ragionamento è esattamente quello di cui sopra.

Gli orari tradizionali dei Mattutini vengono generalmente compresi e praticati; tuttavia non è capito che questi influenzino direttamente quelli delle altre liturgie. Per esempio, la Messa del Giovedì Santo tradizionalmente si cantava al mattino. Questo ha due ragioni evidenti: la pratica della Chiesa d'Oriente e d'Occidente da moltissimi secoli di non celebrare il Divin Sacrificio dopo mezzodì [2]; il permettere di assistere a tutti gli uffici senza un eccessivo debilitarsi del corpo. Chi non si sfinirebbe del resto a entrare in chiesa alle cinque e mezza del pomeriggio e uscirne alle dieci passate, cantando di seguito Nona, Messa, Vespro, Mandato, Mattutino e Laudi? Senza contare l'alterazione necessaria della legge del digiuno: poiché tutto il clero, e lodevolmente pure i fedeli, deve comunicarsi il Santo Giovedì, secondo tradizione dovrebbe essere digiuno dalla mezzanotte. Ora, se è già complesso restare totalmente digiuni senza bere nemmanco un goccio d'acqua sino al tardo pomeriggio, come è pensabile di cantare tutti quegli uffici in tali condizioni, peraltro non potendo poi nemmeno prender cibo dovendo subito iniziare i Mattutini, e dopo questi il rigorosissimo digiuno del Venerdì? La soluzione a questo fu trovata stralciando la prassi apostolica del digiuno dalla mezzanotte e sostituendola con tre ridicole ore.
Un Giovedì Santo tradizionale, secondo una prassi che ho avuto la grazia di vivere, consiste nel canto del Mattutino il mercoledì sera, la Messa preceduta da Nona e seguita da Vespro e dalla spoliazione degli altari al mattino, un pasto, il Mandato nel pomeriggio, un'ultima piccola refezione, e poi le Tenebre del Venerdì. La giornata in questo modo assume il suo significato interamente in relazione alla liturgia, ma con le necessarie pause intermedie per ristorare il corpo con cibo e sonno.
La veritas horarum, come detto, non è un motivo per turbare quest'ordine: il carattere "vespertino" della liturgia è dato dalla presenza del Vespro unito alla Messa, benché cantati al mattino. La liturgia di S. Basilio che i Greci cantano questo giorno, ancorché infra vesperas, è celebrata di primo mattino in tutte le chiese. Paradossalmente, la liturgia vespertina bugniniana è celebrata alla sera ma da essa è completamente assente il Vespro, che anzi questo giorno viene del tutto omesso, in modo inaudito.

Il Venerdì gli orari si sono stratificati in modo diverso a seconda dei luoghi. Sostanzialmente le liturgie centrali del giorno, anticipate le Tenebre al giovedì sera, sono due: la Messa dei Presantificati e un'esposizione o processione con le reliquie della Passione, o con la statua di Cristo morto, spesso seguenti la devozione della Via Crucis. Nella maggior parte dei luoghi la prima delle due funzioni si faceva al mattino, per facilitare il digiuno naturale del celebrante, e alle tre veniva poi compiuta la seconda. La pietà di molti fedeli induceva a restare in chiesa in preghiera dalle dodici alle quindici, tra i due uffici, nelle cosiddette "tre ore dell'agonia". Non mancavano alcuni luoghi dove, per zelo di taluni celebranti, l'ordine dei due uffici era invertito, con processioni e Via Crucis al mattino (chiaramente non laddove si portava in processione il Cristo Morto) e i Presantificati alle tre. Il Vespro, che in tutte le tradizioni rituali riconduce alla deposizione di Cristo dalla Croce, segue immediatamente i Presantificati, non ne fa parte: porre la liturgia dei Presantificati, che in sé nel momento della scoperta e adorazione della Croce rappresenta il momento della morte, all'ora del Vespro -come fa la liturgia bugniniana- è contrario proprio alla veritas horarum tanto sbandierata. Possono valere poi tutte le altre considerazioni già fatte sopra circa il digiuno e il canto consecutivo di molteplici uffici.

Vigilia di Pasqua con rito tradizionale e orari bugniniani
FSSP Guadalajara, 2019
 Veniamo infine alla nota dolente: il Sabato Santo. Quello che si verifica nella liturgia bugniniana non è solo un cambiamento ingiustificato di orario, come nei giorni precedenti, ma del significato stesso della liturgia vigiliare. Cercherò di spiegare quest'ultimo con chiarezza e sintesi.
Premessa: "veglia" è la variante diacronica volgare del lat. vigilia (caduta della i breve interconsonantica e mutamento della prima vocale), che indica in questo contesto il giorno prima di una festa, che presenta sì dei caratteri penitenziali, ma - specie prima delle grandi feste - anche dei tratti festivi (si pensi ai toni gaudiosi della messa del 24 dicembre, pur cantata in paramenti viola). Dai tempi delle pannychides stazionali, non è più una veglia che dura tutta la notte. Contrariamente a quanto si dice popolarmente, la veglia di Natale non è la messa di mezzanotte (che è la prima messa della festa, celebrata a orario insolito solo in ragione dell'ora della nascita del Salvatore), ma quella del 24 dicembre mattina (dopo Nona). Stesso discorso si può fare per la veglia/vigilia dell'Epifania o dell'Ascensione, nelle quali nessuno si sogna di offrire una messa di mezzanotte.
Ne consegue quindi che la Messa del Sabato Santo NON è una Messa di Pasqua. Sfruttando un termine popolare greco (vide infra), possiamo chiamarla una "Messa della Prima Risurrezione", cioè quella dei progenitori e dei patriarchi liberati dal limbo cui vengono aperte le porte Paradiso. Gesù Cristo secondo la testimonianza apostolica risorge alle sei del mattino [3] dell'ottavo giorno, non a mezzanotte (l'ora in cui invece tradizionalmente nasce il 25 dicembre). Il carattere festivo e allelujatico di questa liturgia è in ragione della liberazione dei padri d'Israele, non della corporale risurrezione di Cristo, che pure si festeggia, ma solo per anticipazione dell'evento ormai prossimo [4]. Al Gloria di tale Messa si scoprono le immagini della chiesa, al suono festante di campane, campanelli e organo: ma questo non è il momento in cui il corpo del Redentore esce dal sepolcro, bensì quello in cui Virgilio, da poco nel Limbo, ci vide venire un possente, con segno di vittoria coronato e trasseci l'ombra del primo parente, d'Abèl suo figlio e quella di Noè, e di Moisè legista ed ubidiente, Abraàm patriarca e Davìd re, Isacco con suo padre e co' suoi nati, e con Rachele per cui tanto fé, ed altri molti: e feceli beati (Inferno, IV, vv. 53-61).

Vigilia di Pasqua con rito tradizionale e orari bugniniani
ICRSS Detroit, 2018
Dunque celebrare questa messa verso mezzanotte, come molti fanno anche con il rito tradizionale, è ingannevole e trasmette un senso erroneo della celebrazione, facendola apparire una messa di Pasqua. Ma l'unica messa di Pasqua è quella della domenica mattina [5]: il momento della Risurrezione è tradizionalmente segnato dal canto del Mattutino Pasquale, che era celebrato con grande solennità, spesso con rito pontificale come i Mattutini di Natale. Prova che detta funzione vigiliare non abbia il suo orario naturale nella tarda notte è data dal fatto che essa termina con il canto del Vespero, del primo Vespro di Pasqua (cioè l'inizio, ma solo DOPO il termine della Messa, della festa pasquale!). Se essa viene malamente intesa come celebrazione notturna che connette un giorno all'altro, che senso avrebbe cantare il Vespro di sabato all'una di notte di domenica? Questo è ben diverso dall'uso, pienamente legittimo e giustificato dall'ordine pratico, di anticipare questa funzione vesperale al mattino. E infatti Bugnini, almeno in modo coerente con la sua idea del tutto innovativa di veglia, sostituì questo Vespro con il canto delle Laudi: tutto logico apparentemente (pare che ci sia qualcuno che celebra la veglia pre-1955 a tarda notte, ma con le Laudi al posto del Vespro). Peccato che uno dei riti più caratteristici della funzione, la benedizione e accensione del cero al canto solenne dell'Exultet, è per unanime consenso di tutti i liturgisti l'unico residuo del lucernale nell'uso di Roma (ben più ampia né è la presenza nell'ambrosiano o nel bizantino), essendo però questo un rito che è eminentemente proprio e caratteristico del Vespro!

Molto spesso, viene supposta una presunta "antichità" del carattere di veglia notturna introdotto dalla riforma del '55, portando ad esempio le veglie notturne che si compiono nel giorno di Pasqua presso i Greci e a Gerusalemme. Questa è una dimostrazione di profonda ignoranza del modo in cui si svolgono le funzioni di questo giorno nella liturgia bizantina! Ricapitolo velocemente: alla sera del Venerdì si è cantato il Mattutino del Sabato Santo, con gli Encomi e la processione con l'Epitafio; alla mattina del Sabato si canta il Vespro con inserita la Liturgia di S. Giovanni Crisostomo. Questo è l'esatto parallelo della vigilia pasquale romana! Anche nel rito greco, seppur con una minor solennità rispetto alla peculiare e unica forma romana, vi è ovviamente il lucernario (con il consueto Φῶς ἱλαρόν), e la liturgia eucaristica è celebrata in paramenti dorati in memoria della liberazione dei padri dagl'inferi, e caratterizzata da riti festivi come l'Ἀνάστα ὁ Θεός e lo spargimento degli allori. Nella notte tra sabato e domenica viene sì celebrata un'ufficiatura notturna, con la proclamazione della risurrezione: ma questa NON è la veglia romana del sabato, bensì il Mattutino Pasquale. Lo stesso che, prima dei fraintendimenti, a Roma era con solennità celebrato la sera tra sabato e domenica per festeggiare finalmente la Risurrezione. La liturgia che segue subito dopo è la liturgia che nell'uso occidentale è celebrata nella mattinata di domenica, anticipata alla notte solo per comodità [6], e comunque in nessun modo collegabile alla messa che segue la vigilia pasquale romana, che invece corrisponde appunto alla liturgia del mattino del sabato. La confusione tra questi concetti è indotta, oltre che dalla sparizione completa del Mattutino Pasquale (che del resto, secondo Bugnini, non dev'essere recitato da quanti assistono alla funzione di veglia: ecco completo il cambio di significato!), anche dall'introduzione di rituali che cercano di imitare il Mattutino pasquale bizantino, per esempio la distribuzione (mai esistita a Roma) di candele al popolo da accendere durante l'ingresso in chiesa. Questa è chiaramente una mistificazione, che inganna tuttavia non pochi.

Vigilia di Pasqua con rito tradizionale a orari tradizionali. ICRSS Oakland, 2018
Si è liberi di preferire una meccanica veritas horarum in ambito liturgico, seppur, come detto, molteplici sono i suoi svantaggi. Nel caso del sabato, tuttavia, chi segue il rito tradizionale dev'essere consapevole che la sua hora vera non è poco prima di mezzanotte, bensì il tardo pomeriggio, l'ora cioè del Vespro. E si ricorda che nell'uso occidentale il Vespro dev'essere concluso ben prima che cali l'oscurità (persino la Compieta è da cantarsi quando ancora gli ultimi bagliori del giorno resistono: Te lucis ante terminum, canta il suo inno). Oppure, meglio ancora, può ritenere il secolare e venerabile costume diffuso in tutto l'orbe cristiano di anticipare la funzione al mattino di sabato, con consapevolezza del suo significato reale, imitando in ciò i santi e i padri. La veritas horarum fu il grimaldello del grimaldello [7], quella da cui i più si fecero ingannare e ancor oggi si fanno ingannare, vedendola come cosa buona e meritoria, non accorgendosi dei pericoli ch'essa comporta alla simbologia liturgica stessa.

Vigilia di Pasqua con rito tradizionale e veritas horarum corretta (le 17)
S. Simon Piccolo, Venezia, 2019
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NOTE

[1] Un elemento di decadenza liturgica che non manchiamo di sottolineare spesso è il disuso della celebrazione delle ore liturgiche nelle parrocchie, e la mancata partecipazione del laicato alle stesse, cosa che invece nel medioevo era la norma. Sicuramente la forma particolare dell'ufficio romano, che è di diretta derivazione monastica senza una mediazione cattedrale e dunque prevede una lunga parte salmodica cantata, può essere pesante per il popolo, ma vivere la liturgia senza la celebrazione almeno delle ore principali (il Vespro quotidiano, il Mattutino con le Lodi almeno la domenica e le feste, Terza prima della Messa) è difficilmente accettabile per una parrocchia, il cui scopo precipuo è quello della celebrazione del culto pubblico a Dio a vantaggio spirituale dei fedeli, culto pubblico che non si espleta nella sola Liturgia Eucaristica, in quanto non può prescindere dell'Ufficio.

[2] Questo avviene per una ragione simbolica molto più forte della veritas horarum: l'insensatezza di consacrare, cioè di far venire sul santo altare il Re della gloria, sole che sorge a illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte, mentre il sole tramonta! Un'antichissima tradizione ecclesiastica, compreso l'orientamento a est della preghiera, viene a cadere con la messa vespertina.

[3] Questa è la ragione cristologica intrinseca all'Ora Prima, che si accosta alla ragione laudativa delle sette lodi quotidiane prescritte dal salmo. L'abolizione dell'Ora Prima significa l'abolizione dell'ora della Risurrezione dall'ufficio liturgico! E tra i liturgisti moderni apologeti di tali riforme qualcuno dice pure che "non aveva legami con la vita di Cristo"... che sia un segno delle diffuse incomprensioni, frase detta da chi crede che il Salvatore sia risorto a mezzanotte?

[4] Non a caso, specialmente nell'Exultet sono moltissimi i riferimenti al Passaggio degl'Israeliti dall'Egitto alla Terra Promessa: è presentata la nuova liberazione dei giusti dell'antico Israele, non più quella terrena dalla schiavitù del Faraone, ma quella spirituale e ultramondana dalla schiavitù della morte e dello sheol.

[5] Come si sa, in realtà, tutte le messe dell'intera Ottava di Pasqua sono messe pasquali pleno sensu, e tuttavia qui si è marcato il "solo" per distinguere nettamente il Sabato e la Domenica.

[6] Peraltro, a Gerusalemme, dove in ragione dell'evocazione simbolica dei suggestivi rituali propri di quella terra la veritas horarum è generalmente rispettata da secoli, la funzione inizia all'alba, proprio perché l'ora della Risurrezione è la prima del giorno.

[7] Parafrasando una definizione che Carlo Braga, stretto collaboratore di Bugnini, diede alle riforme della Settimana Santa, considerandole la "testa d'ariete" della successiva riforma liturgica (cfr. C.BRAGA, “Maxima Redemptionis Nostrae Mysteria” 50 anni dopo (1955-2005) in Ecclesia Orans n. 23 (2006), p. 33.

Il Venerdì Santo nel rito ambrosiano

di Luca Farina et al.

La celebrazione ambrosiana del Venerdì Santo (Feria Sexta in Parasceve) ha caratteristiche del tutto peculiari, che la rendono completamente diversa dal rito romano e da altri riti occidentali. Contiene, viceversa, alcuni elementi che lo avvicinano molto alla prassi bizantina. Sono a risaltare, in particolare, la totale assenza del mistero eucaristico, non essendoci alcun rito di comunione, né del celebrante né dei fedeli (coerentemente con gli altri venerdì di Quaresima) e l’utilizzo del colore liturgico rosso (e non nero) poiché più che l’aspetto luttuoso della Passione e della Morte se ne mette in risalto quello sacrificale. La descrizione dei riti è contenuta nel Messale e descritta dal manuale di liturgia di Padre Borgonovo (1).

Per essere precisi, però, i riti di questo giorno iniziano al pomeriggio del giorno precedente (in Duomo verso le 15.30) con il canto anticipato dei Mattutini, contenenti le tre Passiones (Marco, Luca e Giovanni) che non verranno lette nella funzione solenne del venerdì. L’ufficio delle Tenebrae è completamente sconosciuto nel rito ambrosiano.

Nella mattina del Grande Venerdì si canta invece l'ufficio della parasceve vero e proprio. L’intero rito è assai lungo, essendo composto da ben quattro ore liturgiche nella loro interezza, due catechesi, la Passione e l’adorazione della croce. Pertanto, è usanza ometterne alcune parti (prassi consentita) come Terza all’inizio o i Vespri alla fine. Osserviamo ora i riti più nello specifico.

La celebrazione inizia con il canto di Terza, in cui i ministri possono (ma non è necessario) pararsi in piviale, dalmatica e tunicella. Piviale e tunicella andranno comunque rimossi alla fine di Terza, poiché il rito è officiato in abito corale. Pertanto, chi ha diritto alla cappa magna la deve indossare, portandola sciolta a terra o raccolta sul braccio (mai col caudatario) (2). Le candele sull’altare sono normalmente accese. Si inizia col saluto Dom. vob. da parte del celebrante e subito si canta la Lezione (Is XLIX 21-50) da parte dell’ultimo diacono coi paramenti della Messa (cioè, dove vi fosse clero sufficiente il meno degno) o, in sua assenza, da uno dei chierici. Dopo il salmello (Foderunt manus meas), viene cantata l’orazione, segue la seconda Lezione (Is LIII 1-12), con le stesse modalità della precedente. Indi vi è il responsorio Tenebrae factae sunt, che nella Metropolitana è intonato dall’Arcivescovo. Chi deve cantare il Vangelo (il diacono vero e proprio, uno dei sacerdoti presenti [3], o lo stesso celebrante) si para more diaconali, come sopra e canta, da solo, la Passio (Matth XXVII 1-50) con i soliti segni (incensazioni, lumi…). Nulla differisce da una normale proclamazione del Vangelo.

All’annuncio della Morte (“emisit spiritum”) il canto è interrotto, e i suddiaconi (o, in loro assenza, i chierici che ne fanno le funzioni) provvedono a spogliare l’altare, togliendovi tutto (croce, tovaglie, candelieri, reliquiari…) e, se presente, avvolgendo attorno al tabernacolo il padiglione. Vengono spenti tutti i ceri e tutte le luci della chiesa, suonano le campane (usualmente a morto, sebbene si dica di suonare come per l’Ave Maria). In tono più basso si completa il canto della pericope, dal versetto 51 al 56, i prodigj dopo la Morte e la confessione del centurione.

Tutti coloro che fossero parati, depongono ogni paramento, e rimangono in abito corale. Finita l’eventuale predica, il celebrante canta, al posto del consueto saluto, “Benedictus Dominus, qui vivit, et regnat in secula seculorum”. a cui si risponde Amen e subito dopo si cantano orazione e versetti conclusivi soliti. E’ infatti terminata una parte del rito: la celebrazione prosegue con il canto di Sesta e Nona in coro. Ad ogni salmo, è omesso il Gloria e tutti i saluti sono sostituiti dalla formula succitata. Terminate le due ore consecutive, i ministri ed i chierici si recano in sacrestia, sempre in abito corale. Ivi, dopo una breve preghiera silenziosa avanti alla Croce (la stessa che era precedentemente sull’altare o, preferibilmente, una che contenga reliquie della Santa Croce) e le due orazioni che seguono, ha inizio l’Adorazione della Croce. (4)

Si snoda dunque la processione con la Croce, portata da due ministri in sacris (con solamente camice ed amitto, assunti in sacrestia o, in loro assenza, il celebrante). La processione incede verso l’altare, ma si ferma per tre volte (solitamente in fondo alla chiesa, a metà navata e poco prima delle balaustre). Il celebrante canta ogni volta “Ecce lignum Crucis, in quo salus mundi pependit”, alle parole di risposta “Venite, adoremus” (e non dopo, ma intanto) chi ha in mano la Croce la eleva, e tutti i presenti genuflettono verso di essa.

Dopo le tre soste, la Croce viene collocata sui gradini dell’altare, generalmente su dei cuscini, per ricevere l’adorazione del celebrante, dei ministri e dei chierici. Prima di accostarsi al bacio, a coppie, si effettuano tre genuflessioni. Non è previsto che il popolo compia alcun gesto in questo momento. (5). Mentre, a piedi scalzi, i ministri e i chierici baciano la Croce, il coro esegue il salmo Beati immaculati in via, alternandosi con tre antifone. Non esistono quindi gli Improperia.

Dopodiché la Croce viene collocata sull’altare. Dopo l’Orazione e i versetti finali, termina un’altra parte del rito. Soprattutto nelle chiese più piccole, la celebrazione si chiude così e al termine della funzione, la Croce nuovamente tolta dall’altare e collocata su un tavolo ricoperto da drappi rossi per essere offerta al bacio del popolo per il resto della giornata. In tal caso è incaricato della traslazione lo stesso celebrante, in abito corale. Naturalmente, è proibito, tenere esposti due crocifissi, uno sull’altare ed uno in navata.

Alla sera sarà possibile radunare il popolo per un altro momento di preghiera (non liturgico) come la Via Crucis, o una predicazione, purché non si impartiscano benedizioni. E’ preferibile, invece, cantare i Vespri, che contengono le Orazioni speciali. Afferma perentorio il Borgonovo che cantarle a parte come rito a sé è un arbitrio e non un rito liturgico.

Il rito nella sua interezza, invece, prosegue là dove eravamo rimasti. Con il saluto Benedictus Dominus ha inizio un’altra catechesi. L’ultimo chierico canta il brano biblico di Dan III 1-24. Terminato, un solista intona il cantico Tunc hi tres, il cantico dei tre fanciulli nella fornace, a cui si risponde Amen dopo ogni versetto. Dopo l’ultimo verso, il penultimo chierico prosegue la lettura profetica, dal verso 91 al 100. In parallelo con la prima catechesi (ultimo per dignità, penultimo e primo), la seconda catechesi, dopo il cantico Supra dorsum meum prevede il canto, da parte del diacono più degno (vale quanto detto sopra), del brano della deposizione e sepoltura (Matth XXVII 57-61). Non si usano né lumi né incenso e non ci sono saluti o risposte.

Si cantano i Vespri e, dopo l’ultimo responsorio, si cantano le Orazioni speciali o solenni. Lo schema per ogni orazione (esclusa quella per gli ebrei) è Flectamus genua (tutti genuflettono tranne il sacerdote che canterà l’orazione), introduzione all’orazione, levate (tutti si alzano) e orazione vera e propria. Le orazioni sono, in quest’ordine, per questi soggetti: Chiesa, Papa, clero e popolo, imperatore (6), catecumeni, bisognosi, eretici e scismatici, ebrei, pagani.

Dopo un’ultima orazione, seguono i versetti finali col Pater Noster in segreto, e il rito si chiude con il Sancta Trinitas nos semper salvet et benedicat. Amen.

Terminato tutto il rito, si rientra in sacrestia e può ora essere esposta ai fedeli la Croce, secondo le modalità adottate sopra per la forma più breve.

Dicevamo che l'ufficio presenta delle similarità con il rito bizantino, segnatamente con l'ufficio delle Ore regali, celebrate al mattino del Venerdì, non foss'altro che per l'uso di disporre i riti di parasceve all'interno delle ore quotidiane e non di una liturgia dei presantificati come negli altri riti latini; anche il fatto di cantare tre passioni al Mattutino di questo giorno, anticipato alla sera del Giovedì, trova eloquenti paralleli nel lunghissimo ufficio dei Dodici Vangeli, cioè il mattutino bizantino del Grande Venerdì. Le Ore Regali, ufficio che si celebra in tutti i giorni penitenziali che hanno comunque un carattere solenne (per esempio, la Vigilia di Natale o quella dell'Epifania), consistono nella celebrazione consecutiva dell'Ora Prima, Terza, Sesta e Nona, le quali sono arricchite -rispetto alla normale forma che prevede semplicemente salmodia, tropari del giorno e orazione finale- da un'incensazione (effettuata non con il turibolo ma con un piccolo incensiere manuale "domestico"), da una lettura profetica da Geremia o Isaia (che può paragonarsi alle "catechesi" ambrosiane), da una lettura apostolica e da un Vangelo della Passione, talché -seppur in forma abbreviata- tutte le quattro Passioni vengono oggi rilette. A Nona, prima delle lezioni, si compie l'ostensione e l'adorazione della Croce, al canto del lento e solenne tropario Σήμερον κρεμᾶται ἐπὶ ξύλου. Subito dopo le ore viene cantato il vespro "della deposizione", durante il quale, oltre a poetiche stichirà piene di dolore sulla Santa Croce e in memoria di Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo, si cantano una lunga lettura dall'Esodo, un apostolo, e il racconto della deposizione in una lunghissima pericope evangelica fatta dalla collazione delle quattro testimonianze circa il medesimo episodio. Dopo l'apolisi il corpo viene rimosso dalla grande croce che si è venerata all'ora Nona, e viene deposto l'epitafio nel suo luogo, per il canto del Mattutino del Grande Sabato, che avverrà in serata, sul Cristo Morto. Come si vede, dunque, non poche sono le similitudini nel disporre le cerimonie. Tra l'altro, il salmo 118, che nel rito ambrosiano è cantato al cospetto del Cristo in Croce, nel rito bizantino è cantato al Mattutino del Sabato, al cospetto del Cristo nel sepolcro, intervallato con il meraviglioso poema Ἡ ζωὴ ἐν τάφῳ.

Di seguito, alcune foto della liturgia ambrosiana del Venerdì Santo celebrata presso la chiesa di S. Maria della Consolazione in Milano nel 2018. Si possono vedere il canto della Passione dal diacono parato con lumi e incenso, l'ingresso processionale della Croce e l'adorazione della stessa.





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NOTE

1: per la sua autorevolezza, può essere considerato una fonte rubricale e non un semplice manuale di commento. Non così invece altri -seppur insigni- come il Dozio od il Germani. Padre Giustino Borgonovo O.SS.C.A. ricevette un’approvazione totale e pubblici elogj da parte degli arcivescovi di Milano Tosi e Schuster, nonché di Pio XI.

3: se vi fossero solo due sacerdoti (o un sacerdote e un diacono) e mancasse chi potesse ministrare come suddiacono, è possibile comunque svolgere la funzione che, in modo assai singolare, avrà solo due ministri sacri.

2: in Arcidiocesi di Milano ne hanno diritto in modo speciale i prevosti, di colore nero di 1 metro di lunghezza. Il motivo dell’uso della cappa lasciata strisciare in questo giorno potrebbe significare che di fronte alla Morte di Cristo tutti gli onori, anche ecclesiastici, sono un nulla.

4: questa particolarità ci porta ad una considerazione, cioè a quella della sacrestia come spazio celebrativo sui generis, ma comunque da tenere con ordine e decoro, cosa che non sempre, invece, non accade.

5: fanno eccezione i rappresentanti delle Confraternite (purché in numero ridotto e vestiti del proprio abito); in Duomo sono ammessi invece i vecchioni di Sant’Ambrogio, incaricati del servizio e dell’ordine nella cattedrale. Pur essendo di ambo i sessi, solo gli uomini erano ammessi a varcare le soglie del presbiterio.

6: quest’orazione ha una storia particolare: secondo alcuni l’orazione fu omessa già dal 1806 quando Francesco II d’Asburgo-Lorena proclamò lo scioglimento formale del Sacro Romano Impero; secondo altri bisogna aspettare il 1866, con l’annessione della Lombardia al nascente Regno d’Italia. L’orazione venne però stampata sempre sui Messali, e forse utilizzata da alcuni sacerdoti “nostalgici” fino alla deposizione di Carlo I d’Austria. Con certezza, invece, si racconta da alcuni anziani che l’orazione veniva regolarmente utilizzata tra il 1936 ed il 1941 in quanto Vittorio Emanuele III si fregiava del titolo di Imperatore d’Etiopia.