sabato 29 febbraio 2020

La Quaresima Ambrosiana

di Luca Farina

La Chiesa Ambrosiana celebra la Santa Quaresima con tratti estremamente peculiari, che la differenziano nettamente dal Rito Romano e, per alcuni tratti, la avvicinano alle tradizioni orientali.

La differenza più vistosa, nota anche a coloro che non frequentano le Liturgie, è il suo inizio: mentre a Roma, dall'età gregoriana in poi [1], questo tempo inizia con il Mercoledì delle Ceneri, a Milano bisogna aspettare la domenica successiva, detta “in capite Quadragesimae”, di cui si tratterà sotto. La ricerca dell’origine di questo “Carnevale allungato” ha dato origine a molte leggende, come quella per cui i milanesi approfittarono dell’assenza del loro arcivescovo Ambrogio per protrarre i festeggiamenti. In realtà, come è facile intuire, queste spiegazioni, se pur divertenti, sono del tutto prive di fondamento storico, e l’origine è da ricercare in altro: nei primi secoli di vita cristiana, il termine Pascha non era utilizzato per indicare solamente la Dominica Resurrectionis, ma anche i giorni del Triduo, sottolineando l’unità, in termini di economia salvifica, tra la Passione, la Morte e la Resurrezione. Pertanto, se si contano a ritroso 40 giorni comprendendo il giovedì della Settimana Autentica [2] si arriva proprio ad una domenica. Secondo il celebre canonico del Duomo e insigne liturgista Monsignor Moneta Caglio [3], a ciò va aggiunto il fatto che Sant’Ambrogio, e in generale i Padri di quell'epoca, non avevano in mente 40 giorni di digiuno (cfr. nota 1) ma altrettanti giorni di penitenza (che implicano, anche, ma non solo, l’inedia) e, soprattutto, come periodo di tempo più simbolico che effettivo. L’idea, quindi, di fare un calco dei giorni passati nel deserto da Nostro Signore Gesù Cristo è più tarda.

Come inizia, quindi, la Quaresima? Al titolo di “dominica prima quadragesimae” è preferibile quello di “dominica in capite quadragesimae”, come se fosse una porta, cioè qualcosa che permette di entrare pur non essendo ancora completamente dentro. Fino all’episcopato di San Carlo Borromeo, infatti, questa domenica era celebrata in bianco, con Gloria e Alleluja, con una connotazione festiva. I predetti canti di gioia non si erano omessi, a differenza dell'austero costume del rito romano, durante le tre domeniche pre-quaresimali, di importazione romana, pur venendo queste celebrate in morello.
In questa domenica gaudiosa vi era addirittura la tradizione di preparare, come processione offertoriale [4], oltre alla materia del Sacrificio, fiasche di vino, salsicce, prosciutti ed altri tipi da alimenti, con una carnascialesca sfilata dalla chiesa di San Sepolcro. Questo spirito goliardico che andava anche a toccare la Liturgia e non consentiva di prepararsi adeguatamente al giorno successivo, primo giorno di penitenza, venne percepito indecoroso dal Santo aronese, che non esitò ad abolire ogni tratto di festosità, togliendo Gloria e Alleluja e imponendo il colore morello, cosa rimasta fino ad oggi. L’editto, molto severo, puniva, peraltro, coloro che avessero protratto i festeggiamenti nel tempo penitenziale. Questa riforma, seppur dettata da ragioni di morale del tutto condivisibili, ha sicuramente avuto un effetto "tridentinizzante" e non molto tradizionale sulla tradizione rituale di questa domenica.

Messa di una feria quaresimale celebrata in nero
dal compianto mons. Angelo Amodeo (1932-2012)
 Lo spirito quaresimale viene manifestato anzitutto col colore: morello [5] nelle domeniche e nei sabati (con forti richiami battesimali), nero nei giorni feriali.A Milano, infatti, il nero ha significato più che il lutto la penitenza, e solo in seguito, per traslato (remissione per i fedeli defunti) e influenza romana, si è applicato questo colore anche agli Uffici da morto. [6] Sull’onda della romanizzazione selvaggia il nero fu eliminato a seguito della riforma liturgica, ma fortunatamente ripristinato nel 2008 dall’allora Arcivescovo Tettamanzi, seppur in forma facoltativa accanto al morello.

Altro tratto tipico è quello del venerdì aneucaristico. Ogni venerdì di Quaresima è rigorosamente proibito celebrare la Messa, distribuire la Santa Comunione (se non come viatico) e impartire la Benedizione Eucaristica. L’idea di non celebrare nemmeno una “Messa dei Presantificati”, è quella per cui non si celebra il Signore vivo nell’Eucarestia quando se ne commemora la morte. Il padiglione che circonda il tabernacolo, ove presente, viene chiuso [7]. Spesso, tuttavia, si usa l’inesatta definizione di “giorno aliturgico”: ciò è scorretto, poiché è previsto, come sempre, l’Ufficio, con alcune particolarità: nella celebrazione del Vespro è omessa la recita del Magnificat e sono presenti quattro letture veterotestamentarie. Spesso, invece, in molte parrocchie non si celebra nulla di tutto ciò, ma si sostituisce con celebrazioni devozionali quali la Via Crucis (per la quale le disposizioni diocesane caldeggiano l’uso del colore rosso), dando veramente, allora, l’idea di un giorno senza liturgia.

La chiusura del padiglione nel Duomo di Milano

La chiusura del padiglione nella parrocchia di Introbio (LC)

In Quaresima non si celebra nessun Santo, ad eccezione di San Giuseppe (19 marzo) e dell’Annunciazione (25 marzo), ma se queste dovessero cadere nella Settimana Autentica o in quella dell’Ottava si traslano al primo giorno libero (ad esempio, nel 2016 l’Annunciazione sarebbe caduta nel venerdì della settimana autentica e fu traslata al 9 aprile). A partire dalla domenica in capite si coprono le immagini (con facoltà di scoprirle per le suddette ricorrenze).

Le preci litaniche delle
domeniche dispari
Anche l’organo, come da tradizione, tace (anche se, nella prassi recente, è tollerato per sostenere il canto) e viene sostituito dal canto a cappella, o spesso, dall’harmonium (soprattutto nelle chiese di campagna). In epoca barocca si diffuse l’uso di suonare violone e contrabbasso. E’ tradizione (sebbene vi sia chi lo faccia per tutto l’anno) di suonare le campane a morto alle 15 del venerdì.
La domenica, al posto del Gloria, vengono cantate le “preci litaniche”, durante le quali, mentre vengono cantate dal diacono, tutti stanno in ginocchio ad eccezione del celebrante e dei sacri ministri. Costituiscono un modello di ektenia, molto simile a quelle che costellano la liturgia orientale, alle deprecationes degli Ordines Romani e alla preghiera universale del Venerdì Santo romano, a cui si risponde, in maniera alternata per le varie domeniche, Kyrie eleison o Domine, miserere. Il formulario delle domeniche dispari, che principia con le parole Divinae pacis, è estremamente simile alla prima ektenia della liturgia del Crisostomo (che principia Ἐν εἰρήνῃ), e ci sono ragioni fondate per ritenere il testo di questa preghiera uno dei pochi elementi addirittura pre-costantiniani sopravvissuti nella liturgia (tra i quali possiamo citare il Gloria della messa e il Fos Ilaron del Vespro greco), come si può evincere dalla presenza di preghiere per i dannati ad metalla, pena caduta in disuso agl'inizj del IV secolo.

Totalmente sconosciuta, fino alla riforma liturgica, era l’imposizione delle ceneri, che veniva celebrata durante le Litanie triduane (dopo l’Ascensione) [8]. Solo dopo la riforma si è introdotta la pratica su imitazione del rito romano, ma opportunamente collocata al primo lunedì di Quaresima, quasi a ricordarne il valore di antico inizio vero e proprio.

Il cammino quaresimale si avvia verso la fine col sabato in traditione symboli, in cui ai catecumeni era consegnato il Credo, e il giorno successivo si apre la Settimana Autentica.

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NOTE

[1] Il mercoledì delle ceneri compare nell'uso romano solo attorno al VI secolo, in ragione del fatto che, non essendo le domeniche giorni di digiuno (e nemmeno i sabati), per completare un periodo di 40 giorni di pieno digiuno si anticipò di qualche giorno la Quaresima (al mercoledì dopo Quinquagesima a Roma, prassi poi adottata anche nel resto dell'Occidente fuorché a Milano, addirittura al lunedì dopo Quinquagesima nell'oriente bizantino). Nel rito romano è nondimeno marcata in qualche modo la recenziorità di questi giorni aggiunti, poiché sono chiamati "feria v post cineres" etc. e non "feria v in hebdomada I quadragesimae" etc. (anzi la "quadragesimalis observatio" inizierà a essere menzionata solo dalla domenica successiva), si trovano nella parte invernale del Breviario e non in quella primaverile, e adottano gli inni, i versi e i capitoli dell'ufficio infra annum, e non di quello quaresimale.

[2] E' così detta, nella liturgia ambrosiana, quella che in rito romano è detta “settimana santa”..

[3] Monsignor Ernesto Teodoro Moneta Caglio (1907-1995) fu liturgista, musicologo e primicerio del Duomo di Milano

[4] Fino al Concilio di Trento era uso, poi conservatosi solamente per l’Epifania, che fossero i fedeli a portare all’altare la materia per il sacrificio.

[5] Particolare sfumatura del viola, molto scura. Spesso, però, le parrocchie fanno uso di paramenti violacei in tutto uguali a quelli romani.

[6] E' interessante notare che nel mondo bizantino slavo, attorno al XVII secolo, si diffuse l'uso tuttora prescritto dal tipico moscovita di celebrare gli uffici delle ferie quaresimali in nero. Non è ben chiara l'origine di questa prassi, poiché il nero -pur essendo uno dei colori più antichi della liturgia gerosolimitana- non è mai entrato nella prassi costantinopolitana, che ad oggi continua a prevedere due soli colori, il bianco ("paramenti chiari" nel tipico) e il rosso scuro ("paramenti scuri" nel tipico), ancorché nella prassi parrocchiale greca si sia diffuso l'uso dell'azzurro per le feste della Madonna e per le Teofanie (influsso slavo) e del viola per le domeniche e le ferie di quaresima (influsso occidentale). Il tipico moscovita ad oggi eppure prevede l'uso del nero per le ferie di Quaresima e per il Venerdì Santo, e una prassi diffusa lo vede impiegato pure per i funerali, laddove la tradizione bizantina vorrebbe il bianco. Non manca chi, postulando un influsso improbabile ma non impossibile, vede in queste pratiche una contaminazione ambrosiana.

[7] In Lombardia, ma anche nel novarese, è consuetudine porre intorno all’altare maggiore un grande drappo, detto padiglione. Viene agganciato in alto con una corona (che, nel periodo asburgico, imitava, le fattezze del copricapo imperiale) e, in basso, ai due lati, costruendo una specie di triangolo di stoffa, dei varj colori liturgici.

[8] Altra particolarità ambrosiana è quella di celebrare le litanie triduane (l'equivalente delle Rogazioni minori) dopo l’Ascensione, in nero, ad ulteriore conferma della sua primigenia funzione penitenziale. In realtà anche nel resto dell'Occidente ci furono lunghe dispute sull'opportunità di celebrare le litanie penitenziali nel tempo pasquale, che si conclusero sì con l'assegnazione delle litanie ai giorni prima dell'Ascensione, ma senza digiuno.

Bibliografia:

-Acta Ecclesiae Mediolanensis a Sancto Carolo Cardinali S. Praxedis Archiepiscopo condita Federici Cardinalis Borromaei Archiepiscopi Mediolani jussu undique diligentibus collecta Carolo Cajetano Archiepiscopo Cardinali De Gaisruck adprobante edita, Milano, Paolo Pagnoni, 1843;
-M. NAVONI, Dizionario di Liturgia Ambrosiana, Milano, NED, 1996;
-A. CASCETTA, R. CARPANI, La scena della gloria. Drammaturgia e spettacolo a Milano in età spagnola, Milano, Vita e Pensiero, 1995;
-E.T. MONETA CAGLIO, in Ambrosius: rivista di pastorale ambrosiana, Milano, Centro ambrosiano di documentazione e studi religiosi;
-G. BORGONOVO, Manuale di Liturgia Ambrosiana, Varese, Tipografia Arcivescovile dell’Addolorata, 1953;
-Rivista Diocesana, Boniardi Grafiche, marzo 1936;

lunedì 24 febbraio 2020

Missa pro vitanda mortalitate

Perutilis esse potest sequens Missa tali tempore pestis. Haec Missa dici potest die XXIV Februarii ut votiva privata, paramentis violaceis adhibitis, cum tono feriali si cantus adhibeatur, sine Gl. et Cr. et cum Ben. Dno. in fine, cum comm. vigiliae S. Matthiae, 3a oratio ad poscenda suffragia Sanctorum, et Ultimo Evangelio vigiliae. Dici tamen nequit ut votiva privata in festo S. Matthiae, et per totam Quadragesimam. Ut votiva sollemnis pro re non gravi cani potest etiam in Quadragesima, non autem in feria IV Cinerum, in dominicis et in omnibus festis duplicibus, ut supra, additis tamen commemorationibus sive orationibus de tempore prout dies requirat.

Ut votiva vero sollemnis pro re gravi, tantum ex concessione sive jussu Antistitis, cani potest etiam in Quadragesima, praeterquam feria IV Cinerum, in diebus dominicis et in duplicibus I classis. Quo casu utitur tono sollemni, dicitur Credo, et commemorantur tantum duplicia II classis vel festa Domini, si in kalendariis particularibus aliqua sint.

In dioecesibus ubi ab Ordinario imperatae sunt preces pro vitanda pestilentia, orationes hujus missae dicuntur quotidie post omnes orationes quas officium requirit, non omissis orationibus de tempore, praeterquam in duplicibus I classis et in dominica palmarum.





sabato 22 febbraio 2020

Processio tempore mortalitatis et pestis





Santa Comunione e Coronavirus

Con l'esplosione dell'epidemia di Coronavirus anche nel Nord Italia, l'autorità civile è dovuta prontamente intervenire nei centri più colpiti dalla malattia, isolandoli e vietando raduni e attività pubbliche dove i germi si sarebbero potuti diffondere in quantità. Anche l'autorità ecclesiastica, naturalmente, si è mossa, e tuttavia forse non nel modo che si sarebbe detto più congeniale. Rifletteremo qui anzitutto su ciò che ha detto, e poi su ciò che non ha detto.

I vescovi di Lodi, Piacenza, Adria e probabilmente altri hanno emesso ordinanze giusta le quali, per evitare la diffusione del contagio, oltre a omettersi lo "scambio della pace" (Deo gratias), la Santa Comunione è da distribuirsi preferibilmente o unicamente sulla mano. In tale prescrizione, oltreché al favorirsi di una pratica illegittima, si rende manifesta una considerazione piuttosto problematica della Santissima Eucaristia.

Nella mens tradizionale, la materia del pane e del vino, venendo consacrata, si trasforma completamente in qualcosa di divino, cioè nel Corpo e nel Sangue di Cristo. E il Corpo di Cristo, che non conobbe la corruzione del peccato, non può  subire la legge della corruzione come ogni altra materia del mondo o, quanto meno, ne dev'essere particolarmente preservata. Se Cristo è realmente risorto dai morti, vincendo dunque la corruzione della sua materia corporea, perché il pane e vino eucaristici dovrebbero corrompersi come se non fossero stati consacrati? I miracoli eucaristici sono solo una delle molteplici testimonianze di questo: se i corpi dei santi, trasfigurati dalla grazia, sono sovente incorrotti, a maggior ragione lo dev'essere la Santa Eucaristia.

Pensare che il pane eucaristico possa essere vincolo di malattie significa negare la natura incorruttibile del Corpo di Cristo, oppure negare che esso sia realmente il Corpo di Cristo. Così come pensare che i celiaci debbano ricevere del pane a bassissimo contenuto di glutine: non si stanno comunicando a del pane, ma al Corpo di Cristo! Un sacerdote greco mio carissimo amico, pur essendo gravemente celiaco, si comunica ogni domenica con "pane normale", e non ha mai accusato alcun problema: perché comunica non al pane, ma al Corpo di Cristo.

Con queste parole, anni fa, il metropolita Nicola di Mesogaia e Lavreotiki (laureato in astrofisica e ingegneria biomedica ad Harvard e al MIT), ammoniva i fedeli che manifestavano preoccupazione nell'accostarsi alla Divina Comunione per l'eventuale diffusione della malattia (a quel tempo una banalissima influenza, seppur molto virulenta), Comunione che nella prassi orientale è data mediante la λαβίδα (lavìda, il cucchiaino), che tutti mettono in bocca, asciugandosi poi al medesimo purificatoio.

Come potrebbe mai la comunione con Dio essere causa di malattia o pure del danno più lieve? Come potrebbero mai il corpo e il sangue del nostro Signore e Dio inquinare il nostro corpo e il nostro sangue? Come potrebbe mai un’esperienza quotidiana di duemila anni essere negata dal mero razionalismo e dalla fredda superficialità del nostro tempo?

I fedeli – sia sani che malati – hanno ricevuto la santa Comunione per secoli, distribuita dagli stessi cucchiai da Comunione – che non sono mai lavati né disinfettati – e mai niente di sfortunato è successo. I preti che servono negli ospedali, anche in quelli per malattie contagiose, distribuiscono tutti la santa Comunione ai fedeli, quindi consumano i resti del calice con riverenza e tutti godono di lunga vita. La Santa Comunione è tutto ciò che come Chiesa e come popolo abbiamo di sacro. È la suprema medicina per il corpo e per l’anima. Questo è pure l’insegnamento e l‘esperienza della nostra Chiesa.

Tutti quelli che non credono nel miracolo della Risurrezione del Signore, che disprezzano la sua nascita da una vergine, che negano la fragranza emanata dalle sante reliquie, che mostrano disprezzo verso tutto ciò che è santo e consacrato, che cospirano contro la nostra Chiesa e cercano di sradicare la minima traccia di fede dalle nostre anime cercheranno pure naturalmente di usare questa opportunità di insultare il santo mistero dell’Eucaristia.

Sfortunatamente, il problema non è il virus dell’influenza – come i media amano proclamare – né lo è il virus del panico mondiale – sostenuto da interessi medici. Il problema è il virus dell’empietà e della mancanza di fede. E il miglior vaccino è la nostra partecipazione frequente al mistero della santa Comunione, con una coscienza chiara e irreprensibile. (fonte)

Al provvedimento, invece, dei vescovi nostrani, che alla meglio sono sviati dal razionalismo materialista a considerare la materia naturale del pane sopra l'essenza sovrannaturale del Corpo, e alla peggio considerano probabilmente la Comunione come un vincolo di unità puramente umano e non come la partecipazione fisica al Corpo incorrotto, risorto e incorruttibile di Cristo di cui facciamo misticamente parte come membra della Chiesa, si aggiunge quello di svuotare le acquasantiere dell'acqua lustrale: si potrebbe fare un ragionamento analogo, visto che la benedizione dell'acqua è un sacramentale che comunque "divinizza" l'acqua vivificandola per grazia (tant'è vero che durante la solenne benedizione delle acque alla vigilia dell'Epifania il sacerdote si rivolge direttamente all'acqua, appellandola come creatura viva). Nello specifico, è però meno grave della questione dell'Eucaristia, che mette in crisi -seppur subdolamente- un fondamento imprescindibile del Cristianesimo!

Ma veniamo ora a ciò che l'autorità ecclesiastica non ha detto. La lettera del vescovo di Lodi si conclude con una timida esortazione alla preghiera (dice di ricordare nella Messa le 18 parrocchie chiuse perché nell'epicentro dell'epidemia, e invita a dire il Rosario per i malati). Quanto questo atteggiamento è distante da quello che dovrebbe attuare ora la Chiesa: indire pubbliche processioni e messe votive tempore pestis, prescrivere il canto delle litanie e invocare la misericordia divina, anche impegnandosi in voti solenni. Ma, anche per le gerarchie ecclesiastiche e la gran parte della popolazione c.d. "cattolica", la fede ne laScienza™ ha purtroppo sostituito quella in Gesù Cristo...

giovedì 20 febbraio 2020

Lo smarrimento del senso del Sacro

Alcuni fatti accadutimi piuttosto di recente mi hanno portato a riflettere ancora sul problema del Sacro nel mondo contemporaneo, un concetto che pare completamente obliato dalla mente dei più, imbevuti di sterile razionalismo e immanentismo; tale mancanza tuttavia, oltre a costituire un dramma per la stessa esistenza umana, che senza il sacro diventa confinata alla triste ed effimera dimensione terrena, rende le genti d'oggi profondamente lontane dai loro avi, prescindendo in modo piuttosto grave la comprensione della loro mentalità, e dunque delle loro azioni, e in ultima istanza della nostra storia e delle nostre radici.

Qualche mese fa assistei a un seminario riguardante la vexata quaestio dell'ateismo tucidideo, una "leggenda" nata tra i suoi contemporanei, a partire da alcuni passi delle Storie in cui egli pare distaccarsi dalla religiosità popolare (appunto dalla religiosità popolare, non dalla religione, pur parlando ovviamente di quella naturale pagana), e sfociata in una tradizione che vede per suo maestro Anassagora, il filosofo condannato a morte per empietà nell'Atene periclea. Il biografo tardo Marcellino, autore di una Vita Thucididis datata probabilmente al V secolo d.C., scrive infatti: Ἤκουσε δὲ διδασκάλων Ἀναξαγόρου μὲν ἐν φιλοσόφοις, ὅθεν, φησὶν Ἄντυλλος, καὶ ἄθεος ἠρέμα ἐνομίσθη [1]. La storiografia, nei secoli, ha accolto in modo molto vario questa opinione, rivalutando più volte la figura dello storico ateniese; tra gli studi più recenti, quelli di S. Hornblower tornavano a considerare valida la tesi dell'ateismo tucidideo, sottolineando che sempre, ove si presentasse qualche elemento religioso in Tucidide, ciò avvenisse per ironia sulla concezione molto religiosa ("caligine ingombrante del numinoso", la definì sprezzantemente) di Erodoto, dal cui modello storiografico Tucidide si allontana notevolmente. La relatrice, la dott.ssa Paola Schirripa, autrice peraltro di un saggio sugli spazi del sacro in Tucidide, Il tempio, il rituale, il giuramento: spazi del Sacro in Tucidide, edito da Carocci nel 2015, ha abilmente smontato questa teoria, dimostrando che nelle Storie si delinea in modo chiaro, e condiviso dall'autore almeno a livello valoriale se non in foro interno, un piano del Sacro, con i suoi tempi, i suoi luoghi i suoi riti.

Se ho personalmente molto apprezzato la preparazione della relatrice, nonché l'interesse e l'efficacia delle sue argomentazioni per quanto concerne la materia storiografica, un fatto mi ha colpito molto negativamente. Tanto la conferenziera quanto i presenti che sono dipoi intervenuti in sede di dibattito, hanno dimostrato, nei loro interventi, di parlare del Sacro, dei suoi ritmi, dei suoi spazi, quasi come qualcosa di alieno, appartenente a un'altra civiltà, o almeno a un'altra epoca, e non come un'esperienza comune e necessaria per tutta l'umanità lungo tutta la Storia, come invece effettivamente è. Durante il seminario, non rammento in quale intervento, ho registrato queste parole: "La religione antica è un'esperienza continua del Sacro". Quanto questo è vero anche per la religione Cristiana! Ed eppure quanto è dimenticato. Questa frase, molto precisa, che utilizza un termine fondamentale nella comprensione di una religione di tipo soprannaturale, cioè esperienza, si applica perfettamente al Cristianesimo. Le operazioni dello Spirito, della Divina Trinità, che noi esperiamo mediante la Grazia, sono la chiave della vita cristiana; l'ideale della vita cristiana è la deificazione dell'uomo, il diventare cioè un alter Christus nella Grazia, che riceviamo attraverso il Sacro. Per una mente non tristemente chiusa nel razionalismo, sarà palese provare sensazioni diverse trovandosi in una biblioteca o in una chiesa, a una liturgia o a una conferenza, anche qualora fosse cieco e sordo, e cioè non vi fossero elementi esterni che lo inducessero a considerare lo spazio in cui si trova, ma solamente le affezioni spirituali. Come si osservava durante il seminario, "il Sacro ha i suoi tempi, che sono diversi da quelli degli uomini": e si pensi quindi alle lunghe liturgie dei Cristiani, che durano anche diverse ore, e astraggono l'uomo da questo mondo di fretta per cui non c'è da sprecare un minuto, non solo dal tempo ma anche nello spazio, trovandosi egli nello spazio della chiesa, che con la sua struttura tradizionalmente non-naturale [2] vuole raffigurare il Regno dei Cieli e distaccare il fedele dal mondo.

Tutto ciò, tuttavia, non pare preso in considerazione, e la sacralità sembra qualcosa relegata all'antico (o al più, ammetteva qualcuno se non erro, presente nella "superstizione" popolare ottocentesca). Tra i presenti e intervenuti, per mia conoscenza, vi era più di qualcuno almeno nominalmente cattolico: eppure dai suoi interventi pareva essere così distante da qualsiasi concezione del Sacro! Verrebbe da chiedersi cosa questi credono che sia la religione Cristiana: forse una filosofia, un ragionamento puramente umano intorno a un'entità superiore? Questi sono i devastanti effetti del modernismo: lo si vedé in Germania, ove particolarmente il luteranesimo guglielmino, che - a differenza del protestantesimo classico, basato sull'esasperazione della dottrina agostiniana, che professavano i luterani del Cinque-Seicento - si fonda essenzialmente sull'idealismo (razionalista) hegeliano, ha condotto la popolazione alla più totale indifferenza verso qualsiasi concezione sacrale, anche quelle poche rimaste intatta alla furia di Lutero. Lo si vede oggi nel mondo cattolico, dove l'"aggiornamento" della Chiesa nel XX secolo, coronamento di un sentire razionale che da parecchi secoli era covato entro le sue mura, e la cui esplosione fu enormemente favorita dalla secolarizzazione importata dopo la Seconda Guerra Mondiale dalla colonizzazione globale, ha portato una popolazione intera a dimenticare completamente il significato e il valore di un Sacro che riconosce a parole negli antichi, ma in cui è incapace di ritrovarsi.

Una simile sensazione ebbi di una docente di Storia che conobbi, la quale era ben conscia del fatto che l'Impero Bizantino -cui aveva dedicato molti anni dei suoi studi- aveva come suo primo fondamento l'Ortodossia, e che a Costantinopoli la teologia faceva la storia; eppure, pur ammettendo che questo le piacesse come tema di studio, si vedeva ch'ella accettava questo fatto ma non lo capiva. Perché non era capace di viverlo, di concepirlo, pur essendo una cattolica praticante. E, non riuscendo a viverlo e a concepirlo, in fondo probabilmente non ha mai ricompreso dentro di sé, la Storia Bizantina, di cui è stata una, pur geniale e dottissima, fredda osservatrice esterna [3].

L'ultimo fatto che cito riguarda un articolo del Fatto Quotidiano [4] sulla processione recentemente tenutasi in Sicilia per implorare Sant'Antonio di far cessare la siccità che attanaglia l'isola. Del fatto che i "gretini" sembrano ostinatamente non comprendere qualsiasi aspetto religioso avevo scritto qui. Conoscendo l'autrice, poi, veganista convinta oltreché gretina militante, mi aspettavo il classico articolo ateista contro le manifestazioni religiose pubbliche. Invece no: nell'articolo addirittura l'autrice simpatizzava con la processione, salvo negarle ogni valore. Le pareva così retrogrado il fatto che qualcuno pensasse che la religione possa avere qualche influenza sul cosmo. Ora, non che io mi aspettassi molto di più dal Fatto Quotidiano, un giornale i cui vaticanisti ogni giorno spingono per le più eterodosse innovazioni in seno alla Chiesa Romana, e tuttavia quell'articolo, così imbevuto di positivismo razionalista, mi ha fatto molto pensare. I costumi e le usanze dei nostri padri, dagli antichi ecisti ai nostri bisnonni, non li comprendiamo più: leggiamo tutto con una mentalità positivista, sentendoci superiori al passato e alla sua mentalità, che dall'alto del nostro razionalismo sprezziamo fortemente. Ogni tanto qualcuno ha l'intuizione di guardare indietro, ai grandi esempi di un tempo, ma il suo sguardo è vano, perché non riesce a comprenderli. Senza renderci conto che in questo modo ci stiamo privando non solo del fondamento della vita terrena, ma soprattutto della vita ultraterrena, unico e sommo scopo della nostra esistenza.

{La I persona plurale è chiaramente generica, non si riferisce sperabilmente agli autori né ai lettori del blog}

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NOTE

[1] "Tra i suoi maestri ebbe il filosofo Anassagora, laonde, dice Antillo, lentamente fu ritenuto ateo". Marcellino, Vita Thuc. 22.

[2] Nella struttura tradizionale della chiesa, la luce, la decorazione musiva, pittorica o statuaria, l'assenza di panche o sedie e di qualsiasi elemento strettamente legato alla vita di tutti i giorni, contribuiscono a creare questa atmosfera di distacco dal mondo e di ingresso nel Regno Celeste. Le modifiche che via via, nei secoli, hanno interessato la struttura dell'edificio (decorazione che diventa puramente "artistica", introduzione di fiori o peggio vasi con terra, di panche e sedie, e in ultimo la rivoluzione degli spazi simbolici come l'altare, la separazione tra aula e santuario, etc.) ne hanno gradatamente offuscato la funzione.

[3] E non mi metto qui a disquisire di ciò che ho potuto constatare nella preparazione religiosa della popolazione durante quel corso, ove un giovane ventenne, formato al catechismo parrocchiale da fanciullo, scoprì di aver inconsciamente sempre professato la fede ariana, tanta essendo l'ignoranza diffusa...

[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/18/ce-siccita-in-sicilia-invocano-santantonio-ma-la-scienza-non-crede-nei-miracoli/5709175/

giovedì 6 febbraio 2020

Considerazioni liturgiche sparse - parte 1

Questo post e il suo seguito sono frutto di considerazioni sparse, avute durante colloqui personali a tema liturgico nelle scorse settimane. Esse sono state qui raccolte volutamente in modo disorganico, senza cercare di dare al testo una struttura logica consequenziale, impresa che sarebbe stata per verità non facile data la totale disomogeneità dei contenuti; sono state solamente inserite alcune note affine di precisare i riferimenti bibliografici, e qualche connettivo per evitare ripetizioni inutili.

1. Circa l'osservanza delle norme liturgiche

Mi è recentemente capitato di osservare le foto di alcune liturgie pontificali celebrate in varie località dell'orbe cattolico. La cosa è certamente lodevole, poiché, dopo la messa papale, è nella messa pontificale che massimamente può contemplarsi lo splendore della liturgia romana; nondimeno, ai nostri occhi appare non di rado un tristo spettacolo, ovverosia che questo splendore venga offuscato dal ripetersi dei sempre medesimi errori, i quali, venendo riprodotti pur dopo numerosi appelli alla correzione degli stessi, risultano non più occasionali e perdonabili dimenticanze, sibbene vere e proprie offese volontarie allo spirito della liturgia e all'importanza delle sue norme.

Ci sarà sicuramente qualche bempensante [1] pronto ad accusare lo scrivente di esagerato rubricismo. Come se fosse un insulto perseguire la corretta esecuzione delle norme liturgiche stabilite dalla Tradizione! La rubrica non si segue per vezzo, né per sterile obbedienza, ma perché essa riferisce un costume ereditato dai Padri e vestito di una simbologia liturgica precisa, che rimanda direttamente ai principi, di ispirazione apostolica e patristica, sui quali è costruita la liturgia stessa. Accade talora che, anche da noi, una norma liturgica, specialmente se riformata in età relativamente recente, possa esser fatta oggetto di contestazione: questa si deve però basare su un'analisi precisa dei principj della liturgia, che sono indissolubilmente legati all'ortodossia della fede, non sull'arbitrio personale, né tantomeno su una considerazione di circostanza o sulla trascuratezza volontaria dell'essenza stessa della norma. Infatti:
- da un'analisi dei principj della liturgia, concetto sul quale i maggiori e più retti liturgisti hanno sempre insistito, spesso purtroppo indarno, possono nascere delle riflessioni serie. Ad esempio: il Caeremoniale Episcoporum, nella sua edizione principe del 1600, prevede che il Suddiacono canti l'Epistola extra presbyterium [2]; questo inciso sparisce nelle ultime edizioni. Tuttavia, considerando la prassi antica di cantare le pericopi scritturali dagli amboni posti non di rado nel mezzo della navata, prassi mantenuta per consuetudo legitima ove praticata a norma del medesimo Caeremoniale, appare chiaro che il canto dell'Epistola fuori dal presbiterio maggiormente risponda ai principj liturgici. Un'analisi di questo tipo, basata sui principj, è quella fatta da mons. Léon Gromier nel suo mirabile Commentaire [3] al Cerimoniale dei Vescovi.
- da un arbitrio personale nascono mostri liturgici, poiché -soprattutto in una società dominata dal pensiero razionalista quale l'odierna- il personale sentire del liturgista, quando non ha principj su cui poggiarsi, è esposto a condizionamenti che lo conducono in una direzione del tutto opposta rispetto alla mens dei Padri e degli Apostoli. Quando poi a un sentire non retto si accompagna un'impostazione teologica problematica se non manifestamente eretica, il disastro è in arrivo: le riforme liturgiche del secolo scorso ne sono patente testimonianza.
- dall'inosservanza e dalla trascuratezza non nasce nulla fuorché il disprezzo per la liturgia stessa. Caso mille volte esaminato, e che nonpertanto si ripresenta con una certa regolarità, impietoso teste dell'incuria di certuni: l'uso dei sandali e dei calzari. Già QUI abbiamo avuto modo di spiegare, riprendendo anche in quella circostanza l'errore di non metterli, il loro significato legato alla missione stessa del Vescovo in quanto successore degli Apostoli e al munus della predicazione evangelica. Orbene, poiché non esiste argomento di principio liturgico che osti all'uso dei sandali e dei calzari (salvo uno palesemente sospetto di eresia, id est rifiutare il dovere cristiano di annunziare il Vangelo e la conversione a Cristo); né supponiamo vi sia una decisione ponderata, ancorché arbitraria ed erronea, da parte di queste persone che viceversa si mostrano bendisposti all'uso anche eccessivo (nel senso di non necessario giusta le norme liturgiche) di suppellettili preziose; allora rientriamo pienamente in questo terzo caso. Non abbiamo i sandali, ma non importa, trascuriamo a cuor leggero la norma e facciamo ugualmente il Pontificale!
Seguendo questa linea di pensiero, arriverà il giorno in cui non avranno l'ostia e il vino, ma faranno ugualmente la messa...

2. Circa la messa pontificale al faldistorio

Sempre guardando le già citate foto, alcune delle quali riguardanti un Pontificale celebratosi in occasione della Purificazione della Beata Vergine, e preceduto dalla benedizione delle candele e dalla processione con le stesse, si è riaperto una questione già da tempo discussa: la messa pontificale al faldistorio, ponendosi nel mezzo tra la messa pontificale al trono e la messa solenne, è più vicina alla prima o alla seconda?
La messa pontificale avviene in ragione del trono, che è il centro di tutta la sacra funzione, è del clero cattedrale: il capitolo parato, i diaconi assistenti, gli stessi ministri inferiori parati... al di fuori di questo contesto è molto difficile trasportare il senso delle cerimonie del pontificale. La messa al faldistorio, anticamente, era circostanza assai rara: a celebrarla erano sostanzialmente i vescovi senza giurisdizione (ausiliarj e titolari) e i prelati con diritto ai pontificali (i quali però pontificavano in una forma ulteriormente ridotta e ancor più vicina alla semplice messa solenne, normata in altro modo). L'evenienza di un Vescovo che si trovasse a celebrare una messa pontificale al di fuori della sua diocesi, in epoca storica, doveva essere alquanto rara; oggi, poiché i Vescovi che celebrano in rito antico raramente sono Ordinarj diocesani e anche laddove ciò avvenisse non di rado celebrano fuori dalla propria diocesi, a meno che questi non decidano di appropriarsi più o meno indebitamente dei distintivi della giurisdizione [4], la messa pontificale al faldistorio viene praticata in modo estremamente più diffuso. E questo nonostante i testi normativi siano alquanto taciti su questa forma (il Caeremoniale Episcoporum in primis, che fa cenno al Pontificale al faldistorio in modo sparso nei suoi varj capitoli, con indicazioni raccolte provvidenzialmente in unum dal Gromier alle pp. 314 e ss. del già citato Commentaire), e le indicazioni dei manuali di cerimonie presentino perciò numerose variazioni, quasi tutte dovute al fatto che si cerchi la somiglianza col pontificale al trono piuttosto che alla messa solenne (con l'eccezione di qualche autore originale che prescrive soluzioni hapax e peculiari per la sola messa al faldistorio).

Due questioni hanno suscitato le immagini della detta messa della Purificazione:
1. Se alla processione (della Candelora ovvero delle Palme) precedente la messa al faldistorio la croce sia portata da un alter subdiaconus o dal suddiacono della messa;
2. Se sia lecito ai sacri ministri sedere, a capo coperto, sui gradini dell'altare.

1. A differenza del Giovedì e del Venerdì Santi, dove la rubrica del Messale prescrive esplicitamente la presenza, anche alla messa solenne cantata da un semplice prete, di un alter subdiaconus, a portare la croce alla messa delle Palme e a quella della Candelora è il suddiacono della messa. La situazione è diversa al Pontificale al trono, sia che il Vescovo celebri pontificalmente la sola benedizione con processione, e un canonico poscia canti la messa, sia che il Vescovo pontifichi pure alla messa. Il Caeremoniale Episcoporum prescrive che alla benedizione intervenga il capitolo e che il Pontificante sia assistito dai due diaconi assistenti; onde la necessità di un subdiaconus portans crucem, chiaramente parato con pianeta piegata, durante la processione. Lo stesso precisa che durante la processione il diacono e il suddiacono della messa, e l'eventuale celebrante, finora rimasti al loro posto in abito di coro, indossino i paramenti per la Santa Azione, e non partecipino dunque alla processione [5].
Poiché al faldistorio non vi sono i diaconi assistenti, alla benedizione assistono il celebrante il diacono e il suddiacono della messa, parati con le pianete piegate. Poiché dunque si ricade in una situazione del tutto identica alla messa solenne cantata da un semplice prete (a eccezione della presenza del faldistorio che sostituisce il cornu epistolae come luogo di presidenza per le benedizioni, ma è un dettaglio affatto ininfluente), sembra oltremodo logico che ci si debba conformare alla messa solenne e incaricare il suddiacono della messa di portare la croce, anziché parare un altro suddiacono per inopportuna somiglianza con il pontificale al trono.

2. Pour s’asseoir, les trois ministres vont au banc du prêtre célébrant; ils s’y placent, le prêtre assistant le plus proche de l’évêque, le diacre à la suite, le sous-diacre à, l’autre bout [6]. L'indicazione è precisa e perentoria: bisogna usare il banco che s'impiega alla messa solenne, e non è dunque possibile che i sacri ministri siedano sui gradini dell'altare. Non è possibile instaurare paragoni né con i ministri delle insegne che siedono ai gradini del trono (il trono è una cosa completamente diversa dall'altare, con un significato ben preciso nel suo utilizzo), né tanto meno con la cappella papale, nella quale la situazione è dettata da norme gerarchiche del tutto interne [7]. Il fatto che, non sussistendo le relazioni gerarchiche predette, le consuetudini della cappella papale non si applicassero ai pontificali al faldistorio nelle altre chiese, nemmeno all'interno dell'Urbe, è testimoniato, oltreché dalla logica, dalla foto sottoriportata. Inoltre, come spiegato alla nota 7, i sacri ministri che alla cappella papale sedevano sui gradini dell'altare non si coprivano, il che sarebbe stato indecente.

Pontificale al faldistorio in S. Giovanni al Laterano, celebrato nei primissimi anni del XX secolo, regnante Leone XIII. Come si vede, i sacri ministri sono assisi sulla panca dal lato dell'epistola.
(fonte dell'immagine: J. DARC, Léon XIII et sa Cour, Paris, Empis, senza data)

Continua...

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NOTE

[1] Nota per gl'improvvidi che, non potendo attaccare il contenuto di questo articolo, cercano di criticarne la forma per svilirlo: le regole ortografiche (non fonetiche) dell'Italiano prevedono che la consonante nasale, avanti a consonante occlusiva, si realizzi graficamente m e non già n. Poiché bempensante, essendo parola composta, ha tutto il diritto di scriversi senza interruzione grafica (decisione che spetta all'arbitrarietà delle convenzioni linguistiche), venendosi a incontrare n e p occorre trasformare la prima seguendo le predette norme ortografiche. Ita est ac simpliciter.

[2] Caeremoniale Episcoporum jussu Clementis VIII Pont. Max. novissime reformatum, Romae, ex Typographia linguarum externarum, 1600, lib. II, cap. VIII.

[3] L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum, Paris, La Colombe, 1959

[4] Il decreto 4023 della Congregazione dei Riti del 9 maggio 1889 (non incluso dunque nell'ultima edizione del Caeremoniale che è del 1882) rimette alla facoltà degli ordinarj di cedere il trono ad altro vescovo, purché non sia il suo coadiutore, ausiliare, né il vicario generale della sua diocesi, né un canonico del suo capitolo. Questo mitiga la rigida disciplina fino ad allora in vigore, e giustificata dalla ragion d'essere del trono (e del pastorale che vi è indissolubilmente legato).
Come sappiamo, purtroppo, i Vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X tendono a celebrare ubique al trono, pur essendo vescovi ausilarj e non disponendo di giurisdizione veruna. Questo, oltre a essere liturgicamente insensato, è teologicamente pericoloso, poiché dispone a pensare che la giursdizione venga concessa insieme all'ordine durante la consacrazione episcopale. Questo errore, diffuso tra i vescovi degli anni '50, è poi entrato nei documenti del Concilio Vaticano II (cfr. Lumen gentium, § 21 e ss.).

[5] Caeremoniale Episcoporum, lib. II, cap. XVI. Il commento del Gromier (Commentaire du Caeremoniale episcoporum, op. cit., p. 380) fornisce alcune indicazioni aggiuntive per l'ipotesi in cui il Vescovo pontifichi al trono pure alla messa anziché assistervi, ma non già per l'eventualità di benedizione e messa al faldistorio, a quanto pare un'opzione improbabile a quel tempo. Esso ammette che i canonici che serviranno come diacono e suddiacono della messa, nel caso in cui questa sia cantata pontificalmente al trono, prendano parte alla processione, poiché avranno tempo per pararsi durante Terza. Questo non può essere usato come controargomento indicante che alla processione possono partecipare e i sacri ministri e l'alter subdiaconus - come pure taluni hanno malamente cercato di fare - poiché i ministri qui non sono ancora parati, ma sono in abito canonicale e dunque non sono ancora ministri, ma lo diventeranno solo alla messa; inoltre la precisazione del Gromier si basa sul canto di Terza, che senza trono e capitolo non ha ragion d'essere.

[6] L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum, op. cit., p. 315. Poco più avanti si richiama il Caeremoniale, lib. I, cap. XIX.

[7] Alla messa pontificale al faldistorio celebrata da un prelato alla presenza del Sommo Pontefice, giusta precisa indicazione del Patrizi Piccolomini, i sacri ministri siedono sui gradi dell'altare senza coprirsi. Ciò avviene per diverse ragioni, legate però alla gerarchia della cappella: ovvero per non trovarsi su una panca di fronte al Papa, il che sarebbe scandaloso allorché gran parte della prelatura sedeva sui gradini del trono o stava direttamente in piedi, e perché al posto della panca eravi il seggio del vicecamerlengo, che come Governatore dell'Urbe deve essere sempre pronto di fronte al Papa.

sabato 25 gennaio 2020

Diario della Preghiera di Teofane il Recluso - parte 4 e ultima

Vedasi qui la prima parte, con l'introduzione e la contestualizzazione.

Tra gli argomenti più importanti trattati in queste centurie:
- la natura sacrificale della messa (133-134)
- la distinzione tra vita intellettuale e vita vera nella grazia e nella luce divina
- alcuni consigli su come regolare la preghiera e la propria interazione con Dio (con riferimento alla preghiera del cuore e all'avvertire la presenza di Dio in ogni tempo e in ogni luogo).


131) La passione del Signore è come una scala con la quale egli discese sempre più in basso, fino all'estrema umiliazione e svuotamento di sé, fino al suo grido di dolore al Dio Padre: Perché mi hai abbandonato?
Così in basso siamo caduti! Che il Signore ci conceda di comprendere e sentire tutto l'orrore del peccato! Quale sacrificio è stato necessario! Eppure il Dio trino non si è allontanato da lui. Che profondità incommensurabile di amore per gli uomini!

132) Bisogna pregare affinché Dio ci conceda di vedere il Salvatore come Figlio di Dio incarnato che rimase Dio in tutta la sua umanità, essendo uno della Trinità di Dio.

133) Il mistero del Corpo e del Sangue è la cena per i fedeli, ma soprattutto è un sacrificio. In tutto il mondo gli uomini offrono sacrifici a Dio. Ma il vero sacrificio è uno solo, di infinito valore, quello del Corpo e del Sangue del Signore. Esso esiste senza interruzione nella Chiesa, unendo il cielo con la terra. I cristiani devono ricordarlo, perché tutti i credenti, dovunque siano, sono una Chiesa. Per questo ciò che si fa in una Chiesa particolare non è estraneo alle altre Chiese particolari e, di conseguenza, a tutti i cristiani.

134) Il sacrificio senza scorrimento di sangue viene offerto da Gesù Cristo come dal Capo della Chiesa. Questo è il senso di ogni Divina Liturgia dovunque essa sia celebrata. Il sacrificio non di sangue ha una sua forza perché attraverso il suo offerente il Signore lo unisce con il suo sacrificio cruento della croce. In questo modo tutti i sacrifici particolari, uniti all'unico sacrificio cruento, fanno in modo che esso agisca in modo protettivo in tutti e, attraverso la sua intercessione, salvi tutti.

135) Il Signore Gesù Cristo, come Capo della Chiesa, raccoglie le preghiere di tutti, le raccoglie nella sua persona e, intercedendo, le presenta a Dio uno e trino. Così accade che ciò che viene deciso, perché avvenga, avviene con unica decisione trinitaria.

136) Dal mattino, quando ti svegli, pensa che tu di nuovo entri nel coro delle creature di Dio che lo glorificano e si sottomettono alla sua volontà, nella natura creata e nel cielo, nell'ordine degli angeli e dei santi. Cerca di non perdere questo pensiero sia quando glorifichi Dio sia quando ti sottometti umilmente alla volontà di Dio. Tieni questo bene a mente.

137) Tutto ciò che è celeste appare molto splendente nella luce. La Divinità, in tre persone esistente e irradiante, rimane nascosta nell'inaccessibile luce divina e si afferra soltanto con l'intelligenza. Ma Dio, in quanto Verbo incarnato, anche se si irradia con luce di grandissimo splendore, può essere afferrato da una creatura, però è accessibile solo a coloro che hanno gli occhi adatti ad afferrarlo, secondo la misura della perfezione della creatura che lo contempla. Accanto a lui appaiono gli spiriti incorporali e la Madre di Dio che ci è più vicina. Poi gli apostoli e i profeti e quelli che già sulla terra sono stati illuminati da Dio. Dopo di questi seguono, in secondo luogo, quelli che accettano la rivelazione della volontà divina e poi tutti i santi dei diversi tipi: vescovi, martiri, confessori, giusti di ogni stato di vita. Tutti sono illuminati con la luce proveniente dal volto del Signore Salvatore, luce che supera ogni descrizione. Sotto di essi si collocano i penitenti che non sono ancora riusciti a purificarsi, ma progrediscono nella purificazione con l'opera della loro penitenza, con la forza della grazia e delle preghiere della Chiesa terrena e celeste, dei santi già glorificati nel cielo. Qui c'è la luce, secondo la misura della purificazione, luce che cresce nella perfezione della piena luce dei santi.

138) Prega in questo modo:
"Signore, Dio Padre onnipotente, nelle tue paterne viscere degnati di includere anche me.
Signore, Dio Figlio Redentore, aspergi con il tuo divino sangue anche me.
Signore, Spirito santo vivificante, vivifica con la tua divina grazia anche la mia anima resa morta con i peccati.
Santa Trinità, una e indivisa, Dio unico onnipresente e tutto penetrante, volgi il tuo occhio misericordioso su di me, appesantito da molti peccati, e procurami la salvezza, a causa del tuo nome".

139) Quando il cuore sente l'abbraccio divino, la dolcezza che ne deriva fa dimenticare all'uomo tutto ciò che esiste. Se lui sa conservarla, la sua vita da quel momento comincerà a svilupparsi in modo tale che per lui l'unica necessità sarà quella di restare con l'intelligenza nel cuore; tutto il resto sarà accessorio.

140) Il credente che ha lo zelo di raggiungere la propria salvezza ha messo il piede sul giusto cammino che conduce a questa salvezza. Gli è necessario progredire, faticare, combattere, con timore e con vigilanza, finché non raggiungerà il fine.

141) La preghiera è imposta da Dio affinché la sua grazia sia il fondamento della misericordia davanti al volto della sua verità. La preghiera di coloro che sperano non può rimanere inascoltata.

142) Non si può restare neanche un minuto senza operare. Vi sono opere che si eseguono con il corpo, visibilmente, e altre che sono opere mentali, non visibili. Anche quelle sono opere reali. Prima di esse c'è il continuo ricordo di Dio unito alla preghiera della mente e del cuore. Nessuno lo vede, eppure le persone che nutrono questa disposizione si trovano nel continuo e intenso operare. Questa è l'unica opera necessaria. Quando l'hai raggiunta, non preoccuparti delle altre.

143) Dio ha creato le creature per la felicità ed egli stesso si consola con esse. Perché allora esistono le tristezze? Le tristezze, le sofferenze, le miserie sono il cammino verso la felicità. Il Signore si consola anche con i sofferenti vedendo che essi camminano direttamente verso la felicità. La felicità per mezzo delle tristezze e delle sofferenze: questa è la legge.
La benevolenza di Dio permette che soffriamo. Ma egli aiuta i sofferenti a liberarsi e a persistere. La liberazione dalle sofferenze è una eccezione alla legge comune.

144) Ringrazia il Signore in primo luogo per il fatto che egli, che è infinitamente grande, permette a te, che sei senza valore, di aprire la bocca e intrattenerti con lui nella preghiera. Questa possibilità di rivolgersi a Dio nella preghiera e invocarlo è un privilegio della grazia divina, dato che anche senza questa invocazione Dio sa da solo di che cosa ognuno di noi ha bisogno. Pregare vuol dire aprire la bocca per ricevere beni dal Signore, ma tali beni sono quelli che lui stesso si degna di concederti e non quelli che tu desideri. Per questo motivo non si riceve tutto ciò che si chiede. Non chiedere, quindi, in questo modo: Dammi subito. Ma dì: Sia fitta la tua volontà. Se mi aiuti, gloria a te. Dammi soltanto pazienza.
La tua preghiera sia come aprire le mani per ricevere un dono, quale e quando il Signore vorrà dartelo.

145) Non far perdere alla tua mente il pensiero che la fine è vicinissima e anche il relativo giudizio. Aspetta a ogni istante di essere chiamato, come durante gli esami: venga il tale! Con ciò ricordati di come apparirai e di che cosa puoi dire a tua difesa.
Se non hai niente, allora supplica: Signore pietà! Signore abbi pietà di me peccatore! A causa del tuo Figlio, crocifisso per noi, perdona tutto e dimentica tutti i miei peccati!

146) Cammina alla presenza di Dio, ma senza diminuire il senso della grandezza divina. Con la mente osserva Dio come infinitamente grande, che scruta il tuo cuore e che vede tutto ciò che vi si trova.

147) La Chiesa è un corpo vivo, vivamente unito con il suo Capo, il Signore Salvatore. Ogni fedele deve arrivare a sentire l'unione intima (i veri cristiani sanno che essa realmente esiste) con tutti gli altri fedeli e con il Capo e, in questo sentimento, elevare la preghiera al Signore e per mezzo di lui alla SS. Trinità. Se desideri una illustrazione di ciò, la troverai guardando ogni membro del nostro corpo. Se ciascuno di loro avesse la conoscenza, saprebbe subito che è unito a tutti gli altri membri, cominciando dai vicini e poi anche con la testa e, per mezzo di essi, anche con tutto ciò che c’è.

148) Chi ripone la sua speranza nel Signore deve sentirsi come uno che si trova in una fortezza inaccessibile, protetto da tutti i nemici, o come si sente uno che è stato accettato sotto la protezione di un potente imperatore e da lui difeso.

149) Non dimenticare la speranza e le promesse cristiane che si riferiscono a questa vita e quelle riservate al futuro. Questo vivificherà e sosterrà efficacemente l'energia delle tue forze morali.
Fatica in modo positivo, fatica costantemente nella preghiera, nelle opere doverose, nelle opere benefiche, con quante forze hai. Se farai così, presto acquisterai la pace della coscienza; seguirà la pacificazione del cuore che è segno del fatto che le passioni sono mortificate. Allora aspetta la visita di Dio: la grazia ti illuminerà e tu sentirai consapevolmente la presenza di Dio uno e trino, secondo la promessa del Signore Salvatore. Sarà come pregustare il paradiso.
Tali sono le promesse per tutta la vita. Esse si verificano infallibilmente in tutti coloro che non risparmiano se stessi nello zelo per la salvezza. Ciò però accadrà nell'altro mondo in un modo che non siamo capaci neanche di immaginare. Allora, se ti viene la tentazione di essere negligente e pigro, ricordati subito queste promesse e vincerai la pigrizia. In questa situazione sarai costretto a riconoscere che tu troverai più presto ciò che cerchi, quanto più costantemente e con più applicazione eseguirai la tua opera. Ma se, al contrario, sarai pigro, potrà accaderti di non ottenere nulla. Il riposo viene dato dopo le fatiche, come ricompensa per esse; non si dà nulla per nulla.

150) Ricevendo sempre i sacramenti si ottiene la grazia che ci rimarrà, ma non sempre continuerà a penetrarci. Chi si è predisposto come si deve, ne viene penetrato, mentre colui che non si è preparato, non viene penetrato, anche se la grazia rimane dentro. Ciò accade a somiglianza di quando si accende il fuoco nel forno. Vi si colloca legna e anche ciò che si mette sotto, ciò che prende fuoco facilmente. Ma finché il fuoco non si attacca anche alla legna e rimane solo in ciò che si trova sotto, l'uno resta accanto all'altro; quando però si confondono, il fuoco, da ciò che è sotto passa alla legna che è sopra, dall'uno all’altra, finché non si accende tutto. Noi siamo legna verde. La materia di sotto non attacca la legna umida finché il luogo non si sia asciugato per il fuoco. Similmente anche la grazia, ricevuta da noi che siamo resi come cibi crudi dai peccati e dalle passioni, all'inizio, per introdursi, asciuga soltanto una parte di noi (quella preparata in precedenza). Si introduce in quanto asciuga. Una volta introdotta continua ad asciugare dall'umidità una parte dopo l'altra del nostro essere, finché non raggiunge tutto e riempie tutto.
La prima introduzione della grazia si manifesta con un certo fuoco nel cuore. Tale è l'inizio della purificazione interna e della trasformazione di tutto l'interiore. Ciò comporta grandissime fatiche, ma in mezzo ad esse l'opera si compie.
Alla fine appaiono i doni della grazia, ma neanche questo costituisce la fine del progresso verso la perfezione. Anche l'apostolo Paolo dice: corro. Ora, al momento in cui si verifica la prima azione della grazia (un focherello nel cuore), alcuni la considerano finale e smettono di lavorare e con ciò l'azione soffoca e si spegne. In essi poi rimane soltanto la memoria del fuoco che vi è stato ed essi credono che ancora vi sia.

151) Dio vuole che lo supplichiamo nelle preghiere, non per se stesso, dato che egli conosce tutto, ma per noi stessi, affinché siamo sempre pronti a ricevere la sua grazia, quando lui giudicherà che sia il momento di darcela.
La preghiera sta a significare la tensione delle mani verso Dio per ricevere la sua grazia. Chi prega ha le mani sempre tese; quando il Signore si degna di dargli la grazia, egli è sempre pronto a riceverla. Immaginati un uomo benefico, il quale, in un certo tempo distribuisce l'elemosina; se egli ha l'abitudine di porgerla nelle mani tese verso di lui va oltre colui che guarda da una parte e non tende le mani. In questa stessa situazione si trovano coloro che, tendendo le mani, ricevono, mentre quelli che non le tendono non ricevono, anche se chiedono.
Dio, quando distribuisce le sue grazie, non ha molte parole, ma dice semplicemente: abbiate sempre le mani tese verso di me nella preghiera, affinché siate pronti a ricevere quando deciderò di distribuire le grazie. In questo modo colui che prega sempre non perde mai la grazia e, al contrario, non c'è da meravigliarsi che colui che non prega sempre perda la grazia.

152) Il segno manifesto della nostra caduta è la pesantezza dell'anima quando essa vuole elevarsi verso Dio, nell'alto dei cieli. Quale sforzo è necessario per avere questa attenzione! E ciò nonostante l'anima tende a scendere giù come una nebbia che scende sulla terra e non vola in alto liberamente.

153) Chi crede nella forza del santissimo sacramento dell'eucaristia, chi crede cioè che vi sia veramente il corpo e il sangue del Signore, non può non credere che, quando si celebra questo mistero, siano presenti sempre gli angeli ad assistere.

154) Come nella parabola del lievito che, messo nella farina, agisce subito producendo la sua fermentazione fino al momento in cui tutta la massa non sarà fermentata, così anche le forze fondamentali messe, attraverso l'economia incarnata, non soltanto nell'umanità, ma anche in tutte le creature, agiscono e producono la loro opera. In quale modo tutto ciò accada in tutto il campo dell'essere, è per noi invisibile. Ma ciò che succede nella Chiesa e, in particolare, in ognuno di noi, lo si può vedere. Il Signore Salvatore, la grazia dello Spirito santo, gli angeli custodi, i santi di Dio e tutta la struttura della santa Chiesa costruiscono e abbelliscono le anime e, per mezzo di esse, riempiono il regno di Dio. E si farà così finché non si realizzerà ciò che fu predestinato.
Gloria all'infinito amore degli uomini che ci guida nel corso della salvezza universale, e che promette di introdurci nella perfezione del suo regno se dimostriamo di esserne degni.

155) Quando l'anima è profondamente tormentata dal passaggio di qualche passione, essa perde lo stato pacifico e per un lungo tempo, diviene scomposta, malferma, incapace di pregare. Il Signore l'ha abbandonata ed essa si agita. La penitenza e lo sforzo di concentrazione servono a prepararsi, ma è la santa comunione che restituisce la disposizione doverosa dell'anima.

156) Dio, dopo aver creato il mondo, diede a tutto la sua evoluzione in armonia con tutto l'universo, che egli solo conosce. Le forze del mondo, secondo le leggi ad esse imposte, agiscono continuamente da sole, guidate dalla mano sostenitrice di Dio, ma solo nei limiti del proprio essere. Nel corso delle cose, che si svolge secondo il proprio modo, non raramente interviene, qua e là, Dio con la sua azione, non perché l'azione delle forze fisiche sia sbagliata, ma per realizzare i suoi progetti, l'esecuzione dei quali non poteva essere affidata alle forze fisiche, né parzialmente né nella loro piena collaborazione. Ciò appare necessario nel caso della libertà delle creature ragionevoli, le quali possono deviare dalla direzione data loro dalla volontà divina nel piano generico di esistenza. Allora è necessario farle ritornare alla direzione dovuta, affinché si raggiunga il progetto generale. Questo si può realizzare solo con le proprie e dirette azioni di Dio, che superano le forze naturali.
Il punto centrale di questa azione divina è l'economia dell'incarnazione, attorno alla quale si collocano tutte le altre azioni divine.

157) Vi è una vita e una fede intellettuale, basata su argomenti intellettuali e persino la preghiera intellettuale che si esaurisce nelle semplici nozioni. Aggiungiamo che vi sono anche azioni intellettuali che seguono i motivi dell’intelletto. Anche questa è vita, ma non la vera. Non vi è il cuore, il quale ha la possibilità di comportarsi in modo proprio, indipendentemente dalle riflessioni intellettuali. Esso si commuove anche sotto l'influsso delle nozioni, ma superficialmente, similmente alla superficie delle acque mossa da un vento leggero. Dato che l'azione che ne proviene non scaturisce dal profondo del cuore, il suo modo e il suo corso prosegue secondo il proprio ritmo che, forse, non corrisponde alle predisposizioni intellettuali.

158) I doni della grazia divina sono diversi e i diversi doni sono spesso in gradi diversi. Così accade anche nell'ordine naturale: qualcuno appare prevalentemente idoneo alla pittura, un altro alla musica, altri nelle imprese o in qualsiasi altra cosa. E in ogni tipo di idoneità essi sono di vario grado. Tra quanti, ad esempio, osserviamo capaci di dipingere, uno è mediocre, l'altro molto buono, il terzo eccellente. Tranne gli ultimi, tutti gli altri sono imitatori degli originali che sono superiori ad essi. Così è anche nella vita spirituale. La preghiera, ad esempio, è un dono, ma quelli che pregano si trovano in gradi diversi dell'orazione. Così è anche per la questione della fede o nella pratica della pietà, nella fatica dell'umiliazione di se stesso e in tutto. Si potrebbe supporre che questo dipenda dall'uomo stesso.
Dio è generoso e pronto a mostrare la sua generosità a tutti senza distinzione, nella quantità che ciascuno accetta o che mostra di essere capace di ricevere. In ciò sono i misteri della provvidenza divina a riguardo di tutti e di ognuno. Da Dio dipende tutto, anche ciò che è naturale e non soltanto ciò che è opera della grazia.

159) Il Padre mio opera sempre e anch'io opero, disse il Signore; va da sé che anche lo Spirito santo agisce inseparabilmente con essi. Che cosa fanno? Guidano il mondo verso la sua ultima destinazione, conosciuta solo da Dio, uno e trino. Come? Per mezzo delle opere destinate a ogni creatura. Le creature sono chiamate all'essere affinché ognuna, nel suo posto e nel suo tempo, esegua l'opera che le è destinata. Quando ogni creatura realizza la sua opera per mezzo di questo, il mondo progredisce verso la sua destinazione. Le creature razionali ne devono essere consapevoli e fare con tutti gli sforzi ciò che è proprio a ognuno nel proprio ambiente.

160) L’ultimo fine dell'evoluzione del mondo è la sua spiritualizzazione che, nelle creature razionali, si effettua nell'ordine morale, e nelle altre in qualche altro ordine. Abbiamo ragione di pensare così dato che san Paolo dice che il nostro corpo, nel secolo futuro, non soltanto diventerà incorruttibile, ma anche, in qualche modo, animato e, inoltre, spirituale. Dato che anche in quel tempo non sarà spersonalizzato e separato da tutto l'insieme armonioso degli esseri, esso esisterà in una relazione essenziale con tutti; da ciò si deve concludere che tutto sarà trasformato insieme con esso, divenendo non soltanto incorruttibile ma anche spiritualizzato. Osserviamo che questa spiritualizzazione si effettua, nelle creature razionali, per mezzo dell'economia incarnata. Ma si deve supporre che, con la forza della stessa economia, ciò verrà realizzato anche nel mondo delle cose, anche se invisibilmente. Questo dobbiamo supporre data l'immensa grandezza dell'economia incarnata. Ma, alla fine del mondo, l'invisibile apparirà visibile. Lo significa il detto: vi sarà il cielo nuovo e la terra nuova. La loro apparenza, quella di adesso, invecchierà e passerà.

161) Dato che la prima destinazione dell'uomo è di trovarsi nella viva relazione con Dio, questa relazione si esprime quando egli, con la mente e con il cuore, vive con Dio. Quanto più uno si sforza di condurre tale vita, quanto più si fa partecipe ad essa in qualche misura, tanto più si può dire di lui che egli adempie il compito della vita per il quale egli è stato collocato nel corso dell'esistenza. Ne siano consapevoli tutti coloro che si affaticano in qualsiasi genere di vita e non si rattristino quando non fanno apertamente altre opere che sembrano più importanti. La disposizione indicata contiene in sé tutte le opere.


162) Dio uno e trino conduce il mondo alla sua ultima destinazione. L'insostituibile fine dell'esistenza del mondo è la salvezza degli uomini. Verso questo fine è diretta tutta la provvidenza divina. Quanta preoccupazione egli ha di convertire i peccatori e di purificare e spiritualizzare i convertiti. A questo fine confluiscono tutta l'economia incarnata, gli angeli e i santi. Tutte le forze sono dirette verso questo e tutte costantemente agiscono per questo fine, secondo la guida divina. Eppure non tutti si salvano. Ciò accade perché Dio non costringe nessuno. Quale sia la percentuale di coloro che vogliono, può essere stabilita sulla base della percentuale in cui appaiono i perfetti, in tutti i generi di vita.

lunedì 13 gennaio 2020

Diario della preghiera di Teofane il Recluso - parte 3

Vedasi qui la prima parte, con l'introduzione e la contestualizzazione.

In queste centurie vengono affrontati, in modo sparso, tre temi molto importanti:
- le relazioni tra le persone della Santissima Trinità, e tra la Trinità e l'uomo mediante l'Incarnazione di Cristo e le operazioni dello Spirito
- la conciliazione delle opere dello Spirito e della preghiera con le occupazioni quotidiane, e le tentazioni che possono insorgere in esse
- la differenza sostanziale tra la comprensione intellettuale ("riflessiva, dotta") del dogma di fede e la sua "conoscenza viva" che passa dall'esperienza della purificazione del cuore e dell'illuminazione dello Spirito.

91) Dio misericordioso vuole che le sue creature ragionevoli vivano nella gioia. Alcuni godono del loro benessere, altri, che hanno perduto il benessere, si consolano con la convinzione che questo stato è, in relazione ad essi, insostituibile mezzo per la riconquista del benessere qui o, cosa migliore, nell'Aldilà. Non sottomettersi benevolmente a ciò che Dio ha destinato potrebbe significare privarsi degli effetti salutari delle circostanze avvenute; può, irreparabilmente, nuocere a se stesso.

92) Come precursori delle tentazioni e dei movimenti passionali vi sono i pensieri frequenti su queste cose, e il permettersi concessioni e consolazioni della carne. Bisogna essere vigilanti.

93) Una cosa è riflettere sui temi della fede e altra è credere. Nel credere non si aggiunge nulla di nuovo, ma vi è un altro atteggiamento del cuore e un altro gusto delle cose conosciute.

94) Accade che, anche se non facciamo nulla di cattivo, il cuore non sta bene. Dio rigetta un tale, anche se egli apparentemente non è cattivo. Guarda se non appartieni a questa specie di uomini anche tu!

95) Dio organizza la salvezza di ognuno in questo modo: chi è degno viene attratto da Dio al Figlio; il Figlio riceve colui che gli si avvicina; quando lo accetta la grazia dello Spirito santo, essa lo trasforma. Questa è la prima fase preparatoria. Perdura sino al momento in cui il cuore risponde; allora l'uomo si offre pienamente alla onnipotenza divina, perché Dio agisce in tutti. Da quel momento comincia l'azione divina per mezzo delle forze umane, lo stato, cioè, della divino-umanità. questa è la seconda fase. Il terzo periodo porta lo stato di pace con Dio, il cui vero luogo è là, ma il cui inizio viene posto qui. La gran parte degli uomini si trova nella prima fase, alcuni nella seconda; la terza è raggiunta da pochi in questa vita, ma nell'Aldilà arriveranno tutti ugualmente alla beatitudine eterna.

96) Nessuno conosce Dio-Padre se non Dio-Figlio e Dio-Spirito santo; e nessuno il Figlio se non il Padre e lo Spirito santo; e nessuno conosce lo Spirito santo se non il Padre e il Figlio. Da questa reciproca conoscenza e da questo mutuo volere e comune esistenza, questi tre, che convergono in uno, possiedono un'unica conoscenza, un'unica volontà e un unica azione.
Dato che le tre persone sono in uno, tutte sono in tutto. Mai una persona è sola in qualche cosa, tranne nel nascere e nel procedere. Ma, in proposito a quest'ultimo, bisogna dire che il Padre, generando il Figlio, in nessun modo separa la sua persona da lui e dallo Spirito; e quando fa procedere lo Spirito, non separa la sua persona da sé e dallo Spirito. Il Figlio nascendo, non si separa dal Padre e dallo Spirito; e lo Spirito, procedendo, non si separa dal Padre né dal Figlio. Il Padre genera il Figlio e lo Spirito santo senza farsi superiore e maggiore di essi. Ugualmente il Figlio che nasce dal Padre e lo Spirito santo che procede dal Padre non diventano per questo inferiori, ma rimangono coesistenti con lui, non diventano minori di lui, ma sono uguali a lui in tutto.

97) Le persone della SS. Trinità si conoscono a vicenda e in questa conoscenza si uniscono; conoscono ciò che ognuna di esse ha come proprio, ciò che hanno le altre e anche la sostanza che è comune. il Padre, generando il Figlio e facendo procedere lo Spirito, conosce sia la sostanza sia ciò che è proprio a ognuno. il Figlio generato conosce la sua sostanza e ciò che è proprio al Padre e allo Spirito. Anche lo Spirito che procede conosce la sostanza e ciò che è proprio del Padre e del Figlio. In questo modo in essi rimane l'unica conoscenza dell'unica sostanza, cioè la conoscenza che, nella Trinità delle persone, esiste un solo Dio.

98) Nella nostra situazione presente le tentazioni sono necessarie. Ci troviamo in una situazione di cattività. Siamo come uno che riesce a fuggire dal castello nemico, ma, finché non raggiunge le frontiere della propria patria, deve soffrire ancora molto; così è anche per noi.

99) La conoscenza degli oggetti di fede è di tre tipi:
- riflessiva, ossia dotta;
- scaturente dall'esperienza, raggiunta con le fatiche della purificazione del cuore;
- infine, la conoscenza viva, data per mezzo dell'entrata nella sfera della luce.
Quest'ultima è la vera contemplazione, i cui inizi si trovano già nel secondo grado di conoscenza.

100) Raggiungere la visione delle cose spirituali è opera della preghiera. Ma la preghiera orale da sola non basta, bensì quella di poche parole unita al pensiero di Dio.

101) Quando mettono in azione un organetto, esso, in seguito, suona da solo. Così anche il nemico introduce nell'anima un falso desiderio, si allontana e osserva. Il desiderio si protrae e vive da solo. E quando finisce il primo desiderio, il nemico accorre e, con furbizia, insinua un altro desiderio, di nuovo si allontana e guarda. Quando finisce questo, accorre e introduce il terzo, e così di seguito. Quando lo scacciano con una risoluta rinuncia a ogni falso desiderio, egli si allontana, ma non troppo; guarda come potrebbe introdurre nuovamente, da un'altra parte, il suo falso desiderio. Non se ne va finché non ottiene il successo del suo agire. Tale è la sua continua opera.
Quando insieme con il desiderio appare il movimento della passione, egli accorre per attrarre e raggiungere il consenso, sia pieno che imperfetto. Riuscito in questo, insegna, in seguito, come condurre ciò che si è pensato all'opera. Non vi è un momento in cui egli perda di vista l'anima e smetta le sue cattive intenzioni contro di essa.

102) Quelli che vogliono impossessarsi di una fortezza, prima sparano contro di essa e poi conducono l'attacco. Lo stesso accade nel combattimento spirituale. Il nemico, all'inizio, spara con le pallottole dei cattivi pensieri; dopo, quando vede che la resistenza si è indebolita, realizza un forte attacco risvegliando le passioni. Se nel primo periodo l'anima riesce a tenere fortemente, come si deve, resisterà virilmente anche nel secondo.

103) Il nemico seduce con il piacere del peccato. Anche il Signore, distraendoci dal peccato, dà ai penitenti, convertiti sulla giusta strada, la possibilità di sentire la dolcezza della vita nella pace con lui e con la coscienza. Tale dolcezza è più pura, più luminosa e pacifica della dolcezza del peccato, sempre offuscata e insoddisfatta. Per questo colui che ha esperienza della dolcezza del Signore possiede un'arma più forte per resistere all'attrazione della dolcezza peccaminosa del nemico.

104) Quando avverti l'impulso di fare qualche cosa in modo sempre più rapido, sappi che ciò viene dal nemico per tuo danno o beffa, anche se ciò potrebbe apparire come luminoso.

105) Lo spirito di Cristo consiste nel disprezzo di se stesso e nella prontezza al sacrificio per la gloria di Dio e per le sofferenze del prossimo. Esso si ripercuote su tutta l'essenza dell'uomo. I demoni, appena lo sentono, scappano il più lontano possibile.

106) Il nemico cerca senza posa di macchiarci con le sue impurità, e riesce a gettare in noi la polvere dei pensieri cattivi e, spesso, anche sentimenti peccaminosi. Questo accade quando l'uomo dorme, quando non vi presta attenzione. Quando si sveglia e lo nota, deve subito purificarsi, affinché non ne rimanga alcuna traccia. Con che cosa? Con il nome del Signore Gesù, il quale tiene il badile nelle sue mani. Il manico di questo badile è la penitenza, la contrizione e la risoluzione che in seguito non verranno ammesse le piante nemiche per disattenzione. La mano con la quale si prende quel badile è la fede e la speranza che il Signore non ci abbandonerà.
Il motivo del lavoro è lo zelo. Il suo sostegno e fondamento è il non aver compassione con se stessi. Scendi nel tuo cuore armato con tutto ciò e non smettere di lavorare finché non sparisca anche la più piccola macchia del nemico.

107) Il nemico scandalizza l'uomo fino al suo consenso, affinché poi l'uomo conduca tutto verso la fine da solo, in modo tale che l’opera viene fatta soltanto da lui e lui rimane del tutto responsabile. Il nemico si tiene in disparte. E' forse da stupirsi?

108) Quando il nemico vede che qualcuno decide di liberarsi dalla sua schiavitù e vuol mettersi sul cammino del bene, non lo contraddice apertamente, ma si affretta a indebolire la fermezza della risoluzione con tentativi di deviazione; in particolare, insinua nell'uomo la necessità di fare qualche opera che appartiene alla sua normale occupazione, presentandola come assolutamente necessaria in modo da prestarle tutta l'attenzione. Quando l'attenzione viene attratta da quest'opera e da tutta la sua realizzazione, in quel momento il nemico riesce a insinuare quei pensieri con i quali terrà l'uomo in schiavitù. Qualche volta accade che non riesca a finire l'opera. Ma la buona intenzione si disperde. Allora, di nuovo, c'è bisogno di ripetere tutto come prima.

109) Ogni uomo di per sé può agire da solo, pensare, riflettere e operare con l'aiuto di Dio. Ma in ogni tempo ognuno diventa strumento di forze superiori e il bene necessario avviene o si comunica al suo ambiente per mezzo di lui. Lo si testimonia e lo si realizza con la disposizione nel dire o nel fare qualche cosa nei momenti in cui l'uomo parla o agisce non secondo le proprie idee, ma secondo un irresistibile sentimento o attrazione. Egli non può tenere dentro di sé ciò che gli viene suggerito. In tali casi egli è solo uno strumento attraverso il quale il bene passa, è come un canale per mezzo del quale passa l'acqua. Ma può anche appropriarsene. In tal caso si realizza, per mezzo di lui, un doppio bene.

110) Sia nella fede che nella vita bisogna appropriarsi di una convinzione fondamentale: nella fede - che Dio discese sulla terra e ci procurò la salvezza; nella vita - che tu sei redento e che, perciò devi lavorare senza posa, nella speranza di raggiungere la pace già qui e non solo nell’Aldilà.
La radice della vita è nello zelo per Dio, nella sottomissione al suo aiuto, alla sua direzione e alla sua opera universale.

111) Ogni uomo è bivalente, buono e non buono. Da una parte prevale il bene, nell'altra ciò che non è bene. Ma nel primo il male non tace e, all'inizio di qualche opera buona cerca di attirare l'attenzione su di sé, direttamente o indirettamente. E nel secondo non tace il bene, ma ci fa sempre ricordare di lui all'inizio di ogni azione non buona. Si pensa talvolta che il male sia dentro di noi, come una persona che si è associata alla nostra esistenza, al nostro operare nel bene, una persona che ci osserva attentamente e di continuo suggerisce i suoi propositi.

112) La vigilanza è una tensione incessante dell'energia interiore che tiene in allerta sia l'anima sia il corpo; essa si indebolisce con il desiderio di quiete o con l'attrazione per qualche cosa creata, con la consolazione in qualche cosa al di fuori di Dio e delle cose divine. Tali oggetti che sono al di fuori di Dio e delle cose divine sono innumerevoli. La nostra attenzione deve rendersene conto e rigettarle.

113) Nella preghiera, sin dal primo momento, la parte cattiva di noi propone sempre qualche opera, forse necessaria, per farci dedicare a lei. Se colui che comincia a pregare non fa attenzione, la sua mente si dirige verso quell'opera, allora Dio e la preghiera vengono dimenticati; e se vengono fatti inchini li facciamo come pupazzi. Per evitarlo bisogna, prima di pregare, con una ferma decisione rigettare tutto e accedere alla preghiera con una mente spoglia, affinché, eseguendo la preghiera, si abbia questa sola preoccupazione.

114) Non possiamo esistere senza le opere e le occupazioni. Dio ci ha dato delle forze operative che esigono esercizi. Perciò ognuno ha opere e occupazioni proprie. Esse esigono anche attenzione. D'altra parte, però, il progresso morale è più importante del resto ed esige, quindi, che la nostra attenzione sia rivolta sempre a Dio. Come conciliare l'uno e l'altro? Bisogna fare ogni opera come opera di Dio, come cosa impostaci da Dio e consacrarla a lui. In tal caso, eseguendola, non si perde l'attenzione a Dio, perché l'inevitabile occupazione e tutto ciò che facciamo deve essere fatto in modo tale da essere secondo il divino piacere.

115) Affinché le opere e le occupazioni non assorbano tutta l'attenzione, bisogna farle senza esserne attratti, senza attaccamento passionale. Bisogna acquisire la seguente attitudine: dirigersi e disporsi continuamente a fare le proprie opere non perché l'anima si senta attratta per l'una o l'altra, ma secondo la consapevolezza del dovere. Bisogna giudicare il riconoscimento del dovere e del relativo sforzo secondo i criteri della sfera divina. In tal caso l'esecuzione delle opere sarà diligente e decisa, non con propensione per la vanità, ma direttamente per Dio. Allora quelli che cominciano a pregare non troveranno nulla che possa distrarre la loro attenzione, ma essi stessi perderanno attenzione per le opere nel momento in cui le mani smetteranno di lavorare. Tutto ciò dipende dall'abitudine di stare senza posa alla presenza di Dio con sentimento devoto.

116) Ha detto il Sapiente: L'inizio della sapienza è il timore di Dio. E qualcuno degli startsi aggiunse: procurati di pensare devotamente a Dio e tutto sarà in te ben ordinato internamente ed esternamente. I discepoli discoli fanno, di solito, rumore e brusio, fino a quando viene il maestro; ma appena egli appare, essi corrono ai loro posti e sono silenziosi. Lo stesso accade dentro di noi come effetto di un pensiero devoto.

117) Un pensiero devoto è dato e suggerito da Dio, ma non all'improvviso, solo a quelli che lo cercano e lo mettono in pratica. Il miglior modo di cercarlo è lo sforzo di restare nella preghiera sia in chiesa che a casa. Non risparmiare fatica in questa cosa, senza aver compassione con se stessi, ma, piuttosto, con il desiderio di punirsi per le proprie soddisfazioni. Tieni l'intelletto occupato con la memoria di Dio o cammina nella presenza divina. Tutti questi sforzi sono solo preparazione. Il vero pensiero devoto ci viene suggerito dalla grazia di Dio, liberandoci dai vincoli. Esso, infatti, è naturale allo spirito, ma occasionalmente si corrompe.

118) Quando lo zelo è attivo, il nemico siede tranquillamente nel suo nascondiglio, nell'organo della passione carnale, osserva e aspetta il tempo idoneo per attaccare. Appena appare qualche negligenza e il desiderio di comodità, egli subito esce fuori e comincia a suggerire un pensiero cattivo o a suscitare un movimento carnale. Se questo non viene rigettato con avversione e se, al contrario, incontra qualche consenso, egli, in seguito, rende i suoi attacchi più forti, affrettandosi a riscaldare la passione e a condurre al pieno consenso, che è preannuncio della realizzazione della sua opera, se non verrà ostacolata. E' quindi importante vincere il nemico sin dall'inizio, cioè al suo primo suggerimento cattivo o nel movimento passionale. Per non spaventarci il nemico, talvolta, si ritira dopo il primo o secondo segno di consenso; lo fa per creare il sentimento di falsa sicurezza, ma, all'improvviso, attacca di nuovo con una più forte insistenza. Ciò non è terribile per chi resta diligente e, con attenzione, è preparato a contraddire gli attacchi.

119) Quando finisci di pregare, non pensare di essere del tutto libero, ma rimani come se fossi sempre nella liturgia, affinché la tua mente sia sempre vigilante e il pensiero casto.

120) Non dividere il Signore Salvatore tra Dio e l'uomo, ma consideralo indiviso come Dio incarnato, adoralo come Dio e spera in lui.

121) Il soffermarsi su qualche cosa al di fuori di Dio - il sentimento di negligenza, la soddisfazione con la carne, la dissolutezza dei membri - porta al fatto che questi vengono seguiti da pensieri e anche da opere pericolosi, la cui miseria raramente si riconosce.

122) Bisogna credere che Dio è dentro di noi, perché nel battesimo lo "vestiamo", nella comunione lo riceviamo. Se manchi a questa fede, prega: Signore aumenta la mia fede! - e lui l'aumenterà. E anche per altri punti della nostra confessione nei quali senti la mancanza di fede, prega: Signore, aumenta la mia fede! E non smettere finché non sarà aumentata.

123) La contemplazione di Dio è misteriosa, come dice sant'Efrem Siro [1], nel senso che egli è nascosto per tutte le creature, anche agli angeli e ai santi, anche se questi hanno una contemplazione superiore e più pura. Tale stato conduce direttamente al grado nel quale, pensando a Dio, non abbiamo alcuna immaginazione e crediamo solo che egli è dentro di noi e ovunque.

124) Desiderando Dio, troviamo il cammino verso la pratica mentale; quando è veramente operante, da essa nascono i sentimenti spirituali che vengono seguiti dalla contemplazione spirituale. Tutto ciò non accade secondo qualche sistema, ma è Dio che conduce, secondo la sua volontà, colui che gli si è offerto. Tu devi fare soltanto la tua parte: compi i tuoi doveri familiari, sociali, ecclesiali, opere di beneficenza, dell'ascesi, dell'orazione; tutto come ciò che viene da Dio e che si fa per Dio. E Dio, che è ovunque e tutto riempie, ti condurrà a sé attraverso quella via che ti sarà indicata.

 125) I cristiani offrono a Dio un sacrificio divino, secondo la volontà divina. Nessuno potrebbe escogitare un tale sacrificio e anche se in qualche modo miracoloso riuscisse a escogitarlo, non avrebbe il coraggio di accedere alla sua esecuzione. Ma il Signore stesso lo stabili e diede il comandamento: Fate questo! Ed egli stesso, per mezzo delle persone consacrate, esegue questa offerta. Quale è il nostro compito? Avere uno spirito contrito, il cuore puro e pacifico, con la ferma decisione di non offendere il grande Benefattore, e di fare ogni altra cosa per la sua gloria.

126) Come si può raggiungere lo stato di rimanere senza posa davanti al Signore? Comincia a camminare davanti a lui con i sentimenti corrispondenti. Da ciò nasce il timore di Dio, il quale ti condurrà al fine ricercato. Questo è il metodo giusto e spirituale per la disposizione spirituale. Ma il metodo meccanico, che viene mostrato da Gregorio Sinaita [2], è un aiuto che da solo non conduce al fine. Ma agli sforzi mentali dobbiamo unire anche quelli pratici: custodire la coscienza pura, soggiogare la carne, perseverare nelle preghiere, facendo tutto ciò con spirito contrito e pacifico, con devozione.

127) Sii attento! Il nemico continuamente si sforza di impedirci questo bene, tutti i suoi sforzi sono diretti a questo. Il suo primo sforzo è quello di suggerirci alcune opere e di convincerci a eseguirle. Possono anche non essere cattive, ma il male consiste nel fatto che occupano la mente e il sentimento, distraggono dall'obiettivo principale, spingono a collocarlo in secondo piano, ossia a dimenticarlo per qualche tempo. Questo è molto pericoloso, specialmente la dimenticanza. Il suo secondo sforzo è quello di dare soddisfazione alla carne, permettere la negligenza nel cibo, nel dormire, nel riposare, permettersi un cammino non controllato e la libertà nell'evoluzione dei sentimenti. Tutto questo può sembrare poco importante, ma è molto distruttivo. Fa' attenzione a entrambe le tentazioni.

128) Sforzati, con tutta la tensione, di arrivare al punto in cui tutta l'opera della tua salvezza sia diretta consapevolmente a Dio, adorato nella Trinità. Inseparabilmente, in un solo atto, venera la benevolenza di Dio Padre, la partecipazione al sangue del Figlio e la santificazione dello Spirito santo. Per la benevolenza del Padre la grazia dello Spirito insieme con il Signore opera l'unificazione dello spirito, dell'anima e del corpo. In ciò è la salvezza.

129) Il genere umano viene unito al Dio trino per mezzo della seconda Persona della SS. Trinità, perché il Figlio di Dio, incarnandosi, non diviene estraneo all'unità trinitaria, in quanto rimane dentro di essa. Egli si è incarnato non abbandonando il seno del Padre, come canta la Chiesa. Dato che egli ha racchiuso nella sua Persona tutta l'umanità, essa insieme con lui si è unita con l'unità trinitaria, dentro la quale egli abita. Per questo motivo ogni credente che vive secondo i misteri cristiani è in unità con il Signore e insieme compreso nell'unità trinitaria.


130) Che Dio misericordioso ci conceda di arrivare alla conoscenza del senso profondo della passione del Signore Salvatore. Venne predeterminata dai secoli. Di conseguenza essa e entrata nel piano della creazione del mondo e nella provvidenza che lo conduce verso il fine ultimo. Non è comprensibile, ma e cosi.

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NOTE

[1] Santo diacono di Siria (306-373), innografo e dottore della Chiesa, strenuo difensore dell'ortodossia della fede contro l'arianesimo e le altre eresie insorgenti in quella regione. Fu autore di alcuni dei più antichi testi liturgici in uso nella liturgia siriaca e bizantina, e in particolare della nota preghiera che si recita in Quaresima.
[2] Monaco ed esicasta (1265-1346). Originario dell'Anatolia, fu deportato in Siria dai Turchi, onde scelse la monacazione nell'isola di Cipro. Da lì passo al monastero di S. Caterina nel Sinai (onde il suo soprannome), e quindi al Monte Athos, dove fu l'iniziatore di una grande scuola esicasta, tra i cui discepoli si annoverano il Patriarca Callisto e S. Gregorio Palamas, il più noto teologo esicasta. Dopo diverse esperienze monastiche nelle isole greche, rese ostili dalle incursioni turche, si trasferì in Bulgaria, ove morì. Non lasciò alcuna trattazione sistematica sull'esicasmo (che fu compiuta dai suoi discepoli), ma nella Filocalia greca sono contenute 175 sue massime e un'omelia sulla Trasfigurazione.