domenica 14 aprile 2019

Dominica in palmis

Dominica in palmis
Κυριακὴ τῶν βαΐων
MMXIX

Pietro Lorenzetti, Ingresso in Gerusalemme,
Storie della Passione di Cristo nel transetto sinistro
della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, 1310-19

Μετὰ κλάδων νοητῶς, κεκαθαρμένοι τὰς ψυχάς, ὡς οἱ Παῖδες τὸν Χριστόν, ἀνευφημήσωμεν πιστῶς, μεγαλοφώνως κραυγάζοντες τῷ Δεσπότῃ· Εὐλογημένος εἶ Σωτήρ, ὁ εἰς τὸν Κόσμον ἐλθών, τοῦ σῶσαι τὸν Ἀδάμ, ἐκ τῆς ἀρχαίας ἀρᾶς, πνευματικῶς γενόμενος φιλάνθρωπε, νέος Ἀδὰμ ὡς εὐδόκησας, ὁ πάντα Λόγε, πρὸς τὸ συμφέρον, οἰκονομήσας δόξα σοι.

Con rami di palme spirituali, con l’anima purificata, come i fanciulli esaltiamo con fede Cristo, acclamando a gran voce al Re: Benedetto tu, che sei venuto nel mondo per salvare Adamo dalla maledizione antica, divenendo il nuovo Adamo spirituale, o amico degli uomini, secondo il tuo beneplacito. O Verbo che tutto disponi per il bene, gloria a te.

(Kathisma del Mattutino della Domenica delle Palme secondo il rito bizantino)

Icona russa del XV secolo dell'Ingresso in Gerusalemme

Ingrediénte Dómino in sanctam civitátem, Hebræórum púeri resurrectiónem vitæ pronuntiántes, cum ramis palmárum: Hosánna, clamábant, in excélsis.
Cum audísset pópulus, quod Jesus veníret Jerosólymam, exiérunt óbviam ei, cum ramis palmárum: Hosánna, clamábant, in excélsis.

Mentre il Signore faceva il suo ingresso nella Città Santa, i fanciulli ebrei, proclamando la resurrezione della vita, con i rami delle palme gridavano: Osanna negli eccelsi. Come il popolo ebbe notizia che Gesù stava recandosi in Gerusalemme, tutti uscirono incontro a lui, con i rami delle palme gridavano: Osanna negli eccelsi.

(Responsorio all'ingresso in chiesa della Domenica delle Palme secondo il rito romano)

venerdì 12 aprile 2019

Sabato del santo e giusto Lazzaro

Sabbato post Dominicam Passionis
Σάββατο τοῦ ἁγίου καὶ δικαίου Λαζάρου
MMXVIII



Τὴν κοινὴν Ἀνάστασιν πρὸ τοῦ σοῦ Πάθους πιστούμενος, ἐκ νεκρῶν ἤγειρας τὸν Λάζαρον, Χριστὲ ὁ Θεός· ὅθεν καὶ ἡμεῖς ὡς οἱ Παῖδες, τὰ τῆς νίκης σύμβολα φέροντες, σοὶ τῷ Νικητῇ τοῦ θανάτου βοῶμεν· Ὡσαννὰ ἐν τοῖς ὑψίστοις, εὐλογημένος ὁ ἐρχόμενος, ἐν ὀνόματι Κυρίου.

Per confermare la comune Risurrezione pria della tua Passione, facesti risorgere Lazzaro dai morti, o Cristo Dio: laonde pur noi, come i fanciulli, recando le insegne di vittoria, a te Vincitore della morte inneggiamo: Osanna negli eccelsi, benedetto colui che viene nel nome del Signore.

(Apolytikio del Sabato di Lazzaro)

martedì 9 aprile 2019

Settimana Santa 2019 a Venezia

Chiesa di San Simeon Piccolo
S. Croce 698 - Venezia

Settimana Santa 2019


Domenica 14 aprile
DOMINICA IN PALMIS
11.00   Benedizione dei rami, processione e S. Messa


Lunedì 15 - martedì 16 - mercoledì 17 aprile
FERIAE II, III et IV MAJORIS HEBD.
18.30 S. Messa letta


Giovedì 18 aprile
FERIA V IN COENA DOMINI
19.00 S. Messa in Coena Domini


Venerdì 19 aprile
FERIA VI IN PARASCEVE
18.30 Via Crucis
19.00 Liturgia dei Presantificati


Sabato 20 aprile
SABBATO SANCTO
17.00 Vigilia di Pasqua e prima Messa della Risurrezione


Domenica 12 aprile
DOMINICA RESURRECTIONIS
11.00 Santa Messa


Tutti gli uffici saranno celebrati in forma solenne "in terzo"

Aneddoti da un monastero (parte 2) - S. Giovanni Climaco

Vedasi qui la prima parte

Fra' Angelico, Tebaide (dettaglio), 1418-20
Verrebbe meno il tempo della mia vita, o santo capo e diletta di Dio congregazione, a narrare le virtù di quelli beati e la loro celestiale vita degna di essere seguitata; ma più utile cosa è adornare lo nostro parlamento delle fatiche e de' dolori e de' sudori di quelli dolenti, ed incitar noi al zelo della santità, che delle proprie e vili ammonizioni mie; imperò che questo è vero sanza contradizione, che la cosa men buona s'adorna per la migliore; ma di questo vi prego, che non mi abbiate a sospetto ch'io scriva niuna cosa composta, però ch'egli è costume ed opera d'infidelità nelle cose che sono sante e veraci, guastare l'utilità perversamente, cioè colle menzogne e colle falsitadi; ma seguiremo il parlamento cominciato. Uno de' principi della città d'Alessandria, lo cui nome è Isidero, inanzi a questi anni rinunziò al mondo nel predetto monasterio, il quale io ci trovai. Questo Isidero quando quello santissimo pastore lo ricevette, udendo ch'egli era uomo crudele e forte e arrogante, pensò per umana spirazione saviamente come sagacissimo l'astuzia delle demonia e disse ad Isidero: "Se tu veramente ài eletto di prendere sopra te il giogo di Cristo, conviensi che tu sii provato ed esercitato nella obedienzia"; ed Isidero disse così: "Come il ferro si mette nelle mani del fabbro, che faccia quello che a lui piaccia, così, padre santissimo, mi do io a te"; e quello grande pastore, essendo satisfatto di questa bella parola, incontanente il mise alla pruova come il ferro, e disse così a lui: "Io voglio che tu permanghi alla porta del monasterio e ad ogni uno ch'entra ed esce, tu t'inginocchi e dica: Priega Iddio per me, però ch'io sono peccatore"; ed obbedì così perfettamente, come l'angelo obbedisce a Dio. E perseverando in quella obedienzia sette anni, e venendo in profondissima umiltà e compunzione, voleva quello santo padre dopo gli sette anni e dopo la sua inestimabile pazienzia, ordinarlo e farlo essere dispensatore del monasterio de' frati, come persona di ciò molto degna; ed egli fece fare molti preghieri all'abate per me e per li altri, che gli lasciasse compire il corso della vita sua in quello stato, dando quasi ad intendere che il fine della vita sua e la sua vocazione s'appressava. E così fu fatto, però si riposò in pace, e lo settimo dì della sua dormizione, prese a sé lo portinaio de lo monasterio, però che gl'avea inanzi detto: "Se io averò confidanza in Dio, in breve tempo sarai giunto con meco"; e questo fu fatto per dare perfetta certezza della sua beatitudine, la quale acquistoe per la perfetta umiltà ed obedienzia sua.
Domandai io questo grande Isidero inanzi la sua morte, che mi dicesse che operazioni avea la sua mente stando alla porta, e non me lo celò per fare utilità ad altrui; questo santo sempre da ricordare disse così: "Nel principio io pensava d'esser venduto per li miei peccati, e però facea quella operazione; onde con molta amaritudine e violenza facea quella penitenzia. Compiuto il primo anno, vivea senza tristizia di cuore, aspettando da Dio alcuna mercede della penitenzia e della obedienzia. Compiuto il secondo anno, con sentimento di cuore mi reputava indegno di stare nel monasterio, e di vedere e di parlare con quelli padri e di ricevere li Sacramenti divini, e di vedere la faccia di niuno; perciò ragguardava pure in terra, e con subietta prudenzia dimandava l'orazione di quelli che entravano e uscivano". Una fiata sedendo noi a mensa quello grande prelato e dottore inchinando la sua santa bocca agli orecchi miei disse: "Vuogli ch'io ti dimostri nella profonda canutezza la divina prudenzia?" e pregandolo di ciò, chiamoe il giusto pastore uno della seconda mensa, che avea nome Laurenzio, stato quarantotto anni nel monasterio, ed era il secondo prete della chiesa; e venendogli e inginocchiandosi umilmente dinanzi all'abate, ricevette la benedizione; ed essendo levato di terra, l'abate non gli disse nulla, ma lasciollo stare dinanzi alla mensa sanza mangiare, ed era al principio della refezione, e così stette quasi per due ore, sì ch'io mi vergognava di guardarlo in faccia, però ch'era tutto canuto, vecchio di ottant'anni. Ed essendo stato senza parlare insino al compimento della refezione, levandosi da mensa l'abate il mandò al predetto Isidero, che li dicesse il principio del salmo trigesimo; ed io come uomo malizioso non fui negligente a dimandare quel vecchio, che avea pensato, stando a quel modo inanzi all'abate, ed egli rispuose così: "Io attribui all'abate la imagine di Cristo, cioè feci ragione che l'abate fosse Cristo, e però non solamente. Onde, o padre Ioanni, io non stava come chi sta dinanzi alla mensa degli uomini, anzi stava come chi sta dinanzi all'altare di Dio ad adorare, non avendo al postutto niuna rea intenzione né cogitazione inverso del pastore per la fede e per la carità che io porto a lui, come dice Santo Paolo, che la carità non pensa male. E questo sappi, padre, che quando alcuno con inocenzia e con simplicitade si mette nelle mani altrui, da indi inanzi non darà luogo né ora al maligno in se medesimo contra di lui".
E veramente quel giusto pastore delle pecore razionali e salvatore per Gesù Cristo Dio e Signore nostro cotale dispensatore avea delle cose del monasterio, casto e mansueto come molti pochi se ne truovano. Contro a questo dispensatore, questo grande padre per utilità degl'altri si mosse ad ira sanza cagione, e comandò molto aspramente che fosse cacciato dall'oratorio; e conoscendo io ch'era sanza offesa di quello che l'abate lo incolpava, facea la scusa per lui all'abate segretamente; ed egli savio si disse: "Saccio che non ha colpa, ma come è cosa miserabile ed ingiusta rapire il pane dalle mani del fanciullo affamato, così quegli che àe reggere l'anime, offende sé ed il discepolo suo, se non gli fa acquistare a tutte l'ore corone per ingiurie e vergogne e per disprezzamenti, quando conosce che ne possa portare. Ed in tre cose massimamente l'offende, primamente che'l priva de la mercede della reprensione; il secondo danno è che priva gli altri dell'essemplo che riceverebbono dalla virtù altrui; il terzo male è gravissimo, però che spesse volte quelli che sono estimati d'essere portatori di pene e pazienti, non essendo toccati per tempo, e quasi uomini virtuosi non essendo dagli prelati ripresi, furono privati di quella mansuetudine e pazienzia, che prima era stata in loro, e però San Paolo comandò al suo discepolo Timoteo così: Riprendi, priega, fa le vergogne, non cessare, o che piaccia o che dispiaccia, e questo è a dire opportune et importune; e litigando me di questa cosa contro quello abate, e allegando la infermità dello spirito di questa presente generazione, come spesse fiate per le reprensioni che son fatte quasi senza cagione, si turbano e partonsi dalla greggia, quegli che era casa di sapienza, rispuose e disse questa bella e notabil parola: "L'anima che per Gesù Cristo s'è offerta e legata dalla carità, e dalla fede del pastore infino al sangue, non si partirà, massimamente se à ricevuto da esso benefici spirituali sopra le piaghe de' suoi peccati, ricordandosi delle parole di San Paolo quando disse che Né Angeli né Arcangeli né Principati né Virtuti né altra creatura partirà noi dalla carità di Cristo e del pastore; ma l'anima che non è così legata, fissa e congiunta, se in quel luogo non dimora vanamente cioè inutilmente, al postutto me ne maraviglio, perciò che alla persona infinta non l'è bastevole la subiezione che è pure in apparenzia"; ed imperò quello grande santo non mentie a sé medesimo, ma guidoe l'anime e condussele a perfezione ed offersele a Cristo ostie immaculate.
Udiamo la divina sapienzia, e meraviglianci come si truova in vasi di terra. Essendo io in quello monasterio, mi maravigliava della pazienzia e della fede di quelli che venivano novellamente, e della smisurata sofferenza delle reprensioni e delle ingiurie che facevano gli prelati, ed alcuna fiata riceveano persecuzioni non solamente dagli prelati, ma da minori; onde per cagione ed edificazione una fiata domandai io uno, che era istato quindici anni nel monasterio, il quale avea nome Abachiro, il quale io vedea singularmente essere offeso da tutti quanti, ed alcuna fiata dagli servidori era cacciato dalla mensa (però che quel frate era un poco sfrenato della lingua, e questo avea per natura), e dissi a lui: "Frate Abachiro, perché è questo, ch'io ti veggio quasi per continuo esser cacciato dalla mensa, ed ire a dormire sanza refezione?". Ed egli risupose così: "Padre, credimi che questi miei padri mi pruovano se io son degno d'esser fatto monaco, e nol fanno in verità per iniquità; e però io conoscendo la 'ntezione loro e dell'abate, ogni cosa sostegno sanza pena, e pensando questo, abbo portato quindici anni, però che dal principio quando c'entrai, si mi dissono che trenta anni si debbono provare quelli, che renunziano al mondo; e giustamente è fatto questo, padre Ioanni, però colui che non sta alla pruova non è perfetto". E sostenendo anche questo nobile Abachiro per tempo di due anni, dapoi ch'io fui in quel monasterio, si riposò in pace; e disse questa parola alli padri del monasterio, quando venne a morte: "Grazie rendo a Gesù Cristo nostro Signore ed a voi, che, però che voi m'avete tentato per la mia salute, sono stato dieci sette anni non tentato dalle demonia"; e morto egli, quel pastore dal giusto giudicio, come confessore il fece degnamente collocare colli santi, che si riposano in quel monasterio.

S. Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, volgarizzazione del testo latino di frate Agnolo de' Minori (inizio XIV secolo). Testo di lingua corretto su antichi codici mms. per Antonio Cerruti (1830-1918) dottore dell'Ambrosiana.

sabato 6 aprile 2019

Domenica di Santa Maria Egiziaca

La Quinta Domenica della Grande Quaresima fa memoria di santa Maria Egiziaca. Nello spirito del Canone 51 di Laodicea, la memoria di questa santa è spostata dal 1° di aprile alla domenica per poterla onorare con maggiore solennità, come è già stato il caso di san Giovanni Climaco, alla quarta domenica. La vita di questa santa, che è particolarmente venerata in Palestina e che visse durante il sesto secolo, è a noi conosciuta grazie ad un racconto di san Sofronio Patriarca di Gerusalemme (VI-VII sec.), che ce la presenta come un modello di conversione. La sua festività è stata fissata alla quinta domenica della grande Quaresima dal secolo undicesimo, senza dubbio in connessione con la lettura del Grande Canone di sant'Andrea di Creta che fu, nello stesso periodo, fissato al Quinto Giovedì della Grande Quaresima. Sappiamo bene come un canone in onore di santa Maria Egiziaca sia stato aggiunto al Canone penitenziale di sant'Andrea di Creta, e questo conferma il legame fra questi due elementi del Triodion (cfr. Korabinov, Postania Triod', 34, 50).
(Job of Telmissios, The Typikon Decoded)

Tintoretto, Santa Maria Egiziaca (1582-1587)

Giunti quasi al termine della Quaresima, la Chiesa propone alla nostra considerazione la figura ascetica di Santa Maria Egiziaca. L'intento è quello di mostrare ai fedeli ed al Cristiano di ogni epoca la potenza della conversione in genere e, nello specifico, la trasformazione radicale dell'individuo che incontra Cristo: Maria, da prostituta della corrotta Alessandria d'Egitto, ad esempio di ascesi, degna di essere paragonata negli sticheri del Vespro a Giovanni Battista.

Nata nel 345 circa in Egitto, visse da prostituta per 17 anni. Travagliata interiormente per il tipo di vita che conduceva, un giorno si imbarcò con dei pellegrini per la Terra Santa. Nella città Santa di Gerusalemme, il giorno della festa della Croce cercava di entrare anche lei nella Basilica, ma una forza la respingeva e solo l'intercessione della Madre di Dio le permise di entrare e di venerare il Sacro Legno. Questo episodio segnò la conversione di Maria. Uno degli stichirà del Vespero scrive: «Volto lo sguardo a un'icona della Madre di Dio, riconosciute tutte le precedenti colpe, con fiducia ti sei prostrata al legno prezioso».

Dopo la conversione Maria si ritirò nel deserto per irrorarlo con le sue lacrime di pentimento e di penitenza: «essendosi stabilita nel deserto lungo il Giordano, scelse la stessa dimora del Battista». Nel deserto iniziò la sua lotta ascetica, combattendo la sua buona battaglia e trasformandosi quasi in pura preghiera «sollevandosi da terra, durante i suoi colloqui con Dio» (Stichirà del Vespero).

Zosimo, ieromonaco di qualche lavra palestinese, si reca, secondo l'abitudine, a trascorrere una parte della Quaresima nelle profondità del deserto. Credendo dapprima ad un'allucinazione si rende ben presto conto della realtà della sua visione: una forma femminile cui l'ardore del sole ha disseccato la pelle, senza altra veste che la sua capigliatura bianca come la lana. Vedendo in questo incontro la volontà della Provvidenza, Zosimo cerca di avvicinarla e vi riesce solo sulla riva di un torrente, ma la sua interlocutrice non acconsente a iniziare la conversazione prima che il monaco le abbia lanciato il suo mantello per coprire la sua nudità. Dopo essersi reciprocamente benedetti si mettono a pregare e Zosimo vede Maria che levita nell'aria. Il monaco dubita allora di trovarsi di fronte ad una macchinazione diabolica, ma Maria lo tranquillizza chiamandolo per nome. Incitata da lui Maria comincia a raccontare la sua vita.

Egiziana di origine, a dodici anni era fuggita dalla casa paterna per condurre a suo agio ad Alessandria la vita di peccato che l'ardore dei suoi sensi reclamava. Per diciassette anni visse in questo stato. Un giorno, vedendo dei pellegrini che s'imbarcavano per Gerusalemme, spinta dalla curiosità ed in cerca di nuove avventure, si unì al gruppo, convinta che il suo fascino le avrebbe permesso facilmente di pagarsi il prezzo del viaggio. I suoi piaceri ebbero termine a Gerusalemme il giorno della festa della Croce: ella voleva infatti come gli altri, entrare nella basilica, ma ogni volta che tentava di varcarne la soglia una forza interiore glielo impediva.
A questo punto sentì il richiamo del Giordano.

Uscendo dalla città uno sconosciuto le diede tre pezzi d'argento che le sarebbero serviti ad acquistare  dei pani, che dovevano essere il suo ultimo nutrimento terrestre, duratole per almeno diciassette anni. Giunta a sera sulle rive del Giordano ed avendo scorto il santuario di S. Giovanni Battista, ella vi fece una visita per pregare e quindi si recò al fiume per purificarsi. In seguito ricevette la Comunione eucaristica e con questo viatico iniziò il suo lungo cammino nel deserto cammino che al momento dell'incontro con Zosimo durava già da quarantasette anni.

Giunta al termine del suo racconto autobiografico Maria pregò Zosimo di ritornare l'anno dopo, la sera del Giovedì Santo in un luogo che ella gli indicò sulle rive del Giordano, per portarle l'Eucarestia. Zosimo fu fedele all'appuntamento e Maria traversò miracolosamente il fiume per raggiungere il monaco. Dopo essersi comunicata ed avere rinnovato l'appuntamento per l'anno successivo nel luogo del primo incontro presso il torrente, Maria riprese la sua marcia nel deserto.

Miniatura raffigurante l'incontro tra Zosimo e S. Maria Egiziaca (British Library)

Tornando l'anno dopo sulla riva del torrente Zosimo si credette da principio solo, poi scorse a terra il corpo di Maria morta, rivestito ancora del vecchio mantello da lui datole due anni prima. Una scritta sulla terra gli rivelò alcuni aspetti del mistero: "padre Zosimo sotterra il corpo dell'umile Maria; restituisci alla terra ciò che è della terra, aggiungi polvere a polvere ed in nome di Dio prega per me; sono morta nel mese di pharmouti, secondo gli egiziani, che corrisponde all'aprile dei Romani, la notte della Passione del Salvatore, dopo aver partecipato al pasto mistico".

Zosimo capì che Maria era già morta da un anno, il giorno stesso in cui le aveva dato la s. Comunione. Si mise subito all'opera per seppellire il corpo di lei, ma non aveva altro utensile che un pezzo di legno; aveva appena cominciato a scavare che ebbe la sorpresa di trovarsi a lato un leone che si dimostrò subito in grande familiarità con lui e che in breve tempo, su richiesta del monaco, scavò una fossa sufficiente a deporre Maria. Dopo aver ricoperto di terra il corpo della santa, Zosimo ritornò al suo monastero, dove raccontò tutta la storia all'abbà Giovanni l'igumeno e ai suoi confratelli per loro edificazione.

La Chiesa Bizantina, volendo sostenere i fedeli a perseverare nell'agone delle virtù, presenta la figura di Maria Egiziaca, affinché essi possano continuare e terminare in pace la Quaresima, contemplare la vivificante passione del Signore e, il giorno della Resurrezione, risorgere attraverso il dono del Santissimo Spirito sgorgato dal Suo costato trafitto. La figura di Maria Egiziaca è immagine della guarigione del cuore dal buio in cui si trova, grazie all'incontro con il Salvatore.

La pericope evangelica che si legge in questa domenica è tratta dal vangelo di Marco. Gesù termina il suo “cammino” e si apre quello di «Gerusalemme». Sono gli ultimi giorni della vita terrena del Signore e nella pericope si parla di una predizione dettagliata e articolata della sua imminente passione. Scrive J. Mateos nel suo commento al suddetto passo: «Gesù smentisce l'attesa dei Dodici (o nuovo Israele), i quali sperano che Cristo prenda il potere politico nella capitale. Per questo espone loro l'ostilità mortale del sistema religioso giudaico contro di lui, e il risultato, che non sarà il suo trionfo personale, ma la vittoria del sistema, anche se solo apparente, poiché la morte non interromperà la sua vita».

Agli “Erode”, “ai grandi”, “ai capi delle nazioni” che esercitano il dominio dell'uomo sull'uomo, Gesù Cristo oppone un modello di servizio e di dedizione che crea l'uguaglianza.

Apolytikion

Ἐν σοὶ μῆτερ ἀκριβῶς, διεσώθη τὸ κατ' εἰκόνα· λαβοῦσα γὰρ τὸν Σταυρόν, ἠκολούθησας τῷ Χριστῷ, καὶ πράττουσα ἐδίδασκες· ὑπερορᾶν μὲν σαρκός, παρέρχεται γάρ, ἐπιμελεῖσθαι δὲ ψυχῆς, πράγματος ἀθανάτου· διὸ καὶ μετὰ Ἀγγέλων συναγάλλεται, Ὁσία Μαρία τὸ πνεῦμά σου.

In voi, o Madre, conservaste l'immagine divina: avendo infatti preso su di voi la Croce, seguiste Cristo e insegnaste coll'esempio a disprezzare la carne, che infatti si corrompe, e a curarsi dell'anima, opera immortale: pertanto insieme agli Angeli si rallegra il vostro spirito, o beata Maria!


Fonti:
Padre Vittorio Schirchio, Domenica V di Quaresima
Joseph Maria Sauget, Vita di Santa Maria Egiziaca

venerdì 5 aprile 2019

Sabato "dell'Inno Akathistos"


Κοντάκιον. Ἦχος πλ. δ'.
Τὸ προσταχθὲν μυστικῶς λαβὼν ἐν γνώσει, 
ἐν τῇ σκηνῇ τοῦ Ἰωσὴφ σπουδῇ ἐπέστη, 
ὁ ἀσώματος λέγων τῇ Ἀπειρογάμω·
ὁ κλίνας ἐν καταβάσει τοὺς οὐρανούς, 
χωρεται ἀναλλοιώτως ὅλος ἐν σοι· 
Ὃν καὶ βλέπων ἐν μήτρᾳ σου, 
λαβόντα δούλου μορφήν, 
ἐξίσταμαι κραυγάζων σοι·
Χαῖρε Νύμφη ἀνύμφευτε.

Ἕτερον. Ἦχος ὁ αὐτός.
Τῇ ὑπερμάχῷ στρατηγῷ τὰ νικητήρια, 
ὡς λυτρωθεῖσα τῶν δεινῶν εὐχαριστήρια, 
ἀναγράφω σοι ἡ πόλις σου, Θεοτόκε· 
ἀλλ' ὡς ἔχουσα τὸ κράτος ἀπροσμάχητον, 
ἐκ παντοίων με κινδύνων ἐλευθέρωσον, 
ἵνα κράζω σοί· Χαῖρε Νύμφη ἀνύμφευτε.


Kontakion. Tono II plagale.
Comprendendo misticamente ciò che è stato stabilito,
con zelo apparve nella tenda di Giuseppe
l'incorporeo, dicendo alla Vergine ignara di nozze:
colui che ha piegato i cieli,
senza mutamento tutto in te prende dimora:
e vedendolo nel tuo grembo,
assunta la forma di servo,
ne son meravigliato, e ti canto:
Salve, o Sposa senza nozze!

Altro kontakion. Sullo stesso tono.
A te, conduttrice di schiere che mi difendi,
io, la tua Città, grazie a te riscattata da tremende sventure,
o Madre di Dio, dedico questi canti di vittoria in rendimento di grazie.
Tu che possiedi invincibile potenza,
liberami da ogni specie di pericolo,
affinché a te io acclami: Salve, o Sposa senza nozze!


Durante l'ufficio notturno (notte tra venerdì e sabato) si recitano tutte le quattro stasi dell'Inno Akathistos alla Madre di Dio (1a2a3a4a)

giovedì 4 aprile 2019

Settimana Santa 2019 a Venezia

Chiesa di San Simeon Piccolo
S. Croce 698 - Venezia

Settimana Santa 2019


Domenica 14 aprile
DOMINICA IN PALMIS
11.00   Benedizione dei rami, processione e S. Messa


Lunedì 15 - martedì 16 - mercoledì 17 aprile
FERIAE II, III et IV MAJORIS HEBD.
18.30 S. Messa letta


Giovedì 18 aprile
FERIA V IN COENA DOMINI
19.00 S. Messa in Coena Domini


Venerdì 19 aprile
FERIA VI IN PARASCEVE
18.30 Via Crucis
19.00 Liturgia dei Presantificati


Sabato 20 aprile
SABBATO SANCTO
17.00 Vigilia di Pasqua e prima Messa della Risurrezione


Domenica 12 aprile
DOMINICA RESURRECTIONIS
11.00 Santa Messa


Tutti gli uffici saranno celebrati in forma solenne "in terzo"

mercoledì 3 aprile 2019

Giovedì "del Grande Canone"



Ὠδὴ α ́. Ἦχος πλ. β'.

Πόθεν ἄρξομαι θρηνεῖν, τὰς τοῦ ἀθλίου μου βίου πράξεις;
ποίαν ἀπαρχήν, ἐπιθήσω Χριστέ, τῇ νῦν θρηνωδίᾳ;
ἀλλ ̓ ὡς εὔσπλαγχνός μοι δός, παραπτωμάτων ἄφεσιν.

Δεῦρο τάλαινα ψυχή, σὺν τῇ σαρκί σου τῷ πάντων Κτίστῃ,
ἐξομολογοῦ καὶ ἀπόσχου λοιπόν, τῆς πρὶν ἀλογίας,
καὶ προσάγαγε Θεῷ, ἐν μετανοίᾳ δάκρυα.


Ode I. Tono II plagale.

Donde incomincerò a compiangere le azioni della mia miserabile vita?
Quale iniziò darò, o Cristo, a questa lamentazione?
Ma tu, poiché sei misericordioso, concedimi la remissione dei peccati.

Orsù, anima infelice, insieme alla tua carne loda il Creator
d'ogni cosa; abbandona la pristina colpa,
e offri a Dio lacrime di compunzione.


Durante l'ufficio notturno (notte tra mercoledì e giovedì) si dice per intero il Grande Canone di Sant'Andrea di Creta (QUI).

domenica 31 marzo 2019

Note sulla Domenica "Laetare"

La IV domenica di Quaresima

Brani liberamente tratti e adattati da: Dom Prosper Gueranger, "L'anno liturgico" e Card. Ildefonso M. Schuster, "Liber Sacramentorum III"

Questa Domenica chiamata Laetare, dalla prima parola dell'Introito della Messa, è una delle più celebri dell'anno. In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della Messa non parlano che di gioia e di consolazione; si fa risentire l'organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti; il diacono riveste la dalmatica e il suddiacono la tunicella; è consentito sostituire i paramenti violacei coi paramenti rosa. Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l'Avvento, nella terza Domenica chiamata Gaudete. Manifestando oggi la Chiesa la sua allegrezza nella Liturgia, vuole felicitarsi dello zelo dei suoi figli; avendo essi già percorso la metà della santa quaresima, vuole stimolare il loro ardore a proseguire fino alla fine.


La Stazione è, a Roma, nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme, una delle sette principali chiese della città eterna.


Ad imitazione delle Chiese bizantine che la III domenica di quaresima celebrano una festa in onore del santo Legno della Croce, la liturgia romana dedica questa domenica, denominata già in vigesima, a celebrare le glorie del Vessillo trionfale della redenzione. Una parte considerevole del Legno della Santa Croce si custodisce sin dai tempi di sant'Elena nella basilica in aedibus sessoriis: di qui il motivo dell'odierna stazione. Questo venerando tempio coi suoi santuari ante Crucem e post Crucem vuole essere in Roma una libera riproduzione del Martyrion Gerosolimitano. Con questo proposito, ella vi fece trasportare una grande quantità di terra prelevata sul Monte Calvario, e depositò in questo tempio, insieme ad altri cimeli della Passione, l'iscrizione sovrapposta sulla testa del Salvatore mentre spirava sulla Croce; tale scritta ivi ancora si venera sotto il nome del Titolo della Croce. Il suo titolo primitivo era Basilica Heleniana, ovvero comunemente Sancta Hierusalem, donde le frequenti allusioni a Gerusalemme nella messa d'oggi. Il nome di Gerusalemme legato a questa Basilica ravviva tutte le speranze del cristiano. perché gli ricorda la patria celeste, la vera Gerusalemme dalla quale siamo ancora esiliati.

Nel Medio Evo, almeno a partire dal Pontificato di Papa Leone IX (+1054, ancorché il Moroni la faccia risalire a tempi ancora più antichi), fino al trasferimento dei Papi ad Avignone, il Sommo Pontefice andava alla stazione a Santa Croce in Gerusalemme tenendo in mano una rosa d'oro, di cui poi spiegava al popolo il mistico significato. Nel ritorno, ne faceva un presente al prefetto di Roma, donde è nato l'uso ancor oggi vigente, che la rosa d'oro benedetta dal Pontefice venga inviata in dono a qualche principe cattolico. È difficile di rintracciare l'origine di questa solennità, che circonda a Roma d'un carattere speciale la IV domenica di quaresima. Può essere che derivi dalla festa bizantina di mezza-quaresima, ma non è da rigettarsi affatto l'ipotesi che nell'odierna solennità, sotto il nome di Dominica in vigesima riconosca l'antico caput jejunii romano, tre settimane prima di Pasqua.

Rosa d'oro offerta da Papa Pio VII
all'imperatrice Carolina Augusta
d'Austria
La benedizione della Rosa è dunque ancora oggi uno dei particolari riti della quarta Domenica di Quaresima, per la quale ragione viene anche chiamata la Domenica della Rosa. I graziosi pensieri che ispira questo fiore sono in armonia coi sentimenti che oggi la Chiesa vuole infondere nei suoi figli, ai quali la gioiosa Pasqua presto aprirà una primavera spirituale, in confronto della quale la primavera della natura non è che una pallida idea. Anche questa istituzione risale ai secoli più lontani. La fondò san Leone IX, nel 1049, nell'abbazia di S. Croce di Woffenheim; e ci resta un sermone sulla Rosa d'oro, che Innocenzo III pronunciò quel giorno nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme (PL 217, 393). Nel Medio Evo, quando il Papa risiedeva ancora al Laterano, dopo aver benedetta la Rosa, seguiva in corteo tutto il sacro Collegio, verso .a chiesa della Stazione, portando in testa la mitra e in mano questo fiore simbolico. Giunto nella Basilica, pronunciava un discorso sui misteri rappresentati dalla Rosa per la sua bellezza, il suo colore e il suo profumo. Quindi si celebrava la Messa; terminata la quale, i1 Pontefice ritornava al palazzo Lateranense, attraversando la pianura che separa le due Basiliche, sempre con la Rosa in mano. Arrivato alla soglia del palazzo, se nel corteo era presente un principe, toccava lui reggere la staffa ed aiutare il pontefice a smontare dal cavallo; in ricompensa della sua cortesia riceveva la Rosa, oggetto di tanto onore.

Ai nostri giorni la funzione non è più così imponente; ma ne ha conservati tutti i principali riti. Il Papa benedice la Rosa d'oro nella Sala dei Paramenti, la unge col sacro Crisma e sopra vi spande una polvere profumata, conforme il rito d'un tempo; e quando arriva il momento della Messa solenne, entra nella Cappella del palazzo, tenendo il fiore fra le mani. Durante il santo Sacrificio la rosa viene posta sull'altare e fissata sopra un rosaio d'oro fatto a questo scopo; finalmente, terminata la Messa, la si porta al Pontefice, il quale all'uscire dalla Cappella la tiene sempre fra le mani fino alla Sala dei Paramenti. Molto spesso il Papa suole inviare la Rosa a qualche principe o principessa che intende onorare; altre volte è una città oppure una Chiesa che vien fatta oggetto di una tale distinzione. A chi la riceve in dono vien riconosciuto di portare il buon odore di Cristo con la vita e le opere al servizio della Chiesa. Anche il dono a una chiesa riconduce allo stesso significato: portare Cristo al mondo

Il rito papale della IV domenica di Quaresima

Tratto da: Francesco Cancellieri, "Descrizione delle Cappelle Pontificie e Cardinalizie di tutto l’anno", capo VII

La veste rosa secca dei Cardinali
Questa mattina canta Messa un Cardinal Prete. L’Altare è ornato con otto Statue d’argento, se la Cappella si fa alla Sistina, e con tredici, se si fa alla Paolina al Quirinale. Tutto il S. Collegio viene in Sottana, Mozzetta, e Mantelletta di color Rosa secca, come nella terza Domenica dell’Avvento, colle Cappe violacee.
Il Papa ancora viene in Piviale di color rosaceo, consimile al colore del Trono, ed anche il Celebrante co’ sacri Ministri. Il Diacono porta la Dalmatica, e il Suddiacono la Tonicella, e non già le Pianete piegate. Poichè tutta la Messa di questo giorno eccita all’allegrezza, interponendosi dalla Chiesa questo giubilo spirituale, per ristorare i Fedeli dall’afflizione del digiuno.
Il Papa unge col Balsamo del Perù, e col muschio, e benedice la Rosa d’oro nella stanza de’Paramenti, prima di venire in Cappella. Il Vaso col suo coperchio, in cui si contiene il Balsamo, è di argento. L’altro che serve pel muschio, è di avorio con piede, e coperchio simile, guarnito d’argento dorato, con un dente, o lingua serpentina impietrita nella Coppa.
Un picciolo Cucchiarino d’oro con uno Zaffiro in breccia incastrato nel mezzo serve per pigliare il Muschio, ed un altro di argento dorato per prendere il balsamo.
Varj sono stati i disegni, che si sono usati in diversi tempi, de’ vasi, o de’ piedi per questa Rosa. Presentemente ha un piede triangolare col suo balaustro, sopra di cui sorge un ramo spinoso con varie Rose, ed una in cima più grande, in cui v’ha una picciola Crate, o sia Lamina forata, dove il Papa nella benedizione pone il balsamo, e il Muschio. Tanto il piede, nelle cui tre facciate v’è lo stemma del Papa, quanto il Ramo, e le Rose, sono tutte d’oro.
Dopo che la Rosa è stata benedetta vien portata in Cappella da un Chierico di Camera in Cotta, e Rocchetto, che la consegna a mons. Sagrista, il quale la colloca sopra l’Altare sotto la Croce, d’onde la rileva, per farla riportare dal medesimo Chierico di Camera, dopo la Messa, nella stanza de’ Paramenti, in una picciola Mensa fra due Candelieri. Poi si ripone, e si conserva per regalarsi a qualche Personaggio, come ha fatto il Regnante Pontefice all’Arciduchessa di Austria Maria Cristina, ed alla di lei Sorella Arciduchessa Amalia.
L’Introito si canta in contrapunto. Sermoneggia il P. Procurator Generale de’ Carmelitani. Il mottetto Cantemus Domino dopo l’Offertorio, è di Matteo Simonelli, con seconda parte. Il Deo gratias si canta.
Rosa d'oro offerta da Papa
Giovanni XXII a Rodolfo
III di Nidau (1330)
Questa Domenica viene frequentemente chiamata Domenica Laetare, dall’Introito preso dalle parole d’Isaia (LXVI. 10). Dicesi ancora Dominica panum dall’Evangelio, in cui si narra la prodigiosa moltiplicazione de’ pani nel Deserto. Ma più communemente si appella Dominica Rosae, Rosarum, o de Rosa, dalla Rosa d’oro, che per antichissimo uso il Papa suol benedire in questo giorno.
Il P. Calmet (In Probatione Historica Lotharingiae Tom. I, col. 427) è stato il primo a scuoprire la vera origine del Rito, che ha dato questo nome alla presente Domenica. S. Leone IX ereditò fra’ suoi beni patrimoniali il Monastero di S. Croce in Alsazia, e vendicollo in libertà, assoggettandolo immediatamente alla S. Sede. E per eternare la memoria di questa esenzione, gl’impose il tributo annuo di una Rosa d’oro di due oncie, da portarsi in mano da lui, e da’ suoi successori nella quarta Domenica di Quaresima, celebrando nella Basilica di S. Croce di Gerusalemme. E così sotto il nome di Tributo, o Censo pagato da un Monastero posto in libertà, venivasi a simboleggiare la misteriosa allegrezza del Popolo d’Israello, liberato dalla schiavitù Babilonica, a cui si allude nel lieto uffizio di questo giorno.
Nel breve corso di un mezzo Secolo, queto semplice Tributo di un Monastero esente divenne regalo degno de’ Principi. Poichè si legge presso Dachery (T.X. Spicilegii p. 396), e Luca Olstenio (Colleg. Rom. P. 11. P. 222), che questo Fiore fu regalato nel 1096 da Urbano II, dopo la celebrazione del Concilio di Tours, a Fulcone Conte d’Angers, il quale grato di quest’onore fissò, che dovesse esser portato da sè, e da’ suoi successori nel giorno delle Palme.

Nel 1230 s’introdusse il costume di aggiungere a questa Rosa le qualità esterne del suo Fiore, tingendo l’oro di rosso, e spargendola di muschio; e di spiegarsi il mistero del colore, e dell’odore della Rosa naturale, dallo stesso Pontefice con un Sermone, per l’istruzione del Popolo, come ci attestano il Canonico Benedetto (In Ord. XI. num. 36), il Diploma di Alessandro III, che la regalò a Ludovico VII Re di Francia (T.X. Concil. p. 1360. E in T. IV. Hist. Francor. a pg. 768) e il Durando (Rational. lib. cap. 53 num. 10). Ma sopra tutto ce ne convince il Sermone d’Innocenzo III su questo argomento.
Sappiamo poi da Cencio Camerario (Ord. XII. num. 17), che nello stesso Secolo XII s’ incominciò ad aggiungere al muschio anche il balsamo. Sembra, che si cessasse di colorir l’oro, quando s’introdusse l’uso di collocare un Rubino in mezzo alla Rosa, per renderla più preziosa, senza alterarne le qualità, come poi si è sempre praticato, anche quando si è ridotta la semplice Rosa ad un Ramo di Rose vago, e fiorito, come or lo vediamo. Questa variazione dev’esser seguita prima di Sisto IV, che un anno in vece della Rosa, benedisse una Quercia d’oro, rappresentante il suo Stemma, che mandò in dono alla Cattedrale di Savona sua Patria. Pio II sermoneggiò sopra la Rosa, secondo l’antico costume, che però, come apparisce da Pietro Amelio (Ord. XV. num. 48), era già divenuto arbitrario, e poi andò affatto in disuso.
Ma benchè si variassero le circostanze, che accompagnavano le qualità della Rosa, si conservò l’uso di mandarla in dono a qualche Principe, ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che si trovasse in quel dì presente alla Sacra Funzione. Questi per lo più era il Prefetto di Roma (Felix Contelorius de Praefecto Urbis. Romae 1631. 4. Gaet. Cenn del Prefetto di Roma a tempo de’Re, e della Repubblica, a tempo degli Augusti, e Re d’Italia, e sotto i Rom. Pontefici. nel T. I. delle sue Dissert. Postume p. 269), vestito di scarlatto, o di porpora, colle calze di color oro, che accompagnava a piedi il Papa, che cavalcando portava la Rosa in mano fino al Palazzo Lateranense, dove smontava, e ivi baciandogli i piedi, ricevea il dono della Rosa.

Convien però avvertire, che non tutti ebbero questa Rosa benedetta, come molti han creduto, quasi che sia tanto antica la Rosa d’oro, quanto la sua benedizione. Questa certamente non può attribuirsi nè a Urbano V, nè ad Innocenzo IV, a cui sia assegna dall’Autore della sua vita, a cui si assegna dall’Autore della sua vita, seguito dal Martene (De Rit. Ant. Diss. XIX num. XVII); ma è posteriore a Niccolò V, giacchè niuna menzione di questa benedizione si fa negli Ordini da noi citati, e la prima volta che si nomina, è nel Cerimoniale di Cristofaro Marcello. Paolo III tolse l’uso, introdotto da Paride de Grassi sotto Giulio II, Leone X, e Clemente VII, di ungerla col Crisma; e il Rito prescritto dal suddetto Cerimoniale di ungerla col balsamo, di sovrapporvi il muschio, di benedirla, ed’ incensarla, è perseverato fino a’ nostri tempi.

Testo della benedizione della rosa

V. Adjutórium nóstrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Orémus.
Deus qui es lætítia et gáudium omnium fidélium, majestátem tuam supplíciter exorámus ut hanc Rosam odore visuque gratíssimam, quam hodiérna die in signum spiritúalis lætítiæ in mánibus gestámus, bene + dícere et sancti + ficáre tua pietáte dignéris, ut plebs tibi dicáta ex jugo Babilónicæ captivitátis edúcta, per Unigéniti Filii tui grátiam cæléstis Jerúsalem gáudium sincéris córdibus repræséntet. Et quia ad honórem nóminis tui Ecclésia tua hoc signo hodie exúltat et gáudet, tu ei, Dómine, verum et perféctum gáudium et grátiam tuam largiáris, ut per fructum boni óperis in odórem illíus floris tránseat qui de radíce Jesse prodúctus, flos campi, lílium convállium mystice prædicátur. Qui tecum vivit et regnat in unitate Spíritus Sancti Deus per omnia saécula saeculórum. R. Amen.

Postea imponit incensum in thuribulo. Deinde Rosam ungit balsamo imponitque ei muscum: aspergit aqua benedicta et adolet incenso.

Paolo VI compie i riti di benedizione della rosa d'oro (1967)

Destinatarj della Rosa d'oro

La ricevettero tra gli altri Enrico VIII re d'Inghilterra, il conte Amedeo VI di Savoia nel 1364, per aver combattuto i turchi e riconquistato Gallipoli, Federico il Savio elettore di Sassonia, Ludovico III Gonzaga marchese di Mantova per aver ospitato nel 1459 il concilio di Mantova.
Gli ultimi latori della Rosa d'Oro,
Principi Luigi Massimo Lancellotti
e Giuseppe Dalla Torre del Tempio
di Sanguinetto
In origine era destinata a re o regine, ma dopo il 1759 esclusivamente alle regine. Le ultime a riceverlo furono: Isabella del Brasile reggente dell'Impero brasiliano (1888) per l'abolizione della schiavitù in Brasile, Vittoria Eugenia di Battenberg regina di Spagna (1923), Elisabetta di Wittelsbach (1925) ed Elena di Savoia (1937). Nel 1956 fu concessa alla granduchessa Carlotta del Lussemburgo.
Inoltre, la rosa d'oro può essere recata anche a un santuario. La basilica di San Marco a Venezia la ottenne da Papa Gregorio XVI nel 1833. 
Nell'antica corte pontificia esisteva l'incarico di latore della rosa d'oro, affidato ad un cameriere laico, generalmente un principe romano, che s'incaricava di consegnare materialmente una rosa d'oro alle personalità, o ai santuari, a cui era indirizzata dal papa. La carica di latore della Rosa d’Oro venne istituita come carica di corte stabile da papa Leone XIII nel 1893 con personaggi spesso provenienti dal mondo della diplomazia pontificia. Tale carica venne ricoperta dal conte Soderini fino al 1910 quando Pio X decise di abolirla in quanto giudicata non stabile. La carica venne in seguito ripristinata da Pio XII nel 1941 quando essa venne attribuita a due principi romani, Luigi Massimo Lancellotti ed Enrico Barberini  (quest’ultimo morto nel 1958 e sostituito dal conte Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto).

In questa pagina di wikipedia è elencata gran parte dei sovrani cui fu fatto dono della Rosa d'Oro nei secoli.

venerdì 29 marzo 2019

Aneddoti da un monastero (parte 1) - S. Giovanni Climaco

Nel IV grado della sua "Scala del Paradiso", S. Giovanni Climaco tratta la virtù dell'obbedienza. Il capitolo, abbastanza lungo, contiene una serie di aneddoti sulla vita in un monastero i cui monaci hanno raggiunto vette di perfezione spirituale veramente notevoli.


Paolo Uccello, Tebaide, 1460 circa
[...] Imperò che essendo io in uno monasterio, vidici una spaventosa giudiciaria sentenzia d'uno buono giudice e pastore, che vegnendo uno ladrone a quello monasterio per essere monaco, quello abate, ch'era perfetto pastore e medico dell'anima, il fece stare sette dì in tutta quiete solamente a vedere lo stato ed il modo del monasterio, poi segretamente il dimandò se gli piacea di rimanere con loro; e vedendo che veramente era compunto e contento di dimorare con loro, sì 'l dimandò che volea sapere qual cosa disonesta avea fatta ne mondo; e vedendo che chiaramente e prontamente tutti gli suoi difetti gli avea confessati, tentando, disse a lui: "Io voglio che tutti questi difetti tu manifesti a tutti gli frati:" e quegli che veramente avea in odio tutto il suo peccato, disprezzando ogni vergogna, sanza dubitazione gli promise e disse: "Se tu vuogli, io la manifesterò in mezzo della città d'Alessandria". Poi il pastore fece tutti i monaci ragunare nella chiesa, li quali erano dugentotrenta, e compiuto lo capitolo della domenica, poi che fu detto il Vangelio, essendo tutti li monaci schierati dianzi alla porta della  chiesa, l'abate stando nella porta della chiesa, fece quel peccatore sanza peccato in questo modo menare, col capo impolverato, ed altri lo tirava dinanzi colla fune, colla quale era legato, altri lo venia temperatamente battendo di dietro; e per l'aspetto di queste cose tutti li frati incontanente furono commossi a pianto, però che niuno sapea perché si facea questa cosa. Ed appressandosi alla porta della chiesa, quello santo padre e benigno giudice gridò con gran voce a lui, dicendo: "Sta fermo, he non se' degno d'entrare in questo luogo santo"; e quegli essendo sbigottito per quella voce dell'abate (però che com'egli poi affermava con giuramenti, non pensò di avere udita voce umana, ma d'un tuono), cadde incontanente a terra con grande tremore e paura e contrizione; e giacendo in terra così boccone tutto lo spazzo bagnò di lagrime, e permise quello maraviglioso medico, il quale in tutte queste cose procurava la sua salute, e dava forma della salute e della manifesta ed efficace umiltà a tutti gli suoi monaci, che dicesse specificatamente tutti gli suoi peccati dinanzi a tutti gli frati; e quegli con paura ogni cosa confessava, cose orribili ad audire, non solamente di peccati carnali secondo natura e contro natura, con creature ragionevoli e non ragionevoli, ma ogni altra maniera di peccato ed omicidii, e cose che non sono da dire; ed essendo confessato in questo modo, incontanente l'abate il fece vestire, e miselo in fra' monaci. Ed ammirandomi io della sapienzia di quel santo, lo domandai da parte, per qual cosa aveva tenuto questo modo così nuovo; ed egli ch'era verace medico delle anime, disse che per due cose l'avea fatto: la prima che per questa vergogna fu liberato dalla vergogna finale, però che innanzi che si partisse di quello luogo, ricevette la remissione di tutti li suoi peccati; e non ti para forte a credere, però che uno de' frati che vi fu presente, mi disse che quando quegli si confessava, vide stare appresso di lui uno uomo terribile colla carta e colla penna in mano, e com'egli confessava, così colla penna cancellava, secondo la parola del santo profeta, che disse a Dio: Io confesserò la mia iniquità, e tu, Signore, rimetterai la impietà del mio peccato. La seconda cagione è imperò che abbo frati, che ànno peccati non confessati, e per questa confessione tutti sono confortati a confessarsi, sanza la qual confessione niuno riceverà remissione. Vidi in quello monasterio ne' monaci e nell'abate molte cose degne d'ammirazione ed utili a ricordare, delle quali alcune mi studierò di manifestare, però ch'io dimorai con loro non poco tempo per vedere la loro conversazione, maravigliandomi grandemente, come quegli uomini terreni seguitavano stato angelico, però che tra loro era uno legame d'amore e di carità insolubile; e cosa che era ancora più ammirabile, che amandosi così perfettamente, erano liberi di ogni speziale parlare e confidenza ed affetti singulari, e sopra ogni cosa si studiavao di non offendere in niuna cosa la coscienzia de' loro compagni. E quando fosse alcuno veduta avere odio inverso l'altro frate, l'abate lo cacciava fuori dal monasterio, e mandavalo alla carcere; ed una fiata uno frate che disse all'abate male del prossimo suo, inconanente comandò che fosse cacciato fuori del monasterio, e disse che tanto si doveva permettere, che'l diavolo visibile dimorasse nel monastero, quanto l'invisibile.
Vidi a poco a poco in quelli santi cose veramente utili e degne d'essere manifestate, cioè fraternitade secondo Iddio adunata e legata in carità, nelli quali era mirabile operazione, e contemplazione, li quali così avevano cura l'uno dell'altro nelli esercizii e profitti spirituali, che quasi non abbisognavano d'essere sollicitati dal prelato, ma spontaneamente alla vigilia divina erano sollicitati l'uno dall'altro; ed era fra loro alcuni modi ed ordinamenti pensati e fermati da loro medesimi, molto a Dio piacevoli; che cominciato a dire male d'altrui, giudicare, o condannare, o fare parlari oziosi, l'altro frate gli facea segno celato col volto, e facealo cessare da quello difetto, reducendolo alla memoria per quel sgno; e se per quel segno non si risentiva, quel frate che gl'avea fatto quel  segno, andava ed iginocchiavas dinanzi a lui, dicendo sua colpa, e partivasi, acciò che per questo segno s'avvedesse del suo difetto. Ed anco aveano questa usanza, che sempre parlavano di cose utili, e di cose per le quali ricordassono della morte e del giudizio eternale. E non tacer della chiara perfezione del cuoco di quel monasterio, chè io viddi, e facendo egli il servigio che a lui s'appartenea, avea continui pianti e compunzione di cuore; ed io lo pregai che mi dicesse, come questa grazia avesse ricevuta da Dio, ed essendo sforzato da me, rispose così: "Io giammai non pensai di servire a uomini, ma a Dio, e sempre mi sono chiamato e reputato indegno della quiete e del riposo; e questa visione del fuoco sempre mi fa avere memoria della fiamma dello 'nferno".
Veggiamo un'altra perfezione di quelli santi, che sedendo a mensa, non cessavano dall'operazioni mentali ma con certi modi e segni ed atti ammonivano sé medesimi secondo l'anima, riducendosi a memoria la morte; e questo non solamente faceano alla mensa, ma dovunque si scontravano o s'adunavano. Anche più: se alcuno di que' frati avesse fallato in alcuna cosa, alcuni frati lo pregavano che la sollecitudine di satisfare all'abate di quello difetto lasciasse a loro, ed eglino ne voleano ricevere la correzione dall'abate, e così si facea: e però l'abate, sapiendo questo modo de' suoi discepoli, faceva più leggieri reprensioni, sapendo che colui, il quale riprendea, non avea colpa, e non si curava di sapere il principale, che avea commessa l'offesa.
Quando tra loro fosse stato parlare ozioso, o memoria d'alcuna cosa da fare ridere, o che alcuno avesse cominciato a litigare col prossimo, veniva l'altro frate ed intrava tra loro, e inginocchiandosi in terra, dicea sua colpa, ed in questo modo dissipava l'ira e la lite; ma se alcuno v'era, che volesse pur litigare o vindicarsi delle parole ricevute, incontanente si dinunziava a colui ch'era invece in vece dell'abate, ed egli gli facea riconciliare insieme anzi che'l sole tramontasse; e se alcuno si fosse indurato, ricevea questa correzione, che egli non mangiava se prima non era riconciliato, o elli era cacciato dal monasterio; e questo modo non era vano ed inutile, anzi faceva molto frutto appo quelli santi manifestamente. Molti attivi e contemplativi ci furono trovati, e conoscitori dello stato dell'anime ed umili; ed era cosa mirabile e degna d'essere contemplata dagli angeli, vedre uomini canuti e degni d'avere in reverenzia, belli per santità, a modo di parvoli correre a fare l'obedienzia, li quali si riputavano a grande gloria la propria umilitade, cioè di fare li vili servigi.
Vidi in quello monasterio di quelli, ch'erano stati da cinquanta anni nella obedienzia, li quali pregai che mi dicesseno, che consolazioni aveano ricevuti di tante fatiche: de' quali alcuni mi dissono ch'erano entrati nell'abisso della umiltà, per la quale ogni battaglia potentemente discacciavano da sé. Alcuni altri mi dissono ch'erano posti in tanta tranquillità, che non sentivano né pena né dolore di male che a loro fosse ditto, né di contumelia che a loro fatta fosse.
Vidi alcuni di quelli santi, degni d'essere sempre avuti in memoria, che dopo quella conversazione quasi angelica e quella canutezza venerabile, furono condutti a profondissima sapienzia e simplicità ed innocenzia e deliberazione, drittamente a Dio volontaria e non infingarda, i quali non erano coe li vecchi del mondo, i quali sono chiamati ritrosi e scimoniti, che avessono neuno parlamento né costume non ragionevole, né men che savio, né infinito, né pigro; ma tutti di fuori erano mansueti ed allegri, la qual cosa leggiermente non si trova in molti, e dentro nell'anima a Gesù Cristo Iddio loro ed al pastore loro quasi simplici ed innocenti parvoli ragguardanti, e contra alle demonia ed alli vizii aveano l'occhio della mente non confuso, ma fermo e terribile.

S. Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, volgarizzazione del testo latino di frate Agnolo de' Minori (inizio XIV secolo). Testo di lingua corretto su antichi codici mms. per Antonio Cerruti (1830-1918) dottore dell'Ambrosiana.