giovedì 1 aprile 2021

Monte Athos e vaccini anti-Covid: qualche appunto contro le mistificazioni

Recentemente, mi sono giunti alcuni messaggi esprimenti preoccupazione per l'aver letto che il Monte Athos avrebbe accettato la vaccinazione contro il Covid-19, pur con tutte le problematiche etiche già più volte da noi trattate e segnalate da diversi esponenti della gerarchia ortodossa, e pure da qualcuno di quella cattolica. Poiché le cose non stanno così, ma tali notizie rientrano in una campagna di disinformazione e condizionamento psicologico di massa che in Grecia prosegue come in Italia, cerchiamo di fare chiarezza.

Sabato 20 marzo, sul noto portale di notizie ecclesiastiche greche Romfea, veniva pubblicata la notizia, in realtà ripresa sine glossa da un articolo apparso sul quotidiano laico Makedonia, che 400 dosi del vaccino Pfizer sarebbero giunte nel Centro di pubblica sanità di Karyes, il principale centro abitato della Sacra Montagna, e ivi sarebbero stati vaccinati 36 monaci e diversi laici che lavorano a Karyes, nel porto di Dafni oppure alle dipendenze dei vari monasteri. Il quotidiano "Makedonia", con il consueto trionfalismo vaccinista della propaganda, annunciava che questo sarebbe il segnale che "Le iniziali riserve, i dinieghi, e persino le teorie complottiste [sic!] di alcuni [monaci] hanno ceduto il passo". L'unico nome rilevante tra questi monaci vaccinati, altrimenti anonimi, è l'igumeno Bartolomeo di Esphigmenou: notare che non si tratta del legittimo igumeno di Esphigmenou, la comunità "resistente" ormai da cinquant'anni isolata e perseguitata dal Patriarcato Ecumenico per aver sospeso la commemorazione liturgica del patriarca in seguito alle sue azioni ecumeniste e costretta a difendersi persino con le molotov dai soprusi della polizia, bensì di quello della "nuova" comunità di Esphigmenou, costituita da Bartolomeo di Costantinopoli col progetto di sostituire quella a lui sgradita, e che tuttavia non è riuscita a prendere possesso del monastero (ancora fortunatamente difeso con i denti dai suoi legittimi monaci), ma di fatto risiede a Karyes.

Lo stesso articolo di "Makedonia" suggeriva che tra i monaci vi fosse "un grande interesse" per il vaccino: pochi giorni dopo, il blog Bio-Orthodoxy, dedicato all'approfondimento (da vari punti di vista) dei rapporti tra Ortodossia e scienza moderna, arrivava a ipotizzare che fossero già state vaccinate oltre 500 persone tra monaci e lavoratori, e quasi 1000 monaci avrebbero espresso il loro interesse a essere vaccinati. La notizia si scontrava tuttavia con un dato palese, ossia il fatto che le dosi di Pfizer arrivate sono solo 400 (sufficienti dunque per 200 persone) e non sono previsti altri arrivi in futuro. Il giorno stesso, peraltro, il blog Romeikò Odoiporikò, ripreso pure dalla popolare agenzia stampa greca Pentapostagma, smentiva tutte queste falsità, e attraverso un'indagine condotta contattando direttamente un numero significativo di padri athoniti, stimava che degli oltre 2000 monaci che abitano la Sacra Montagna, meno di 300 (cioè meno del 15%) hanno dimostrato un qualche interesse alla vaccinazione: questo dato, peraltro, corrisponderebbe al numero di dosi inviate, che evidentemente tenevano conto di un sondaggio simile, seppur non reso noto a priori. Recentemente infatti, Athanasios Martinos, il governatore deputato dallo Stato Greco al Monte Athos, ha dichiarato che l'interesse per il vaccino presso i monaci è decisamente scarso.

A questo smascheramento dei report evidentemente di parte che trasmettevano numeri falsi, si è recentemente aggiunta una scioccante notizia, data dal deputato ellenico Kyriakos Velopoulos, presidente del partito conservatore-tradizionalista d'ispirazione ortodossa "Ellinikì Lysi" (Soluzione Greca), tramite la sua pagina Facebook: "Sul Monte Athos sta avvenendo un'iniquità, ricattano i monaci per farli vaccinare, volenti o nolenti. Vengono minacciati di essere cacciati". Velopoulos afferma di esser stato informato di ciò direttamente da alcuni gherontes athoniti, e che riferirà al più presto in parlamento riguardo questi fatti incresciosi.

Ricordiamo che alcuni degli esponenti di maggior spicco della comunità athonita hanno pubblicamente parlato contro il vaccino anti-Covid: il padre Partenio, igumeno del monastero di San Paolo (del quale è monaco sin dal 1954), durante il pranzo di Natale il 7 gennaio scorso ha dichiarato che non darà a nessuno dei suoi figli spirituali la benedizione per farsi il vaccino; lo ieromonaco Eutimio, della kalyva della Risurrezione entro il complesso abbaziale di Kapsala, sin dallo scorso anno ha messo in guardia i fedeli dai vaccini, per i loro gravi effetti collaterali sul corpo e sull'anima; il gheron Gabriele del kellì di San Cristodulo di Patmo entro il complesso abbaziale di Koutloumousiou; il gheron Paolo dei Vouleftiria (eremitaggi siti in una zona desertica del Monte Athos), MD in Biologia Molecolare e Biomedicina; e molti altri. Durante il sondaggio condotto da Romeikò Odoiporikò, molti monaci hanno espressamente dichiarato: "Mi rifiuto di diventare un porcellino d'india" (la nota cavia domestica, ndr). Altri hanno fatto notare come, su una popolazione generalmente anziana come quella dell'Athos, nondimeno il tasso di contagio è stato relativamente basso, con un numero minimo di ospedalizzazioni e di decessi (in alcuni monasteri, come Karakallou, Dochiariou, Konstamonitou, Zoografou etc., pare di fatto essersi raggiunta un'immunità di gregge naturale). Il monastero di Vatopedi, infine, ha ripetutamente segnalato come il vaccino "Pfizer" sia inappropriato dal punto di vista etico, e ha istituito una propria commissione medica per la valutazione indipendente di alternative.

Le false notizie riportate da portali e quotidiani rientrano in uno schema di delazione e condizionamento psicologico per cui si vorrebbero vincere le giuste resistenze di molti fedeli ortodossi alla vaccinazione facendo loro credere che le loro guide spirituali l'avrebbero accettato.

Contemporaneamente, sul fronte delle altrettanto blasfeme "misure di contenimento", si segnalano le dichiarazioni del Metropolita Serafim di Cerigo, che durante la predica del secondo Vespro compuntivo alla sera della scorsa Domenica dell'Ortodossia (21 marzo) ha dichiarato "nuova iconoclastia" ed eresia contro la santità del Tempio l'opinione espressa da molti che non si possano baciare le icone, o lo si debba fare con la maschera, perché potrebbero trasmettere il virus. Lo stesso è stato recentemente ribadito da una lettera firmata dai gerarchi slovacchi Rastislav, metropolita di Prešov, e Juraj, Arcivescovo di Michalovce e Košice. Nonostante le pressioni del mondo e le infiltrazioni dei traditori, la Chiesa e i suoi gerarchi più coraggiosi lottano strenuamente per la difesa della Tradizione ortodossa contro gli attacchi della "Νέα τάξις πραγμάτων".

sabato 27 marzo 2021

L'elogio funebre per santa Paola la Romana

di N. Ghigi

Il 28 marzo alcuni calendari secundum usum romanum pre-tridentini iscrivono la commemorazione della nostra beatissima madre Paola la Romana, donna di nobile famiglia romana che, una volta rimasta vedova, dedicò i suoi beni e la sua vita alla diffusione della dottrina cristiana, alla carità verso i poveri e all'orazione. Figlia spirituale di san Girolamo e sua mecenate durante il soggiorno romano alle dipendenze di Papa san Damaso, Paola lo seguì in Terra Santa nel 385 insieme alla figlia Eustochio (la destinataria della famosissima lettera 22 de virginitate di san Girolamo), ove fondò due monasteri presso la Grotta della Natività di Betlemme ed ella stessa divenne badessa di quello femminile, che resse per vent'anni vivendo in aspra penitenza, talché bene il Martirologio Romano la definisce metaforicamente longo coronata martyrio, fino alla morte occorsa il 26 gennaio del 406.

San Girolamo stesso compose l'epitaffio esametrico da porsi sulla tomba della santa monaca, sepolta entro la Grotta della Natività ove aveva trascorsi i suoi anni di ascesi: esso è quasi un raffinatissimo centone di citazioni e formule della tradizione poetica latina, con cui san Girolamo evidenzia l'origine altolocata di Paola, proveniente da una delle famiglie più antiche di Roma (seppure i critici ritengano che le discendenze citate siano esagerazioni), e tuttavia protagonista di una scelta radicale alla sequela di Cristo. L'epigrafe è andata materialmente perduta, ma la leggiamo nella trascrizione che il santo stesso fa nella sua lettera indirizzata ad Eustochio in occasione della morte della madre, al termine della quale, promettendole letteralmente un monumentum aere perennius (cfr. Hor. Od. iii, 30, 1), si rivolge direttamente alla defunta con queste parole:

Incidi elogium sepulcro tuo, quod huic volumini subdidi, ut quocumque noster sermo pervenerit, te laudatam, te in Bethlehem conditam lector agnoscat. Titulus sepulcri:

Scipio quam genuit, Pauli fudere parentes,
Gracchorum suboles, Agamemnonis inclita proles,
hoc iacet in tumulo: Paulam dixere priores.
Eustochiae genetrix, Romani prima senatus
pauperiem Christi et Bethlemitica rura secuta est.                5

et in foribus speluncae:

Respicis angustum praecisa rupe sepulchrum?
Hospitium Paulae est caelestia regna tenentis.
Fratrem, cognatos, Romam patriamque relinquens,
divitias, subolem, Bethlemitico conditur antro.
Hic praesaepe tuum, Christe, atque hic mystica Magi        10
munera portantes homini regique deoque.

Hier. Ep. 108,33


Ho inciso un elogio nel tuo sepolcro, che ho aggiunto a questa lettera, affinché ovunque giungano le nostre parole, il lettore riconosca che tu vi sei citata, che sei sepolta a Betlemme. Il titolo del sepolcro:

Colei che Scipione generò, cui diedero vita i genitori di Paolo,
progenie dei Gracchi, inclita prole di Agamennone,
giace in questo tumulo: gli antichi la chiamarono Paola.
La madre di Eustochio, colei che sedeva al primo posto del Senato Romano,
ha seguito la povertà di Cristo e i campi di Betlemme.

E alle porte della grotta:

Vedi l'angusto sepolcro nella rupe intagliata?
E' il luogo ove riposa Paola, che possiede i regni del cielo.
Lei che lasciò il fratello, i parenti, Roma e la patria,
le ricchezze e la prole, è sepolta nella grotta di Betlemme.
Qui vi è il tuo presepe, o Cristo, e qui vi sono i Magi
che portano mistici doni all'Uomo, al Re e al Dio.


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NOTE

Ed. di riferimento: J. Blaensdorf, Fragmenta poetarum latinorum epicorum et lyricorum praeter Enni Annales et Ciceronis Germanicique Aratea (= BT 1371), Berlin/New York, De Gruyter, 2011, p. 392.

1. Scipio quam genuit: Formula tipica dell'epigrafia funeraria (cfr. e.g. CLE 01276,1; 01320,2; Mart. Epigr. ix, 99, 4).

2. Della ricercatezza di proles e suboles parla Cicerone nel De Invent., iii, 36; per il primo, cfr. soprattutto Verg., Ecl. iv, 49: Cara deum suboles, magnum Iovis incrementum!; l'adonio finale inclita proles, di origine epica (cfr. Ilias latina, 248 e 520), ha largo impiego nella poesia latina (Ovid. Met. ix, 229; Val. Fl. Argon. iv, 549; Auson. Epitaph. xvii, 1; cfr. pure il simile duellica proles nel famoso verso di Lucrezio [Rer. Nat. ii, 662]).

3. Dixere priores: cfr. Verg. Aen. iii, 693; Ovid. Met. xv, 332; Fast. vi, 107; Pont. iii, 2, 45.

5. Bethlemitica rura: cfr. Manil. Astr. iv, 640 (Balearica rura) e 767 (Dorica rura); Lucan. Phars. i, 394; ii, 429 (Gallica rura); vii, 823 (Pharsalica rura); viii, 368 (Medica rura); ix, 130 (Nilotica rura); Sil. Ital. Pun. i, 46 (Celtica rura), xiv, 5 (Achaica rura); xv, 503 (Celtica rura); Auson. Urb. 114; Epist. xxiv, 72 (Aquitanica rura); Claud. Stil. cos. iii, 91; Goth. 296 (Gallica rura) e 365 (Norica rura).

6. Correggo in respicis la lezione despicis scelta da Blaensdorf, e perché supportata da un maggior numero di codici, e perché l'idea di sprezzo accolta dall'editore risulta controintuitiva per il lettore e non facilmente giustificabile dalla sola angustia del sepolcro. Caelestia regna tenentis dopo la cesura semiquinaria: cfr. Ov. Trist. ii, 19 (Theutrantia regna tenenti); Ibis 325 (Phylaica regna tenentem) e 343 (Rhodopeia regna tenenti), con l'ovvia idea di sublimazione di tale formula dai regni terreni ai ben più importanti regni celesti.

7. Patriamque relinquens: cfr. Ovid. Epist. vii, 115: Exul agor cineresque viri patriamque relinquo.

9-10. La lezione Bethlemitico dei codici realizza un cretico al quarto piede (ˉ˘ˉ), laonde Blaensdorf propone di sostituirla con Bethlemiti. Pure Măgi realizza un giambo in luogo dello spondeo finale; laonde Hilberg propone reges in sostituzione. Nonostante le oggettive difficoltà metriche, le lezioni alternative sono scarsamente convincenti.

11. Per restaurare la corretta lezione homini regique deoque, che esprime completamente il triplice simbolismo dei doni, è necessario tener presente che la basilica costantiniana recava una famosa immagine dei Magi recanti doni (cfr. B. Pixner, Paths of the Messiah. Messianic Sites of the Early Church from Galilee to Jerusalem, Ignatius Press, 2010, pp. 12-13), talché non si rende necessario integrare un verbo reggente come fece il Migne: hominique deoque dedere (PL 22:306).

venerdì 26 marzo 2021

Tempora e Tempura

di Luca Farina

La grande tradizione liturgica della Chiesa non è, come molti pensano, un patrimonio astratto; la liturgia non è qualcosa di lontano dalla vita quotidiana dei fedeli (come sostengono anche alcuni "tradizionalisti", la conseguenza pratica del cui pensiero è che l'esattezza delle rubriche sarebbe solo un di più, e come tali vengono disattese), ma è una realtà viva, un corpo vivo poiché celebra il Salvatore Teantropo. La liturgia, quindi, si irradia nella vita dei fedeli molto più di quanto potremmo immaginare.

L'aspetto che consideriamo oggi è quello gastronomico: parliamo di tempura.

Il piatto, noto a chi frequenta ristoranti giapponesi (il sottoscritto confessa di esserne un grande fan), consiste in una leggerissima frittura di verdure e gamberi, ma mai di carne o altri prodotti animali (1). Questa scelta degli ingredienti non è affatto casuale, se consideriamo che il termine nipponico "tempura" rievoca quello delle Tempora, che stiamo vivendo in questa prima settimana di Quaresima.

Questi giorni, infatti, sono caratterizzati, come ad ogni inizio di stagione, dal digiuno e dall'astinenza dalle carni e dai prodotti di origine animale. Secondo la tradizione, la presenza di un piatto simile nella terra del Sol Levante è da attribuirsi alle missioni cattoliche del Cinquecento: la nuova fede non toccava solo la preghiera, ma anche i singoli momenti di vita. I missionari (francescani, domenicani e gesuiti, formatisi proprio in quel secolo) giungevano spesso insieme ai portoghesi, che avevano creato numerosi basi commerciali nel Cipango (2). La predicazione, non sempre facile, porta molti giapponesi ad abbracciare la fede Cristiana e, pertanto, a celebrarla.

Il piatto sarebbe nato a Nagasaki, e consente di rispettare le norme del digiuno e dell'astinenza. Ancora oggi, infatti, questa frittura molto leggera è composta solamente da molluschi e vegetali.

Anche quando gustiamo la cucina tradizionale possiamo imparare qualcosa da quella che è la storia e la cultura che si forma a partire dalla nostra fede e dalla sua celebrazione, la santa liturgia.

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NOTE

1: in alcuni ristoranti americani è offerta anche la carne fritta con questo metodo, ma è una completa alterazione del senso originale

2: uno dei tratti peculiari della colonizzazione portoghese (almeno per quanto concerne l'inizio dell'età moderna) è, a differenza di Spagna e Inghilterra, lo stabilimento di basi commerciali al posto della conquista territoriale. Il modello sarà poi ripreso dagli olandesi.


giovedì 25 marzo 2021

MDC anniversario della fondazione di Venezia

XXV Martii CDXXI - XXV Martii MMXXI

In festo Annuntiationis B. Mariae Virginis
condita est sanctissima civitas Venetiarum,
sub patrocinio ejusdem Beatissimae Virginis
atque S. Marci Evangelistae posita.

VNDE ORIGO INDE SALVS


L'icona della Madonna Nikopeja, dipinta dall'Evangelista S. Luca
e custodita nella Ducale Basilica di S. Marco, con i gioielli originali
(oggi rimossi dalla sacra immagine e custoditi nel tesoro
della Basilica in seguito del tentativo di rapina del 1979)

mercoledì 24 marzo 2021

Il responsorio "Gaude Maria" al Mattutino dell'Annunciazione

℟. Gaude, María Virgo, cunctas hǽreses sola interemísti, quæ Gabriélis Archángeli dictis credidísti: * Dum Virgo Deum et hóminem genuísti, et post partum, Virgo, invioláta permansísti. ℣. Gabrielem Archangelum scimus divinitus te esse affatum: uterum tuum de Spiritu Sancto credimus imprægnatum: erubescat Judæus infelix, qui dicit Christum ex Joseph semine esse natum. ℟. Dum Virgo Deum et hóminem genuísti, et post partum, Virgo, invioláta permansísti. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. Dum Virgo...

℟. Rallegrati, o Maria Vergine, tu sola hai distrutte tutte le eresie, tu che prestasti fede alle parole dell'Arcangelo Gabriele: *  Vergine mentre generavi il Dio Uomo, e pure dopo il parto inviolata rimanesti. ℣. Sappiamo che dal cielo a te parlò l'Arcangelo Gabriele: crediamo che il tuo grembo fu reso pregnante dallo Spirito Santo: arrossisca il misero Giudeo, che dice che Cristo sarebbe nato dal seme di Giuseppe. ℟. Vergine mentre generavi il Dio Uomo, e pure dopo il parto inviolata rimanesti. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Vergine mentre...


Nell'odierna festa dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria, l'antica liturgia romana propone come settimo responsorio del Mattutino, da cantare nel terzo notturno dopo la lezione evangelica e la prima parte dell'omelia, questo lungo e suggestivo testo. Secondo la tradizione, tale responsorio fu composto, o per meglio dire improvvisato, in età carolingia da un cantore cieco del Pantheon, ovvero la Basilica di Santa Maria e di tutti i Martiri (Sancta Maria ad Martyres), proprio durante la celebrazione dell'Annunciazione. In quel giorno, infatti, alcuni Giudei si fermarono alle soglie del tempio mentre stava venendo officiato il mattutino, e iniziarono a pronunciare blasfemie contro la verginità perpetua e la divina maternità della Madonna. Al che il cantore, udite le loro bestemmie, improvvisò queste parole, magnificando la Deipara, che ha sconfitto tutte le eresie che ne negavano i doni offertile da Dio e da lei accolti nella sua perfettissima ascesi, affermando la fede cristiana nell'Annunciazione e ripudiando la menzogna giudaica. Terminato il canto, la Madre di Dio restituì miracolosamente la vista al suo servo devoto.

Il responsorio entrò allora a far parte del repertorio romano, proprio per la festa dell'Annunciazione, e in molti usi locali, di cui resta testimonianza negli uffici propri dei canonici regolari (poi confluiti pure nel breviario domenicano) e in parecchi di quelli monastici, fu pure esteso al Vespro della Purificazione della Madre di Dio (Presentazione di Cristo al Tempio), spesso accompagnato dalla prosa Inviolata in luogo della ripresa finale del verso Dum Virgo. Con la riforma tridentina, in un eccessivamente severo sfrondamento dell'ufficio romano da molti testi altomedievali che l'avevano arricchito nei secoli, il verso Gabrielem Archangelum, contenente la parte più "succosa" e la condanna dell'incredulità giudaica, fu eliminato dal Breviario Romano e sostituito dal verso del settimo responsorio del comune della Vergine: Beata es quæ credidisti: quia perfécta sunt ea, quæ dicta sunt tibi a Domino. Mentre il Breviario Benedettino fu adattato in questo al Romano da Paolo V, gli altri usi propri continuarono a tenere il verso originale fino alla riforma postconciliare, quando scomparve del tutto per ragioni di "politically correct". L'Antiphonale Monasticum edito da Solesmes nel 2005 (vol. III) riporta infatti il testo del responsorio con pretesa di averlo "restituito" rispetto alla banalizzazione tridentina, ma taglia il verso a impraegnatum, omettendo la parte meno gradita agli orecchi ecumenisti.

lunedì 15 marzo 2021

Note letterarie sulla prima stanza del Grande Canone di S. Andrea

Nella prima e nella quinta settimana della Grande Quaresima, dapprima diviso in quattro parti e poi tutto insieme, durante il suggestivo servizio della Grande Compieta, la Chiesa invita i fedeli a piangere i propri peccati con un meraviglioso e lunghissimo poema, il cosiddetto Canone di S. Andrea di Creta, composto dal vescovo di Gortina nella prima metà dell'VIII secolo.

Le prime due delle 250 strofe del Canone introducono l'argomento dell'intera opera, ovverosia il pianto che l'anima (cui è diretta l'allocuzione del poeta in moltissimi loci) è invitata a compiere dei peccati e delle trasgressioni della propria vita passata, meditando sulla punizione dei modelli negativi dell'Antico Testamento (Adamo caduto, Eva tentata, Caino, Lamech, Esaù...), dei quali si dichiara peggiore e pertanto più meritevole di condanna, e rimpiangendo di non aver imitato i modelli positivi (Abele, Noè, Abramo, Giuseppe...). Particolarmente, nella prima strofa, il poeta si chiede donde può iniziare a piangere i propri peccati, e invoca la misericordia divina e il perdono, che innumerevoli volte implorerà lungo il poema.

Πόθεν ἄρξομαι θρηνεῖν τὰς τοῦ ἀθλίου μου βίου πράξεις;
Ποίαν ἀπαρχὴν ἐπιθήσω, Χριστέ, τῇ νῦν θρηνῳδίᾳ;
Ἀλλ᾿ ὡς εὔσπλαγχνός μοι δὸς παραπτωμάτων ἄφεσιν.

Donde incomincerò a compiangere le azioni della mia miserevole vita?
Quale inizio porrò, o Cristo, al lamento che ora intono?
Ma tu, misericordioso, concedimi remissione delle mie mancanze.

La domanda retorica πόθεν ἄρξομαι nell'incipit della lamentatio, dotata di grande efficacia, non è certo un'invenzione del santo innografo, bensì ha un'ampia tradizione largamente presente in brani simili della tradizione letteraria greca classica e cristiana.

Ζεῦ Ζεῦ, τί λέγω, πόθεν ἄρξωμαι
Zeus, Zeus, che dire, donde potrei incominciare
(Eschilo, Coefore, 855)

Οἴμοι, τὶ φῶ δύστηνος; Ἄρξομαι πόθεν;
Ahimè, che dirò io sventurato? Donde incomincerò?
(Euripide, Ifigenia in Aulide, 442)

Νῦν δὴ μώνα ἐοῖσα πόθεν τὸν ἔρωτα δακρύσω;
Ἐκ τίνος ἄρξωμαι; Τίς μοι κακὸν ἄγαγε τοῦτο;
Or che son sola, donde mi metterò a piangere il mio amore?
Da dove potrei incominciare? Chi questo mal mi recò?
(Teocrito, Incantatrici [Φαρμακεύτριαι], 64-65)

Oltre alla poesia, l'incipit godé di una certa fortuna nella prosa retorica, ove il modello è platonico: Πόθεν οὖν δὴ ἅρξομαι καὶ τί πρῶτον ὑποθήσομαι; - Donde dunque incomincerò, e quale indizio porrò per primo? (Parmenide, 137b). Si noti che, benché le edizioni critiche moderne preferiscano volgere questi verbi alla prima plurale, la tradizione nota agli antichi li poneva al singolare, cfr. pure Proclo, In Platonis Parmenidem (ed. Cousin, Paris, 1867: 1031). 

Più di un Padre della Chiesa fa uso di quest'incipit nella propria omiletica, per esempio S. Gregorio Nazianzeno nella sua Oratio XXXII (PG 36:176 [1858]), e S. Giovanni Crisostomo nel De Poenitentia (PG 60:695 [1859]). In quest'ultimo si segnala la costruzione di una seconda interrogativa con ποῖος: Πόθεν οὖν ἄρξωμαι; ποῖον δὲ σφάλμα, ἢ ποῖον νόσημα προσαγάγω; (Donde potrei incominciare? Quale errore dunque, o quale infermità potrei addurre?).

Alcuni di questi passi erano sicuramente conosciuti da S. Andrea, che si era formato nella grande Lavra di San Saba, dotata di una ricca biblioteca, e successivamente era stato arcidiacono della Grande Chiesa a Costantinopoli, avendo dunque accesso ai tesori librari custoditi nella capitale dell'Impero. In particolare, mentre il verso eschileo (che probabilmente però funge da modello agli altri) è in un contesto più generico, sia il trimetro euripideo, posto nei primi versi del lamento di Agamennone, sia l'esametro teocriteo, posto all'inizio del lamento di Simeta, introducono un testo del medesimo tenore del Canone di pentimento; sicuramente noto era poi il modello prosastico del Crisostomo, sempre su un tema ad esso vicino. I vari modelli del topos riecheggiano nella mente dell'innografo, che li fonde nell'incipit di un capolavoro assoluto, sia a livello linguistico che contenutistico, della poesia religiosa mediobizantina.

Nota: Nelle edizioni del Grande Canone  il verbo ἄρξομαι è al futuro indicativo. I testi classici mostrati oscillano tra questa forma e l'aoristo congiuntivo ἄρξωμαι (perciò alcuni sono tradotti potrei incominciare anziché incomincerò). Tuttavia in tutti questi testi può essere normalmente letto al posto del congiuntivo il futuro, che del resto è la lectio facilior e pertanto la più diffusa nei codici. Per esempio, nei versi teocritei, il Gallavotti (dalla cui edizione critica [Roma, 1993] ho citato) sceglie la lezione ἄρξωμαι, riportata dal Laurentianus 32,16 (il famosissimo codice planudeo di poesia esametrica, copiato nel 1280) e soprattutto confortata da un frammentario papiro antinopolitano (Pap. Ant. 207) del V-VI sec.; tutta la restante tradizione manoscritta riporta il futuro. Simile discorso può valere per l'edizione di Page (Oxford, 1972) che ho preso a riferimento per le Coefore, mentre per l'Ifigenia la più recente edizione di Jouan (Paris, 1983) sceglie il futuro, contro la "classica" edizione del Murray (Oxford, 1902-13) che mette pur ivi l'aoristo congiuntivo. In definitiva, le due forme verbali, differendo per una sola vocale omofona, non hanno realmente un valore divergente.

giovedì 4 marzo 2021

Riflessioni morali circa i preparati vaccinali - Associazione "Testimonianza Ortodossa"

La prima pagina della lettera
alla Sacra Comunità Athonita
Diamo spazio a questa importante riflessione pubblicata già qualche mese fa dall'Associazione "Testimonianza Ortodossa", che tra le altre cose gestisce una casa editrice che ha pubblicato numerosi titoli di patristica e spiritualità ortodossa in italiano, di grande attualità nel momento presente. Nei giorni scorsi un testo simile, alla cui stesura ha collaborato la predetta Associazione, è stato diffuso dall'Associazione greca "IC XC NIKA", in forma di lettera diretta al Santo Sinodo di Grecia, al Santo Sinodo di Cipro e alla Sacra Comunità del Monte Athos, che tratta - oltre alla parte sui vaccini sostanzialmente simile a questa - pure delle "misure di contenimento del contagio", non di rado contrarie ai canoni e blasfeme, che in molti luoghi stanno venendo applicate, e che è stata firmata da quasi 2000 persone tra sacerdoti, monaci, medici, teologi e altri.





È MORALMENTE ACCETTABILE UN VACCINO COSTRUITO
CON CELLULE PRELEVATE DA UN ABORTO?

Riflessioni morali per i cristiani ortodossi circa i preparati vaccinali
a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti

Tra scienza e salvezza

Dal punto di vista della prevenzione di malattie infettive e contagiose molto gravi, che in passato hanno causato migliaia di morti, è chiaro che i vaccini sono stati una grande conquista per l’umanità, e il loro impiego nella lotta contro le infezioni fino alla loro eradicazione, mediante una immunizzazione delle popolazioni interessate, rappresenta indubbiamente una “pietra miliare” nella lotta dell’uomo contro le malattie infettive e contagiose.

Lo scopo dei vaccini è quello di sensibilizzare il sistema immunitario, con l’ingresso all’organismo umano di un agente patogeno attenuato. In questo processo, il sistema immunitario produce, da un lato, anticorpi per distruggere il nemico e, dall’altro acquisisce una memoria, in modo che se incontra in seguito lo stesso agente patogeno può riconoscerlo e agire in modo distruttivo.

Nella frenesia dell’ingegneria genetica, tuttavia, l’uomo non ha esitato a utilizzare anche procedure che dal punto di vista etico non sono accettabili, con la motivazione che lo scopo santifica i mezzi. Così, abbiamo raggiunto il punto in cui alcuni vaccini in circolazione sono preparati o vengono utilizzate per la loro preparazione sperimentale cellule umane raccolte nei tessuti di feti infettati e volontariamente abortiti, infettati e successivamente attenuati e coltivati mediante ceppi di cellule umane ugualmente provenienti da aborti volontari, a noi di fede cristiana ortodossa si pongono importanti problemi etici.

La domanda che ci siamo posti e alla quale abbiamo cercato di dare una risposta è: chi usa un vaccino del genere, quanto coopera al male dell’aborto?

Destano particolare preoccupazione per noi i vaccini che sono stati realizzati utilizzando in parte il tessuto fetale derivato da aborti avvenuti decenni fa:

I vaccini per l’infanzia come il Varivax per la varicella, il Meruvax II per la rosolia, l’Havrix e il Proquad utilizzato per morbillo sono realizzati utilizzando in parte il tessuto fetale, e portano i nomi MRC-5 e WI-38 . Compreso il vaccino Vaqta per l’epatite.

La sigla WI-38 (Winstar Institute 38, istituto di ricerca biomedica) indica cellule fibroblasti di polmone umano espiantate nel 1964 da un feto femmina svedese abortito perché la famiglia riteneva di avere già troppi figli. Questa linea cellulare viene utilizzata ancora oggi per far crescere i virus utilizzati nei vaccini morbillo, parotite, rosolia, varicella ed herpes zoster.

La linea cellulare MRC-5 (Medical Research Council, istituto di ricerca) indica cellule polmonari umane provenienti da un feto maschio di quattordici settimane abortito nel 1966.

I ceppi di cellule utilizzati per il MRC-5 e il WI-38 provengono da bambini abortiti nel 1961.

Le loro cellule sono state rigenerate dalla Merck e da altre aziende, in laboratorio. Questi ceppi di cellule sono tecnicamente “immortali”, perché i tecnici possono conservarli indefinitamente nelle condizioni appropriate.

Vaccini contro il coronavirus e utilizzo di cellule di feti abortiti.

Con lo sviluppo di vaccini contro Covid-19 a un ritmo accelerato, è importante essere informati su come questi vaccini sono progettati, prodotti e testati. Esistono, infatti, questioni etiche sul possibile utilizzo, in qualunque fase del processo di sviluppo, di linee cellulari derivate da feti abortiti.

In particolare, le due case farmaceutiche, Moderna e Pfizer/BioNTech hanno utilizzato la serie di cellule HEK 293 nella fase dei test di laboratorio di conferma.

Astra/Zeneka (Oxford), che collabora con lo Sputnik, e la Jannsen usarono la serie di cellule HEK 293 in tutti e tre gli stadi: I. Progettazione e sviluppo; II. Produzione e III. Test di laboratorio di conferma.

Il Charlotte Lozier Institute negli Stati Uniti, sulla base di un’analisi approfondita della letteratura scientifica e dei risultati delle sperimentazioni cliniche, ha compilato un’accurata panoramica delle aziende farmaceutiche che utilizzano o non utilizzano linee cellulari eticamente controverse.

La domanda che sorge è se queste linee cellulari fetali siano assolutamente necessarie per lo sviluppo di un vaccino, e ultimamente il vaccino contro il Covid-19. La risposta è no. È possibile sviluppare vaccini eticamente accettabili senza cellule o basati su cellule animali, uova di gallina o lievito. Questo è fondamentalmente ciò che stanno facendo diverse società farmaceutiche.

Il passo successivo è acquisire informazioni sulle diverse fasi di sviluppo di un vaccino in cui sono utilizzare linee cellulari di feti abortiti.

La fase di progettazione include lo sviluppo del concetto, esperimenti preliminari e la descrizione di come verrà prodotto il vaccino.

Aziende farmaceutiche e istituti di ricerca che hanno utilizzato linee cellulari di feti abortiti in questa fase:
- Altimmune (USA)
- Astra Zeneca e Università di Oxford (Regno Unito, Stati Uniti)
- CanSino Biologics, Inc. Beijing Institute of Biotechnology, Academy of Military Medical Sciences,
PLA of China (Cina)
- Gamaleya Research Institute (Russia)
- Janssen Research & Development , Inc. Johnson & Johnson (USA)
- Vaxart (USA)
- Anhui Zhifei Longcom Biopharmaceutical / Institute of Microbiology, Chinese Academy of Sciences
(Cina)
- Università di Pittsburgh (USA)
La fase di produzione: viene prodotto il vaccino finale.
Aziende farmaceutiche e istituti di ricerca che utilizzano linee cellulari di feti abortiti in questa fase:
- Altimmune (USA)
- Astra Zeneca University of Oxford (Regno Unito, Stati Uniti)
- CanSino Biologics, Inc. Beijing Institute of Biotechnology, Academy of Military Medical Sciences,
PLA of China (Cina)
- Gamaleya Research Institute (Russia)
- Janssen Research & Development, Inc. Johnson & JohnsonVaxart (Stati Uniti)
- Vaxart (USA)
- Università di Pittsburgh (USA)

Fase di test del vaccino in laboratorio, prima che sia ampiamente distribuito. Aziende farmaceutiche e istituti di ricerca che utilizzano linee cellulari di feti abortiti in questa fase:

- Sinovac Biotech Co., Ltd. (Cina)
- Anhui Zhifei Longcom Biopharmaceutical / Institute of Microbiology, Chinese Academy of Sciences (Cina)
- Medicago (Canada)
- Novavax (USA)
- Moderna, Inc. avec le National Institute of Health (USA)
- Pfizer et BioNTech (USA, Germania)
- Sanofi Pasteur et Translate Bio (USA, Francia)
- Inovio Pharmaceuticals (USA)

Le aziende farmaceutiche che non utilizzano linee cellulari fetali in una delle tre fasi sono (dal 10 novembre 2020, tenendo conto della fase di sviluppo del vaccino):

- Beijing Institute of Biological Products / Sinopharm (Cina)
- Wuhan Institute of Biological Products / Sinopharm (Cina)
- Istituto di ricerca medica Giovanni Paolo II (USA)
- Institut Pasteur e Themis e Merck (USA, Francia)
- Shenzhen Geno-immune Medical Institute (Cina)
- Merck e IAVI (USA)
- Clover Biopharmaceuticals, Inc. (Cina)
- Sanofi e GSK Protein Sciences (USA, Francia)
- Sorrento (USA)
- Università del Queensland e CSL Ltd. (Australia)
- CureVac (Germania)
- Genexin (Corea)
- Symvivo Corporation (Canada)

NB: Diverse aziende farmaceutiche non hanno ancora completato tutte le fasi del processo.

Il giudizio etico dei vaccini proposti può essere basato su diversi elementi:

- L’esistenza o meno di alternative ai vaccini sviluppati da linee cellulari di feti abortiti: laddove esistono e sono disponibili vaccini eticamente sviluppati, questi dovrebbero avere la priorità.
- Il grado di distanza, nel tempo ma soprattutto nella responsabilità, tra l’aborto in questione e il paziente vaccinato. Pertanto, la responsabilità del paziente da vaccinare è bassa rispetto a quella del ricercatore che utilizza queste linee cellulari e quindi stimola la produzione di linee cellulari simili.
- Le fasi del processo di sviluppo del vaccino, per il quale sono state utilizzate linee cellulari fetali.Se il vaccino che il paziente riceve è prodotto da queste linee cellulari fetali (Fase 2), stimola la produzione di nuove cellule fetali. Questa relazione è meno evidente quando l’azienda farmaceutica testa solo alcune copie del vaccino sulle cellule fetali (Fase 3).

Oltre a quanto è stato esposto il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (ACIP) ha emesso raccomandazioni ad interim per l’uso dei vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna COVID-19 per la prevenzione della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) negli Stati Uniti.

Entrambi i vaccini sono vaccini a mRNA che codifica la proteina spike di SARS-CoV-2, una proteina presente sulla superficie esterna del virus, utilizzata per entrare nelle cellule e replicarsi. Il vaccino a mRNA fornisce le informazioni genetiche appropriate, in modo che le cellule dell’ospite (l’umano) siano indotte alla produzione di una risposta immunitaria. La creazione di anticorpi e cellule T-(linfo). Questo progetto che è ideale in vitro (in laboratorio), tuttavia devia dalle aspettative se applicato in vivo. Un semplice esempio è la comparsa di effetti collaterali e che non si può prevedere gli effetti che potrebbe avere nell’organismo umano a lungo termine.

CONCLUSIONI

Il Concilio Ecumenico Quinisesto o di Trullo con il suo XCI Canone condanna alla pena prevista per gli assassini le donne (o gli uomini) che forniscono farmaci per procurare l’aborto, e quelle che assumono veleni per uccidere i feti.

Il Concilio regionale tenutosi ad Ancyra con il suo XXI Canone condanna a dieci anni di scomunica coloro che agiscono in modo da procurarsi un aborto.

Il II e il LXXX Canone di San Basilio condanna alla pena prevista per gli assassini donna che abortisce volontariamente.

Ogni atto medico e di ricerca, per essere secondo l’insegnamento divino, deve rispettare l’uomo, dal momento del suo concepimento fino alla morte, in generale,essere secondo la lettera e lo spirito del Vangelo. Per questo motivo, la scelta di vaccinarsi o no è anche una questione teologica ed ecclesiastica, e l’accettazione di questi vaccini, considerando le condizioni della loro produzione, è una caduta dalla retta fede e vita.

Per questi motivi è nostra convinzione che:

1. Quelli che procurano i tessuti dai bambini abortiti, sono colpevoli di cooperare formalmente all’aborto approvandolo e sfruttando l’atto stesso dell’aborto. Essi sono colpevoli come lo sono coloro che cooperano.

2. Sono colpevoli coloro che mettono in commercio, pubblicizzano e distribuiscono i vaccini derivati. Queste attività sono moralmente illecite, perché potrebbero “contribuire, di fatto, a incentivare l’effettuazione di altri aborti volontari, finalizzati alla produzione di tali vaccini.

Tuttavia, questo provoca una costrizione morale sia ai genitori, per quel che riguarda i vaccini per l’infanzia, che sono sottoposti all’alternativa di agire contro coscienza o mettere in pericolo la salute dei propri figli, sia a ogni cittadino per quel che riguarda i vaccini contro il coronavirus. Si tratta di un’alternativa ingiusta che deve essere eliminata quanto prima.

Certamente non ci soddisfa ne posiamo condividerla l’argomentazione di molti che le linee cellulari utilizzate sono distanti dagli aborti originali, né ci soddisfa l’argomentazione di mettere da parte ogni questione etica perché è per il nostro bene. Crediamo che non possa essere nulla di buono se è nato dal male. Il fine non giustifica i mezzi.

Oltre il problema etico esiste anche la libertà vaccinale, il così detto consenso informato.

Il consenso informato è la manifestazione di volontà che il paziente esprime liberamente in ordine ad un trattamento sanitario. Il termine “consenso informato” nasce dopo il processo di Norimberga, quando l’omonimo codice evidenziò il principio dell’inviolabilità della persona umana: la partecipazione di qualunque individuo ad una ricerca scientifica non sarebbe più avvenuta senza il suo volontario consenso.

L’obbligatorietà del consenso informato come condizione per la liceità della ricerca viene sancita nel 1979 dal Rapporto Belmont nel rispetto del principio di giustizia, di benefici e del principio di autonomia. Il caso giudiziario che, nel nostro Paese, ha destato l’attenzione del mondo sanitario e giuridico sul problema del consenso, è rappresentato dalla sentenza della Cass. Pen. n. 5639/1992 (Caso Massimo) che condannò un chirurgo per il reato di omicidio preterintenzionale a seguito del decesso di una paziente avvenuto a causa delle complicanze di un intervento chirurgico demolitivo eseguito senza il suo consenso. Da allora il tema del consenso ha assunto una rilevanza sempre crescente.

L’obbligo per il medico di munirsi del valido consenso della persona assistita trova riscontro nella stessa Costituzione dai seguenti articoli:

Art.13: sancisce l’inviolabilità della libertà personale
Art.32: riconosce che nessuno può essere obbligato a determinati trattamento sanitari se non per disposizione di legge e dall’art. 13 che sancisce l’inviolabilità della libertà personale.

Dei riferimenti li ritroviamo anche nell’art. 50 del Codice Penale (rubricato “consenso dell’avente diritto”).

Il consenso informato valido deve essere:

- personale: espresso direttamente dal soggetto per il quale è previsto l’accertamento, salvo i casi di incapacità, riguardanti i minori e gli infermi di mente;
- libero: non condizionato da pressioni psicologiche da parte di altri soggetti;
- esplicito: manifestato in maniera chiara e non equivocabile;
- consapevole: formato solo dopo che il paziente ha ricevuto tutte le informazioni necessarie per maturare una decisione;
- specifico: in caso di trattamento particolarmente complesso, l’accettazione del paziente deve essere indirizzata verso tali procedure, mentre non avrebbe alcun valore giuridico un consenso del tutto generico al trattamento. In alcune situazioni particolari, come per esempio quelle relative ad un intervento chirurgico nel caso in cui non ci fosse certezza sul grado di espansione ed invasione di una neoplasia, si ricorre al consenso allargato.

Il consenso informato è un diritto riconosciuto in tutto il mondo, garantito dai seguenti trattati internazionali per la protezione dei diritti umani:

- Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di ROMA/ 1950 (CEDU).
- Convenzione Internazionale di Bioetica di OVIEDO / 1998.
- Statuto della Corte penale internazionale dell’Aia - Articolo 7.
- Codice di Norimberga.
- Dichiarazione di Helsinki.
- Dichiarazione Universale su Bioetica e Diritti Umani-UNESCO / 1950.

Considerando che l’autorizzazione per i vaccini contro il covid è all’uso di emergenza (EUA) e considerando che sono stati espressi dubbi sui vaccini Pfizer e Moderna circa la loro reale efficacia il diritto al consenso informato è oltre modo importante.

Se qualcuno si chiede se è moralmente accettabile portare avanti una scienza di morte la risposta per noi ortodossi è, nonostante alcuni nostri gerarchi, che non può essere accettabile.

Chiediamo allo stato e alle autorità locali preposte di garantire il diritto di obiezione di coscienza per motivi morali e di religione anche riguardo ai vaccini, come è garantito in altri campi, e di fornire, come ha il dovere, vaccini alternativi alle famiglie e agli individui che per motivi di fede si oppongono a questi vaccini.


FONTI:

National Center for Biotechnology Information. Corbett et al., Nature, 5Aug 2020.
van Doremalen et al., Nature preprint, 30 July 2020.
Istituto Europeo di Bioetica- https://www.ieb-eib.org/en/
Istituto Superiore di Sanità.


Il DOCUMENTO VIENE SOTTOSCRITTO DAL:

Direttivo dell'Associazione Testimonianza Ortodossa all'unanimità
Associazione Ortodossa San Giovanni Crisostomo.
Movimento Ortodosso in Grecia IC-CR-NICA.
Archimandrita padre Dimitri Fantini
Archimandrita padre Nettario Moioli
Archimandrita padre Arsenio Agioarsenita
Padre Popadiuc Ghenadie
Padre Giovanni Capparelli
Padre Costel Popa
Padre Michele Notaragelo
Padre Mario Sevini
Padre Ionita Mocanu
Monaco Michele Cristian Cavallo

lunedì 22 febbraio 2021

De Kalendario Juliano et Gregoriano disputatio - 3. Alcune note sull'introduzione del nuovo stile

L’esattezza nell’osservanza dei tempi non è così importante come l’offesa della divisione e dello scisma (S. Giovanni Crisostomo, citato da Opere (in russo), I 2, San Pietroburgo, 1898, p. 667).

In un precedente post ci siamo occupati della differenza nel calcolo della Pasqua tra il calendario giuliano e quello gregoriano, spiegando come cambi il modo di riferirsi alla lunazione. Ora intendiamo presentare alcune informazioni storiche circa la progressiva introduzione, dal XVI secolo a oggi, del nuovo calendario in tutto il mondo, e dei problemi che ha comportato. L'esattezza astronomica (o, nel caso del gregoriano, la verosimiglianza con un minor margine di errore rispetto al giuliano) non è sempre necessariamente una buona cosa, specialmente quando per seguirla si modificano tradizioni antiche, si creano divisioni, e non da ultimo si complica la vita alla gente, sendoché il calendario giuliano con la sua regolarità permetteva una fruizione tabellare molto semplice per i calcoli astronomici, in assenza di rilevatori precisi come quelli moderni e di un'ampia diffusione di dati come quella possibile con le attuali comunicazioni. Questo è il motivo per cui, benché si conoscesse sin dai tempi del venerabile Beda che ci fosse uno slittamento di date, nessuno mai volle cambiare l'antico calendario, e Beda stesso fu acceso difensore del calendario e del paschalio romani, cioè giuliani, a fronte di quelli celtici; è pure il motivo per cui l'umanista e astronomo italo-francese Giuseppe Giusto Scaligero (1540-1609) si basò sul calendario giuliano per creare la sua cronologia dei giorni universali (il cosiddetto "giorno giuliano"), ancor oggi in uso presso gli astronomi come strumento più efficace per identificare rapidamente una data, come ribadito da Herscher nel 1849, proprio grazie alla ripetitività schematica del giuliano.

La bolla Inter gravissimas esprime come proprio intento quello di restaurare l'antica data della Pasqua; tuttavia il mettere mano a una questione già nota da tempo fu accelerato da un fattore molto più prosaico: dall'Impero tedesco, teatro di sanguinosa confusione tra protestanti e cattolici che non si sarebbe ben delineata sino alla Guerra dei Trent'Anni, giungevano notizie che i cattolici e i protestanti sovente pregavano nelle stesse chiese e partecipavano insieme ai riti. Una situazione, in un certo senso, simile a quella che i Padri Niceni si trovarono ad affrontare, quando alcune comunità cristiane celebravano la Pasqua insieme ai giudei. Riformare il calendario avrebbe evitato ogni possibile celebrazione comune delle feste, e perciò parve bene a Gregorio XIII, animato da alcuni vescovi centroeuropei, di procedere quanto più in fretta possibile col delineare un nuovo calendario. Il problema, semmai, è che l'introduzione del nuovo calendario non ruppe solo l'unità celebrativa con i protestanti, ma anche con l'Ortodossia e persino tra le stesse comunità cattoliche di diversi paesi.

In gran parte d'Europa e delle Americhe, dai possedimenti ispano-portoghesi d'oltreoceano allora sotto Filippo II sino alla Confederazione polacco-lituana degli Jagelloni, la gente si addormentò un giovedì 4 ottobre e si risvegliò in un venerdì 15 ottobre. Seguirono presto la Francia, le provincie olandesi cattoliche, e il resto dell'Europa cattolica entro il 1590. Per 6-7 anni la Pasqua fu celebrata diversamente in alcuni paesi cattolici, che non avevano ancora adottato il nuovo calendario, venendo così a mancare persino l'unità interna. In Polonia non mancò una forte resistenza della popolazione e dell'episcopato locale, che non vedeva il motivo per cui dovessero essere cambiate le date in cui i padri celebravano le festività, ma alla fine del secolo su pressione dei legati papali e degli ordini religiosi fu cambiato il calendario (cfr. F.K. GINZEL, Handbuch der mathematischen und technischen Chronologie: Das Zeitrechnungswesen der Völker, vol. III, Leipzig, 1914, pp. 266ss.).


W. Hogarth, Dibattito elettorale, 1755. Tradizionalmente si ritiene
che il contrasto ivi raffigurato riguardi proprio gli "eleven days".

I paesi protestanti naturalmente non adottarono il nuovo calendario inizialmente: anzi, alcune provincie olandesi, passate sotto governo protestante, riadottarono subito il giuliano; tuttavia, tra XVII e XVIII secolo, per facilitare gli scambi internazionali, quasi tutti i paesi (e di conseguenza le chiese, spesso legate alla compagine statale) passarono al nuovo stile. Danimarca e Norvegia adottarono il nuovo calendario nel 1700, ma continuarono a calcolare la Pasqua in un modo diverso, non coincidente né col giuliano né col gregoriano, impiegando le tavole rudolfine elaborate da Keplero nel 1627. Altrove vi furono problemi di calcolo: la Svezia tentò di adottarlo nel 1700, con un "adattamento graduale" da compiersi entro il 1740 per allineare le date, ma col risultato che ci furono errori e dimenticanze, e per aggiustarli ci si vide costretti a inventare... il 30 febbraio 1712! La Gran Bretagna lo adottò con il New Style Act nel 1750, e non mancarono proteste popolari al grido di: "Give us our eleven days back!". La cosa più difficile, comprensibilmente, doveva essere di punto in bianco trovarsi a festeggiare le proprie feste in una data completamente diversa da quella osservata sino a quel punto da tempi immemorabili.

Più interessante è la vicenda dell'introduzione del nuovo stile, o in realtà del neo-giuliano, un malfunzionante miscuglio tra il calendario gregoriano e il paschalio giuliano, giunta solo nella prima metà del secolo scorso, nelle Chiese Ortodosse. Attorno al 1580, il Patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos aveva avuto contatti col Papa di Roma, e pare fosse disponibile ad introdurre pure nella Chiesa greca il nuovo calendario. Al di là della figura controversa di questo Patriarca, in un sinodo tenutosi a Costantinopoli nel 1583, tra varie proposizioni che miravano a evitare la latinizzazione degli ortodossi della diaspora, i Padri sinodali anatemizzarono il nuovo calendario "creato da astronomi senza Dio"; secondo il sigillion sinodale, quanti desiderano questa innovazione "distruggono le usanze della Chiesa che abbiamo ricevuto dai nostri Padri".

Benché questa decisione non abbia valore dogmatico, fissa un punto molto importante: l'uso secolare non può essere interrotto senza gravi danni. E questo si vide perfettamente quando per l'introduzione del nuovo calendario al Patriarcato di Costantinopoli spinse nel 1922 il già patriarca di Alessandria ora eletto al trono fanariota, massone e più volte violatore di canoni, Melezio IV Metaxakis, seguendo una pista in verità già tracciata dai suoi predecessori Antimo VII e Gioacchino III. In Grecia, in un'epoca di panellenismo e trionfo della Megali Idea, per cui Costantinopoli sarebbe dovuta tornare greca entro pochi anni vista la sconfitta turca nel conflitto mondiale (speranza che sarà vanificata dal violento nazionalismo dei Giovani Turchi, che in quegli stessi anni iniziavano le purghe contro i Greci del Ponto, e dal pesante insuccesso militare dell'esercito greco nel 1924, che porterà peraltro alla caduta della monarchia), il Re gli venne incontro adottando a livello civile il calendario gregoriano nel 1923; il Santo Sinodo non ratificò subito l'adozione, e questo comportò alcuni problemi nella celebrazione della festa nazionale il 25 marzo / 7 aprile di quell'anno; il 10 marzo 1924 il Santo Sinodo decise di passare al neo-giuliano, e di tutta risposta i fedeli si accamparono a protestare sotto la Chiesa Metropolitana di Atene contro questa modifica dell'ordine tradizionale. Molto clero e una buona parte del popolo si rifiutò di cambiare le date tradizionali delle feste, e in una decina d'anni si andò costituendo la Chiesa dei Veri Cristiani Ortodossi di Grecia, detti comunemente paleoimerologhiti, cioè vecchio-calendaristi, che oggi conta tra i fedeli quasi il 10% della popolazione greca, e mediamente la componente più fedele e pia, e non solo religiosa per facciata, e ha ottenuto a fasi alterne nuova visibilità e fortuna grazie al suo strenuo opporsi all'ecumenismo, di cui la riforma del calendario è vista come primo passo.

Il decreto reale circa l'introduzione del nuovo calendario nel 1923. Ai punti 3 e 4 (parti sottolineate) si danno indicazioni per gestire le feste religiose, visto che ancora per un anno la Chiesa di Grecia avrebbe mantenuto il vecchio calendario.

Articolo del quotidiano Νέα Ἡμέρα dell'8 marzo 1924
circa le proteste dei fedeli contro l'introduzione del nuovo calendario

Il decreto dei Commissari del Popolo
circa l'introduzione del nuovo calendario
in Russia. Notevolmente, fu uno degli
ultimi atti ufficiali steso col vecchio stile
ortografico prima della riforma del 1918.
Contemporaneamente, tuttavia, in Russia il calendario gregoriano era stato introdotto nel 1917 dai bolscevichi e per la Chiesa adattarvisi sarebbe stato un passo verso lo stato ateo e anti-clericale, senza contare che in quegli anni essa aveva problemi ben più gravi da risolvere. Particolarmente i russi in esilio furono molto critici verso l'"avvicinamento al mondo" delle chiese che avevano adottato il nuovo calendario, e taluni sostennero apertamente la creazione delle comunioni paleoimerologhite.

A Metaxakis non interessava certo allineare il calendario al cielo, e infatti non lo fece (il neo-giuliano infatti è solo apparentemente uguale al gregoriano, in realtà accumula un ritardo diverso: praticamente, è un terzo, infondato astronomicamente e antitradizionale metodo di calcolo, che per accidens coinciderà col calendario gregoriano sino al 2800): gli premeva avvicinarlo alle chiese occidentali, in modo raffazzonato, per motivi ecumenisti, e al contempo seminare la divisione tra le chiese ortodosse in un momento già difficile. La chiesa bulgara, che adottò il nuovo calendario, era considerata eretica da tutte le altre; la chiesa di Romania barattò il nuovo calendario col titolo patriarcale per Bucarest, ma pure lì una buona fetta di popolazione rifiutò l'innovazione, e oggi si contano circa tre milioni di vecchi calendaristi in Romania, senza contare quelli all'estero.

C'è un bel video in cui padre Paisios, parlando con un fedele paleoimerologhita, pronuncia questa frase: «Τὸ νέο ἡμερολόγιο ἔκανε Πάπας, τὸ παλαιὸ εἰδωλολάτρης» - "Il nuovo calendario lo ha fatto il Papa, il vecchio lo ha fatto un idolatra (Giulio Cesare)". La frase, volta a minimizzare l'aspetto dogmatico del calendario, s'inserisce in un discorso più ampio in cui il padre Paisios critica non già l'uso del vecchio calendario (che del resto lui stesso usava sulla Sacra Montagna), bensì il movimento paleoimerologhita come modo di essere, divisivo della comunione dei fedeli greci, della stessa famiglia del suo interlocutore (la cui moglie era di nuovo calendario), e fanatico dacché ritiene che i neo-calendaristi si danneranno. Lo stesso discorso, tuttavia, al di fuori del caso specifico che riguarda la realtà dei vecchi calendaristi greci, si potrebbe fare al contrario: forse che l'adozione del nuovo calendario in alcuni paesi non ha portato divisione, incomprensione e distanza tra le varie Chiese Ortodosse?

(Continua...)

domenica 21 febbraio 2021

L'ultima domenica dopo l'Epifania in rito ambrosiano

C. De Predis, Guarigione del figlio lunatico,
miniatura di XIV secolo
di Nicola de Grandi

Il tempo dopo l’Epifania ambrosiano presenta caratteristiche interessanti e peculiari, specie in confronto con la corrispondente stagione liturgica romana. Infatti, in rito romano, sin dalla sua prima attestazione - il Lezionario di Würzburg, scritto nel 700 c.a. - vi è un numero elevatissimo di pericopi evangeliche assegnate a questo tempo liturgico, addirittura fino a superare il numero delle possibili domeniche prima della Quaresima. Con il Comes di Murbach, di un secolo successivo, il tempo dopo l’Epifania romano è già pienamente strutturato. 

In rito ambrosiano invece, come dimostrano i primi testimoni del suo antico ordo lectionum, il tempo dopo l’Epifania si forma solo molto gradualmente. Inoltre, in rito romano non si omette mai alcuna delle domeniche situate fra l’Epifania e l’inizio del tempo pre-quaresimale, al punto che le rubriche successive alla riforma tridentina prescrivono di recuperare le domeniche perdute trasferendole nel tempo dopo Pentecoste. Il ciclo delle Domeniche dopo l’Epifania è dunque considerato come un mosaico unitario, ciascuna delle cui tessere deve ogni anno essere presente, anche se in posizioni diverse. Di contro, in rito ambrosiano, le domeniche che in ogni anno non ricorrono vengono semplicemente omesse. Questo si spiega come memoria del fatto che esse furono aggiunte, attingendo largamente dai libri romani, per riempire lo spazio disponibile prima della Quaresima.

Unica, significativa eccezione, prevista già dall’ordo noto come “Beroldus novus” del 1269, è l’ultima domenica del tempo dopo l’Epifania - segnata sul messale attuale come “Sesta Domenica dopo l’Epifania”, e in quelli d’età pre-borromiana “Quinta dopo l’Epifania”, poiché la sesta non ricorre se non in casi molto rari.  Essa non può mai essere omessa, e i testi liturgici di questa domenica vengono sempre utilizzati per l’ultima prima dell’inizio del tempo pre-quaresimale. Per cercare di comprendere le ragioni di questa peculiarità è utile tornare ancora sinteticamente sulla storia del tempo liturgico dopo l’Epifania nei libri ambrosiani.

Il Codice di Busto, come ha dimostrato Mons. Borella, contiene tracce di un ordo lectionum molto antico, sicuramente precedente alla revisione di età carolingia del nostro rito. All’interno dello stesso codice, ed in particolare proprio per questa stagione liturgica, è inoltre possibile ravvisare fra il Capitolare e l’Evangelistario  prove di due fasi redazionali distinte e successive, in cui il Capitolare rappresenta lo stadio più antico. Il Capitolare registra infatti letture per le sole prime due domeniche dopo l’Epifania, senza segni di correzioni posteriori, mentre l’Evangelistario fissa le pericopi delle prime quattro, riportando inoltre correzioni nell’ordine delle stesse, allo scopo di avvicinarsi al modello romano. Terminato il ciclo delle domeniche dopo l’Epifania, inoltre, il Capitolare attesta uno stadio del tempo pre-quaresimale in cui ancora non è presente la Domenica in Settuagesima, mentre l’Evangelistario la registra già. In nessuno dei due codici è invece ancora presente un testo per la Quinta domenica dopo l’Epifania, di cui ci stiamo ora occupando.

Nell’Evangelistario dei Cardinali Diaconi (seconda metà del IX sec.), nel Missale Bergomense (metà IX sec.) e nel Messale di Biasca (fine IX sec.), ormai pienamente conformi alla risistemazione carolingia, compare lo stesso ordine delle letture delle prime quattro domeniche del tempo dopo l’Epifania del Busto “corretto”. Negli ultimi due, trattandosi di messali plenari, inoltre va gradualmente aggiungendosi anche l’eucologia. In questo ultimo codici si è inoltre ormai stabilizzato anche il testo evangelico per la “Quinta Domenica dopo l’Epifania”, che è tutt’ora conservato nel Messale Ambrosiano. Dobbiamo dunque concludere che essa si stabilizzò nell’ordo lectionum ambrosiano con l’intervento carolingio.

Esso è tratto dal XVII capitolo del Vangelo di San Matteo. Ne riportiamo di seguito il testo in traduzione: “Il quel tempo, si avvicinò al Signore Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è lunatico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua; l’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.  Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno “. (Matt. 17, 14-20)

L’epifonema conclusivo fa sì che questa pericope acquisisca una intonazione chiaramente penitenziale, perfettamente consentanea al successivo tempo pre-quaresimale. Inoltre la pericope del Vangelo di Matteo, a differenza delle altre di questa stagione, non ha alcun parallelo nella tradizione romana, dunque il suo inserimento non può essere causata una volontà romanizzante. Come giustificare dunque la sua introduzione, e la peculiare funzione che essa assume nell’ordo lectionum ambrosiano?

Una acuta annotazione di Patrizia Carmassi ci instrada forse verso una possibile risposta. Il lezionario della Biblioteca Ambrosiana A 23 bis inf., risalente al XIII sec., ma certamente ricopiato da un antigrafo molto più antico, contiene un elenco di “lectiones” profetiche per tutto l’anno liturgico, e presenta una correzione molto significativa proprio sulla Quinta Domenica dopo l’Epifania. La rubrica “Dominica Quinta post Epiphaniam” vi è difatti cancellata con un tratto di penna, e sostituita con “Dominica in Septuagesima”. Dobbiamo dunque supporre che l’antigrafo da cui il copista stava traendo i testi non riportasse ancora la Settuagesima, ma solo la Quinta Domenica dopo l’Epifania. Accortosi del problema, il copista sentì di dovere operare una sostituzione - e non una aggiunta - di quest’ultima con la Settuagesima. I due testi dovevano dunque in qualche modo essere sentiti come alternativi nel loro ruolo di introduzione alla stagione pre-quaresimale. Scegliere la Settuagesima doveva comportare la cancellazione della Domenica Quinta come introduzione al tempo della Pre-Quaresima.

Possiamo forse trovare conferma a questa ipotesi nel codex Mediolanensis, un evangeliario sicuramente appartenente alla provincia ecclesiastica milanese che riporta note liturgiche di VII- VIII sec. Nella sua redazione originale esso, come il Capitolare di Busto, non prevedeva né le domeniche IV e V dopo l’Epifania né la Settuagesima. Tuttavia, in quello stesso secolo IX in cui i libri “propriamente ambrosiani” stavano subendo la revisione carolingia, furono aggiunte da una nuova mano le annotazione per le domeniche IV e V dopo l’Epifania, con gli stessi testi che si trovano nei messali ambrosiani. Non si aggiunse invece la Settuagesima, che in età carolingia già sicuramente esisteva. Evidentemente, anche in questo caso, il copista dovette considerare i due testi equivalenti e alternativi. Inserendo la Domenica Quinta, la Settuagesima risultava in qualche modo superflua. I compilatori dei due Messali di Biasca e Bergamo e l’Evangelistario dei Cardinali Diaconi invece, proseguendo sulla linea di una risistemazione generale del calendario liturgico che lascia meno “vuoti” possibile, optarono per inserire entrambe le domeniche. Una scelta più coerente nell’ottica ordinatrice propria della revisione carolingia, ma meno coerente da un punto di vista tematico.

Ma esiste una prova esterna ai codici fin qui elencati che possa giustificare l’uso della pericope matteana come introduzione al tempo pre-quaresimale? Esaminando le tradizioni liturgiche non romane, è possibile scoprire alcuni indizi.

Nella tradizione A del Rito Ispanico, la più antica delle due esistenti, conservataci dal Liber Commicus, datato dal VII al IX secolo, è presente una sola domenica pre-quaresimale denominata “ante carnes tollendas”. La pericope evengelica prevista per quel giorno è Matt. XVII, 1-20. Essa abbraccia dunque l’ampia porzione del capitolo XVII che va dalla Trasfigurazione all’episodio del figlio lunatico presente anche nella nostra pericope ambrosiana.

In due dei lezionari pervenutici dell’antico rito gallicano - quello di Luxeuil con note del VI sec. e quello frammantario conservato a Würzburg del VII sec. - la lettura della stessa Domenica, qui denominata “post Cathedram S. Petri”, è circoscritta a Matt. 17, 1-9: la Trasfigurazione. L’episodio della Trasfigurazione in molte tradizioni liturgiche - inclusa quella romana che legge questa pericope alla Seconda Domenica di Quaresima - è collegato al periodo di preparazione alla Pasqua. Infatti le figure di Mosè ed Elia, che appaiono accanto al Signore rivestito di gloria, sono considerate prefigurazioni dei catecumeni, in quanto compirono entrambi un digiuno di quaranta giorni per santificarsi prima di vedere Dio, così come faranno i catecumeni nei quaranta giorni precedenti alla Pasqua. Questa interpretazione è già nota al nostro S.Ambrogio, che vi accenna nel suo “Commento al Cantico dei Cantici” 15, 1857d: “Moyses in monte positus quadraginta diebus Legem accipiens, cibum corporis non requirebat: Elias ad illam festinans requiem, rogabat ut acciperetur anima sua a se: Petrus aspiciens et ipse in monte Dominicae resurrectionis gloriam, nolebat descendere, dicens: Domine, bonum est nos hic esse.” - “Mosè stando sul monte quaranta giorni per ricevere la Legge, non aveva bisogno di cibo per il suo corpo; Elia, affrettandosi al suo riposo, chiedeva che Dio prendesse la sua anima; Pietro vedendo anch’egli sul monte la gloria della Resurrezione del Signore, non voleva discendere e  disse: Signore, è bello stare qui”.

La tradizione mozarabica invece, come detto, prolunga l’estensione della pericope della unica “Dominica ante carnes tollendas” sino ad includere l’episodio del “figlio lunatico”. Come giustificare questa scelta? Sant’Isidoro di Siviglia (565- 636) nel suo “Sugli Uffici Ecclesiastici” legge l’esorcismo di Cristo al figlio lunatico come figura dell’esorcismo battesimale: «Exorcismus autem sermo increpationis est contra immundum spiritum in energumenis, sive catechumenis factus, per quem ab illis diaboli nequissima virtus et inveterata malitia, vel violenta incursio expulsa fugetur. Hoc significat lunaticus ille, quem increpavit Jesus, et exiit ab illo daemonium (Matth. XVII). Potestas autem diaboli exorcizatur, et insufflatur in eis, ut ei renuntient, atque, eruti a potestate tenebrarum, in regnum sui Domini per sacramentum baptismatis transferantur.» (De ecclesiasticis officiis, 83) -  «L’esorcismo è poi una preghiera deprecatoria contro ad uno spirito immondo pronunziata sui posseduti, o sui catecumeni, grazie a cui vengono espulse da loro e messe in fuga la malvagia potenza del diavolo, e la sua inveterata malizia. Questo è il significato di quel lunatico che rimproverò Gesù, e da cui uscì un demonio (Matt. XVII). Viene esorcizzata la potenza del diavolo e si soffia su di loro, affinché vi rinunzino e, strappati dalla potenza delle tenebre, siano portati nel regno del loro Signore attraverso il sacramento del battesimo».

Questa lettura tipologica di Sant’Isidoro incontrò grande fortuna nell’VIII secolo, tanto da trovarsi riprodotta quasi letteralmente nelle numerose “Expositiones” - florilegi di sentenze dei Padri sul rito del battesimo che furono inviate nell’anno 812, poco dopo la conquista carolingia della Langobardia Maior, in forma di lettera a Carlo Magno da numerosi Vescovi dell’Impero. Ci sono pervenute le versioni di Amalario Fortunato di Treviri, Jesse di Amiens, Teodolfo di Orléans, Leidrado di Lione e, in territorio italico, Massimo di Aquileia e Odilberto di Milano. Esse fanno tutte riferimento all’episodio del figlio lunatico in un contesto di preparazione al battesimo con queste parole: «Hoc significavit lunaticus ille quem increpavit Dominus Jesus, et exiit ab isto daemonium. Potestas autem diaboli exorcizatur et insufflatur in eis, ut ei renuntient; atque erepti a potestate tenebrarum, in regnum sui Domini, per sacramentum baptismatis, transferantur.» - «Questo fu infatti il senso di quel figlio lunatico, che il Signore Gesù rimproverò, facendone uscire un diavolo. Infatti, la potenza del diavolo viene esorcizzata in costoro [scil. nei catecumeni] e si soffia su di essi, affinché vi rinunzino; e affinché infine essi, rapiti dal potere delle tenebre, vengano portati, per mezzo del sacramento del battesimo, nel regno del Signore».

L’introduzione di questo episodio evangelico in preparazione al tempo quaresimale nelle tradizioni ispanica e ambrosiana può dunque certamente essere attribuito alla sua lettura figurale, testimoniata già nel VI secolo in Isidoro di Siviglia, ma poi largamente diffusa e accettata in tutto l’Occidente cristiano. Mentre dunque, fra i due episodi narrati nelle due pericopi contigue, entrambi interpretati come prefigurazione del battesimo, il rito ispanico inserisce nella preparazione alla Quaresima ambedue, il rito gallicano solo il primo, e la tradizione ambrosiana scelse di inserire solo il secondo. Dunque, mentre la pericope matteana della Trasfigurazione non figurò dunque mai nel “proprium de Tempore” del rito ambrosiano - nel nostro ordinamento essa è invece il Vangelo della festa di San Genesio - l’episodio del figlio lunatico divenne a tal punto caratterizzante della introduzione ambrosiana alla pre-quaresima che si stabilì la consuetudine, poi codificata già nel Beroldo Nuovo, di non ometterne mai la proclamazione prima dell’inizio del tempo pre-quaresimale.

mercoledì 17 febbraio 2021

Il demiurgo malvagio e la natura matrigna: le risposte al male nel mondo di chi ignora la Genesi - Risposte a un lettore

Riceviamo da un lettore e rispondiamo.

Sul giornale Libero, del 9 Febbraio, a firma di Vittorio Feltri, esce, in prima pagina, un articolo dal titolo spaventoso: “Chi ha creato la natura è peggio di Hitler”. Non si tratta di una domanda, bensì di un'affermazione.

E' solo una provocazione o è un irresponsabile attacco alla Fede delle persone? 

Il titolo sembra già presagire qualcosa di forte, di eccessivo, ma bisogna leggere attentamente tutto l'articolo per capire che ci troviamo davanti ad una negazione totale di Dio, ad un crudo attacco nei confronti dell'Onnipotente, sulle pagine di un giornale nazionale. 

Confesso che questo articolo, scritto da un uomo che ho sempre seguito con interesse, mi ha devastato. Non posso negare alcune considerazioni che Feltri fa sulla “violenza” della natura, se proprio dobbiamo usare questo termine. I terremoti esistono, esistono i tornado, gli uragani, le eruzioni vulcaniche ecc. e non posso negare nemmeno l'esempio che Feltri fa della mosca prigioniera nella tela del ragno o della caccia crudele del topo da parte del gatto. 

Il mio “problema”, ma credo sia il problema di molte persone come me, è l'incapacità di capire il senso di molte cose, il senso di questa natura così forte e, a volte, tragica. E in questa mia incapacità, l'irruzione di Feltri provoca terremoti e tsunami ben più violenti di quelli naturali da lui citati. 

La Chiesa ufficiale, chiamiamola così, non sembra accorgersi di certi attacchi e forse non è nemmeno interessata a rispondere, ma noi, che non siamo ancora schiavi del mondo, cosa possiamo rispondere al giornalista? 

Lo dico perché ritengo sia necessario trovare delle parole adatte, pacate e concrete, che possano reagire a quelle accuse così intense, e tranquillizzare gli animi più sensibili.

Grazie.

Giovanni Cismondi – Monfalcone 

***

Caro Giovanni,

prima del contenuto dell'articolo, voglio commentare un momento la lunga premessa che lo stesso Feltri fa per specificare la sua concezione decisamente ateistica. Senza entrare in considerazioni strettamente politiche, ma restando a livello di analisi filosofica delle ideologie, Feltri è la "penna", o l'intellettuale per usare un'espressione molto comune specie in ambienti di sinistra, di quell'ampia corrente che potremmo definire centrodestra neo-liberale. Essa si dispone al centro, con una tendenza vagamente conservatrice, all'interno del quadro rivoluzionario, scaturito dall'illuminismo e poi marcato dal liberalesimo, nel quale s'inserisce convintamente, sostenendone tuttavia una matrice classica e liberista. Questo schieramento non di rado utilizza ipocritamente dei concetti strumentali alle proprie bandiere ideologiche: purtroppo, tra questi strumentalizza pure la Fede, utilizzata come un mero bagaglio di valori etici e soprattutto culturali "conservativi", nemmeno tradizionali. Il fatto che i leader di questo schieramento si appellino sovente all'elettorato "cattolico" è una pura conseguenza del fatto che il sostrato culturale in Italia è quello - dopodiché, sono apertamente abortisti; in Grecia i loro omologhi si rivolgono all'elettorato "ortodosso", ma chiudono le chiese e sanzionano i vescovi; negli USA ai protestanti, in Israele ai giudei, in alcuni paesi islamici modernizzati ai musulmani. Non affermano la verità di una religione, ma la continuità di un concetto culturale che s'identifica superficialmente con un'identità religiosa qualsiasi, pur sempre in un'ottica liberale e indifferentista.

Feltri ha indubbiamente un rarissimo pregio: una franca schiettezza. Con la tale schiettezza, egli chiama con epiteti confacenti ma poco politically correct i sodomiti, pur - da buon liberale - non essendo in alcun modo contrario alle loro unioni "purché non diano fastidio". Parimenti, afferma senza problemi di essere ateo, mentre tanti suoi compagni d'idee si dicono a parole cristiani pur comportandosi in modo esattamente contrario.

Willem van der Velde il giovane, Tempesta, 1700
La contemplazione della potenza della natura ci
ricorda peraltro la nostra condizione di creature,
e ci apre la strada verso Colui che è potente,
perché in lui ricerchiamo la grazia e mediante
questa possiamo deificarci in lui sovra tali potenze.
Il problema della "natura cattiva" non l'ha certo inventato Feltri: se lo ponevano già gli antichi. Ad alcuni cristiani dei primi secoli, influenzati dal manicheismo, pareva talmente incomprensibile che arrivarono a "sdoppiare" Dio, credendo in un Dio buono "del Nuovo Testamento" e un Dio giusto ma malvagio "dell'Antico Testamento" (marcionismo), o addirittura sostenendo che il Creatore dell'antico testamento non sia Dio ma Satana, un demiurgo malvagio (manicheismo, gnosticismo, bogomilismo, catarismo...). Queste eresie, sono la risposta sbagliata nata in un'epoca in cui era incomprensibile non ammettere un Creatore, e talora giungevano a proporre in conseguenza un rifiuto estremo della corporeità e della materialità, per una idolatrica spiritualità totale, nella quale si travalicavano i limiti del cristiano contemptus mundi per arrivare all'automutilazione, al rifiuto del matrimonio e della procreazione, al martirio procurato (circoncellioni); la risposta di Feltri, che poi pare a tratti uno stadio embrionale un po' confusionario del cosiddetto (senza troppa esattezza) pessimismo cosmico delle operette leopardiane (alcune frasi rammentano da vicino il dialogo dell'Islandese e della Natura), è invece figlia diretta dell'illuminismo, dell'incomprensibile presunzione dei moderni di poter supporre un ordine senza ordinatore. Almeno Paley sosteneva che Dio c'era e che ha creato tutto e poi lasciato che andasse avanti da solo: certo discolpava Dio dal male del mondo, ma negava completamente l'azione continua di Dio nel mondo che ci è stata rivelata e provata.

Abbiamo visto risposte diverse e sbagliate a un medesimo problema, quello che S. Agostino - che era stato manicheo in gioventù - definì con questo interrogativo: Si Deus bonus, unde malum? Ma la risposta sta ovviamente nella Scrittura e nell'interpretazione dei Padri, purtroppo mai abbastanza conosciute. L'armonia originaria del cosmo è stata rotta dal peccato originale, dalla scelta deliberata dei protoparenti di mangiare dell'albero proibito e di conoscere il bene e il male, di privarsi dell'abito della grazia. Privi di tale abito, le bestie cui Adamo imponeva il nome e che soggiogava gli si sono rivoltate contro; la terra non regalò più frutti per il suo nutrimento, ma egli si vide costretto a lavorarla con fatica, e a patire le sofferenze che questa stessa gli apportava, appunto gli uragani, i terremoti, le inondazioni... certo talora, in casi particolarmente funesti, questi sono strumenti di Dio per punire il suo popolo e invitarlo alla conversione, ma generalmente sono il frutto del disordine, della disarmonia tra uomo e cosmo comportata dal peccato originale e rinnovata dai peccati degli uomini, i quali per conseguenza del peccato ancestrale hanno una tendenza intrinseca al trasgredire la legge divina, che solo l'ascesi e la ricerca della grazia possono vincere. L'uomo che vive nella grazia esperisce a livello personale l'armonia originaria del cosmo, e ne sono testimonianza i santi che hanno tranquillamente parlato agli animali selvaggi, come san Serafino di Sarov e san Sergio di Radonezh all'orso.

E' un concetto semplice, eppure sovente dimenticato; perché non è certo piacevole ammettere che le colpe degli uomini sono l'origine del male che si subisce. Solo la negazione della verità scritturale e della Genesi può portare ad ammettere le letture ateistiche della Natura Matrigna; pure la chiesa moderna nega, al pari degli atei, la veridicità storica della Genesi, del peccato originale: li interpreta simbolicamente, e con tale negazione cade nella trappola di non saper dare spiegazione al male. Ma noi che crediamo nella Scrittura e nella Rivelazione, che abbiamo a spartire con questi? Abbiamo già le risposte.