lunedì 30 dicembre 2019

Cronaca e immagini del pellegrinaggio a Madonna del Monte in Costa d'Aviano (PN)

Lunedì 23 dicembre 2019, infra la IV settimana d'Avvento, si è svolto presso il Santuario di Madonna del Monte in Costa d'Aviano (PN) il secondo pellegrinaggio organizzato dalla Compagnia di Sant'Antonio e dalla sezione pordenonese di Una Voce Italia, con la collaborazione del Circolo Traditio Marciana.

I pellegrini, provenienti dalle diocesi di Concordia e di Udine, si sono incamminati lungo l'irto sentiero che conduce dalla chiesetta di S. Valentino a Marsure sino al venerato Santuario in vetta al monte, per onorare e supplicare la Vergine Santissima che qui apparve ad un pio contadino di nome Antonio Zampara l'8 settembre 1510.

Ivi, il rettore del Santuario, mons. Sergio Moretto ha cantato secondo l'antico rito romano una messa votiva solenne in onore della Beata Vergine Maria tempore Adventus. Nell'omelia il prelato ha ammonito i fedeli circa la predisposizione di spirito da tenere in quegli ultimi giorni del tempo d'Avvento, in preparazione al Santo Natale imminente, con l'ausilio e il patrocinio della Santa Vergine.

Il servizio all'altare è stato curato dal Circolo Traditio Marciana e da Una Voce Pordenone, mentre i canti gregoriani dell'ordinario (Kyriale IX per le feste della Madonna) e del proprio (Rorate) sono stati eseguiti dalla sezione maschile del coro Laetificat juventutem meam di Ancignano di Sandrigo (VI), diretta dal m° Mattia Cogo, accompagnati all'organo dal medesimo m° Cogo.

Al termine della sacra funzione, i convenuti si sono scambiati gli auguri di Natale in una fraterna agape presso l'adiacente sala parrocchiale.










martedì 24 dicembre 2019

Santo Natale 2019

Nativitas Domini Dei et Salvatoris nostri Jesu Christi secundum carnem

Ἡ κατὰ σάρκα Γέννησις τοῦ Κυρίου
καὶ Θεοῦ καὶ Σωτῆρος ἡμῶν Ἰησοῦ Χριστοῦ

Natività del Signore Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo secondo la carne

MMXIX

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Ὁ ἀχώρητος παντί, πῶς ἐχωρήθη ἐν γαστρὶ;
ὁ ἐν κόλποις τοῦ Πατρός, πῶς ἐν ἀγκάλαις τῆς Μητρός;
πάντως ὡς οἶδεν ὡς ἠθέλησε καὶ ὡς ηὐδόκησεν·
ἄσαρκος γὰρ ὢν, ἐσαρκώθη ἑκών·
καὶ γέγονεν ὁ Ὢν ὃ οὐκ ἦν δι' ἡμᾶς·
καὶ μὴ ἐκστὰς τῆς φύσεως,
μετέσχε τοῦ ἡμετέρου φυράματος.
Διπλοῦς ἐτέχθη, Χριστὸς τὸν ἄνω,
κόσμον θέλων ἀναπληρῶσαι. 

L’assolutamente incontenibile, come fu contenuto in grembo?
Colui che è nel seno del Padre, come sta fra le braccia della Madre? Ma come seppe, come volle, come gli piacque:
essendo senza carne, s’incarnò volontariamente;
e per noi Colui che è divenne ciò che non era
 e senza uscire dalla sua natura
partecipò della nostra argilla.
Duplice fu partorito Cristo,
volendo riempire il mondo superno 

(Kathisma del Polieleo del Mattutino di rito bizantino)

*****

Grates nunc omnes reddamus Domino Deo
qui sua nativitate nos liberavit de diabolica potestate.
Huic oportet ut canamus cum angelis semper:
Gloria in excelsis.

Or tutti noi rendiamo grazie al Signore Iddio,
che con la sua nascita ci ha liberato dal potere del diavolo.
A lui dobbiamo cantare sempre insieme agli angeli:
Gloria negli eccelsi.

(Sequenza della Messa di Natale "in gallicantu"secondo il Messale Aquilejese)


AUGURI DI UN SANTO NATALE 2019!

La direzione di Traditio Marciana

giovedì 19 dicembre 2019

Orari delle messe di Natale a S. Simon Piccolo

NATALE 2019


Sandro Botticelli, Natività mistica (particolare), 1501


Mercoledì 25 dicembre

00.00 S. Messa cantata nella notte di Natale

11.00 Santa Messa cantata del giorno di Natale




Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te.
Disse a me il Signore: Figlio mio sei tu, io oggi t'ho generato.
(Salmo II, 7)

Solenni funzioni nel tempo di Natale a Mariano del Friuli


Con l'ausilio e la partecipazione del Circolo Traditio Marciana,
presso la chiesa parrocchiale di S. Gottardo in Mariano del Friuli
saranno celebrate le seguenti solenni funzioni nel tempo di Natale:

Giovedì 26 dicembre
S. Stefano protomartire

10.30 - S. Messa cantata


Sabato 4 gennaio
Ottava dei Santi Innocenti

8.30 - S. Rosario (come ogni primo sabato del mese)
9.15 - S. Messa
10.00 - Solenne Santificazione delle Acque
secondo l'antico rito di ascendenza patriarchina


sabato 14 dicembre 2019

Circa la "corredenzione" della Madre di Dio

La Theotokos, ossia la Deipara. Maria SS. generò
sia Cristo Uomo che Cristo Dio. Nell'icona il Figlio
tiene in mano il chirografo, ossia l'immagine del
debitum contratto dall'uomo in seguito al peccato
originale. Il fatto che egli lo tenga in mano, e lo
strappi simbolicamente nell'icona della Risurrezione,
rappresenta il fatto che Egli solo è il nostro Redentore.
Ha suscitato molto scalpore una recente omelia, pronunziata dal Papa in occasione della festa della Madonna di Guadalupe, nella quale, egli, presentando la Vergine Maria come "discepola" e "meticcia", avrebbe pronunziato alcune affermazioni eretiche. Effettivamente, in questo discorso vi sono state numerose affermazioni temerarie, a partire dall'omissione del dovuto riferimento alla Divina Maternità, ma soprattutto con la problematica espressione di un "meticciato" umano-divino, che suggerisce un mescolamento (in Cristo) delle due sostanze, cosa che è contraria alla fede ortodossa. Nel Simbolo di S. Atanasio professiamo infatti che Cristo è Deus ex substantia Patris ante saecula genitus: et homo ex substantia matris [...] Unus omnino, non confusione substantiae, sed unitate personae, e nell'Inno di Giustiniano, che cantiamo a ogni liturgia dopo la seconda antifona, confessiamo Egli essere ἀτρέπτως ἐνανθρωπήσαντα (divenuto uomo senza mutamento [della sostanza divina]).

Tuttavia, la maggior parte dei siti e dei blog "tradizionalisti" si è concentrata sulla negazione di un altro concetto: quello della "corredenzione" della Madre di Dio. Questo teologumeno, che i massimalisti mariani da quasi due secoli, facendo leva sulle varie apparizioni, spingono perché venga proclamato dogma ("il quinto dogma mariano"), sosterrebbe che la Madonna avrebbe avuto parte attiva alla nostra Redenzione, co-redimendoci insieme a Cristo; strettamente legato a questo, è il teologumeno che invoca la Madonna come "mediatrice di tutte le grazie".

1. La natura del dogma.

Due premesse sono qui necessarie, sulla natura medesima del dogma, prima di affrontare la questione della corredenzione nella sua specificità.

1. Il dogma, secondo S. Vincenzo di Lerino, è quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est [1]. La Rivelazione, insegna il catechismo, si è chiusa con la morte dell'ultimo Apostolo, e dunque nulla di ciò che non era contenuto nella Tradizione Apostolica può assurgere a dogma della Chiesa. La Chiesa nella sua storia ha esplicitato il contenuto della Rivelazione Apostolica mediante la speculazione teologica, che si rende necessaria quando occorre confutare sul piano logico un'eresia (laddove, in una situazione di ortodossia, l'ascesi anche senza speculazione teologica è già una via sufficiente e necessaria alla Salvezza); non è giunta a "una miglior comprensione della Rivelazione", come qualcuno sostiene (dottrina dell'evolutio dogmatum, diffusasi negli ambienti cattolici sin dal XIX secolo [2]), ma ha semplicemente esposto su un piano logico-dialettico quella Verità che già gli Apostoli possedevano e hanno trasmesso su un piano mistico-ascetico. Dunque, non possiamo introdurre nuovi dogmi per il fatto che la Madonna in persona lo avrebbe chiesto in qualche ipotetica rivelazione privata (già si ebbe modo di scrivere sull'anomalia di queste apparizioni e rivelazioni).

2. Il dogma, inteso nella sua proclamazione solenne, riguarda esclusivamente le verità fondamentali della Fede, ovvero quelle che interessano i due misteri principali della Fede: la Trinità e Unità di Dio e l'Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Dunque, la Divina Maternità di Maria, attenendo strettamente all'Incarnazione e all'economia salvifica, ebbe ben donde essere proclamata dogma nel Concilio di Efeso (431); viceversa, la dottrina dell'Assunzione corporale della Madre di Dio al cielo, quantunque creduta da tutta la Chiesa e testimoniata dagli Apostoli, fu proclamata dogma in modo anomalo da Pio XII [3], in quanto il fatto che fosse o meno avvenuta non incide minimamente su alcuno dei due misteri fondamentali.

2. La "mediazione di tutte le grazie".

Spostandoci ora alla questione della corredenzione e della mediazione in sé, dobbiamo fare un'altra premessa. Di questi temi è divenuto molto difficile parlare in età contemporanea, quando gli opposti estremismi (che come tali si oppongono alla natura sostanzialmente equilibrata del Cristianesimo) hanno di fatto reso impossibile fare dei ragionamenti sensati senza essere bollati come protestanti (o una certa parte del cattolicesimo moderno) che ritengono Maria una donna qualunque, laddove dall'altra parte si schierano quanti esaltano la Madonna sino a farla assurgere a una semidea (con reminescenze pagane della figura della dea madre), trovando un parallelo tra essa e Cristo per ogni cosa. In questo contesto sembra essere del tutto dimenticata la sana e sincera devozione a Maria, quella della Tradizione antica, trasmessa dai testi liturgici antichi, quella che ancor oggi si riscontra nel Cristianesimo orientale, basata su un amore ascetico e naturale per la Madre di Dio, non artefatto né sdolcinato, non contaminato da quel sentimentalismo immaginifico e affettivo che invece caratterizza il devozionismo del Cattolicesimo moderno.

La Chiesa insegna che la nostra Fede si basa su due fonti: la Scrittura e la Tradizione; ora, questa è in realtà un'endiadi, poiché la Scrittura altro non è che un testimone "indipendente" della Tradizione. Appare dunque logico che la Scrittura e la Tradizione non possono essere in aperto contrasto su nessun punto. Nella prima lettera a Timoteo 2,5-6 leggiamo: εἷς γὰρ Θεός, εἷς καὶ μεσίτης Θεοῦ καὶ ἀνθρώπων, ἄνθρωπος Χριστὸς ᾿Ιησοῦς, ὁ δοὺς ἑαυτὸν ἀντίλυτρον ὑπὲρ πάντων [4].

Il testo è molto chiaro nell'esprimere la mediazione universale di Cristo tra l'infinita e inconoscibile Divinità e la nostra umanità, che nel mondo prosegue attraverso l'effusione della Grazia increata e dell'azione del Paraclito che Egli ci ha mandato. Anni fa, su un forum cattolico [5], qualcuno osservò che questo passo avrebbe solo in apparenza opposto resistenza a una dottrina della corredenzione o della mediazione di tutte le grazie, poiché, sosteneva questi, εἷς si sarebbe dovuto intendere come "primario" o "primo" (concetto in realtà espresso da πρῶτος), aprendo alla possibilità di una "mediazione secondaria". Questo è palesemente contrario alla semantica del termine εἷς che in greco significa "uno solo", e quindi esclude assolutamente qualsiasi altra mediazione: l'unica mediazione tra l'infinito e il finito avviene mediante l'infinito che si "finitizza" nel mondo, non assolutamente attraverso una creatura finita. Allo stesso modo, prima della Comunione, noi affermiamo che εἷς Ἅγιος, εἷς Κύριος, Ἰησοῦς Χριστὸς [6].

Sostenere dunque, come ebbe a fare il Montfort, che nessuna grazia da Dio si ottiene se non passando per Maria, è molto pericoloso, poiché, oltre a negare la mediazione operata da Cristo, alimenta l'idea di un Dio "malvagio" e vendicativo, trattenuto solo dalla bontà della Madre [7], che non corrisponde all'immagine di mitezza che è Iddio nei Vangeli, lento all'ira e grande nell'amore, e nella Tradizione.

Quando nei testi liturgici viene invocata la μεσίτευσις della Madre di Dio (ad esempio nei Megalinaria della Tuttasanta: Ὦ Δέσποινα τοῦ κόσμου γενοῦ μεσίτρια), essa è intesa come sinonimo di πρέσβευσις, cioè dell'intercessione presso Dio recata dalle preghiere di tutti i santi, ma anche delle nostre in quanto membri vivi della Chiesa di Cristo.

3. La "corredenzione"

Affrontato il tema della mediazione, veniamo a quello della corredenzione, cioè della partecipazione attiva e irrinunciabile della Madre di Dio alla salvezza eterna dell'umanità. Come detto, questa tesi nasce dalla tendenza mariolatra, che giunge a rendere a Maria un culto di latria, spettante solo a Dio, anziché un culto di iperdulia, come dice invece la Tradizione apostolica, cioè la venerazione (dulia) massima che può spettare a un santo. Questa tesi perciò associa alla Madre di Dio alcune o tutte le caratteristiche di Dio [8]: così, essendo Cristo Redentore, Ella diverrebbe Redentrice, cioè con-redimerebbe l'umanità insieme a Cristo; così, incarnando Cristo concetti spirituali ("io sono la Risurrezione", Gv. 11,25), si sostiene che anche la Santa Vergine incarnerebbe concetti spirituali [9]. Ma per la Fede Cristiana la Madonna è una creatura, che è stata trasfigurata dalla Grazia dell'Incarnazione, giungendo allo stato di beatitudine superiore ai santi e agli Angeli [10], ma pur sempre incomparabilmente inferiore a Dio, poiché "tra creato e increato non vi è alcuna somiglianza", come scrive S. Atanasio il Grande. Dunque nulla di tutto ciò le si può attribuire.

Vi è stato qualcuno che, riconoscendo questi problemi, ma volendo difendere la teoria, provò a sostenere l'idea di una redenzione subordinata (ma comunque necessaria) operata dalla Madre di Dio. Nonpertanto, pure questa idea, che comunque non potrebbe essere espressa dal termine corredenzione in quanto il prefisso co- implica un'azione paritaria, posta su piani eguali, è contraria all'insegnamento della Chiesa.

L'unico Mediatore è anche l'unico Redentore, come è espresso dal succitato passo della seconda lettera a Timoteo: ὁ δοὺς ἑαυτὸν ἀντίλυτρον, "Colui che ha dato se stesso come prezzo del riscatto". L'uso dell'articolo determinativo avanti al participio indica chiaramente una correlazione biunivoca, che non ammette deroghe: S. Ambrogio dice chiaramente che "la Passione di Cristo non necessita di assistenza veruna" [11].

Ci sono sostanzialmente tre argomenti che i massimalisti mariani adottano per sostenere la propria tesi, che sono però facilmente confutabili.

1. La Madonna è parte attiva nell'Incarnazione, in quanto Ella accetta di divenire Madre di Dio con il suo "fiat" (corredenzione remota).
2. Nel disegno di Dio Padre Maria è associata a Cristo per il trionfo sul peccato così come Eva fu associata ad Adamo nel peccato originale.
3. Maria è stata associata alla Passione e morte di Gesù, partecipandovi de congruo con il suo dolore di madre (corredenzione prossima).

Viene sovente citato anche il passo del Vangelo di San Giovanni in cui il discepolo che Cristo amava è affidato alla Deipara: questo tuttavia non attiene strettamente alla corredenzione, ma ad un altro teologumeno, quello di "Maria madre della Chiesa", di cui qui non parliamo.

1. La teologia classica insegna la necessità dell'Incarnazione [12]. L'economia salvifica si deve compiere, poiché così è stato preordinato dalla bontà divina. Ragionando per assurdo, se Maria avesse detto "no", l'Incarnazione sarebbe comunque avvenuta in qualche altro modo. Il "sì" di Maria rientra dunque nella sua perfetta esperienza ascetica (vide infra). Ella non collabora attivamente all'Incarnazione, ma ci offre il modello che tutti noi dobbiamo seguire, quello della sinergia delle nostre azioni umane con la grazia divina [13], per ottenere la salvezza: Maria collabora attivamente alla propria salvazione, così come ogni uomo è chiamato, nella sua libertà, a collaborare alla propria, incorporandosi a Cristo nel Battesimo e seguendo i suoi comandamenti, al fine di ottenere lo Spirito Santo ed essere trasfigurato dalla Grazia. In questo senso, piuttosto che causa salutis, come la definirono alcuni teologi francescani bassomedievali, Maria è principium salutis, cioè la prima ad essere salvata dai meriti di Cristo, e modello per tutti noi sull'unica via della salvezza che è Cristo.

2. L'immagine di Maria come nuova Eva è utilizzata di frequente negli scritti dei Padri e negli antichi testi liturgici. E' un'immagine poetica, ma non deve e non può essere letta come una corrispondenza univoca e "giuridica". Nuovamente qui dobbiamo rifarci al termine principium salutis, stavolta inteso come il fatto storico che ha costituito il καιρός per l'avviamento della necessaria economia salvifica. Come la seduzione di Eva fu l'inizio del peccato dei progenitori, così la vita ascetica della Madre di Dio fu l'inizio dell'economia salvifica che riparò a quel peccato; ma se Adamo ed Eva ebbero parimenti ruolo nel peccato, nell'economia salvifica agì il solo Cristo. Scendendo agl'Inferi, egli solo  ne liberò sia Adamo che Eva; la tradizione della Chiesa insegna che, al momento della Risurrezione, sia Adamo danzò per la gioia, sia Eva si rallegrò [14]. Dunque la colpa dei due progenitori, e con essi l'intera umanità, senza distinzione, è chiaramente redenta nel solo Cristo, e l'allegoria Maria-nuova Eva si può applicare solo parzialmente e soprattutto senza accostarla a un'immagine Cristo-nuovo Adamo. Quest'ultima si trova molto più raramente nell'allegoria patristica, e mai si accompagna alla predetta Maria-Eva, proprio per evitare l'ingenerarsi di una confusione simile [15].

3. Solo Cristo può aver riparato alla colpa dei progenitori. Il ragionamento che segue è impostato sulla tesi "giuridica" di S. Anselmo: sono consapevole che questa sia una tesi che presenta molti problemi, di stampo agostiniano, e difforme dalla visione patristica in diversi punti. Tuttavia è la più diffusa nella Chiesa Romana, e qui può servire efficacemente a chiarire la questione. La colpa dei progenitori fu una colpa infinita, poiché commessa contro la bontà infinita di Dio; necessitava pertanto di una riparazione infinita, quale solo la morte di Cristo, che essendo Dio è infinito, poté offrire. Cristo solo aveva il potere di strappare il chirografo dell'umana condanna; Maria, essendo creatura e finita, non poté offrire riparazione.
La distinzione tra la partecipazione de congruo della Madonna alla redenzione operata de condigno da Cristo è suggerita da Papa Pio X nell'enciclica Ad diem illum (§ 14). Si sostiene che la Madonna contribuì con il suo dolore di madre per il massimo possibile all'umana natura; tuttavia, l'apporto di una riparazione finita ad una infinita è non significativo: perciò il contributo della Madonna è assolutamente non necessario alla Redenzione operata da Cristo. Infine, il passo scritturale adoperato per giustificare questo argomento, Colossesi 1,24 (Νῦν χαίρω ἐν τοῖς παθήμασί μου ὑπὲρ ὑμῶν καὶ ἀνταναπληρῶ τὰ ὑστερήματα τῶν θλίψεων τοῦ Χριστοῦ ἐν τῇ σαρκί μου ὑπὲρ τοῦ σώματος αὐτοῦ, ὅ ἐστιν ἡ ἐκκλησία [16]) si applica a tutti i credenti in Cristo (visto che Paolo lo riferisce a se stesso), e ancora una volta si riferisce alla sinergia delle opere umane con la Grazia divina necessaria a conseguire l'eterna salute, di cui si è parlato al punto 1.
Quando nei canoni alla Madre di Dio cantiamo Ὑπεραγία Θεοτόκε σῶσον ἡμᾶς (Santissima Deipara salvaci), ci riferiamo non già alla salvezza escatologica, offerta da Cristo solo, bensì a quella del corpo [17]: la σωτηρία che è ottenuta per noi dalla Madre di Dio dev'essere intesa come liberazione, difesa, aiuto, guarigione, non come salvezza eterna (come del resto è esplicitato nel testo dei canoni stessi).

Nessuno di questi argomenti appare quindi sostenibile: anzi, analizzandoli abbiamo potuto chiarire in modo inequivocabile la già citata frase di S. Ambrogio: l'economia salvifica si compie in Cristo, e solo in Cristo.

4. Conclusioni.

La mariolatria, conciossiaché sia nata col pretesto di magnificare oltremodo la Deipara, non fa che svilirla, facendola assurgere a una semidea dotata di poteri soprannaturali (ben distinti dai doni preternaturali che le sono comunicati nella Grazia), e annullando così il perfettissimo percorso di ascesi personale che condusse la Madre di Dio a essere la più santa e pura tra le creature e il modello perfetto per tutti noi.

In uno scritto del santo vescovo Giovanni Maksimovic di Shangai e San Francisco [18] leggiamo una sintesi efficace di tutto ciò: "Il tentativo di esaltare la Santissima Vergine a una eguaglianza con Cristo, ascrivendo alle sue materne torture ai piedi della Croce un significato eguale alle sofferenze di Cristo, talché avrebbero parimenti sofferto il Redentore e la "Corredentrice", [...] o che "l'umana natura della Madre di Dio in cielo insieme al Dio-Uomo Gesù rivelano unitamente la piena immagine dell'uomo" (S. Bulgakov [19], The Unburtnt Bursh, p. 141) è un vano inganno e una seduzione della filosofia. In Cristo Gesù non c'è uomo né donna (Gal. 3,39), e Cristo ha redento l'umanità intera; perciò alla sua Risurrezione egualmente "Adamo danzò per la gioia ed Eva si rallegrò" (Kontakia della Domenica del I e del III tono), e con la Sua Ascensione il Signore sollevò l'intera natura umana. Similmente, il fatto che la Madre di Dio sia un "complemento della Santa Trinità", o una "quarta ipostasi", che "il Figlio e la Madre sono una rivelazione del Padre mediante la seconda e la terza ipostasi", che la Vergine Maria sia "una creatura, ma anche non più una creatura", tutto ciò è frutto della vanità, della falsa sapienza che non è soddisfatta da ciò che la Chiesa ha insegnato dal tempo degli Apostoli, ma tenta di glorificare la Santa Vergine più di quanto Iddio l'abbia glorificata".

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NOTE

[1] R. S. MOXON (a cura di), Vincenzo di Lérins, Commonitorium, Cambridge, University Press, 1915, p. 10.

[2] Tale erronea dottrina si presenta in due forme: una "moderata", caratteristica del cattolicesimo ottocentesco, per la quale la Chiesa può sviluppare nuove dottrine che, insegnate da Cristo, non sarebbero state comprese adeguatamente dagli Apostoli o dalla Chiesa primitiva; una "estremista", quella del modernismo e di certo cattolicesimo postconciliare, per la quale tutti i dogmi subiscono un cambiamento a seconda del contesto ecclesiale e sociale in cui vengono calati.

[3] Altre anomalie di quel dogma, oltre alla succitata, sono la proclamazione papale unilaterale senza Concilio probatorio, e la non-necessità della proclamazione solenne in quanto storicamente nessuna eresia mai avversò questa dottrina ecclesiastica.

[4] "Uno infatti è Iddio, uno è anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, colui che diede se stesso come prezzo del riscatto per tutti".

[5] http://www.cattoliciromani.com/40-ecumenismo-e-dialogo/30045-maria-corredentrice-del-mondo/page3

[6] "Uno solo è il Santo, uno solo è il Signore, Gesù Cristo".

[7] Questa idea, o addirittura quella che "nessuno è mai salito al cielo se non per mezzo di Maria", è sottesa a molte considerazioni presenti negli opuscoli dei massimalisti mariani (tra cui il più famoso è il Trattato della vera devozione a Maria di Luigi Grignon de Montfort), ed espressamente menzionata in alcune apparizioni come quelle di La Salette. E' insinuata anche dall'enciclica Octobri mense di Leone XIII (§7).

[8] Questa tendenza si riscontrò anche in alcuni ambienti ortodossi nel XIX secolo, quando iniziò l'uso (ancor oggi diffuso, seppur in modo meno pericoloso) di celebrare un ufficio detto delle "Lamentazioni della Madre di Dio" alla vigilia della Dormizione, costituendo i testi di quest'ufficio un calco quasi perfetto dei testi cantati il Sabato Santo nelle Lamentazioni avanti all'Epitafio. Questo suggerirebbe una pererronea identificazione della morte di Maria con la morte di Cristo, quando la Tradizione apostolica insegna che la prima, pur essendone simbolicamente immagine (la Madonna, sepolta nel Getsemani, vi giace per tre giorni prima di essere elevata al Cielo), non condivide alcuno dei suoi aspetti redentori. Del resto, nelle Lamentazioni di Cristo leggiamo che "le schiere degli Angeli si stupirono" poiché la Vita stessa ("Io sono la Via, la Verità e la Vita", Gv. 14,6) fu racchiusa in una tomba: ma come si sarebbero potuti stupire della morte inevitabile di una creatura, per quanto trasfigurata dalla grazia (e dunque esente dalla corruzione e dal dolore della morte, conseguenze del peccato ancestrale, perciò detta dormizione)?

[9] Nella sua apparizione a Lourdes, la Madonna avrebbe detto: "Io sono l'Immacolata Concezione". Avrebbe cioè incarnato un concetto spirituale, come Cristo; ma questo è assolutamente impossibile, poiché la Madre di Dio è una creatura. Nemmeno il dogma dell'Immacolata Concezione proclamato da Pio IX può indurre in alcun modo a pensare a un'identificazione tra la Madonna e l'atto spirituale della sua Concezione.

[10] Uno dei più famosi tropari in onore della Madre di Dio, l'Ἄξιόν ἐστι, la celebra infatti come "più onorevole dei Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini".

[11] S. Ambrogio, De instituendis virginibus, 7

[12] cfr. S. Leone Magno, Terzo discorso nel Natale del Signore, 3

[13] In opposizione alla dottrina luterana della sola gratia, che non prevede alcuna collaborazione delle opere con la grazia. Ma nella liturgia romana più volte si prega un'antichissima orazione che ben esprime il concetto patristico della sinergia: Actiones nostras, quaesumus Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere: ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[14] Ἐξανέστης ὡς Θεὸς ἐκ τοῦ τάφου ἐν δόξῃ καὶ κόσμον συνανέστησας, καὶ ἡ φύσις τῶν βρτῶν ὡς Θεόν σε ἀνύμνησε, καὶ θάνατος ἠφάνισται , καὶ ὁ Αδὰμ χορεύει, Δέσποτα, καὶ ἡ Εὔα νῦν ἐκ τῶν δεσμῶν λυτρουμένη, χαίρει κράζουσα· Σὺ εἶ ὁ πᾶσι παρέχων Χριστὲ τὴν Ἀνάστασιν. (Kontakion del Canone del Mattutino delle Domeniche del I e del III tono)
Risorgesti come Dio in gloria dalla tomba e risollevasti il cosmo, e la natura dei mortali ti esaltò come Dio, e fu sconfitta la morte; danza Adamo, o Sovrano, ed Eva, ora libera dalle catene, si rallegra esclamando: Tu sei Colui che a tutti offri la Risurrezione, o Cristo.

[15] Confusione è ingenerata pure dalla traduzione della Vulgata di Genesi 3,15. Ivi, infatti, il testo greco ha: αὐτός σου τηρήσει κεφαλήν, e S. Girolamo traduce ipsa conteret caput tuum. Dal testo latino appare logico pensare che il soggetto, femminile (ipsa), sia la donna, e quindi Maria, ivi prefigurata, schiaccerà il capo del serpente, cioè del peccato. Tuttavia, il testo greco ha αὐτός, maschile, che apparentemente non si lega grammaticalmente né a γυνή (la donna, femminile), né a σπέρμα (il seme, neutro). Tuttavia la logica suggeriscono l'unica possibile lettura: il seme, cioè il figlio maschio, cioè il Cristo, schiaccerà il capo del serpente. La traduzione errata non ha fatto che incrementare il numero di quanti hanno pensato che la donna abbia ruolo attivo nella redenzione.

[16] "Or mi rallegro nelle sofferenze che patisco per voi, e supplisco a quanto manca alle sofferenze di Cristo nella mia carne, per il suo corpo, che è la Chiesa". Sia ben chiaro che alle sofferenze di Cristo non manca nulla, poiché esse sono salvifiche di per sé; ciò che "manca", cui ciascuno deve supplire con le proprie "sofferenze" (ovvero le azioni) è la sinergia delle opere personali con la Grazia di Cristo. Senza di questa, la possibilità di salvezza è compiutamente offerta da Cristo, ma noi non la viviamo e dunque non ne godiamo.

[17] Una disputa sorse in merito nella Chiesa Ortodossa, dacché nel Liturghier romeno è stato per un periodo inserito in luogo del predetto verso il seguente: Preasfântă Născătoare de Dumnezeu, miluieşte-ne pe noi, cioè "Santissima Deipara, abbi misericordia di noi". Questo fu chiaramente identificato come sospetto di eresia, poiché l'avere misericordia, qui sì inteso come concedere il perdono dei peccati per il conseguimento della vita eterna, nei versi liturgici si chiede solo a Cristo o alla Santissima Trinità (cfr. qui la disputa).

[18] Ripubblicato nel 2012 da Hellenic News of America.

[19] Sergej Nikolaevic Bulgakov fu un prete ortodosso del XX secolo, primo direttore dell'Istituto Teologico S. Sergio di Parigi; molto vicino ad alcune posizioni cattolico-romane da una parte (era molto devoto di Lourdes, per esempio), e influenzato da elementi sincretici e gnostici dall'altra (il metropolita Anton Chrapovitskij di Kiev lo accusò pubblicamente di introdurre una quarta persona nella Trinità, ovvero la "Sapienza", forza cosmica e mediatrice tra Dio e il mondo), quantunque mai formalmente condannato dal Sinodo della Chiesa Russa, è generalmente considerato nel mondo ortodosso come un personaggio latore di posizioni teosofiche e contrarie all'Ortodossia.

lunedì 9 dicembre 2019

9 dicembre - La Concezione di S. Anna

Il 9 dicembre, secondo il calendario bizantino, ricorre la Concezione di Sant'Anna (Σύλληψις τῆς Ἁγίας Ἄννης), madre della Tuttasanta Madre di Dio.

Secondo il disegno di Dio, che voleva prepararsi una dimora pura per incarnarsi e risiedere tra gli uomini, a Gioacchino ed Anna era stato impedito di avere progenitura. Questa vicenda ci è narrata nei primi capitoli del Protovangelo di Giacomo e nel Libro sull’Infanzia della Beata Vergine attribuito a San Matteo. Arrivati ambedue ad età avanzata e rimasti sterili, come la natura umana piegata e disseccata sotto il potere del peccato e della morte, essi non cessavano comunque di supplicare Dio di liberarli dal loro obbrobrio. quando il tempo della preparazione voluto dal Signore fu compiuto, Egli inviò l'Arcangelo Gabriele da Gioacchino, ritirato su una montagna e da Anna, che piangeva il suo dolore nel giardino, per annunciare che ben presto si sarebbe compiuta attraverso loro la profezia, che una bambina sarebbe nata, destinata a divenire la vera Arca della Nuova Alleanza, la Scala divina, il Roveto non consumato, la Montagna non tagliata, il Tempio vivente, dove avrebbe abitato il Verbo di Dio. In quel giorno, attraverso la concezione di sant'Anna, la sterilità di tutta la natura umana separata da Dio attraverso la morte, aveva fine e, attraverso il concepimento sovrannaturale di colei che era rimasta sterile secondo l'età in cui le donne non potevano più portar frutto, Dio annunciava e confermava il miracolo più grande della concezione senza seme e della nascita immacolata del Cristo nel seno della Tuttasanta Vergine Madre di Dio. Nel casto bacio tra i santi Gioacchino e Anna, l’iconografia tradizionale vede il momento del concepimento della Madre di Dio

La festa è detta della Concezione "di S. Anna" per un motivo logico e ben preciso: poiché nell'azione considerata l'agente è S. Anna, mentre la Madonna è il paziente. Similmente, la festa del 25 marzo è detta Annuntiatio beatæ Mariæ Virginis, in greco Εὐαγγελισμὸς τῆς Θεοτόκου [1]. Questo evita le confusioni che invece sono popolarmente diffuse in ambiente latino, dove la festa dell'8 dicembre è detta Conceptio beatæ Mariæ Virginis e molti per ignoranza la intendono come il concepimento di Cristo da parte di quest'ultima. In questo giorno, inoltre, la Chiesa d'Oriente ricorda la profetessa Anna madre di Samuele, e dunque i tropari dell'ufficio bilanciano molto bene l'evento festeggiato con l'antico modello, e i testi hanno quel sapore particolare, ricco di allegorie, che caratterizzano le feste degli eventi dell'infanzia di Cristo e della lettura Cristiana della storia d'Israele.

Si noterà che la festa è celebrata il 9 dicembre anziché l'8: questo avviene in ragione di un simbolismo tipicamente bizantino. Infatti, tra il 25 marzo e il 25 dicembre ci sono esattamente nove mesi, il tempo ideale di una gestazione: Nostro Signore rappresenta quindi il modello di perfezione dell'umanità. Dopo di lui, i più perfetti al mondo sono stati la Sua Santissima Madre e San Giovanni Battista, però certamente meno perfetti di Cristo: per questo la gestazione della Madonna durò, secondo la tradizione orientale, nove mesi meno un giorno (9 dicembre - 8 settembre), e quella del Battista nove mesi e un giorno (23 settembre - 24 giugno).

Quest'anno, per una singolare coincidenza dovuta all'occorrenza della domenica con l'8 dicembre, tradizionalmente anche il rito romano avrebbe festeggiato la Concezione della Madonna in questo giorno [2], in quanto traslata al primo giorno libero successivo.

Recentemente ho avuto occasione di discutere con dei conoscenti circa i testi liturgici della festa odierna, esprimendo la mia assoluta preferenza (al di là di qualsiasi disquisizione teologica sulla natura del dogma, che non trova qui spazio) per quelli antecedenti alla riforma ordinata da Pio IX e completata nel 1863. Riporto qui alcune considerazioni, accompagnate da un po' di storia della festa nel rito romano.

L’ingresso della celebrazione della Concezione della Beata Vergine Maria nel rito romano è datata 1476, quando Papa Sisto IV, colui che per altro vietò di definire eretica sia la tesi immacolatista che quella macolatista [3] nelle lunghe dispute particolarmente tra Ordine Francescano e Domenicano in materia, introdusse ufficialmente detta festa nel Calendario Romano, col rito duplex (che al tempo, mancando ancora alcuni secoli all’inflazione di feste doppie nel calendario romano, dava una notevole importanza alla ricorrenza), e un ufficio originale scritto da Leonardo de Nogaroli, notaio vicino all’Ordine Francescano, e dunque immacolatista (anche se, a dire il vero, nell’ufficio da lui composto non si riscontrano troppi panegirici sulla questione, se non nella colletta, in quanto a quel tempo era ancora abbastanza chiaro che il cuore di quella celebrazione fosse la concezione miracolosa da parte di Sant’Anna: anzi, alcuni elementi della messa, soprattutto le antifone, contengono un uso sapiente e poetico di alcune allegorie tradizionali come l'hortus conclusus).

Fatto sta che nel 1570, in seguito alla riforma tridentina del Breviario e del Messale ordinate da Pio V, la festa della Concezione fu definitivamente sanzionata nel rito romano, ora divenuto in un certo senso “universale”, col predetto rito doppio e assolutamente senza la parola “Immacolata” nella dizione, come il Papa Ghisleri, da buon domenicano macolatista, s’era premurato di prescrivere. Tale soluzione prevedeva sostanzialmente di adottare l’ufficio e la messa della Natività della Madonna (8 settembre), adattandoli ovviamente alla circostanza (mutando, per esempio, Nativitas e ortus in Conceptio, e via discorrendo), mentre per l’ufficiatura notturna furono introdotte delle lezioni originali tratte dai discorsi dei Padri della Chiesa per le feste mariane principali.

Tale formula ebbe notevole successo, perché metteva in stretta correlazione i misteri, del resto inseparabili, della Concezione e della Natività della Madre di Dio, legando tra loro le due feste, tant’è che fu mantenuta intatta nei secoli successivi, nonostante la crescente importanza che acquisiva la festa dell’8 dicembre nella devozione popolare (grazie alla predicazione immacolatista dei Francescani e poi dei Gesuiti), che sfiorò financo gli ambienti della curia romana, nonostante per diverso tempo la quasi totalità dei grandi teologi fosse rimasta macolatista. Così l’ufficio piano rimaneva, nonostante l’elevazione prima a duplex majus (Clemente VIII) e poi a duplex II classis (Clemente IX), e l’introduzione di un’ottava, concessa prima per privilegio ai luoghi ove esisteva una devozione per detta festa e che ne facevano richiesta (nel 1665 Alessandro VII la concesse alla Repubblica di Venezia, nel 1667 Clemente IX la istituì per lo Stato Pontificio), che divenne infine universale il 15 maggio 1693 per imperio d’Innocenzo XII. Per i giorni fra l’ottava la scelta delle lezioni fu comunque ispirata all’opera piana, con opere dei Padri d’Oriente e d’Occidente, e comunque, avvegnaché la devozione popolare (testimoniataci ampiamente e al contempo auspicata dagli autori cosiddetti massimalisti mariani come l’Olier e il Monfort) avesse deciso in larga maggioranza per l’immacolatismo, guardandosi bene dall’inserire nei testi liturgici quell’aggettivo che con tanta e sollecita cura il Papa S. Pio V aveva rimosso dai libri sacri. Quindici anni dopo (6 dicembre 1708) Papa Clemente XI rendeva la festa de praecepto.

Durante il Pontificato di Benedetto XIV, che aveva in animo d’intraprendere una “riforma” (nel senso positivo del termine, cioè riportare a una forma originaria purificata) del calendario romano, si discusse a lungo dell’opportunità di detta ottava, che non solo strideva coll’austerità dell’Avvento, ma financo andava a dare un’importanza quasi eccessiva a una festa che, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere inferiore alla Natività della Deipara, e che invece andava superandola. La festa stava diventando ingombrante anche perché, a onta di quelle che erano di per sé le indicazioni della tabella delle precedenze, si era assunto il deprecabile costume, nella solenne cappella papale dell’8 dicembre, di preferire la festa mariana alla II domenica d’Avvento qualora occorressero lo stesso giorno (cfr. nota 2). Ad ogni modo, le summenzionate osservazioni, come tutto il progetto di riforma benedettiana del calendario, caddero nel nulla.

Giungiamo alfine alla proclamazione del dogma nel 1854, in seguito al quale, nove anni dopo, il poco tradizionale Pio IX richiese la composizione di un nuovo testo, esigendolo letteralmente “dommatico”, cioè espressione dottrinalmente precisa e strutturata (cosa che non dovrebbe essere di per sé la liturgia, che com’è noto precede la dottrina e ne costituisce anzi la fonte, secondo i Padri e in primis Prospero d’Aquitania, checché ne scriva a riguardo la Mediator Dei…) del nuovo dogma. Il 23 maggio 1863 una commissione appositamente istituita esaminò un testo privatamente composto e dato alle stampe dal padre Luigi Marchesi, della Congregazione della Missione, che fu nondimeno scartato; si diede dunque mandato, con speciale delega papale, a mons. Domenico Bartolini, segretario della Congregazione dei Riti, di comporre un nuovo ufficio, il quale subì numerose modifiche e variazioni, anche da parte di Pio IX stesso, che finalmente l’approvò il 27 agosto dello stesso anno, e lo promulgò il 25 settembre apponendo alla festa il nome di Immacolata Concezione per consacrare il dogma. Nel 1879 Leone XIII completò l’opera di riforma della liturgia della Concezione prescrivendo a tutta la Chiesa la celebrazione della messa della vigilia, ch’era precedentemente privilegio limitato e locale.

Non mi dilungo sull'analisi di tutti i testi della Messa, ma solo su alcuni aspetti per rendere l'idea della riforma effettuata. Una premessa è però necessaria, perché v’è una modifica apparentemente piccola che fu apportata all’intero corpus testuale della festa, e rivela bene la mens del riformatore, cioè l’aderenza perfetta e a ogni costo a un’idea a discapito e danno dell’impalcatura tradizionale che talora potrebbe non essere adatta a certe modifiche. Trattasi dell’inserimento dell’aggettivo Immaculata ogniqualvolta fosse presente la parola Conceptio, per aderire in modo quasi esasperato alla titolazione dommatica, senza curarsi dello stravolgimento, per esempio, della metrica di quei testi ch’erano stati musicati sulla sola parola Conceptio.

Il Vangelo tradizionale della festa della Concezione, così come della Natività della Madonna, era il principio del Vangelo di S. Matteo, cioè la Genealogia di Gesù Cristo. Poiché commemoriamo i primi momenti della vita di Colei ch’ebbe l’immenso privilegio di portare in grembo il Salvatore, il Figlio di Dio, risulta assai pertinente il fare memoria dei progenitori di Cristo, in quanto ci permette d’identificare bene il legame indissolubile, che va da Adamo ad Abramo, da Isacco a Davide, da Salomone fino giungere a Gesù, attraversando tutta la Storia dell’Antica Alleanza tra Dio e il suo popolo, al termine del quale legame vi è la Genitrice di Dio, la più eccelsa tra tutti questi santi, che con inesprimibile rispetto e devozione viene menzionata ed esaltata, incastonata in un simbolico cesello che magnifica il suo insostituibile ruolo, sul finire della pericope. Tale Vangelo fu “recuperato” da Leone XIII venendo assegnato alla vigilia.
Di contro il nuovo Vangelo è una pericope brevissima, che contende al Vangelo della Circoncisione il titolo di più breve dell’intero Messale, contenente unicamente il saluto dell’Arcangelo Gabriele alla Madonna al momento dell’Annunciazione: Ave Maria, gratia plena. Senza discorrere troppo del passo, vorrei lanciare tre provocazioni:
1) Perché prendere un estratto così piccolo, fino ad assumere proporzioni ridicole, del passo evangelico, e non piuttosto far leggere l’intero episodio dell’Annunciazione per esteso, come si fa in molteplici feste della Madonna? Forse che si tratta di un inammissibile accordo alla proverbiale (e deleteria) pigrizia di certo clero?
2) Questo passo presenta la problematica traduzione del greco κεχαριτωμένη, che S. Girolamo rende assai liberamente gratia plena; la Vetus Itala, molto più fedele alla lettera del testo greco, traduce piuttosto gratiata, come apparirebbe più sensato trattandosi di un participio perfetto passivo. Questo però lascia aperte molte interpretazioni, e qui si vada al punto 3.
3) Non appare forse contraddittorio, quasi inspiegabile, il fatto che, nel creare un testo quanto più possibile immacolatista, si scelga per Vangelo l’episodio che invece costituisce il cuore della tesi contraria, quella macolatista, che sostiene che la Santa Vergine fu purificata del peccato originale nel momento in cui, accettando l’annuncio, deve ricevere in grembo il Salvatore?

Veniamo alle letture del Mattutino. Le tre lezioni scritturali, legate all’Epistola della messa e all’ampiamente diffusa identificazione, presente in abbondanza nelle liturgie orientali e occidentali, tra la Sapienza degli scritti veterotestamentari e la Madre di Dio, vengono completamente soppresse. Al loro posto è inserita la lettura dalla Genesi dell’episodio del peccato originale, in una suddivisione direttamente tolta da una feria della settimana di Settuagesima. La questione della prevaricazione dei primi parenti è sicuramente strettamente connessa, anzi all’origine della questione immacolatista, ma tale testo (che comunque, avendo qui uno scopo precipuamente dottrinale, non fa strettamente parte di un corpus liturgico), inserito in modo alquanto decontestualizzato, non chiarisce affatto la vexata quaestio, perdendo financo l’utilità strettamente dommatica.
Le letture patristiche vengono cambiate, senza una ragione apparentemente chiara: visto che i Padri della Chiesa non parlano del dogma, non è possibile trovare un loro testo dommatico in tal senso. E infatti, per ovviare a questo “inconveniente”, nei giorni fra l’ottava al II notturno viene assegnata la lettura nientemeno che di estratti ex Bulla dogmatica Pii Papæ IX, con uno sfoggio di autoreferenzialità quanto mai antitradizionale, e non senza problematiche. Essendo cambiato il Vangelo, ovviamente si dovettero cambiare anche le letture dei III notturni di tutta l’Ottava, rimpiazzate dalle omelie già lette in altre feste col Vangelo dell’Annunciazione, con risultati talora poco armonici, in quanto le omelie menzionano passi dell’episodio evangelico che non ci sono nella stringatissima pericope dell’8 dicembre.

A guisa di conclusione di questo breve saggio, sarebbe mia intenzione far riflettere su un aspetto di questa riforma, particolarmente preoccupante. Secondo San Vincenzo di Lerino, il dogma è quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est, e come si è sempre insegnato, per non andare contro questo assioma che è alla base del concetto stesso di Tradizione dommatica, tutti i dogmi, compresi quelli moderni, non sono nuove verità inventate dal Pontefice regnante, ma la sistematizzazione (più o meno) precisa di una verità da sempre creduta dalla Chiesa. E dunque, quale modo migliore per esprimere la continuità tra la Tradizione precedente e questa nuova proclamazione dommatica, che mantenere in auge la vecchia liturgia, che essendo espressione della “vecchia Chiesa” necessariamente conteneva già questa verità di fede? Auspicare un nuovo testo dogmatico, come a sostenere che gli antichi (cioè la Tradizione apostolica!) non vi credessero, fu atto perniciosissimo, che trova la sua più eminente e triste espressione nel prescrivere come testi liturgici (paragonati a quelli patristici) degli scritti personali, manifestando non solo un protagonismo che ha poco di Cristiano (notare che tale pratica sarà seguita da Pio XI e Pio XII), ma financo rischiando di suggerire l’esistenza una cesura tra detto scritto e la Tradizione precedente, come se essa valesse nulla anzi a questo. Non è forse lo stesso che fecero i modernisti col Concilio Vaticano II?

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NOTE

[1] Nella riforma del 1969, il nome di questa festa è stato mutato in "Annunciazione del Signore", conformandosi all'uso già invalso per l'8 dicembre, ma ingannatore, di indicare il paziente e non l'agente.
[2] Della storia della precedenza della domenica ovvero della festa in questa circostanza si discute QUI, in corpo di testo e particolarmente alla nota 2.
[3] Della storia di queste dispute abbiamo già discusso. Giovi solo il ricordare che entrambe queste posizioni si sviluppano all'interno della teologia occidentale di stampo agostiniano, e in massima parte dopo lo Scisma, e non, come si potrebbe pensare, in una contrapposizione cattolico-ortodossa. I domenicani, e con loro S. Bernardo che definì eretica la tesi dell'Immacolata Concezione, da parte macolatista; i francescani e i gesuiti da parte immacolatista. L'intera disputa appare ridicola agli occhi dei Padri ortodossi, perché la concezione stessa del peccato originale come macchia comune a tutta la discendenza di Adamo (e non già come condizione di caos in cui è immersa l'umanità in seguito alla trasgressione dei progenitori) è una particolarità del solo S. Agostino, ripresa in parte dal traducianesimo tertullianeo condannato dal Sinodo di Roma nel 498.

martedì 3 dicembre 2019

Pellegrinaggio a Madonna del Monte in Costa d'Aviano (PN) il 23 dicembre

Informiamo che la Compagnia di S. Antonio e Una Voce Pordenone
organizzano anche quest'anno un

Pellegrinaggio al Santuario
di Madonna del Monte
in Costa d'Aviano (Pordenone)
lunedì 23 dicembre

Programma:

13.45 Ritrovo dei pellegrini nella chiesetta di S. Valentino in Masure
14.00 Partenza del pellegrinaggio verso il Santuario di Madonna del Monte
14.20 Arrivo al Santuario
14.30 Recita del S. Rosario
15.00 S. Messa cantata in Rito Romano antico

Seguirà un breve momento conviviale per lo scambio degli auguri natalizi.

Il Circolo Traditio Marciana prenderà parte all'iniziativa.

PER INFORMAZIONI
Compagnia Sant’Antonio: tel. 347 396 1396 / compagniasantantonio@libero.it


lunedì 2 dicembre 2019

Indicazioni liturgiche per il tempo di Avvento

L'Introito della I Domenica d'Avvento
Nei libri liturgici della Tradizione Romana

L’Avvento è un cosiddetto tempo forte della liturgia romana: ovvero, visto il suo carattere marcato, tanto nell’accompagnare l’antico digiuno prenatalizio con l’esempio di S. Giovanni Battista, quanto nel suo significato escatologico richiamante la Seconda Venuta di Cristo [1], degno di essere ricordato quotidianamente nella liturgia. Pertanto, ogni giorno, anche occorrendo le feste doppie, quelle dei grandi santi che accompagnano questa nostra preparazione (per citarne alcuni, S. Nicola e S. Ambrogio), l’Avvento viene commemorato con l’orazione della domenica precedente, e così nell’ufficio si aggiungono antifone al Magnificat e al Benedictus proprie ogni giorno.

Le domeniche d’Avvento sono privilegiate: pur essendo semidoppie, la I domenica d'Avvento è di I classe, e le restanti sono di II classe, il che impedisce che esse vengano soverchiate da altre feste. Secondo le rubriche riformate nel 1913, la Festa della Concezione della Madre di Dio, cadendo in domenica, ha tuttavia la precedenza, mentre precedentemente in caso di occorrenza sarebbe stata traslata al 9 dicembre [2].

Nelle messe del tempo (ovvero le messe domenicali e quelle feriali, quando non si dicono le messe dei santi, che comunque, complice l’Ottava della Concezione, occupano la totalità dei giorni feriali sino al 17 dicembre exclusive, inizio delle ferie privilegiate, che comprendono usualmente i giorni delle Quattro Tempora e le meravigliose antifone O del Magnificat del Vespero [3]) si osservano numerosi segni di penitenza alla messa:
  • Si usano i paramenti violacei, e il diacono e il suddiacono indossano la pianeta piegata in luogo della dalmatica e della tonacella;
  • L’organo tace, o, secondo una tradizione diffusa in Italia ma contraria alle prescrizioni del Caeremoniale Romanum [4], suona ma in modo più lugubre;
  • Non si adornano di fiori gli altari, ma sono ammessi i reliquiari modesti [5];
  • Il Vescovo in cattedrale smette la mitria preziosa, usando solo quella dorata;
  • L’Inno Angelico è omesso alle messe domenicali;
  • Alle messe feriali è omesso l'Alleluja col suo verso, che però si canta alle messe domenicali;
  • Si omette l’Ite missa est alla fine, sostituito dal Benedicamus Domino, che è cantato dal diacono voltato verso l’altare.
Inoltre, i vescovi non indossano l'abito di coro pavonazzo, ma uno nero (con coda), dotato di mozzetta o mantelletta nere con bordature viola. I prelati non vescovi col privilegio del pavonazzo, però, fatte salve le regole proprie di ciascun capitolo, non mutano il colore della propria veste.
I Cardinali indossano le vesti di lana viola invernale, in luogo di quelle di seta marezzata rossa.

Ad alcune di queste regole sfugge la terza domenica d’Avvento, detta Gaudete, anticamente una pausa di alleggerimento del digiuno, nella quale i sacri ministri usano le dalmatiche (addirittura, lice usare un colore rosaceo in luogo del viola, per costumanza francese del XVI secolo), si addobbano gli altari, l’organo suona a festa e il Vescovo indossa la mitria preziosa. Gli altri segni di penitenza, tuttavia, rimangono.

Non occorrendo feste di santi, per completare il numero trinario delle collette, le orazioni del tempo sono quella della Madonna, con un formulario particolare che ne ricorda l’aspettazione del parto, che similmente noi attendiamo preparandoci al Natale, e quella contro i persecutori della Chiesa.

Al Mattutino l'Invitatorio, delle ferie come delle domeniche, è Regem venturum fino alla terza settimana; indi, Prope est jam Dominus. Durante le quattro settimane vengono letti nel I Notturno i passi più significativi della profezia di Isaia. Al II Notturno, nelle domeniche, è proposta la lettura del sermone di S. Leone Papa pel digiuno "del decimo mese". L'inno di S. Ambrogio alla fine del III Notturno è omesso, e sostituito da un nono responsorio.

Nelle domeniche di Avvento i salmi consueti dei Vesperi, del Mattutino e delle Laudi sono cantati con antifone proprie per ogni domenica. Nelle ferie inoltre, in seguito alla riforma del salterio di Pio X, si dicono i salmi delle Laudi dal II formulario, quello principiante con il salmo 50 [6], si dicono quattro salmi a Prima, e si cantano in ginocchio le preci penitenziali a tutte le ore canoniche, prima dell’orazione conclusiva. Come già detto, vi sono antifone proprie ai Cantici Evangelici ogni giorno. Si omette infine sempre il suffragio a Vespero e a Laudi.

Secondo la legge canonica stabilita dalla bolla Quod a nobis, inoltre, nei lunedì d’Avvento non impediti da feste doppie o semidoppie, i chierici con obbligo di coro sono tenuti a cantare, dopo l’ufficio del giorno, l’ufficio dei morti.

Nei libri liturgici del 1962

Le domeniche di Avvento sono tutte di I classe, ma non più semidoppie in seguito alla duplicazione totale delle antifone (in tal modo non solo le domeniche, ma anche le ferie, vengono nella pratica assimilate a feste!). Cionondimeno, una rubrica devozionistica e antiliturgica precisa che Festum tamen Immaculatæ Conceptionis B. Mariæ Virg. præfertur occurrenti dominicæ Adventus (Codice delle Rubriche del 1960, n. 15, comma 2), in eccezione a quanto prescritto dal medesimo articolo al primo comma. In caso di occorrenza, dunque, la Domenica perderà pure il suo Vangelo, in quanto, a differenza delle rubriche precedenti, l'Ultimo Vangelo non sarà quello proprio della domenica ma il prologo di S. Giovanni.

Le pianete piegate, paramento antichissimo di tradizione prettamente romana (vedasi QUI l'ottimo studio di F. Tolloi), sono abolite: i sacri ministri usano indistintamente anche nei tempi di penitenza le dalmatiche. Parimenti, il diacono alla fine della messa canta Ite missa est rivolto al popolo, e non il più antico Benedicamus Domino.

Alle messe della domenica, così come a quelle feriali, si dice una sola colletta: sono abolite le orazioni del tempo. Alla domenica si omette pure la commemorazione dei santi occorrenti.

Al Mattutino della domenica c'è un solo notturno: i sermoni di S. Leone, così come le omelie patristiche sul Vangelo domenicale, sono omessi. A Prima si omette il quarto salmo: in tal modo sei salmi vengono settimanalmente omessi dal salterio, recitandosi 144 salmi al posto di 150. Le preci penitenziali a Lodi e a Vespro si dicono solamente nei mercoledì e nei venerdì in cui si fa l'ufficio feriale, e alle Lodi del sabato delle IV Tempora. Le preci delle ore minori, comprese quelle antiche della Compieta e quelle ancor più antiche dell'ora Prima, comprendenti il Confiteor mattinale e il Trisagio, sono abolite del tutto.

Non vige più alcun obbligo di dire l'ufficio dei morti. In questo modo il lunedì d'Avvento perde anche l'ultimo dei suoi caratteri penitenziali, contro la vetustissima prassi ecclesiale (in Oriente, oltre ai consueti mercoledì e venerdì, in Avvento si osserva digiuno stretto anche al lunedì, mentre il digiuno è mitigato negli altri giorni).

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NOTE

[1] Essa è rimembrata non solo dal Vangelo della I Domenica d'Avvento, che riprende lo stesso tema narrato nella Domenica ultima dopo Pentecoste, traendolo da S. Luca anziché da S. Matteo, bensì anche dall'inno delle Laudi, che alla quarta strofa canta: Ut cum secundo fulserit, metuque mundum cinxerit, non pro reatu puniat, sed nos pius tunc protegat.

[2] Nelle rubriche pre-piane: "de Dominica fit semper officium in Dominicis Adventus [...] quocumque officio adveniente, nisi illud festum sit de principali Titulo vel Patrono alicujus ecclesiae, vel loci, aut Dedicatione propriae ecclesiae" (Rubricae generales Breviarii Romani IV, 1). Nell'edizione del Breviario del 1884 una rubrica posta all'8 dicembre specifica chiaramente che, in caso di occorrenza in domenica, la festa è traslata al lunedì.

[3] Tali sette antifone, così dette perché iniziano tutte con un'invocazione, preceduta dalla particella o, a Nostro Signore veniente, invocato sotto sette titoli diversi, si cantano al Vespero avanti al Cantico della Beata Vergine dal 17 al 23 dicembre, sono dei veri capolavori poetici; per la loro importanza si cantano sempre duplicate, anche se il resto delle antifone dell'ufficio non viene duplicato, e si deve restare in piedi durante il loro canto.

[4] Caeremoniale Episcoporum Santissimi D. N. Benedicti Papae XIVliber I, caput XXVIII: [Organa] (p)ulsari non debent in Adventu.

[5] cfr. B. GAVANTO, Thesaurus Sacrorum Rituum, Romae, in typographia Vaticana, 1734, p. 820: vascula cum floribus, ac similia ornamenta sollemnia, Dominicis, & feriis Adventus, adhiberi minime debent. Se ne può trarre che non si debbano impiegare i reliquiari solenni così come i vasi di fiori, ma non viene esplicitamente vietato l'uso di reliquiari più modesti.

[6] Nel salterio tradizionale romano, le Lodi di ogni giorno, anche festivo, principiavano con il salmo 50, ovvero con la necessaria richiesta di perdono al Signore che si ravvisa, più o meno nello stesso punto, anche nei riti orientali. Con l'alleggerimento voluto da Pio X, questo costume si ritenne solo nei giorni penitenziali, mentre negli altri giorni il posto del carme davidico fu preso da altri salmi per completare il Salterio. Il salmo che normalmente si canterebbe al posto del 50, nei giorni penitenziali non è omesso, ma è aggiunto a Prima, che in questo modo torna ad avere quattro salmi, come nell'uso pre-piano, in luogo dei tre assegnatile nei giorni "normali" dal breviario del 1913.

giovedì 21 novembre 2019

Confronti liturgici - fine novembre

In questi giorni di fine novembre, il Breviario e il Messale tradizionale offrono degl'interessanti spunti di riflessione sui principi della liturgia. Possiamo però, in questi stessi giorni, vedere palesi le tracce della decadenza della liturgia romana precedente il Concilio Vaticano II, di cui la liturgia "di Paolo VI" non è che l'esito più recente di tali ferite alla tradizione liturgica. Si noti, in particolare, il Vangelo della festa di S. Clemente.

Si analizzeranno qui gli ordinamenti liturgici dei giorni 21, 22 e 23 novembre. La base di analisi sono le rubriche del 1911, emanate da Pio X con la bolla Divino Afflatu; si confronteranno le rubriche del 1962, seguite dalla maggior parte dei "tradizionalisti". Chiaramente qui si affrontano le questioni relative specificatamente ai testi dei propri di questi giorni, omettendo le precisazioni relative ai mutamenti dell'ordinario (ad es., il nome di S. Giuseppe nel Canone, la riforma degl'inchini, la duplicazione sistematica delle antifone...)

21 novembre - Presentazione della B.V. Maria al Tempio
Doppio maggiore

Essendo una festa doppia maggiore della Madonna, anche dopo la riforma piana il Breviario Romano mantiene la salmodia festiva a tutte le Ore canoniche.

La festa inizia la sera del 20 novembre, con il Vespero che prevede il canto dei salmi della Madonna (109, 112, 121, 126 e 147) con le antifone duplicate tratte dal Comune; tratti dal Comune sono parimenti il capitolo e l'inno Ave Maris stella, la cui prima strofa si recita in ginocchio. L'antifona al Magnificat, Beata Dei Genetrix è invece propria. Dopo l'orazione propria della festa, si canta la commemorazione della precedente festa di S. Felice di Valois, confessore.

Il Mattutino, di tre notturni, è tratto quasi interamente dal Comune, fatta eccezione per le letture del II Notturno: la prima è tratta dal trattato di S. Giovanni Damasceno De fide Orthodoxa, 13,4; le altre due dal libro di S. Ambrogio di Milano De Virginibus, 2. Le Lodi sono tratte interamente dal Comune della Madonna, fuorché l'orazione.

Dopo Terza, si canta la Messa, interamente tratta dal Comune (Salve Sancta), fuorché ovviamente per la Colletta. Nel Patriarcato di Venezia, dove la festa è peraltro iscritta nel Calendario come doppia di II classe, si aggiunge, sub unica conclusione, l'orazione pro gratiarum actione in scioglimento del voto fatto dalla Città alla Madre di Dio in occasione della pestilenza del 1630-31.

Alla sera del 21 novembre si cantano i secondi Vespri della festa, del tutto identici a quelli della sera prima; dopo l'orazione della festa si canta la commemorazione della seguente festa di S. Cecilia, vergine e martire, con l'antifona propria Est secretum e la propria orazione.

Rispetto ai libri liturgici precedenti non sussistono differenze sostanziali, se non quelle comportate dalla riforma dei salmi festivi (assenza del salmo 66 alle Lodi e della prima parte del salmo 33 a Compieta; riduzione al solo salmo 148 dei tradizionali salmi laudativi 148-149-150 con cui si concludono [e prendono il nome] le Lodi in tutti i riti tradizionali...). Questo valga per tutti i giorni successivi. La festa di S. Felice di Valois, commemorata la sera del 20, è stata introdotta alla fine del XVIII secolo da Innocenzo XI su esplicita pressione politica di Luigi XIV per la glorificazione del di lui casato. Dal 1736 al 1911 (anno della riforma del Calendario Veneziano operata dal Patriarca La Fontaine in accordo alle prescrizioni piane), in tutto il Dominio Veneto la festa della Presentazione era osservata con un'Ottava.

Nelle rubriche del 1962 la festa è iscritta come "di III classe". La sera del 20 novembre si sono cantati i secondi Vespri di S. Felice di Valois, senza nemmeno commemorazione della Madonna. Il Mattutino prevede il canto dei salmi della feria, ed è ridotto a un solo notturno, con le prime due letture del giorno feriale e la terza coincidente con la quarta dell'ordinamento antico (senza esplicita menzione però dell'autore del trattato). Alle Lodi, così come a tutte le Ore, i salmi sono quelli della feria. Al Vespro, detti i salmi della feria, si canta il resto del secondo Vespro della Madonna, ma è omessa la commemorazione di S. Cecilia.

22 novembre - S. Cecilia, vergine e martire
Doppio

Il carattere urbano del rito romano emerge particolarmente nell'ordinamento della festa odierna e della seguente: osservate sin dall'antichità nell'Urbe, esse mantengono anche dopo l'estensione del rito il carattere assai festivo che localmente era loro concesso, con antifone proprie, scritte in un elegante e solenne latino, ispirate alla Passio dei martiri. Anche la duplicità del rito è antica: prima della decadenza, il rito doppio era realmente riservato alle feste di maggiore importanza, e queste feste prettamente romane lo sono senza dubbio. Per coerenza, alle ore maggiori, che prevedono le dette antifone proprie, si mantengono i salmi festivi, quantunque la riforma piana prevedrebbe i salmi della feria per le feste doppie minori.

Il Mattutino della festa prevede tre notturni: in essi vengono cantati i salmi del Comune delle Vergini, con le suddette antifone proprie, duplicate. Le letture del I Notturno sono tratte dalla prima lettera ai Corinti (7,25-40); quelle del II contengono l'agiografia di Caecilia, virgo Romana; quelle del III Notturno sono il Vangelo secondo Matteo 25,1-13, ovvero l'episodio delle vergini fatue e delle vergini prudenti, e le tre letture omiletiche. Al posto della consueta omelia tratta da S. Gregorio, però, se ne legge una di S. Giovanni Crisostomo. Proprie sono le antifone delle Laudi, accompagnate dai salmi festivi, mentre il capitolo e l'inno Jesu corona virginum sono tratti dal Comune delle Vergini; l'antifona al Benedictus è invece propria, Dum aurora.

Alle ore minori si dicono antifone e salmi della feria.

Dopo Terza, si canta la Messa, che prevede numerose parti proprie. Il Vangelo, il già citato Matteo 25,1-13, oltre a essere quello usuale delle Vergini, appare molto appropriato a questi giorni finali dell'anno, in cui anche l'ordinamento delle domeniche spinge i fedeli a considerare l'Ultimo Giudizio, rappresentato qui dall'arrivare improvviso dello Sposo.

Il Vespro del 22 novembre mostra in modo molto chiaro com'era l'ordinamento dei Vespri, in caso di concorrenza di due feste parigrado, nella tradizione romana (prima che, l'estensione dei salmi feriali alla maggior parte delle feste, annullasse la percezione di questo ordinamento): la prima parte, ovvero la salmodia, è propria della festa precedente (in questo caso, i salmi della Madonna e le antifone proprie duplicate in onore di S. Cecilia); dal capitolo in poi, si celebra la festa seguente di S. Clemente I Papa e martire.

Rispetto ai libri liturgici precedenti la differenza più evidente è nell'omissione dei salmi festivi e delle antifone proprie alle Ore minori (che sono le prime tre e l'ultima delle Lodi, distribuite alle quattro ore minori quotidiane).

Nelle rubriche del 1962 la festa è iscritta come "di III classe". Si mantengono almeno le antifone proprie e persino i salmi festivi in loro accordo (con l'anomalia a questo punto che, ieri, la Madonna ha avuto i salmi della feria, mentre una santa oggi ha i salmi festivi). Il Mattutino però è ridotto a un solo notturno, con le prime due letture tratte dal VII capitolo della lettera ai Corinti e la terza contenente un'agiografia ridotta. Il Vespro è cantato tutto come secondo Vespro di S. Cecilia, senza nemmeno commemorazioni né di S. Clemente né di S. Felicita: come si sarà notato, nel 1962 si è tradita completamente la tradizione, rimontante al mondo giudaico e condivisa da tutti i riti tradizionali cristiani, che le feste abbiano il loro inizio alla sera del giorno prima (i giudei computavano i giorni da tramonto a tramonto), e dunque coi I Vespri. Anzi, autenticamente, i Vespri di una festa sono i primi (tant'è vero che le feste semplici hanno solo il primo Vespro e non il secondo), non i secondi, che sono un'appendice delle sole feste doppie e semidoppie (a ciò si riferisce anche la "duplicazione"), un tempo le più importanti (ma, con la duplicazione selvaggia occorsa dal XVII secolo in poi, diventate quasi "ordinarie"). Il Caeremoniale Episcoporum dice esplicitamente che "i primi Vespri sono più solenni dei secondi". Nel 1962 la quasi bimillenaria tradizione dei primi Vespri (la preghiera vespertina è la più antica della Chiesa) è distrutta per la maggior parte delle feste.

23 novembre - S. Clemente I, Papa e martire
Doppio

Anche nella festa odierna emergono i medesimi caratteri di romanità della festa di S. Cecilia, per cui possono valere le medesime considerazioni, anche se le antifone proprie qui riguardano solo Lodi e Vespri, e non il Mattutino.

La festa inizia al Vespero del 22 novembre, terminata la salmodia: si cantano il capitolo e l'inno Deus tuorum militum dal comune, e l'antifona propria al Magnificat Oremus omnes. Dopo l'orazione di S. Clemente, è cantata la commemorazione della precedente festa di S. Cecilia, con l'antifona propria Virgo gloriosa; quindi, la commemorazione della seguente festa di S. Felicita, martire.

La Compieta è della feria.

Il Mattutino della festa prevede tre notturni: in essi, dopo l'inno e l'invitatorio del Comune, vengono cantati i salmi e le antifone della feria, duplicate. Le letture del I Notturno sono tratte dalla Scrittura del giorno occorrente; quelle del II contengono l'agiografia di Clemens, Romanus; quelle del III Notturno sono il Vangelo secondo Matteo 24,42-47, la rispettiva omelia tratta dal Commentario di S. Ilario, e un sermone di S. Gregorio Magno pro S. Felicitate. Proprie sono le antifone delle Laudi, accompagnate dai salmi festivi, mentre il capitolo e l'inno Invicte Martyr sono tratti dal Comune delle Vergini; l'antifona al Benedictus è invece propria, Cum iter. Dopo l'orazione del santo papa, è commemorata la martire Felicita.

Alle ore minori si dicono antifone e salmi della feria.

Dopo Terza, si canta la Messa, che prevede numerose parti proprie. Il Vangelo, il già citato Matteo 24,42-47, più che all'agiografia del Santo, si lega simbolicamente a questi giorni finali dell'anno, in cui anche l'ordinamento delle domeniche spinge i fedeli a considerare l'Ultimo Giudizio, ben ammonito qui: Vigilate, quia nescitis qua hora Dominus vester venturus sit.

Il Vespro del 23 novembre si conforma all'ordinamento della tradizione romana: la prima parte, ovvero la salmodia, è propria della festa precedente (in questo caso, i salmi festivi 109, 110, 111, 112 e 115, con le antifone proprie); dal capitolo in poi, si celebra la festa seguente di S. Giovanni della Croce, con capitolo e inno Iste confessor tratti dal Comune. Dopo l'orazione del confessore carmelitano, sono cantate le commemorazioni della precedente festa di S. Clemente, con l'antifona propria Dedisti Domine, e del martire aquilejese S. Crisogono.

Rispetto ai libri liturgici precedenti le differenze riguardano le Ore minori e la Compieta (come già detto per ieri), e soprattutto il Mattutino: tradizionalmente si cantavano i salmi e le antifone dal Comune dei Martiri, e le letture proprie del I Notturno. La festa di S. Giovanni della Croce è stata iscritta nel Calendario nel 1738, venendo a oscurare la festa del grande martire S. Crisogono, tradizionalmente celebrata in questo 24 novembre: persino lo Schuster lamenta che questi "santi nuovi", festeggiati anomalamente col rito doppio, finiscono per oscurare le antiche feste dei campioni della Fede, celebrate sin dai primi secoli.

Nelle rubriche del 1962 la festa è iscritta come "di III classe". Si mantengono almeno le antifone proprie e persino i salmi festivi in loro accordo alle Lodi e ai Vespri. Il Mattutino, coi salmi e le antifone della feria, è ridotto a un solo notturno, con le prime due letture dalla Scrittura occorrente e la terza contenente un'agiografia ridotta: nulla si fa dunque in esso di S. Felicita. L'orazione del santo non è più quella propria, di composizione antichissima: è sostituita dalla Gregem tuum, orazione "papista" dal Comune dei Sommi Pontefici, introdotto anomalamente e contro la tradizione da Pio XII (vedasi qui). Questo Comune invade tutta la messa: a parte l'introito proprio Dicit Dominus, tutto è stralciato e sostituito dalle parti di questo Comune. Persino il Vangelo, di cui si è spiegato l'importantissimo e antichissimo senso escatologico, è espropriato e sostituito dal Vangelo del Tu es Petrus, che anticamente mai spettava alle feste dei Papi, liturgicamente considerati come tutti gli altri Vescovi (e questo dovrebbe dirci molto sull'interpretazione tradizionale di quel passo evangelico e del primato romano...). Il Vespro è cantato tutto come secondo Vespro di S. Clemente, per il motivo già discusso ieri: ma l'indomani si celebra comunque la recenziore festa di S. Giovanni della Croce, e solo commemorato è S. Crisogono.