sabato 24 marzo 2018

Il rituale della "Missa sicca" della Domenica delle Palme

A testimonianza della veneranda antichità dei riti della Settimana Santa, rimontanti ai primi secoli della storia della Chiesa, la Domenica delle Palme continua a officiarsi una cerimonia assai diffusa nel Medioevo e scomparsa dopo il Concilio Tridentino, detta Missa sicca, ossia una celebrazione che ricalca il modello della Messa, ma è priva della parte sacrificale. Essa veniva officiata in occasione di benedizioni, o per i matrimoni in alcune particolari circostanze; rimane oggi unicamente per il rito di benedizione dei rami d'ulivo con cui i Cristiani inneggeranno a Cristo entrante in Gerusalemme, siccome inneggiarono i fanciulli giudei a quel suo solenne ingresso duemila anni fa.

Dopo Terza, avuta luogo more solito l'aspersione domenicale, il Sacerdote rivestito di stola e piviale violacei accede all'altare, lo venera col bacio, e va al lato dell'epistola, mentre il coro canta la solenne antifona Hosanna filio David. 'Hosanna', come ben spiega il Card. Schuster, indica un uso rituale tipicamente ebraico, svolto in occasione delle grandi feste come la dedicazione del tempio, ovverosia il portare rami d'alberi qua e là in occasione d'onori. Il fatto che a Nostro Signore sia stato tribuito un siffatto ingresso nella Città Santa, infatti, prefigura direttamente la sua divina regalità, poiché tale onore spettava generalmente alle feste in onore di Dio, e non a uomini, per quanto importanti.

 Il Sacerdote intanto prosegue le cerimonie come alla Messa: canta l'orazione, con cui apre il cammino della Settimana Santa, richiedendo a Dio di moltiplicare le grazie pel suo popolo e di farlo giungere alfine alla gloriosa Risurrezione.
Dipoi, il suddiacono canta la Lezione, che è tratta dai capitoli XV e XVI dell'Esodo: in tale brano, infatti, oltre a mentovarsi settanta palme all'inizio del brano, viene preannunciata la missione salvifica del Cristo, poiché Iddio, sotto figura di manna, promise di dare il suo Divin Figliuolo. Soggiungesi poi un responsorio, a mo' di graduale, che può scegliersi tra un brano di San Giovanni e uno di San Matteo, ambedue riferentesi alla condanna a morte del Redentore, dacché è attraverso di essa che a noi è elargito dal cielo ogni beneficio.
Intanto, viene benedetto l'incenso e il diacono domanda al Sacerdote la benedizione, apprestandosi a cantare il Vangelo, con le consuete cerimonie della Messa solenne. La pericope evangelica è proprio l'Ingresso in Gerusalemme, secondo San Matteo (capitolo XXI).

Tra i rituali della Messa secca s'inseriscono ora le preci di benedizione dei rami. La Chiesa benedice
e distribuisce i rami perché già vede perfetto il trionfo di Cristo. Inoltre, essendo Egli il trionfatore e dovendo per Lui trionfare gli eletti in Cielo, convenientemente la benedizione e distribuzione vien fatta dal Sacerdote, che rappresenta Cristo.
Dopo aver cantato una orazione, il Sacerdote intona un prefazio in cui si esalta la regalità suprema di Nostro Signore, al termine del quale viene cantato il Sanctus, dimodoché insieme procedano la lode delle schiere celesti e quella delle turbe terrene. Si noti ancora una volta la perfetta identità di questo rituale con le cerimonie della Messa; soltanto, ora, anziché procedere alla Consacrazione, seguirà piuttosto la già preannunziata benedizione dei rami.
E dunque ciò avviene con cinque solenni orazioni, le quali mostrano quale sia il mistero ed il significato dei rami di olivo e di palma, e come gli uomini, in virtù della ricezione di tali sacramentali, vengano da essi aiutati per mezzo della divina grazia. La benedizione viene conclusa dall'aspersione e dall'incensazione dei rami.

Cantata un'ulteriore orazione in cui si chiede a Iddio di accoglierci, mondati dal peccato, nel numero di quanti lo esaltano festanti coi rami di palma, il Sacerdote distribuisce gli stessi al clero e poi al popolo, mentre il coro canta il responsorio Púeri Hebræórum. Lavatosi le mani ai piedi dell'altare e cantata un'altra orazione dal lato dell'epistola, ha inizio la solenne processione, coll'invito del diacono: Procedamus in pace, cui il coro risponde: In nomine Christi. Amen.
Avanti a tutti va il turibolo fumigante, segue la croce processionale, velata e con un ramo di palma legato ad essa da un nastro violaceo, portata dal suddiacono e accompagnata dagli accoliti coi ceri accesi, indi il clero, e per ultimo il Sacerdote accompagnato dal diacono e dal cerimoniere, tutti reggenti in mano i rami d'ulivo. Durante il tragitto, il coro canta numerose antifone, ora tratte da brani evangelici, ora di composizione ecclesiastica, che richiamano l'esultanza dei fanciulli ebrei in onore di Gesù Cristo.


Quando la processione ha termine, tutti si fermano anzi alla porta della chiesa: quattro cantori entrano nel tempio e chiudono le porte, indi iniziano il canto del poema di Teodolfo d'Orleans, rimontante al IX secolo, che inizia Gloria, laus et honor tibi sit. Esso viene cantato da quelli dentro la chiesa, ai quali rispondono tutti coloro che stanno fuori con il ritornello. Il fatto che alcuni stiano dentro la chiesa cantando ed altri fuori rispondendo, significa che gli Angeli, prima della Risurrezione e il trionfo di Cristo, stavano nel Cielo chiuso agli uomini e, lodando Dio, lo pregavano di restaurare il genere umano. A questi, i buoni mortali affidati alla speranza divina, rispondevano cantando e pregando per esser a quelli congiunti.
Quinci, il suddiacono percuote tre volte la porta con la Croce astile, sinché questa non viene aperta, e la processione rientra solennemente in chiesa cantandosi il responsorio Ingrediente Domino. Ora quelli di fuori si uniscono con quelli di dentro fino a formare un corpo solo, per significare che l’ingresso fatto oggi da Cristo in Gerusalemme prefigurava la sua entrata nella città del Paradiso dove i giusti dovevano unirsi con gli Angeli ed avere, trionfanti, i segni e le palme della vittoria gloriosa. E, siccome tale ingresso avvenne mediante la morte espiatoria di Cristo, e la sua Croce aprì dunque ai giusti le porte del Paradiso, così è la Croce che simbolicamente apre le porte della chiesa per farvi entrare i fedeli.

Con questa commovente cerimonia ricca di significato, si chiude l'ufficiatura della "Missa sicca" e della relativa processione, e il Sacerdote, svestito il piviale e indossati pianeta e manipolo di colore violaceo, inizia la vera e propria Messa con le preghiere ai piedi dell'altare.

Omnípotens sempitérne Deus, qui Dóminum nostrum Iesum Christum super pullum ásinæ sedére fecísti, et turbas populórum vestiménta vel ramos arbórum in via stérnere et Hosánna decantáre in laudem ipsíus docuísti: da, quæsumus; ut illórum innocéntiam imitári possímus, et eórum méritum cónsequi mereámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum.

Onnipotente sempiterno Iddio, che faceste sedere nostro Signore Gesù Cristo su di un asinello, e ordinaste alle turbe dei popoli di stendere per la via le vesti e i rami degli alberi, e a cantare "Osanna" in di Lui onore: concedete, ve ne preghiamo, che noi possiamo imitare l'innocenza di quei fanciulli, e meritiamo di conseguire al fine il loro merito. Per lo stesso Cristo Signor nostro.

venerdì 23 marzo 2018

San Simonino di Trento, martire due volte

Domani, il 24 marzo, com'è noto, si festeggia San Gabriele Arcangelo, essendo stato scelto per commemorarlo il giorno precedente alla gran festa dell'Annunciazione, uno dei maggiori misteri della nostra Redenzione, di cui l'Arcangelo è personaggio fondamentale.

E' meno noto, tuttavia, che lo stesso giorno la Chiesa Universale (e particolarmente la diocesi tridentina) ricordi un altro santo, martire, la cui terribile storia merita di essere qui ricordata e commentata: San Simonino di Trento.

Altobello Melone, San Simonino, 1521

Il Martirologio Romano tradizionale recita: Tridénti pássio sancti Simeónis púeri, a Judǽis sævíssime trucidáti, qui multis póstea miráculis coruscávit. (A Trento, la passione del santo Simonino fanciullo, crudelmente ucciso dai giudei, il quale in seguito fu autore di molti miracoli).
Simonino era un fanciullo di due anni e mezzo della città di Trento, figlio del conciatore Andrea Lomferdom, il quale scomparve misteriosamente il Giovedì santo (23 marzo) del 1475, per poi essere ritrovato morto il mattino della domenica di Pasqua. Il principe Giovanni Hinderbach, allora vescovo di Trento, affermò da subito che gli autori dell'atroce delitto erano stati i giudei locali, cui occorreva del sangue cristiano per impastare gli azzimi per la loro pasqua. Subito dunque, nonostante le iniziali perplessità del legato pontificio, si interrogarono i quindici ebrei residenti a Trento in quegli anni, i quali, rei confessi dell'assassinio, furono incarcerati nel castello del Buonconsiglio, e successivamente condannati a morte.
Papa Sisto IV avallò le decisioni del processo, e nel 1588 la Santa Sede approvò il culto di san Simonino, concedendo l'indulgenza plenaria a chiunque si recasse a venerare le sue reliquie, custodite nella chiesa tridentina dei Santi Pietro e Paolo, il 24 marzo, sua ricorrenza. Due secoli dopo (1755), Papa Benedetto XIV confermò le decisioni dei predecessori, stimando ottimo e doveroso il rendere pubblico culto al beato Simonino,  martirizzato per mano degli ebrei in odio alla fede di Cristo. La devozione al santo martire, oltre che nel Trentino, si diffuse rapidamente anche nel Bresciano. Ogni anno la festa del santo era celebrata con gran devozione dagli abitanti, e ogni dieci anni tutto il clero dell'arcidiocesi tridentina partecipava a una solenne e grandiosa processione il 24 marzo, in cui venivano portati trionfalmente il corpo del Santo e gli strumenti del suo martirio.
Egli era il simbolo di tutto il popolo cristiano, odiato e perseguitato dai nemici di Dio. Ma era anche simbolo di Gesù Cristo stesso, innocente ucciso dai perfidi giudei.

Processione di San Simonino a Trento, il 24 marzo 1955

Ma nel clima filogiudaico della seconda metà del XX secolo, in cui ogni parola contro Israele è un buon pretesto per essere accusati di antisemitismo, paragonati a Hitler e condannati alle più gravi pene, poteva passare indenne un tal culto agl'indignati dell'ultima ora? Assolutamente no. E dopo molti (e falsi) studi volti a dimostrare che i sacrifici umani erano solo una "leggenda antisemita" degl'ignoranti e malevoli cristiani medievali, che dunque non erano mai avvenuti, anche la nuova Chiesa conciliare, nell'ottica del servilismo alla causa giudaica instaurata da Nostra aetate, poteva forse esimersi dal biasimare il culto tradizionale a San Simonino? Ed ecco che, con l'avallo della Santa Sede, l'arcivescovo di Trento Gottardi, nel 1965, cancellò d'imperio il culto pubblico al santo martire e ne fece asportare dalla chiesa le reliquie e gli strumenti della passione; nel nuovo martirologio, dopo la riforma del calendario, san Simonino ovviamente non compariva più.

Eppure, checché si voglia far credere, che tra i giudei si compissero sacrifici umani è un fatto storico comprovato. Fece scalpore, nel 2007, la pubblicazione del libro Pasque di Sangue, scritto dal rabbino e storico Ariel Toaff, docente all'Università di Tel Aviv e figlio del fu rabbino capo di Roma Elio Toaff: in questo suo saggio, di fatto, il medievalista ebraico asseriva che, seppur non facenti parte della dottrina ufficiale dell'ebraismo, tali empie pratiche erano eccome praticate da alcune frange del giudaismo askhenazita, particolarmente quelle tedesche di lingua yiddish dell'area renana, danubiana e atesina (e dunque, anche a Trento), le quali usavano preparavano il pane rituale della pasqua con il sangue umano. Inutile dire che il saggio di Toaff, a seguito delle immense polemiche scatenatesi appena edito, fu immediatamente ritirato dalla circolazione. (1)

Particolarmente, lo stesso Elio Toaff, padre dell'autore, con il sostegno (manco a dirlo) del quotidiano "cattolico" Avvenire, criticò fortemente il libro, bollando questi fatti come "leggende senza fondamento" e asserendo che la cultura ebraica sia "basata sul perdono". Forse il Toaff padre si confonde con il Cristianesimo, visto che anzi nella cultura ebraica l'unica preghiera per il nemico è quella di maledizione, e il concetto di perdono è totalmente assente. A titolo di esempio, basta leggere la lettera di condanna da parte della comunità ebraica di Amsterdam al filosofo Baruch Spinoza nel 1656; se Spinoza è decisamente condannabile (e condannato, poco più di 20 anni dopo, dalla Chiesa Cattolica) per via delle sue posizioni atee e materialiste, dall'altra la condanna giudaica sopraccitata è completamente incompatibile colla visione cattolica, e viceversa assai chiarificatrice della concezione ebraica, soprattutto quando, dopo aver ripetute volte maledetto l'accusato, afferma: "Possa il Signore giammai perdonarlo".

Toaff figlio prova accuratamente la fondatezza della tesi tradizionale circa la morte di San Simonino: oltre alla località compatibile con le usanze sanguinarie del giudaismo askhenazita tedesco, nei documenti del processo sono riportate (in ebraico) maledizioni contro i cristiani e formule sull'uso magico-simbolico del sangue nei rituali askhhenaziti che sarebbero state riportate dagli accusati. Ora, la trascrizione di queste formule contiene numerosi errori grammaticali che evidenziano l'ignoranza dell'ebraico e dello yiddish da parte dei notai del processo, ma le formule sono essenzialmente corrette, che effettivamente dunque erano state pronunciate dagli accusati durante il processo. Vi sono poi numerosi elementi della cultura del giudaismo tedesco (l'uso di un "coltello dei latticini" e un "coltello del sangue", il rituale di maledizione contro i cristiani, etc.), rigorosamente riportate dallo studioso, che vanno a comprovare la tesi tradizionale.

Bottega di Niklaus Weckmann, Martirio di San Simonino

Povero dunque il beato martire san Simonino, due volte martirizzato! La prima volta, ammazzato barbaramente dai giudei quand'era ancora un fanciullo di nemmeno tre anni per un orrido sacrificio umano; la seconda volta, ammazzato spiritualmente dalla neochiesa che, preferendo sostenere i giudei piuttosto che i cristiani, non ha esitato a gettare questa santa figura nella calunnia e nell'oblio. Invito tutti i cristiani di buona volontà ad accendere domani una candela a San Simonino, pregando per la conversione dei giudei, del popolo maledetto (2), e dei sedicenti cristiani che infangano il nome di Gesù mettendosi dalla parte dei suoi assassini.

Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
(Missale Romanum, Feria VI in Parasceve)


(1) Su internet circola ancora, per fortuna. Il pdf è scaricabile a questo indirizzo.
(2) Il popolo ebraico, un tempo il popolo eletto da Dio, perse la propria elezione e si attirò anzi la maledizione di Dio nel momento in cui rifiutò di riconoscere il Messia, e anzi lo mise a morte; secondo la tradizione, poco prima del giudizio finale i giudei si convertiranno e torneranno a far parte del gregge degli eletti, che comprende ora i fedeli in Cristo di ogni lingua e nazione.

Orari della Settimana Santa 2018 a Trieste

Pubblichiamo gli orari delle sacre funzioni della Settimana Santa secondo il rito tradizionale che saranno celebrate presso la Parrocchia della Beata Vergine del Rosario (detta "Cappella Civica"), in Piazza Vecchia, a Trieste.

Queste e le altre liturgie della Settimana Santa che saranno celebrate nel Triveneto sono pubblicate nella pagina "Appuntamenti ed eventi".



Sabato 24 marzo
19.00 Benedizione dei rami, processione
S. Messa della domenica delle Palme (anticipata)


Domenica 25 marzo - DOMINICA IN PALMIS
18.30   Solenne Via Crucis di S. Leonardo da Porto Maurizio
Al termine, venerazione della reliquia della S. Croce


Mercoledì 28 marzo - FERIA IV HEBD. SANCTAE
21.00 Ufficio delle Tenebre


Giovedì 29 marzo - FERIA V IN COENA DOMINI
18.00 S. Messa in Coena Domini e Adorazione Eucaristica
21.00 Ufficio delle Tenebre


Venerdì 30 marzo - FERIA VI IN PARASCEVE
15.00 Liturgia della Passione e Morte del Signore
18.00 Via Crucis e processione solenne con la statua di Cristo Morto;
canto del Miserere, del Popule meus e venerazione della reliquia della S. Croce
21.00 Ufficio delle Tenebre


Sabato 31 marzo - SABBATO SANCTO
21.00 Veglia Pasquale e S. Messa


Domenica 1 aprile - DOMINICA RESURRECTIONIS
10.30 S. Messa solenne

Durante tutta la settimana ci saranno dei sacerdoti a disposizione per le SS. Confessioni

L'Ufficio delle Tenebre in Cappella Civica nel 2011

martedì 20 marzo 2018

Sullo gnosticismo, ovvero l'anti-religione (parte 2)

Seconda parte degli estratti sullo gnosticismo dal libro "La fede e l'eresia" di un Sacerdote cattolico. In questa sezione ci si occupa della Cabala ebraica (Qabbalah) e di come essa, pervertita dalla gnosi di stampo egizio, sia stata alla base della formazione della 'teologia' gnostica dei secoli successivi.


II. LA CABALA PERVERTITA

Abbiamo detto che la Gnosi si manifesta per la prima volta nella caduta dell’uomo.

Prima di continuare però, vogliamo segnalare che si manifesta nella sua essenza già prima: nella caduta degli angeli. L’essenza di una cosa viene determinata dal suo fine ultimo. L’essenza della Gnosi è dunque il tentativo da parte della creatura di divinizzarsi. Questo, però, era già avvenuto con la ribellione degli angeli. Lucifero e gli altri angeli hanno voluto farsi Dio, cioè senza Dio, con le proprie forze naturali. La conseguenza ne era la loro caduta e la loro trasformazione da angeli in demòni.

‘Quis ut Deus? ‘ replicò S. Michele Arcangelo, perché nessuno è come Dio, ma questa era precisamente la pretesa di Lucifero: di essere come Dio, e la stessa pretesa l’ha proposta, successivamente, ad Adamo ed Eva.

La Gnosi risale dunque, nella sua essenza, ai primi tempi dell’universo, al primo atto libero delle creature razionali. Da qui si sviluppa poi nel corso dei secoli per assumere un corpo teologico e morale sempre più ampio e sostanzioso. Prende strade diverse tra le religioni e le nazioni mondiali: una strada indù, una buddhista, ebrea; una strada persiana, egiziana etc.

Punteremo su quella ebrea, ritenendo con Don Julio Meinvielle che questa sia la forma di Gnosi più influente per il mondo moderno.

La Gnosi ebrea, ora, costituisce una perversione della Càbala. La Càbala, prima della sua perversione, era la tradizione orale del Vecchio Testamento. La Fede ebrea vera che è divenuta la Fede cattolica con l’Avvento del Signore, aveva una tradizione duplice, una tradizione scritta e una tradizione orale, precisamente come la Fede cattolica.

La tradizione orale, la Càbala primordiale, insegnava agli uomini le verità fondamentali della natura e della Grazia che potessero salvarli; parlava della natura di Dio, dei Suoi attributi, dei puri spiriti, e dell’universo invisibile; parlava persino della Santissima Trinità e dell’Incarnazione del Signore già prima della Sua venuta.

Questa Tradizione sublime e mistica subisce, però, una perversione sotto l’influsso della Gnosi egiziana. La Gnosi egiziana risale a 3 millenni prima della venuta del Signore, e poi, naturalmente, fino all’inizio dei tempi. Questa perversione è avvenuta durante l’esilio del popolo ebreo in Egitto nel 14° secolo prima di Cristo, e poi a Babilonia nel 6° secolo, in modo ancor più deleterio.

Una parte di questo influsso consisteva in pratiche magiche ed una parte in dottrine false. Le dottrine false furono negazioni della Divina Rivelazione contenuta nella Fede ebraica precristiana, e dunque, come abbiamo spiegato nell’Introduzione, eresie in sensu lato, che si sono insinuate nella tradizione orale ebraica. Erano errori che rappresentano uno sviluppo di dottrine centrali della Gnosi. Le dottrine che vogliamo considerare adesso sono due:
1) La trasformazione dell’uomo in Dio;
2) il monismo tra Dio e l’uomo.

Guarderemo queste due dottrine nei loro vari sviluppi, prima alla luce della Fede, poi a quella della ragione.

1. La Trasformazione dell’Uomo in Dio

La dottrina della trasformazione dell’uomo in Dio viene elaborata come un processo di evoluzione, e comprende gli elementi seguenti:
a) Un uscire dal niente del mondo, dell’uomo, e di Dio;
b) La reincarnazione;
c) Il compimento e la realizzazione graduali di Dio e dell’uomo.

a) La Dottrina che Dio, il Mondo, e l’Uomo escano dal Nulla

La Fede ci insegna che Dio esiste eternamente e non ha un inizio nel tempo. Ci insegna altrettanto che il mondo e l’uomo non sono entrati in esistenza di per sé stessi, bensì Dio li ha creati e fatti dal niente, ex nihilo. Ma non dal niente come da una sostanza preesistente, bensì dal niente nel senso che non c’era nessuna sostanza preesistente.

La ragione insegna inoltre che niente può uscire dal niente, perché il niente, per definizione, non esiste.

b) La Reincarnazione

La Fede dice così nella Lettera agli ebrei (9.27): ‘E’ dato all’uomo una sola volta di morire, dopo di che viene il giudizio’. La Fede ci insegna inoltre che ci può dare uno sviluppo positivo dell’anima umana, ma non attraverso diverse reincarnazioni, bensì attraverso il suo perfezionamento morale e la sua santificazione.

La ragione insegna che la reincarnazione è impossibile perché ogni anima umana è il principio del proprio corpo umano: l’anima umana non può informare un corpo non-umano, e non può informare un corpo che non sia il proprio corpo.

c) Il Compimento e la Realizzazione graduale di Dio e dell’uomo

La Fede insegna che Dio è immutabile e non cambia. San Giacomo scrive (1. 16-17): ‘Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento’.

La ragione ci dice in oltre che Dio è per definizione trascendente ed immutabile. Se qualcosa nell’uomo cambia, non è Dio.

Aggiungiamo un’ultima critica logica, che vale per tutte e tre queste dottrine
evoluzionistiche, cioè che: il maggiore non può derivare dal minore: la sostanza non può uscire dal nulla; Dio non può uscire dall’uomo; l’anima non può purificarsi da sola attraverso una serie di vite successive.

2. Il Monismo

Il monismo tra Dio e l’uomo viene elaborato nella direzione di tre monismi diversi:
a) Un monismo ontologico tra Dio e l’universo, dove l’universo viene considerato, in un certo qual senso, come divino; in altre parole si tratta del Panteismo;
b) Un monismo morale, dove il bene ed il male vengono considerati come parti integranti di un insieme più grande e più reale, che dunque non si distinguono realmente, un monismo morale che viene considerato in ultima analisi come Dio stesso;
c) Un monismo logico in cui il vero e il falso vengono conciliati anche loro, tra di loro.

a) Il Monismo tra Dio e l’universo (il Panteismo)

Bisogna rispondere a questo errore come abbiamo fatto all’errore del monismo tra Dio e l’uomo. La Fede insegna che Dio è Creatore: Credo in unum Deum, creatorem coeli et terrae. Dio è dunque interamente indipendente dall’universo, che Lui ha creato con un atto libero di volontà. Non è emanato da Lui secondo la Sua natura; non è venuto in esistenza necessariamente.

La ragione ci insegna, inoltre, che il concetto di Dio è un concetto di un Essere essenzialmente trascendente.

b) Il Monismo morale

lI monismo morale viene concepito in effetti come la tesi che il bene e il male siano una sola cosa e che il male esista in Dio.
La Fede ci insegna invece che il bene e il male sono dei principi distinti ed opposti fra di loro; che aderendo al bene l’uomo si salva, e aderendo al male si danna.

La Fede insegna ugualmente che Dio è infinitamente buono, il Padre delle luci, Che, per citare di nuovo San Giacomo (1.13): ‘non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male’.

La ragione, secondo la dottrina di San Tommaso, insegna che il bene e il male non formano un’unica cosa, in quanto il bene è l’essere stesso, ed il male ne è la privazione: ossia la privazione di un bene dovuto ad esso.

Il male non è in Dio, in quanto Dio è infinitamente e necessariamente buono. Come abbiamo detto delle altre perfezioni di Dio, cosi possiamo dire della Sua bontà: se non è buono non è Dio.

c) Il Monismo logico

Il monismo logico pretende che il vero e il falso formino anch’essi un’unica realtà. La Gnosi sostiene questo, per esempio, nel suo sincretismo, sostenendo che tutte le religioni e filosofie sono uguali.

La Fede insegna, per contrasto, che il Vero ed il Falso sono opposti, ed il Signore dice, come abbiamo già menzionato (Mt. 5. 37): ‘Le vostre parole siano: sì, sì, no, no. Il resto viene dal maligno’.

La ragione ribadisce che il falso è la negazione del vero. Come dice Aristotele, è impossibile che la stessa cosa, nello stesso tempo e nello stesso modo, possa essere e vera e falsa. Questo è il principio di non-contraddizione, uno dei primi principi del pensiero e della metafisica. Come abbiamo visto nel caso della causalità, se noi rinunciamo a questi primi principi, rinunciamo alla stessa razionalità e alla possibilità stessa di intendere o di spiegare qualsiasi cosa.

Don Julio Meinvielle sostiene che l’assurdità del monismo logico – che il vero e il falso formino insieme un’ unica realtà – è la conseguenza della teoria gnostica assurda che il mondo, l’uomo, e Dio escano dal nulla.

Noi diremo piuttosto che corrisponde a tutte le assurdità insegnate dalla Gnosi: l’uscire dal nulla, la reincarnazione, lo sviluppo di Dio nel mondo, il panteismo, la riconciliazione pretesa tra il bene e il male. Nell’analisi finale il monismo logico è conseguenza della tesi fondamentale della Gnosi: che l’uomo può divenire Dio. L’irrazionalità di questa tesi deriva dalla ribellione della volontà contro la Verità. Questa tesi infatti è nient’altro che l’espressione definitiva di quella ribellione.

3. Conclusione

In conclusione, come abbiamo detto della conoscenza naturale di Dio in rapporto alla sua negazione: ‘O Dio o l’assurdità radicale’, così possiamo dire anche della Fede in rapporto alla sua negazione, la Gnosi, la sua rivale perenne. Questo però non ci deve sorprendere, perché, come abbiamo già detto, la Gnosi, essendo un sistema panteista, è anche un tipo di ateismo.

Settimana Santa 2018 a Verona

Pubblichiamo gli orari delle sacre funzioni della Settimana Santa secondo il rito tradizionale che saranno celebrate presso la Rettoria di Santa Toscana in piazza XVI Ottobre a Verona.

Queste e le altre liturgie della Settimana Santa che saranno celebrate nel Triveneto sono pubblicate nella pagina "Appuntamenti ed eventi".


lunedì 19 marzo 2018

Sullo gnosticismo, ovvero l'anti-religione (parte 1)

Pubblichiamo un estratto dal libro "La fede e l'eresia" di un Sacerdote cattolico, riguardante una delle più terribili eresie della storia del Cristianesimo, ossia la gnosi, che, per via del suo carattere di negazione stessa della Rivelazione, può ben dirsi 'anti-religione'.

Allegoria gnostica dell'uomo che si fa Dio

Il grande teologo argentino Don Julio Meinvielle scrive: ‘In tutta la storia umana non ci sono che due modi fondamentali di pensare e di vivere, l’uno è cattolico ed è la tradizione ricevuta da Dio, tramite Adamo, Mosè, e Gesù Cristo; l’ altro gnostico e cabalistico (che) alimenta l’errore di tutti i popoli nel paganesimo e nell’apostasia, prima nel giudaismo e poi nello stesso cristianesimo’.

Il primo di questi grandi sistemi di pensiero e di vita è la Fede cattolica (compresa la sua fase precristiana), la seconda è la Gnosi. Il primo costituisce l’unica vera Fede, l’unica vera Religione. Il secondo, in quanto costituisce un corpo coerente di dottrine ed è largamente diffuso, in quanto nell’analisi finale à atea e si oppone essenzialmente all’una vera Religione, si può descrivere come un’ Anti-Religione o piuttosto come l’Anti-Religione per eccellenza. In quanto, allora, deriva la propria esistenza da un atto di eresia, da una negazione superba ed ostinato della Divina Rivelazione, si può descrivere più precisamente come ‘L’Anti-Religione Eretica’.
Come si può definire la Gnosi? La parola ‘gnosi’ viene dal greco gnosis, che significa ‘conoscenza’. Come vedremo in seguito, questa conoscenza viene intesa come una conoscenza arcana indirizzata all’autodivinizzazione dell’ uomo.

La Gnosi, il rivale perenne della Fede cattolica, si manifesta tra gli uomini per la prima volta nel Peccato Originale. Meditiamo dunque ora sul racconto di questo avvenimento primordiale nella Genesi.

‘Ora il serpente era astuto più di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna. ‘Davvero Dio vi ha detto di non mangiare di alcun albero di questo giardino?’ Rispose la donna al serpente: ‘Noi possiamo mangiare i frutti degli alberi che stanno in questo giardino, ma in quanto al frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ci ha detto – Non mangiatene, anzi neppure toccatelo, altrimenti morirete’. Allora il serpente disse alla donna: ‘No, voi non morirete, anzi Dio sa che il giorno in cui voi mangerete, vi si apriranno li occhi e sarete come Dio, conoscitori del bene e del male’: La donna vide che l’albero era buono a mangiarsi, piacevole agli occhi e desiderabile per avere la conoscenza. Colse perciò del suo frutto e ne diede all’uomo, che era con lei, il quale pure ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di ambedue e conobbero di essere nudi, intrecciarono delle foglie di fico e ne fecero delle cinture’.

L’avvenimento qua descritto, quello del Peccato originale, è stato sempre inteso ed insegnato dalla Santa Madre Chiesa come un avvenimento reale da parte del primo paio di uomini, Adamo e Eva. Fu un peccato di superbia e di disobbedienza a Dio, cagionato dalla seduzione del Demonio in forma di serpente: un’azione che, in quanto compiuta dai rappresentanti dell’umanità intera, ha recato danni non solo a loro ma anche ad essa.

Questo avvenimento costituisce allo stesso tempo il paradigma della Gnosi.

Innanzitutto osserviamo che la Gnosi si basa sulla negazione della Divina Rivelazione, sulla negazione della parola di Dio, cioè che il mangiare il frutto proibito avrà come conseguenza la morte. Questa negazione esprime la natura eretica della Gnosi, ossia, come abbiamo fatto notare nell’Introduzione, eretica in sensu lato: come negazione della Divina Rivelazione piuttosto che negazione del solo dogma.

Proseguiamo esaminando il sistema della Gnosi alla luce della Fede cattolica: prima nella sua concezione di Dio, poi nella sua concezione della pretesa conoscenza offerta all’uomo, e finalmente nella sua morale.

1) La Teologia gnostica

La caratteristica principale della teologia gnostica è il monismo. La ragione ne è semplice: se l’uomo può divenire Dio colle proprie sue forze, l’uomo deve partecipare alla natura di Dio: l’uomo e Dio devono possedere un’ unica natura, distinguendosi solo secondo il grado e la perfezione di questa natura.

La teologia gnostica è monista, dunque; la teologia cattolica invece è dualista, insegnando che l’uomo e Dio possiedono due nature diverse: la natura umana e la natura divina. Queste due nature non si distinguono solo ed essenzialmente nel loro grado di perfezione, bensì nella loro diversità ontologica.

Vediamo che la caratteristica principale della Gnosi, cioè il monismo, comprende in se un’altra caratteristica che è l’immanenza, perché se l’uomo e Dio possiedono la stessa natura, se non sono distinti nella loro natura, Dio deve essere immanente all’uomo.

La filosofia e teologia cattoliche insegnano, invece, come abbiamo visto nel nostro capitolo sul Panteismo, che Dio è trascendente all’universo. La filosofia insegna che Egli è assolutamente al di là e al di sopra dell’universo: assolutamente indipendente da esso. La teologia insegna lo stesso in quanto professiamo nel Credo che Dio è Creatore e Giudice del mondo: Egli, Che l’ha creato con un atto perfettamente libero di volontà, ed è anche il suo Maestro e Giudice, ne è per forza assolutamente indipendente.

Una altra caratteristica della teologia gnostica è la mutabilità di Dio. Secondo la Gnosi, Dio stesso è in processo di divenire. L’uomo diviene Dio, così che c’è un certo movimento e mutabilità in Dio.

La filosofia e teologia cattoliche, invece, insegnano che in Dio non c’è mutabilità, né movimento, né cambiamento, perché Dio è l’Essere stesso, la pienezza dell’essere, l’Atto puro in cui tutto è attualizzato.

Vediamo, in conclusione quindi, tre errori della teologia gnostica come già espressa nella Genesi: la tesi del monismo invece del dualismo; l’immanenza assoluta invece della trascendenza; la mutabilità invece dell’immutabilità di Dio, Atto puro.

La nostra analisi del Panteismo ci ha mostrato che la dottrina dell’ immanenza assoluta di Dio è logicamente insostenibile. Questo è perché il concetto di Dio, approfondito dalla riflessione teologica, è un concetto dell’ Essere necessariamente trascendente al mondo. Se noi neghiamo la trascendenza di Dio, sostenendo che Egli è solo immanente al mondo, neghiamo effettivamente la Sua stessa esistenza. Lo stesso vale per gli altri errori teologici della Gnosi: il monismo tra Dio e l’uomo, e la mutabilità di Dio.

2) La Conoscenza gnostica

A riguardo della concezione gnostica della conoscenza mediante la quale l’uomo si deve divinizzare facciamo le seguenti osservazioni:
a) La conoscenza di cui parla il brano della Genesi è di due tipi: il primo tipo è la conoscenza di come divinizzarsi, del mezzo ad un fine: cioè la conoscenza di una determinata pratica; il secondo tipo di conoscenza è il fine proposto ad Adamo ed Eva: cioè la conoscenza del bene e del male;
b) La conoscenza (in tutti e due casi) è puramente naturale;
c) E’ staccata dalla volontà: non è indirizzata a qualsiasi esercizio di volontà, a qualsiasi azione;
d) E’ ricercata per motivi di piacere, soprattutto sensuale: ‘L’albero era buono a mangiarsi, piacevole agli occhi, e desiderabile ad averne la conoscenza’;
e) E’ arcana: non è accessibile a tutti, bensì nascosta, anzi nascosta volontariamente da Dio, loro pretendono, per i suoi propri motivi questionabili.

Paragoniamo questa conoscenza offerta ai nostri primi parenti con la conoscenza di Dio secondo la Fede.

a) La conoscenza di Dio secondo la Fede è anche di due tipi: il primo tipo è la Fede stessa che è un mezzo per raggiungere il fine ultimo dell’uomo in Cielo; il secondo tipo di conoscenza è la visione beatifica, che è quel fine ultimo.
Come abbiamo già spiegato, la conoscenza di Dio che è la Fede, è la conoscenza della Santissima Trinità. Lo stesso vale per la conoscenza di Dio in Cielo. Si tratta dunque in tutte e due casi di una conoscenza infinitamente superiore a quella offerta ad Adamo ed Eva.
b) Questa conoscenza è una conoscenza sovrannaturale, un’illuminazione dell’intelletto per mezzo della Grazia o la Gloria rispettivamente; mentre, come abbiamo già detto, la conoscenza offerta ad Adamo ed Eva è di ordine prettamente naturale.
c) Inoltre la conoscenza di Dio è indirizzata verso l’esercizio della volontà nella Carità: per compiere ogni azione e condurre la vita intera per Dio in questo nostro esilio terreno, ed alla sua fine per riposarci e goderci di Lui in Cielo.
d) Il piacere non costituisce il motivo per cercare la conoscenza, ma è conseguenza di aver agito secondo questa conoscenza, conducendo una buona vita;
e) Finalmente la conoscenza di Dio quaggiù, cioè la Fede, non è arcana, ne nascosta da Dio, bensì rivelata agli uomini, col mandato di predicarla al mondo intero.
In conclusione, dunque, vediamo che la conoscenza gnostica non è che un pallido simulacro, un ingannevole surrogato, della vera conoscenza di Dio: Il suo oggetto non è la Santissima Trinità, il suo modo non è soprannaturale; è divorziato dalle buone opere, ricercato per piacere, e falsamente presentato come il vero Bene.

3) La Morale gnostica

Rivolgiamoci finalmente alla morale gnostica, come si manifesta nel brano della Genesi, paragonandola colla morale teologica cattolica.
a) Abbiamo definito la Gnosi come un sistema di autodivinizzazione. Come tale si oppone al cristianesimo che insegna la divinizzazione dell’uomo che proviene da Dio solo;
b) La prima divinizzazione è una trasformazione dell’uomo in Dio perdendo la sua identità, la seconda una partecipazione in Dio tenendo la sua identità;
c) Nella prima l’uomo si fà Dio ma senza Dio, invece di Dio, e malgrado Dio (San Massimo Confessore parlando del Peccato originale); nella seconda l’uomo si abbassa davanti a Dio.
d) La prima avviene tramite le sue forze naturali; la seconda tramite la Grazia soprannaturale di Dio.
e) La prima è una forma di autodeterminazione; la seconda una determinazione operata da Dio;
f) La prima avviene mediante una conoscenza naturale, e come ogni conoscenza naturale se ne impadronisce, si la domina, e si la assorbe nel soggetto; la seconda avviene mediante una conoscenza soprannaturale a cui il soggetto deve sottomettersi, sacrificando il suo intelletto alla Verità assoluta;
g) La prima conoscenza, come abbiamo detto, è divorziata dalle buone opere; la seconda è essenzialmente indirizzata ad esse;
h) La prima è motivata dal piacere, la seconda dall’amore;
i) La prima è accessibile solo ad una élite, la seconda a tutti.

In sintesi, la prima si caratterizza dalla superbia e dall’egoismo; la seconda dall’umiltà e dal sacrificio. In una parola si può dire che la Gnosi è l’egoismo elevato a stato di una religione.

La Gnosi permette di essere come Dio in un senso, cioè esercitando il libero arbitrio a fare tutto ciò che si desidera, ma al costo dell’eterna beatitudine. La Fede cattolica invece permette all’uomo di essere come Dio esercitando il libero arbitrio per rispettare l’ordine stabilito da Dio: l’ordine del Vero e del Bene oggettivo, per conoscere ed amare Dio quaggiù e nel Paradiso.

Nel Giardino dell’Eden ci sono due alberi: l’Albero della Conoscenza del bene e del male, e l’Albero della Vita. Per mangiare dal primo albero occorre la superbia, per mangiare dal secondo il sacrificio. Il primo rappresenta la Gnosi, la rivale perenne della Fede cattolica; il secondo rappresenta la Fede: perché il secondo è l’Albero della Croce i cui frutti sono tutte le grazie e le benedizioni quaggiù, e le gioie eterne nella patria celeste. Per avere le quali però, si deve passare attraverso la sofferenza, il sacrificio, portando la croce dietro al nostro Signore, al Cui Nome sia ogni Onore e Gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.

continua...

domenica 18 marzo 2018

Dominica de Passione

Expleta Missa, ante Vesperas, cooperiuntur Cruces et Imagines per ecclesiam; quæ coopertæ manent, Cruces quidem usque ad expletam per Celebrantem Crucis adorationem in Feria VI Parasceves, Imagines vero usque ad intonatum Hymnum Angelicum in Sabbato sancto.
(Missale Romanum, Sabbato post Dominicam IV in Quadragesima)

Chiesa di San Simeon Piccolo, Venezia





Chiesa della Santissima Trinità, Pordenone


Chiesa di San Zeno al Foro, Brescia


Santuario della Madonna della Costa, Sanremo




Chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, Roma




Alcune precisazioni della Sacra Congregazione dei Riti


Le Croci e le Immagini non si scoprono per l’occorrenza di qualsiasi festa, anche del Titolare o del Patrono (Sacra Congregazione dei Riti, 16 novembre 1649, 2).
Del pari non si può scoprire l’immagine di san Giuseppe Patrono della Chiesa universale (Sacra Congregazione dei Riti, 2 aprile 1876).
Sull’Altare non si pongano immagini di Santi (Cerimoniale dei Vescovi, libro II, capo XX). Nondimeno la consuetudine tollera che si esponga sull’Altare il Venerdì di Passione la statua o l’immagine della Beata Vergine Addolorata (Sacra Congregazione dei Riti, 12 novembre 1831, 52).
Le immagini delle stazioni della Via Crucis non si velano (Sacra Congregazione dei Riti, 18 luglio 1885).


Per la storia di questa antica usanza:

venerdì 16 marzo 2018

Sabato "dell'Inno Akathistos"


Κοντάκιον. Ἦχος πλ. δ'.
Τὸ προσταχθὲν μυστικῶς λαβὼν ἐν γνώσει, 
ἐν τῇ σκηνῇ τοῦ Ἰωσὴφ σπουδῇ ἐπέστη, 
ὁ ἀσώματος λέγων τῇ Ἀπειρογάμω·
ὁ κλίνας ἐν καταβάσει τοὺς οὐρανούς, 
χωρεται ἀναλλοιώτως ὅλος ἐν σοι· 
Ὃν καὶ βλέπων ἐν μήτρᾳ σου, 
λαβόντα δούλου μορφήν, 
ἐξίσταμαι κραυγάζων σοι·
Χαῖρε Νύμφη ἀνύμφευτε.

Ἕτερον. Ἦχος ὁ αὐτός.
Τῇ ὑπερμάχῷ στρατηγῷ τὰ νικητήρια, 
ὡς λυτρωθεῖσα τῶν δεινῶν εὐχαριστήρια, 
ἀναγράφω σοι ἡ πόλις σου, Θεοτόκε· 
ἀλλ' ὡς ἔχουσα τὸ κράτος ἀπροσμάχητον, 
ἐκ παντοίων με κινδύνων ἐλευθέρωσον, 
ἵνα κράζω σοί· Χαῖρε Νύμφη ἀνύμφευτε.


Kontakion. Tono II plagale.
Comprendendo misticamente ciò che è stato stabilito,
con zelo apparve nella tenda di Giuseppe
l'incorporeo, dicendo alla Vergine ignara di nozze:
colui che ha piegato i cieli,
senza mutamento tutto in te prende dimora:
e vedendolo nel tuo grembo,
assunta la forma di servo,
ne son meravigliato, e ti canto:
Salve, o Sposa senza nozze!

Altro kontakion. Sullo stesso tono.
A te, conduttrice di schiere che mi difendi,
io, la tua Città, grazie a te riscattata da tremende sventure,
o Madre di Dio, dedico questi canti di vittoria in rendimento di grazie.
Tu che possiedi invincibile potenza,
liberami da ogni specie di pericolo,
affinché a te io acclami: Salve, o Sposa senza nozze!


Durante l'ufficio notturno (notte tra venerdì e sabato) si recitano tutte le quattro stasi dell'Inno Akathistos alla Madre di Dio (1a, 2a, 3a, 4a)

giovedì 15 marzo 2018

Il Velo di Santa Veronica


di Fr Armand de Malleray, FSSP

Questo vivido dipinto del Volto Santo di Cristo, ad opera dell'incisore Claude Mellan (1649) è stato esposto al British Museum di Londra lo scorso novembre. Questo ci offre un'opportunità di meditazione, in quanto la Quaresima ci porta vicini alla Passione.

Si tratta di una notevole rappresentazione del velo di Santa Veronica, la pia donna che, secondo la tradizione, asciugò il sudore, la saliva e il sangue dal Volto del Salvatore mentr'Egli portava la Croce al Golgota il Venerdì Santo. Il Signore lasciò il Suo volto sofferente impresso sul panno, come ricompensa per la sua compassione.

Una tesi sostiene che il nome di Santa Veronica significherebbe "vera icona", in riferimento proprio al Santo Volto di Cristo, venerato nella Sua Sacra Sindone (attualmente a Torino). Questa possibile etimologia non significa che la donna non sia mai esistita, ma esalta lo scopo della devozione, cioè imitare Cristo in ogni cosa, conformando la nostra anima alla Sua volontà, a imitazione del Suo Santo Volto.

L'iscrizione latina sull'orlo del velo, Formatur Unicus Una / Non Alter (il Solo fu generato dalla Sola, non altri), si riferisce letteralmente all'immagine dipinta utilizzando una sola linea continua, e teologicamente alla concezione verginale dell'Uomo-Dio da parte della Sua Madre Immacolata, la Beata Vergine Maria.

La tecnica applicata già da sé costituisce un messaggio. L'intero disegno, infatti, consiste di una sola ininterrotta linea, disegnata in forma di spirale. La linea si fa più spessa o più sottile dove è necessario, per dare l'illusione che esistano forme, ombre e contrasti. Essa termina al centro del naso di Cristo.

Questo ci riguarda, in quanto è un'eloquente rappresentazione di come dovrebbe essere la vita di un Cristiano. La nostra esistenza è continua, dalla concezione fino al nostro ultimo respiro. Come la linea d'inchiostro, non ha interruzione. Noi attraversiamo periodi di prosperità e soddisfazione materiale e spirituale, alternati a fasi di difficoltà e sofferenza.

Tali successioni, tali variazioni, ci rimangono un mistero. Quando le cose vanno bene, noi potremmo ascrivere a loro la causa, spesso connessa - noi pensiamo - con le nostre competenze o i nostri meriti. Quando invece non vanno come desidereremmo, queste variazioni possono condurci alla disperazione, facendoci ritenere assurda la vita e ingiusto il mondo.

Quello che noi al momento non capiamo è che queste ascese e cadute della nostra condizione, apparentemente capricciose, producono un ritratto di Cristo, come è mostrato dalla linea d'inchiostro, ora spessa e ora sottile, nell'incisione di Mellan. Più noi ci abbandoniamo al disegno del divino Artista, tanto più fedelmente le nostre vite Lo rappresenteranno. Ma questa rassomiglianza può vedersi solo a distanza, e solo una volta che la linea è stata interrotta dalla morte.

Il famoso labirinto raffigurato nel pavimento della cattedrale medievale di Chartres, in Francia, offre un equivalente geometrico di ciò. Fu chiamata "Strada per Gerusalemme". I pellegrini dovrebbero camminare lungo la sua linea ininterrotta, simboleggiando l'itinerario spirituale di ogni uomo, che per grazia termina nell'incontro faccia a Faccia col nostro Salvatore.

L'esperto Peter Raissis dice: "La Veronica di Mellan è uno spettacolare trionfo dell'arte dell'incisore. Il Volto di Cristo è rievocato da una spirale continua che parte dal centro del naso e s'ispessisce in alcuni punti per delineare i tratti somatici e creare alternanze di tonalità. E' una dimostrazione dell'indubbia competenza dell'artista nel guidare il bulino (lo strumento usato per incidere). Partendo con la punta della sua burina al centro della superficie, Mellan ha spinto avanti lo strumento, ruotando al contempo la superficie di rame con l'altra mano in senso antiorario, in modo di creare una spirale quasi perfetta".

Vista, poi, l'assoluta somiglianza del capolavoro di Mellan, si ritiene che il Santo Volto non sia stato raffigurato direttamente in questa incisione, ma solo così come era stato impresso sul velo di Santa Veronica. E' pensato dunque per essere la "stampa" di una "stampa". Questo ci rammenta che l'artista umano, se è umile, non pretende di creare qualcosa, ma si contenta di imitarlo.

Mellan ha riprodotto su una superficie di rame l'originale che ha intravisto nella sua contemplazione. Ma per impedire ogni illusione di vita, egli ha disegnato il suo ritratto come se fosse sparso tra le fibre di un pezzo di materiale. Sembra che voglia dirci: "Questo non è veramente il Cristo, perché come avrei potuto io, un peccatore, rappresentarLo adeguatamente? Questa è una rappresentazione del velo che porta su di sé l'impronta di Cristo.

Così noi dovremmo occuparci della nostra anima, per conformarla con pazienza al nostro amatissimo Modello. La sequela Christi, ossia l'imitazione di Cristo, è la migliore delle arti.

Tratto dal periodico della FSSP inglese "Dowry" n. 37.
Traduzione a cura di Traditio Marciana.

mercoledì 14 marzo 2018

Giovedì "del Grande Canone"


Κοντάκιον αὐτόμελον. Ἦχος πλ. β'.
Ψυχή μου ψυχή μου, ἀνάστα, τὶ καθεύδεις; τὸ τέλος ἐγγίζει,
καὶ μέλλεις θορυβεῖσθαι, ἀνάνηψον οὖν, ἵνα φείσηταί σου Χριστὸς
ὁ Θεός, ὁ πανταχοῦ παρών, καὶ τὰ πάντα πληρῶν.

Kontakion. Tono II plagale.
Anima mia, anima mia, alzati, perché dormi? S'avvicina la fine, e presto sarai confusa, sorgi dunque, acciocché ti risparmi Cristo Iddio, colui che ovunque è presente e tutto riempie.



Durante l'ufficio notturno (notte tra mercoledì e giovedì) si dice per intero il Grande Canone di Sant'Andrea di Creta (QUI).