lunedì 23 novembre 2020

Il vergognoso attacco dei media italiani alla Chiesa Serba

 Non è consuetudine di questo sito occuparsi di attualità e, più in generale, di quanto esula dal tema della liturgia. Avremmo avuto molte cose da dire sull'epidemia che da quasi un anno attira l'attenzione di tutta l'opinione pubblica, anche sui suoi risvolti teologici ed ecclesiologici, dalle parole profetiche del metropolita Agostino Kantiotis di beata memoria al canone 62 del Concilio di Trullo che vieta di portare maschere in chiesa. Non lo si è fatto perché non si sono ritenute queste cose competenti alla nostra testata; ora tuttavia l'ascesa al pubblico dibattito, ma si potrebbe dire al pubblico e calunnioso ludibrio, di un fatto riguardante prettamente la Chiesa, merita di essere commentato.

Non sono uso leggere i giornali italiani né tantomeno ascoltare i telegiornali, e ho pertanto appreso solo da un messaggio di un sacerdote italiano del Patriarcato di Mosca che il telegiornale del primo canale qualche giorno fa aveva trasmesso un raffazzonato e impreciso servizio in occasione della dipartita del Patriarca di Serbia Ireneo. Cercando online, ho potuto confrontare una serie di articoli delle testate "giornalistiche" italiane, che anziché comunicare asetticamente un necrologio dello scomparso protogerarca (non si chiede loro un encomio, che riservano a personaggi di levatura ben più dubbia, ma sicuramente non al gerarca di una chiesa cristiana) una serie di accuse ingiustificate, che si possono ben configurare non solo come un attacco alla Chiesa Serba, ma a tutta la Chiesa Ortodossa.

I funerali del metropolita Amfilochio

L'articolo più "esaustivo" è quello pubblicato sul Corriere della Sera online, quasi riassumendo tutte le infamie raccolte da altre testate. Si parte dalla denigrazione di quel grande e coraggioso uomo di Dio che è stato il metropolita Amfilochio del Montenegro, addormentatosi in Cristo all'inizio di questo mese, etichettato come "negazionista" (parola desemantizzata molto di moda di questi tempi) per aver affermato, secondo quello che da sempre insegna la Chiesa, che "In attesa del vaccino abbiamo i pellegrinaggi, il Vaccino di Dio". Si noti che Sua Eminenza non ha parlato contro i vaccini, e nemmeno contro questo specifico vaccino: si è limitato a ribadire l'ovvio, cioè che l'arma più efficace che i Cristiani hanno contro qualsiasi sciagura è la preghiera e la supplica della misericordia divina; tuttavia, pare che appellarsi a qualcosa che differisca dalle indicazioni dogmatiche della suprema religione mondiale de LaScienza™ sia sufficiente ad attirarsi il discredito dei mezzi di propaganda e l'infamante epiteto di "negazionista". Bisognerebbe invece ringraziare Iddio che in qualche parte del mondo i Cristiani non hanno deciso di posporre l'acqua santa al gel sanitizzante. Qualche giorno fa, aspettando l'inizio del Vespro dei Santi Arcangeli (8/21 novembre), una signora russa mi manifestò il suo sconcerto nell'aver appreso che per la festa della Madonna della Salute (21 novembre), nella quale si rinnova annualmente il voto grazie al quale Venezia fu scampata dalla peste del 1630, non si sarebbero tenute pubbliche funzioni né si sarebbe realizzato il tradizionale ponte votivo. "Come sperano di allontanare la malattia se non credono più in Dio?" mi diceva. Ora, non si sa se la sospensione delle celebrazioni sia stata dovuta alle pressanti richieste di un pedante violoncellista veneziano (come questo farebbe credere in una delle sue ennesime lettere di protesta), ma certamente la "concertazione" tra Comune e Patriarcato vantata dai comunicati non può che dar ragione ai timori della pia donna russa: per il clero e i laici, ciò che salvò Venezia dalla peste non potrà salvarla da un'influenza aggressiva, anzi al contrario è da vietarsi.

Tornando alla materia del nostro intervento, i media, non prima di aver strumentalmente ricordato che il metropolita sarebbe stato pure colpevole di essere il confessore del controverso agente Ražnatović, passano a caratterizzare i funerali del metropolita Amfilochio come un "maxi-focolaio", in cui i fedeli "senza mascherina" e "baciando la salma". So bene che per un mondo cattolico che non crede che la grazia protegga la Divina Comunione dal contagio ed esorta a distribuirla con degl'indegni guanti di plastica sia molto difficile comprendere che la tradizione dei Padri insegna che la grazia protegge e si trasmette anche baciando le icone, le reliquie e i corpi che di questa grazia si sono fatti ricettacoli. Tuttavia, anche mettendo da parte una questione teologica che recentemente il clero greco e russo ha particolarmente insistito nel ribadire, laddove non solo i vescovi "modernisti" ma finanche i commentatori "tradizionalisti" cattolici razionalisticamente la negavano, lo stesso articolo denigratorio ci offre dei dati interessanti per confutare l'accusa. Il Montenegro risulta essere sin dalla scorsa primavera "una polveriera di contagi", con un tasso altissimo di contagi per popolazione. Sul presunto focolaio, che secondo il Corriere potrebbe contare "migliaia di persone", non ci sono dati certi ma solo supposizioni e illazioni: lo stesso Patriarca Ireneo e il nuovo amministratore della diocesi montenegrina il vescovo Ioannichio, che sono poi risultati positivi, potrebbero essersi contagiati in molteplici altre occasioni, se la circolazione del virus è tale.


Un bel video "in memoriam" del Patriarca Ireneo

L'articolo non riserva particolari parole per la scomparsa del Patriarca Ireneo, nemmeno per menzionare i dati provenienti dall'ospedale militare in cui egli era ricoverato, riportati dal sito patriarcale, che affermano come le condizioni al momento del ricovero fossero decisamente buone per l'età molto avanzata del protogerarca che aveva compiuto 90 anni a fine agosto, e che la morte sia avvenuta per insorte complicazioni cardiovascolari. Si limita a dire, non pago, che le sue "sfarzose" esequie, tenutesi nella meravigliosa cattedrale di San Saba recentemente completata a Belgrado e ospitante il più grande mosaico del mondo, sarebbero state un'altra occasione di contagio. Ma a essere particolarmente tragica è la conclusione: "In Montenegro le celebrazioni ortodosse, in cui tra l’altro i fedeli bevono vino consacrato da un cucchiaio comune, vanno avanti indisturbate e seguono la linea «negazionista» della Chiesa ortodossa serba, nonostante l’arresto — che si intendeva esemplare — degli otto vescovi a maggio".

Non è solo la denigrazione della Divina Comunione (passi ritenerla veicolo di contagio, visto che come detto lo pensano ormai quasi tutti i cattolici, ma si riconoscerà che le parole con cui è descritta sono a dir poco offensive), né la reiterata accusa di "negazionismo" a una Chiesa che cerca soltanto di compiere il suo dovere celebrando i divini uffici e supplicando la misericordia divina, in uno Stato che ha attuato delle forti politiche anticristiane, a partire dal sequestro di molte proprietà ecclesiastiche, contro le quali il metropolita Amfilochio aveva indefessamente lottato. Ciò che più stupisce è la giustificazione, se non l'incoraggiamento, ad atti criminali come l'arresto di vescovi, "rei" di aver celebrato i Divini Misteri rifiutando i divieti posti in violazione della libertà di culto e delle necessità spirituali del popolo. In Italia ci fu, e giustamente, una certa indignazione quando le forze dell'ordine irruppero nella chiesa ove un parroco stava adempiendo al suo ufficio e celebrando un funerale alla presenza di tredici persone; grande indignazione vi fu in Grecia, quando il metropolita Serafino di
Cerigo fu portato in questura (e poi rilasciato) per aver celebrato le funzioni della Domenica delle Palme a porte aperte e in presenza dei fedeli. Nei paesi tuttavia dove le forze anticristiane al governo possono agire con più sfacciataggine, si è giunti a conseguenze ben più gravi e ignobili, che è indegno veder difese e anzi lodate dalla stampa nostrana.

Restando vicini alla Chiesa Serba per questo vergognoso attacco, al Patriarca Ireneo, al metropolita Amfilochio, al vescovo Teofane di Kazan (Russia) e al vescovo Barnaba di Salamina (Cipro), recentemente scomparsi: Æterna memoria! Αἰωνία ἡ μνήμη! Bѣ́чнаѧ па́мѧть!

P.S. Apprendiamo che il 91enne Arcivescovo di Tirana, Anastasio, anch'egli ricoverato e positivo al coronavirus, è stato oggi dimesso dall'ospedale. Deo gratias.

venerdì 20 novembre 2020

In festo Praesentationis B. Mariae Virg.

Σήμερον τὰ στίφη τῶν Πιστῶν συνελθόντα, πνευματικῶς πανηγυρίσωμεν, καὶ τὴν θεόπαιδα Παρθένον καὶ Θεοτόκον, ἐν Ναῷ Κυρίου προσαγομένην, εὐσεβῶς ἀνευφημήσωμεν·τὴν προεκλεχθεῖσαν ἐκ πασῶν τῶν γενεῶν, εἰς κατοικητήριον τοῦ Παντάνακτος Χριστοῦ, καὶ Θεοῦ τῶν ὅλων, Παρθένοι, λαμπαδηφοροῦσαι προπορεύεσθε, τῆς Ἀειπαρθένου τιμῶσαι, τὴν σεβάσμιον πρόοδον, Μητέρες, λύπην 
πᾶσαν ἀποθέμεναι, χαρμονικῶς συνακολουθήσατε, ὑμνοῦσαι τὴν Μητέρα  τοῦ Θεοῦ γενομένην, καὶ τῆς χαρᾶς τοῦ κόσμου τὴν πρόξενον. Ἅπαντες οὖν χαρμονικῶς, τὸ χαῖρε σὺν τῷ Ἀγγέλῳ ἐκβοήσωμεν, τῇ Κεχαριτωμένῃ, τῇ ἀεὶ πρεσβευούσῃ, ὑπὲρ τῶν ψυχῶν ἡμῶν.

Oggi noi, moltitudini di fedeli qui convenuti, celebriamo spiritualmente una solennità, e piamente acclamiamo la Vergine, figlia di Dio e Deipara, che viene condotta al tempio del Signore, la prescelta da tutte le generazioni,  per essere dimora di Cristo, Re e Dio di tutte le cose. O vergini, fate strada recando lampade, per onorare l’augusto incedere della sempre Vergine. O madri, deposta ogni tristezza, seguitela piene di gaudio, per celebrare colei che è divenuta Deipara, causa della gioia del mondo. Tutti dunque, insieme con l’angelo, con gioia gridiamo Salve alla piena di grazia, a colei che sempre intercede per le anime nostre.
(Doxastikon del Vespro, di Sergio Aghiopolita)


Come ogni anno, nella Festa della Presentazione della Beata Vergine Maria al tempio, la città di Venezia rinnova il suo voto solenne alla Madonna della Salute, per la cui benigna intercessione la città lagunare fu salvata dalla terribile epidemia di peste bubbonica del 1630-31.

L'icona della Μεσοπαντιτίσσα (o Μεσοϋπαπαντίσσα), la "Mediatrice di Pace",
giunta da Candia nel 1670 e venerata nella Basilica di S. Maria della Salute a Venezia.
Nel tondo si trova la scritta Unde origo, inde salus (Venezia "nacque" il 25 marzo, festa dell'Annunciazione, quindi ebbe la sua origine dalla Madonna, e in Ella avrà anche la sua salvezza).

Oratio.

Oremus. Deus, qui sanctam Dei Genitricem templum Spiritus Sancti post triennium in templo Domini praesentari voluisti: praesta quaesumus: ut qui ejus praesentationis festa veneramur: ipsi templum in quo habitare digneris efficiamur. Per eundem... in unitate ejusdem.
Oremus. Deus, cujus misericórdiae non est númerus, et bonitátis infinítus est thesáurus: piíssimae majestáti tuae pro collátis donis grátias ágimus, tuam semper cleméntiam exorántes; ut, qui peténtibus postuláta concédis, eósdem non déserens, ad praémia futúra dispónas. Per Dominum nostrum.

Preghiamo. O Dio, che volesti che la santa Genitrice di Dio, tempio dello Spirito Santo, fosse presentata nel tempio del Signore compiuti i tre anni: concedi, te ne preghiamo, che celebrando la festa della sua presentazione, siamo noi stessi resi un tempio in cui tu ti degni di abitare. Per il medesimo ... nell'unità del medesimo.
Preghiamo. O Dio, la cui misericordia è sconfinata ed infinito è il tesoro della cui bontà, ringraziamo la tua piissima maestà per i doni concessi, supplicando sempre la tua clemenza; affinché tu, che concedi ai postulanti quanto chiedono, non abbandonandoli li prepari ai premi futuri. Per il Signore nostro.

lunedì 9 novembre 2020

Note storiche circa il digiuno dell'Avvento

Nella tradizione orientale, l'Avvento, detto più comunemente Quaresima o Digiuno di Natale (Νηστεία Χριστουγέννων) non è un tempo liturgico vero e proprio. Solo le ultime due domeniche prima della Natività, rispettivamente la Domenica dei Progenitori e la Domenica pre-natalizia o "di tutti i giusti", hanno un tema direttamente collegato alla sopravveniente solennità; le domeniche precedenti completano il ciclo delle letture dal Vangelo di S. Luca che hanno caratterizzato l'ultima parte del tempo dopo la Pentecoste, solo aggiungendo al Piccolo Ingresso il kontàkion proeòrtion della Natività a partire dal 26 novembre (ossia da dopo l'apodosi della Presentazione della Deipara al Tempio, che come altre ottave "minori" della Madre di Dio dura solo quattro giorni). L'unica variazione liturgica che dovrebbe accompagnare questo tempo, poiché legata al digiuno, è la celebrazione della Grande Compieta, che tuttavia è decaduta dalla prassi, salvoché alla vigilia di Natale.

Nondimeno, un periodo di quaranta giorni precedenti la festa, stabilito come esatto parallelo temporale della Quaresima maggiore di Pasqua, è consacrato al digiuno preparatorio per accogliere la natività secondo la carne del Salvatore. Tale digiuno pare originato attorno al V-VI secolo, sebbene le prime testimonianze scritte si trovino soltanto negli scritti di S. Anastasio il Sinaita nel secolo successivo. Ancora Teodoro Balsamone, patriarca di Alessandria nel XII secolo, si riferisce a tale digiuno come "ἐπταήμερον", cioè "di sette giorni", ma è probabile si riferisca soltanto alla fase più intensa del digiuno, quella che inizia il 18 dicembre e fino al 24 richiede un regime pienamente quaresimale. Più leggera è la preparazione che va dal 15 novembre al 17 dicembre, durante la quale è permesso il pesce, tranne che il lunedì, il mercoledì e il venerdì (alla festa della Presentazione è sempre permesso). Questa regola, tuttavia, è contestata da taluni come una forma posteriore di alleggerimento del digiuno, volendo una supposta regola originaria solo la licenza d'olio tutti i giorni tranne che nei tre predetti, e il pesce solo nel σαββατοκυρίακον, un regime dunque pressoché quaresimale. In assenza di una legge definita, e venendo questi digiuni tramandati per via consuetudinaria e spesso in versioni differenti, non siamo in grado di stabilire quale di queste posizioni sia quella storicamente provata.

Il digiuno, ad ogni modo, inizia il 15 novembre, festa di S. Filippo Apostolo nel calendario greco, ed è per questo popolarmente detto "Quaresima di S. Filippo".

La Natività di Cristo
(Ὡρολόγιον Μέγα διορθωθὲν παρὰ Γεωργίου Κωνσταντίνου, Venetia, Theodosiou, 1764)

In Occidente abbiamo testimonianze del digiuno avventizio a partire dalla stessa epoca e della stessa durata. S. Gregorio di Tours, che scrive alla fine del VI secolo, riferisce che il vescovo della sua stessa sede S. Perpetuo, vissuto circa un secolo prima, prescriveva il digiuno, ovvero l'astinenza dai prodotti di origine animale e il consumo di un solo pasto, il lunedì, il mercoledì e il venerdì di ogni settimana a partire dalla gran festa di S. Martino (11 novembre). Tale regola è confermata dal can. 9 del Concilio di Mâcon, che aggiunge la prescrizione di celebrare il Divin Sacrificio ritu quadragesimali nello stesso periodo. I Capitolari carolini, le Institutiones di Rabano Mauro, i diplomi del re longobardo Astolfo e molte altre fonti confermano che nell'VIII secolo la prassi era universalmente diffusa in Occidente, con minime variazioni sulla data d'inizio, che sovente era fatta coincidere con una grande festa locale che cadesse intorno a quei giorni di novembre.

La nascita di tale digiuno è, si noti, completamente indipendente dall'istituzione dell'Avvento come tempo liturgico, cioè come complesso di ufficiature proprie, che, a Roma, è istituito secondo la tradizione per volontà di S. Gregorio, dalla durata di quattro o cinque settimane. La non originarietà di questo tempo si può intuire dall'apparente continuità del ciclo di lezioni evangeliche tra la fine del tempo dopo la Pentecoste e l'inizio dell'Avvento. Se altre comunità locali, come la Chiesa Ambrosiana, mutuarono il concetto di "tempo d'Avvento" applicandolo alla durata del digiuno, e dunque facendo iniziare digiuno e tempo liturgico dalla domenica successiva alla festa di S. Martino, il contrario avvenne nella Chiesa Romana, dove la lettera di Papa Niccolò I al Khan Boris dei Bulgari (867) attesta un digiuno di sole quattro settimane. Questo rilassamento non pare tuttavia generalizzarsi, sendoché nell'XI secolo due insigni testimoni ci attestano la prosecuzione dell'uso antico, uno letterario, e cioè gli scritti di Pier Damiani, e uno documentario, ossia il Kalendarium Venetum XI saeculi, che fissa l'initium Quadragesimae al 6 novembre, giorno in cui la Chiesa Veneta faceva memoria del grande martire tessalonicese S. Demetrio. A un rilassamento più grave tuttavia va incontro questa prassi ascetica nei secoli del basso Medioevo occidentale, dove i concili tedeschi del XII secolo (particolarmente Selingstadt nel 1122) sembrano suggerire che il digiuno fosse diventato obbligatorio soltanto per i chierici; e, se una diffusione generale del digiuno in Italia e Francia è attestata nel secolo seguente da Papa Innocenzo III e dal Rationale divinorum officiorum di Guglielmo Durando, nel XIV secolo la restrizione dell'obbligo digiunale ai soli chierici della corte papale, senza vincolo alcuno per gli altri chierici e i laici, è sancita definitivamente da una bolla di Urbano V datata 1362.

In conclusione, essendo la Veneta Chiesa già entrata nel suo digiuno da pochi giorni, e apprestandosi a farlo anche le altre chiese d'Occidente e d'Oriente che seguono la tradizione ascetica antica e ne rigettano l'oblio bassomedievale, non ci resta che augurare a tutti copiosi frutti d'ascesi e penitenza in vista della gran festa della Natività del Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo secondo la carne.


Bibliografia:
S. KOUTSA, Ἡ νηστεία τῆς Ἐκκλησίας, Athina, Apostolikì Diakonia, 2007, pp. 88-92
P. GUERANGER, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 21-26
S. BORGIA, Kalendarium Venetum saeculi XI ex cod. ms. membranaceo Bibliothecae S. Salvatoris Bononiae, in Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, II, Romae, apud Gregorium Settarium, 1773, p. 465. 

lunedì 2 novembre 2020

L'assoluzione al tumulo secondo l'uso del Patriarcato delle Venezie

Nell'odierna commemorazione dei fedeli defunti, mettiamo a disposizione dei nostri lettori il testo dell'assoluzione al tumulo secondo l'uso del Patriarcato di Venezia. Tale rituale, sviluppatosi in autonomia nella città lagunare (la chiesa madre di Aquileia utilizzava infatti un rituale a sua volta diverso), restò in uso fino a tutto il secolo XIX almeno, comparendo in appendice ai Breviari stampati nella città lagunare, e venendo il suo uso, in luogo dell'assoluzione "romana" con il Libera me, attestato in quel secolo medesimo dal padre Giovanni Diglich (Rito veneto antico detto patriarchino, Venezia, Rizzi, 1823, p. 26). Il testo, con le rubriche "integrate" rispetto alla loro scarna forma cinquecentesca utilizzando per modello quelle dell'ultima edizione del Messale Romano (1920), e la notazione del responsorio sono tratti dall'edizione Ravani, impressa a Venezia nel 1554, del Sacerdotale juxta S. Romanae Ecclesiae et aliarum ecclesiarum <ritum> di Alberto Castellano, e si riferiscono al rito di assoluzione da compiersi nel settimo, trigesimo e anniversario dei defunti; il rito funebre praesente cadavere presenta dei testi ancora diversi, sempre riportati dal Castellano.

Durante la messa solenne da morto seguita dall'assoluzione al tumulo, dopo aver cantato il Postcommunio, nell'uso veneziano il celebrante si voltava verso il tumulo e pronunciava la seguente orazione:

Adesto, quaesumus, Domine, supplicationibus nostris; et pias aures tuas ad preces nostras inclinare digneris: ut nos de throno majestatis tuae clementer exaudias, et orationem famulatus nostri dignanter admittas. Te invocamus, Domine sancte, Pater omnipotens, aeterne Deus, pro anima famuli tui N. quem (hodierna die) de hac luce vocare dignatus es; ut jubeas ei praeparari paradisi tui loca virentia; non exurat eum flamma ignis crudelis gehennae, quia propterea Dominus noster Jesus Christus Filius tuus in ligno Crucis, sub Pontio Pilato, pati dignatus est: ut animas, quae per Adae transgressionem perierant, sua sancta Resurrectione, ab inferis claustris liberaret. Confundantur ergo gehennae janitores, et ministri nequitiae erubescant. Deducant eam Angelicae Potestates in sinu Patriarcharum Abrahae, Isaac et Jacob patrum nostrorum, consequatur a tua potentia paratam electis jucunditatem, et a dextris hereditate adepta laetetur: ut cum dies illa tremendae agnitionis tuae advenerit, una cum sanctis et electis tuis, qui tibi placuerunt, resurgere mereatur ad indulgentiam, non ad poenam. Et animam illam, quam fontis unda perfudit et chrisma salutis inunxit, non sinas flammarum ardoribus cruciari, nec peccatorum vinculis alligari, sed liberam redde Paradiso tuo; per indulgentiam pietatis tuae, quia tuam clementiam, dum in hoc saeculo constitit, non negavit. Per Christum Dominum nostrum. Amen.
V. Requiem aeternam dona eis, Domine.
R. Et lux perpetua luceat eis.
V. Requiescant in pace.
R. Amen.
V. Animae omnium fidelium defunctorum, per misericordiam Dei, requiescant in pace. Amen.

Quindi proseguiva con la lettura del Vangelo di S. Giovanni, e poi all'assoluzione (da Missae in agenda defunctorum, Venetiis, Balleoni, 1704).

N.B.: Le scansioni delle pagine seguenti sono protette da copyright; costituiscono inoltre una edizione operativa e provvisoria per l'uso nelle chiese, e non un'edizione critica né del testo né della musica.







sabato 24 ottobre 2020

Alcune note critiche sulla festa di Cristo Re

Ricorre oggi una festa molto amata dal mondo cattolico "tradizionalista", non solo perché coincidente con un noto pellegrinaggio romano quest'anno (fortunatamente) annullato, bensì perché massima espressione della "dottrina sociale della Chiesa" molto in voga nel cattolicesimo del XX secolo: la festa di Cristo Re.

Non sorprende poi molto che i "tradizionalisti" insistano nel difendere una festa assolutamente recente, stabilita solo nel 1925 con l'enciclica Quas primas di Pio XI e del tutto priva di precedenti storici; né che essi se la prendano con la leggera traslazione di significato che questa festa ha avuto nella riforma di Paolo VI (spesso esemplificata nella cattiva traduzione italiana "Re dell'universo" per Rex universorum, a voler sottrarre il valore sociale da loro tanto amato). Purtroppo, un'analisi rigorosa della festa e dei suoi testi troverà ben pochi argomenti in difesa della stessa.

Partiamo dal fatto che l'identificazione di Cristo con un Re è assai presente nella Sacra Scrittura, dai salmi (pss. 92-98) al Vangelo, fino alla Lettera agli Ebrei. Tuttavia, Cristo stesso insiste ripetutamente nello spiegare che il suo regno non è di questo mondo: il Regno dei Cieli, il Regno di Dio, è una realtà totalmente altra rispetto a questo mondo, che il Cristiano deve far suo già in questo mondo ricercando la grazia, ma che resta comunque disgiunto e contrapposto alla dimensione terrena. Ciò non significa ovviamente che il Cristiano non debba curarsi del fatto che questo mondo segua, per quanto possibile, le leggi di Dio, ma nella consapevolezza che il mondo cui apparteniamo è un altro. Un punto fondamentale della contrapposizione tra giudaismo e cristianesimo nell'età apostolica fu l'interpretazione del Messia, dai primi come un re del mondo terreno, dai secondi come il Re celeste della pace. Certamente l'onnipotenza di Dio comporta il suo essere sovrano di tutte le cose, anche di questo mondo, ma sempre in una prospettiva ultramondana che è fondamentale nel Cristianesimo. L'icona tradizionale (sopra) di Cristo Βασιλεὺς Βασιλέων καὶ Μέγας Ἀρχιερεύς (Re dei Re e Sommo Sacerdote) rappresenta il Salvatore nelle vesti liturgiche, di un'azione mistica che punta a distaccare dal mondo e proiettare nel Regno Celeste (e si appone peraltro sul trono del vescovo), per significare che la Sua regalità, pur estendendosi su questo mondo, è altra rispetto a questo mondo.

In secondo luogo, la Tradizione esalta la regalità di Cristo, anche nella sua dimensione di Signore d'ogni cosa, in ben tre feste: l'Epifania, la Crocifissione e l'Ingresso trionfale in Gerusalemme. In quest'ultima occasione, il prefazio di benedizione delle palme della tradizione romana (soppresso nel 1955) esprime molto chiaramente come tutte le potenze della terra siano soggette all'imperio sovraceleste di Cristo. Dunque, come già qualcuno rimarcò all'epoca di Pio XI, la Tradizione ha già i mezzi di onorare la regalità autentica di Cristo, senza bisogno dell'introduzione di una nuova celebrazione. Le feste predette, soprattutto, esprimono la regalità di Cristo nel contesto di un avvenimento storico, mentre la nuova festa di Cristo Re lo fa in modo astratto, come festa d'idea, che come abbiamo già spiegato conviene poco al culto cristiano (cfr. qui).

Un'icona che rappresenta insieme le tre feste della regalità di Cristo.
Si badi che la tradizione bizantina ricorda l'adorazione dei magi nel giorno di Natale, e non in quello della Teofania, laonde è spiegata la scelta della prima immagine.

In terzo luogo, la festa è, sin dalle sue origini più remote, ovvero da quando nel 1899 quarantanove vescovi, sollevati da p. Sanna Solaro SJ, scrissero a Papa Leone XIII per l'istituzione di una festa di tal schiatta, legata al culto del Sacro Cuore e alla consacrazione del genere umano al Cuore di Cristo. La polisemanticità del culto al Sacro Cuore, introdottosi pericolosamente da devozione popolare nella liturgia, alternativamente come una devozione eucaristica o una devozione doloristica della Passione, e successivamente conformatosi allo spirito popolare di culto sentimentalista e psicologista, assume qui una nuova forma che solleva non pochi dubbi. In tutta la messa e l'ufficio ricorrono numerosi i rimandi al Sacro Cuore, culto sconosciuto agli Apostoli, ai Padri e ai santi di quindici secoli, ed eppure divenuto in quei decenni il nuovo insostituibile centro della latria cattolica.

Dopo aver commentato l'idea della festa, veniamo alla festa in sé, a partire dai suoi testi e dalla sua collocazione. Si ordina di celebrarla in una domenica, appena 12 anni dopo una riforma che aveva combattuto per eliminare dalle domeniche quante più feste possibile. Nel 1955, per effetto delle nuove rubriche, la festa addirittura giunge a sopprimere interamente la domenica, annullandone la commemorazione e l'Ultimo Vangelo che prima, almeno, si conservavano. L'ufficio della V domenica di ottobre inizia nel 1925 il suo cammino verso la scomparsa. Le correlazioni cercate ex post con le letture del II Libro dei Maccabei che occorrerebbero questa domenica, oppure con la successiva festa d'Ognissanti, non paiono sempre convincenti.

Ai Vespri il capitolo, un passo della lettera ai Colossesi in cui san Paolo ricorda come la Risurrezione di Cristo ci abbia trasportati dal regno di questo mondo a quello sovraceleste e spirituale del Figlio, stride decisamente con l'inno di modernissima composizione che esalta Cristo come un imperatore del secolo. L'obiettivo dichiarato di Pio XI è combattere il secolarismo che nei primi decenni del Novecento aveva imperversato, ad esempio, in Spagna, Portogallo e Messico, portando agli eccessi una tendenza anticlericale già in voga da un secolo e mezzo in tutta Europa. Yves Chiron (Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2006) sostiene che Pio XI nell'introdurre questa festa fosse pure animato dal desiderio di contrapporsi ai totalitarismi: il che mi pare leggermente implausibile, dacché sia il totalitarismo sovietico (in piena guerra civile tra Stalin e Trotskij) che quello mussoliniano (la proclamazione delle leggi fascistissime sarebbe iniziata pochi giorni dopo l'enciclica) erano appena agli albori, e il resto d'Europa era lungi dal conoscerli. Sicuramente l'idea totalitarista era molto in voga nelle teorie filosofiche e politiche dell'epoca, ma è da dubitare che la Chiesa ne avesse compreso allora la pericolosità per sé. D'altro canto, anche ammettendo che al totalitarismo volesse opporsi, il compositore dell'ufficio da esso stesso era influenzato, poiché l'inno dei Vespri, piuttosto che riproporre un modello di monarchia d'ancient regime o il più tradizionale impero cristiano, presenta Cristo come il capo di uno stato totalitario, che deve sottomettere i ribelli, arbitrare sulle menti e sui cuori, essere riverito da maestri e giudici e cantato da leggi e arti. Non manca un accenno ambiguo al concetto di patria, che per il Cristiano dovrebbe essere quella sovraceleste o - al più - l'Imperium christianum universale, e non lo stato-nazione ottocentesco come la lettera del testo sembra suggerire.

Sullo stesso tenore prosegue l'inno del Mattutino: Cristo jure cunctis imperat, e la felicità dei cittadini (altro termine ambiguo, che appare avere un senso ben diverso dal suo impiego in civium supernorum che si avrà alla terza benedizione del terzo notturno) è essere sottomessi alle sue leggi. Non sono i concetti a essere ripudiandi, quanto piuttosto il modo in cui sono espressi, che tradiscono una concezione decisamente secolare della monarchia di Cristo. Nel secondo notturno la consueta autoreferenzialità dei Papi di Otto-Novecento c'invita a leggere, anziché gli ammonimenti di un Padre della Chiesa, l'enciclica di Pio XI. L'inno delle Lodi sembra aggiustare il tiro rispetto ai suoi omologhi, e ricorda che nel regno di Cristo non sono la violenza e l'armi a trionfare, ma l'amore e la pace segnate dalla croce; tuttavia, non può mancare un accenno alla visione sociale della "buona famiglia" cattolica dove la gioventù è pudica e fioriscono le virtù domestiche. Cose molto belle, ma forse non proprio adatte a un inno che si canta in coro (pardon, vista l'epoca dovrei dire "che un prete legge distrattamente da un breviario") e che non ha lo scopo precipuo di essere un catechismo sociale.

Se la colletta e la segreta si mantengono abbastanza equilibrate, uno spirito di ardore crociato si ravviva nel Postcommunio. Nel Vangelo (Giovanni 18,33-37), Nostro Signore ricorda a Pilato che il suo regno non è di quaggiù: è da supporre che questa frase nella predica immediatamente seguente venisse non di rado ignorata, se non ribaltata. Il Prefazio, con un latino ampolloso e nient'affatto scorrevole, adopera verbose costruzioni per ricordare l'unzione regale del Messia e l'instaurazione del suo Regno eterno e universale. Prendere il prefazio delle Palme e trasporlo avrebbe - oltreché evitato la moltiplicazione dei prefazi che nel Novecento si era iniziata in modo contrario alla millenaria economia del rito romano - fatto la gioia di ogni latinista, non costretto a sentire lo stridente contrasto tra un mal riuscito stile classicheggiante di moda all'epoca e la contemporanea violazione delle norme grammaticali del latino ciceroniano.

E mentre il mondo cattolico "tradizionalista" si prepara a difendere come ogni anno la sua festa degli anni '20, noialtri, affermando, come ogni domenica, nel verso di prostrazione delle Laudi (che poi è il prochimeno del Vespro del sabato sera nel rito bizantino) che "il Signore regna, si è rivestito di splendore", e chiedendogli come il Buon Ladrone che si ricordi di noi nel suo Regno sovraceleste ed eterno, ci prepariamo a celebrare il settimanale memoriale della Risurrezione riassumendo per la prima volta dal 27 settembre i paramenti verdi, e commemorando i santi martiri Crisanto e Daria, e i santi martiri Crispino e Crispiniano, resi arcinoti dalla battaglia di Azincourt.

venerdì 16 ottobre 2020

Si è addormentato in Cristo il Metropolita Gennadio

Il Circolo Traditio Marciana si unisce al cordoglio per la scomparsa di Sua Eminenza Reverendissima l'Arcivescovo d'Italia e di Malta, il Metropolita Gennadio, occorsa questa mattina dopo un repentino peggioramento delle sue condizioni di salute, da qualche tempo instabili.

Il Metropolita Gennadio, in Italia dal 1970, è stato eletto Arcivescovo d'Italia nel 1996. Durante il suo episcopato, ha fondato oltre 50 parrocchie e 5 monasteri, e ha restaurato l'antico monastero di San Giorgio a Venezia.

Questo pomeriggio il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo ha offerto in suo suffragio un Trisagio nella Chiesa di S. Giorgio al Fanar a Costantinopoli (vedi). L'Arcidiocesi comunicherà prossimamente le informazioni per le esequie.

Αἰωνία ἡ μνήμη Αὐτοῦ!
Νὰ ἔχουμε τὴν εὐχήν Tου.

martedì 6 ottobre 2020

MEMOR ERO TVI JVSTINA VIRGO

7 ottobre - S. Giustina di Padova, vergine e martire

Nonis Octobris Justinae templa quotannis
   Sacra solent Veneti visere, Duxque Patres.
Namque die hac Urbi insignis Victoria, & Orbi
   Toti habita est semper gaudia summa ferens.
Lux fuit haec omni per tempora cuncta fideli
   Gloria, Laus, & honor, gratia, paxque salus.
Turcarum vires omnes depressit, & hostes
   Militibus paucis dextera Sancta Dei.
Idque pius nobis praesertim praestitit almae
   Virginis istius motus amore Deus.
Haec prece protetrix nostros miserata labores
   Sollicita, Christum flexit, ut ista duret.

Il sette ottobre, ogni anno, soglion visitare
   il sacro tempio di Giustina i Veneti, il doge e i senatori.
Infatti in questo giorno una insigne Vittoria si ottenne
   per la Città e per il Mondo intero, che sempre porta grandissime gioie.
Questa luce risplendé, in ogni tempo, per ciascun fedele,
   gloria, lode e onore, grazia, pace e salvezza.
Abbatté tutte le forze dei Turchi, e i nemici abbatté
   con pochi uomini la santa destra di Dio.
E questo ce lo concedé Iddio soprattutto
   perché commosso dall'amore di quest'alma vergine.
Ella, nostra protettrice, avendo avuto pietà delle nostre sofferenze,
   sollecita con la preghiera piegò Cristo, affinché si salvasse questa Repubblica.

Epigramma in distici elegiaci di Enrico Sottovelo, riportato dal Sansovino (F. SANSOVINO - G. MARTINONI, Venetia, città nobilissima et singolare, Venezia, Curti, 1663, pp. 514-515).

Paolo Veronese, Martirio di S. Giustina, 1570-75,
Galleria degli Uffizi (Firenze)

***

La festa di S. Giustina è una festa doppia, e il suo colore liturgico è rosso. Giustina era una cristiana della civitas romana di Patavium (Padova), convertita secondo la tradizione dal primo vescovo della città S. Prosdocimo (ma più probabilmente da un suo successore, visto che S. Prosdocimo visse tra il I e il II secolo) e martirizzata a fil di spada sul Ponte Corvo per ordine del prefetto Massimiano il 7 ottobre del 304, durante la grande persecuzione di Diocleziano. Nel corso del VI secolo il prefetto del pretorio Venanzio Opilione fece erigere un sacello sulla sua tomba, ove furono riposti anche il corpo di S. Prosdocimo e quello di un altro martire padovano di IV secolo di nome Daniele, e sopra il quale sarà eretta in seguito la maestosa basilica benedettina intitolata alla medesima santa. Il suo culto si diffuse rapidamente in varie zone dell'Italia settentrionale (è per esempio presente nella teoria delle vergini nei mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna), e anche a Venezia, ove il vescovo di Oderzo S. Magno (580-670), rifugiatosi nel territorio lagunare con i suoi fedeli, fece ivi erigere otto chiese, tra cui una dedicata proprio a santa Giustina, che gli era apparsa in sogno [1].

Il sacello di S. Prosdocimo nella cripta di S. Giustina. I corpi del santo vescovo e della santa martire si trovano nell'altare di destra. Si noti la forma arcaica della pergula.

L'attuale monumentale Basilica di S. Giustina vista dal Prato della Valle

La teoria delle Vergini a S. Apollinare Nuovo.
S. Giustina è l'ultima a destra.

Il 7 ottobre del 1571 la flotta della Lega Santa, di cui Venezia costituiva parte preminente, ottenne la vittoria su quella ottomana nella battaglia di Lepanto (Naupatto). Il trionfo fu attribuito alla benigna intercessione presso Dio della Madre di Dio (in cui onore una festa, detta "della Madonna della Vittoria", fu istituita la prima domenica di ottobre) e della santa che a Venezia si ricordava particolarmente quel giorno, e cioè S. Giustina, nominata pertanto patrona secondaria della città. In occasione della vittoria, infatti, il Senato Veneto deliberò: "Non arma, non duces, non virtus, sed Maria Rosarii victores nos fecit", ma d'altra parte fece coniare una moneta commemorativa (un'osella per la precisione) alla martire patavina, sulla quale in epigrafe era riportato un verso endecasillabo: MEMOR ERO TVI IVSTINA VIRGO, ovvero "Mi ricorderò di te, o vergine Giustina". E proprio per serbare la memoria della potente intercessione della santa, la Repubblica decretò il 7 ottobre "Festa di Palazzo", a cui cioè tutta la corte dogale e il clero urbano dovevano prendere parte, mentre, si noti, non era tale la festa della Madonna della Vittoria - o del Rosario come fu in seguito denominata - la prima domenica di ottobre [2]. 

La "Giustina" del 1574.
recto: MEMOR ERO TVI IVSTINA VIRGO.
verso: S(anctus)•M(arcus)•VENETVS ALOY(sio)•MOCE(nigo)
B(enedictus) * P(isani) [massaro]

Paolo Veronese, Allegoria della Battaglia di Lepanto, 1572-73,
Gallerie dell'Accademia (Venezia).
Si noti, in primo piano tra gli intercessori presso Dio, S. Giustina,
con in mano la spada simbolo del suo martirio.

La festa, di rito doppio, inizia ovviamente ai I Vespri la sera del 6 ottobre. Tutto si prende dal Comune di una Vergine Martire, eccetto l'orazione propria. Si cantano le commemorazioni del secondo Vespro della precedente festa doppia di S. Magno di Oderzo, della seguente festa di S. Marco Papa e martire e della seguente festa dei Ss. Marcello e Apuleio martiri. La memoria dei santi Sergio e Bacco,  tradizionalmente fissata il 7 ottobre, a Venezia è perpetuamente traslata al 12 dello stesso mese per poter godere di ufficio pieno, in quanto essi furono i primi titolari della Cattedrale di Olivolo (quella che poi, con la nuova dedicazione avvenuta nel X secolo, diverrà S. Pietro di Castello) [3].

Al Mattutino si cantano tre lezioni proprie nel II Notturno, nelle quali è raccontata la vicenda del martirio della vergine (IV-V lezione), e la storia delle sue reliquie (VI lezione). Ivi si menziona una pietra del ponte ove la santa subì il martirio, recante le impronte dei suoi piedi, che si trovava nella chiesa a lei dedicata a Venezia - secondo il Sanudo - sin dai tempi del doge Pietro Ziani (XIII secolo) [4]. La V lezione si chiude con le seguenti parole: Quem diem [Nonas Octobres] Virginis festum pia Respublica Veneta augustius celebra[ba]t ob victoriam Christianorum ad Echinadas insulas de Turcis ipso reportatam [5].  

Udita nella Ducale Basilica la Messa solenne (Loquebar) cantata da un Canonico, alla quale prendeva parte la Cappella Marciana, il Doge, insieme alla sua corte, alle Scuole, agli ordini religiosi, e al clero delle Nove Congregazioni, in solenne processione (probabilmente lungo il Rio della Pietà), portando i vessilli sottratti ai Turchi durante la battaglia, si recavano alla Chiesa di S. Giustina, ove veniva solennemente cantato il Te Deum, preceduto dall'antifona Exaudi nos [6].

La festa, pur essendo doppia, si conclude a Nona, poiché in serata si canta il Vespro della seguente festa della Dedicazione della Ducale Basilica di S. Marco, che è doppia di I classe con ottava, senza alcuna commemorazione.

***

Negli anni successivi alla caduta della Repubblica, la figura di S. Giustina iniziò a essere obliata dai Veneziani. Alla scomparsa della pubblica processione si aggiunse poco dopo la devastazione della chiesa ad opera di Napoleone, che la portò a essere sconsacrata nel 1810, trasformata in scuola militare nel 1844 (con conseguente distruzione del frontone della pregiata facciata in pietra d'Istria) e nel 1924 in liceo scientifico, intitolato al matematico veneto Giambattista Benedetti. Degl'interni dell'edificio nulla ormai rimane: allo scempio fu fortunatamente salvata l'insigne reliquia della pietra succitata, che fu posta nella vicina chiesa di S. Francesco della Vigna.



La chiesa di S. Giustina a Venezia rispettivamente in un'incisione del Carlevarijs del 1722; in una coeva del Lovisa; il resto della facciata ai giorni nostri (si noti la scritta "Liceo Scientifico" sopra la porta)

La memoria della santa scomparve definitivamente quando la riforma di Pio X assegnò al 7 ottobre la festa, sinora celebrata la prima domenica di ottobre, della Madonna del Rosario. Nel Proprium Officiorum pro Venetiarum Patriarchatu del 1915, curato dal Patriarca La Fontaine, che fu uno dei protagonisti della commissione piana di riforma del Breviario, la festa della santa patrona è infatti del tutto assente, pur non essendo stata formalmente rimossa dall'elenco dei patroni della città. A Padova, dove ella è pure patrona, la sua festa è osservata il 7 ottobre come doppia di II classe, con la traslazione al giorno successivo della Madonna del Rosario. Certamente però la riforma piana, e particolarmente la sua imprudente applicazione centralista a discapito del proprio locale in questo contesto, contribuirono a obliare una delle figure che per oltre due secoli a Venezia era stata ricordata coi massimi onori.

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NOTE

[1] Questa è la versione narrata dal Chronicon Gradense. Il Chronicon Altinate racconta invece che sarebbe apparsa al vescovo Mauro di Torcello.

[2] G. GALLICCIOLLI, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche, vol. II, Venezia, Fracasso, 1795, pp. 165-168

[3] Nel Kalendarium Venetum dell'XI secolo i santi Sergio e Bacco sono riportati al 7 ottobre insieme a S. Giustina (che è pure in seconda posizione). A quel tempo però, pur celebrata localmente, la santa non godeva del prestigio che acquisì in seguito nella Repubblica, e dunque era quasi certamente solo commemorata nella gran festa dei due soldati martiri. Cfr. R. D'ANTIGA, "Il Kalendarium Venetum XI saeculi. Influssi bizantini nella religiosità veneziana", in Thesaurismata 43 (2013), pp. 9-59.

[4] M. SANUDO, De origine, situ et magistratibus urbis Venetae, a cura di A. Caracciolo Arricò, Milano, 1980, p. 163.

[5] Il verbo è all'imperfetto nei Breviari stampati dopo la caduta della Repubblica, cfr. infra.

[6] F. SANSOVINO - G. MARTINIONI, Venetia, città nobilissima et singolare, op. loc. cit.; F. CORNER, Notizie storiche delle chiese e dei monasteri di Venezia e Torcello, Padova, Stamperia del Seminario, 1739, p. 38; J.W. GOETHE, Ricordi di viaggio in Italia, trad. it. A. Di Cossella, Milano, Manini, 1875, pp. 84-85.

domenica 4 ottobre 2020

Una inquietante "preghiera" papolatrica

di Luca Farina

In tempi di grande confusione circa la fede, si assiste sempre di più ad uno strano ed inquietante “scambio di ruoli” tra Dio e il Papa. Tutto ciò è pericoloso poiché mentre si riduce il Signore Onnipotente ad un semplice amico, o peggio un’entità astratta, al tempo stesso si eleva, in una strana theosis tutta compiuta dall’uomo e non dalla grazia, la figura del Sommo Pontefice. Ci si indigna, giustamente, nel vedere quello che accade in alcune chiese sudamericane in cui la statua di Papa Francesco viene incensata, mentre l’Augustissimo Sacramento viene trasportato su droni, e questo sentimento è compreso da molti “tradizionalisti”: ma a costoro farebbe lo stesso effetto se tutto ciò fosse stato fatto negli anni ’50 (l’età dell’oro per taluni) con Pio XII o nel 2007 con Benedetto XVI? Invero, la tendenza papolatrica non nasce certo nel 2013, ma è un insieme di tappe, di cui talune già sono state affrontate su questo blog (come l’introduzione del comune dei Sommi Pontefici nel 1942, vedasi qui). Proponiamo ora un caso interessante di una preghiera indirizzata a Pio IX, spesso esaltato dai “tradizionalisti” ma, purtroppo, vero riformatore in senso liberale della Chiesa.


Papa Pio IX durante una messa prelatizia

L’autore di essa fu il giornalista francese Louis Veuillot. Nacque a Boynes nel 1813 e, dopo una formazione cattolica e aver pensato anche di entrare in seminario, abbandonò la fede, per poi riacquistarla dopo un viaggio a Roma, nel 1838, in cui fu ricevuto da Gregorio XVI. Giunto su posizioni ultramontaniste, lavorò per il giornale Univers religieux, nel quale troviamo la preghiera in oggetto, scritta alla vigilia del Concilio Vaticano I.

A Pio IX, Pontefice Re

Padre dei poveri,
Datore dei doni,
Luce dei cuori,
invia il tuo raggio
di luce celeste!

Si notino le inquietanti somiglianze (addirittura riprese di epiteti!) con la sequenza di Pentecoste Veni, Sancte Spiritus, in cui il Divin Paraclito è appellato pater pauperum, dator munerum e Gli si chiede “reple cordis intima tuorum fidelium”. Insomma, Pio IX viene posto allo stesso livello dello Spirito Santo, secondo le dinamiche dell’ecclesiologia “trinitaria” [1], al posto del modello tradizionale sponsale paolino. Il Papa non viene più considerato, a livello di “narrazione”, come il primo custode della fede, ma come il sovrano in re spirituali (in concomitanza con la fine del potere temporale).

Non bisogna pertanto stupirsi del comportamento di coloro che reputano il Pontefice romano come una divinità e che accetterebbero anche una sua dichiarazione palesemente contraria agli insegnamenti del Vangelo, motivandolo con “L’ha detto il Papa!”. Ma il nostro Salvatore è Gesù Cristo od un uomo? Deve predicare la parola di Dio o la propria?

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NOTE 

[1] Pare che questo modello stia trovando un'inedita diffusione anche in Oriente, con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I celebrato dal suo fido scudiero Elpidoforo (Arcivescovo greco d’America) come “vicario del Padre”.

Bibliografia:

O’ MALLEY J.W., Vaticano I. Il Concilio e la genesi della Chiesa ultramontana, Milano, Vita e Pensiero, 2019

mercoledì 30 settembre 2020

N. Ghigi, N. Vadori, "I Santi e le loro feste"

Al presente link è possibile scaricare gratuitamente un opuscolo divulgativo sui Santi più importanti della tradizione cristiana occidentale (gli Apostoli, i Santi del Canone, i Santi delle Litanie e i Santi Ausiliatori). Pur trattandosi di una pubblicazione divulgativa, che tratta argomenti che dovrebbero essere noti a tutti i Cristiani, sappiamo bene che di questi tempi nulla è più certo, e dunque anche pubblicazioni le più semplici possono rivestire una certa qual utilità nella formazione. Alcune curiosità storiche, liturgiche, oppure inerenti al culto popolare e ai proverbi che ne derivano, possono poi costituire novità interessante e appassionante anche per la persona più formata e dotta. L'opera è stata redatta dal prof. Natale Vadori e dal presidente del Circolo Traditio Marciana Nicolò Ghigi, che ne ha curato particolarmente le note storiche e liturgiche e ha provveduto all'edizione.

Si legga di seguito la prefazione-presentazione curata dagli autori medesimi.

Chi frequenta una liturgia tradizionale e ha la grazia di vivere in luoghi che permettano una frequentazione quotidiana delle sacre cerimonie, ha l’opportunità di scoprire che pressoché ogni giorno ha una sua ricorrenza specifica, in cui è ricordato un certo santo o un mistero della vita di Nostro Signore Gesù Cristo o della Beata Vergine Maria. I santi vengono ricordati all’altare perché hanno avuto vite straordinarie, esemplari nel conseguimento della grazia divina, e per questo degne di essere perpetrate nella memoria e prese ad esempio.

Nel rito romano tradizionale, a differenza di quello riformato costruito con un antistorico ciclo pluriennale di lezioni volte a conseguire l'irrealizzato obbiettivo di offrire una panoramica dell'intera Scrittura al fedele, non vi sono letture proprie per ogni giorno dell'anno, bensì l'alternanza delle letture è data dalle celebrazione delle messe (proprie o dai Comuni) delle ricorrenze che quotidianamente si susseguono. Un fedele assiduo ha modo quindi di assimilare quasi senza accorgersi i brani evangelici più importanti e le ricorrenze dei santi, ripetuto tutto allo stesso modo, ogni anno, nello stesso giorno, con evidenti vantaggi per la memorizzazione e, dunque, l'interiorizzazione dei concetti. Come recita infatti l’adagio “Hai capito l’antifona?”, perché dall’incipit dell’antifona dell’introito si capisce subito a che messa ci si trovi.

È logico quindi che i giorni in cui siano commemorati i santi più importanti siano impressi nella memoria collettiva, i nomi dei santi siano divenuti quelli più comuni nei battesimi, almeno fino a tempi recenti, e così abbiano pure ispirato tutta una serie di proverbi popolari, perché il procedere delle stagioni era scandito dalle loro ricorrenze. I santi in questione non possono non essere che gli Apostoli e gli Evangelisti, i Santi invocati nel Canone della Messa, quelli delle Litanie dei Santi, solenni preci rogazionali e penitenziali cantate in occasioni particolari, e i Santi Ausiliatori, da invocare in caso di malanni specifici.

Acquisita quindi una certa padronanza del calendario liturgico tradizionale, ci si accorge però che oramai ha poco a che fare con quello moderno, perché nel Novus Ordo si sono aggiunti moltissimi santi, ben 482 proclamati dal solo Giovanni Paolo II, per giunta spostando o eliminando santi precedenti; si diventa però anche consapevoli che il calendario del 1962, adottato dalla maggior parte delle comunità che celebrano il cosiddetto Vetus Ordo, in realtà … è proprio del 1962. Solo pochi anni prima la sua composizione era abbastanza differente, e fu fortemente riformata tra il 1955 e il 1962; altri cambiamenti erano avvenuti agli inizi del secolo. Com'è noto, in alcuni luoghi si sta cercando di diffondere la conoscenza dei riti e del calendario anteriori alle riforme del secolo XX, e in ogni caso l’interesse ed il dibattito in merito è crescente. A questo punto, cercare semplicemente di avere, e offrire, contezza dei cambiamenti avvenuti, e delle differenze esistenti, non è cosa sciocca e peregrina, bensì un’esigenza pratica. Per tal motivo ci siamo dedicati alla presente compilazione, che volentieri mettiamo a disposizione di tutti nell'odierna festa di S. Girolamo, dottore della Chiesa, monaco, biblista e traduttore. Fu lui infatti a tradurre la Bibbia in latino, la Vulgata, e per questo divenne il protettore dei bibliotecari e dei traduttori. San Girolamo, inoltre, era Dalmata, e quindi c’è particolarmente caro provenendo anche noi dall’area veneta e friulana.

A breve il presente opuscolo verrà reso disponibile anche in ceco, francese e neogreco. Se qualcuno volesse poi provvedere a tradurre il vademecum in altre lingue, sarebbe certamente il benvenuto.

Ad majorem Dei gloriam!

Venezia - Praga,

li 30 settembre 2020,
S. Girolamo presbitero e dottore della Chiesa d'Occidente

Nicolò Ghigi e Natale Vadori

sabato 26 settembre 2020

Esaltazione della Santa Croce (calendario giuliano)

 

Salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici la tua eredità,
dona vittoria ai sovrani e per mezzo della tua Croce
custodisci il tuo popolo.

(Apolytikio della festa)


Δεῦτε Πιστοί, τὸ ζωοποιὸν ξύλον προσκυνήσωμεν, ἐν ᾧ Χριστὸς ὁ Βασιλεὺς τῆς δόξης, ἑκουσίως χεῖρας ἐκτείνας, ὕψωσεν ἡμᾶς εἰς τὴν ἀρχαίαν μακαριότητα, οὕς πρὶν ὁ ἐχθρός, δι᾿ ἡδονῆς συλήσας, ἐξορίστους Θεοῦ πεποίηκε. Δεῦτε Πιστοί, ξύλον προσκυνήσωμεν, δι᾿ οὗ ἠξιώθημεν, τῶν  ἀοράτων ἐχθρῶν συντρίβειν τὰς κάρας. Δεῦτε πᾶσαι αἱ πατριαὶ τῶν ἐθνῶν, τὸν Σταυρὸν τοῦ Κυρίου ὕμνοις τιμήσωμεν. Χαίροις Σταυρὲ τοῦ πεσόντος Ἀδὰμ ἡ τελεία λύτρωσις. Ἐν σοὶ οἱ πιστότατοι Βασιλεῖς ἡμῶν καυχῶνται, ὡς τῇ σῇ δυνάμει, Ἰσμαηλίτην λαὸν κραταιῶς ὑποτάττοντες. Σὲ νῦν μετὰ φόβου Χριστιανοὶ ἀσπαζόμενοι, τὸν ἐν σοὶ προσπαγέντα Θεὸν δοξάζομεν λέγοντες· Κύριε, ὁ ἐν αὐτῷ σταυρωθείς, ἐλέησον ἡμᾶς, ὡς ἀγαθὸς καὶ φιλάνθρωπος.

Venite fedeli, adoriamo il legno vivificante in cui Cristo, il Re della gloria, volontariamente stendendo le sue mani, ci ha innalzato all'antica beatitudine, noi che un tempo il nemico, depredandoci con il piacere, aveva resi estranei a Dio. Venite fedeli, adoriamo il legno mediante il quale siamo stati fatti degni di calpestare le teste dei nemici invisibili. Venite, famiglie tutte delle genti, onoriamo con inni la Croce del Signore. Ave o Croce, perfetto riscatto di Adamo caduto! In te i fedelissimi sovrani nostri hanno il loro vanto, poiché per la tua potenza sottomettono con forza il popolo ismaelita. Te ora con timore baciando, noi Cristiani glorifichiamo Iddio in te confitto, dicendo: Signore, che fosti crocifisso in essa, abbi misericordia di noi, poiché tu sei buono e filantropo.

(Poema dell'Imperatore Leone cantato durante la venerazione della Santa Croce)


La venerazione della Santa Croce al termine della Veglia di tutta la notte (Vespro e Mattutino)
Chiesa di S. Zan Degolà, Venezia, 13 (26) settembre 2020

С праздником!
Καλὴ ἐορτή!
Buona festa!