venerdì 29 marzo 2019

Aneddoti da un monastero (parte 1) - S. Giovanni Climaco

Nel IV grado della sua "Scala del Paradiso", S. Giovanni Climaco tratta la virtù dell'obbedienza. Il capitolo, abbastanza lungo, contiene una serie di aneddoti sulla vita in un monastero i cui monaci hanno raggiunto vette di perfezione spirituale veramente notevoli.


Paolo Uccello, Tebaide, 1460 circa
[...] Imperò che essendo io in uno monasterio, vidici una spaventosa giudiciaria sentenzia d'uno buono giudice e pastore, che vegnendo uno ladrone a quello monasterio per essere monaco, quello abate, ch'era perfetto pastore e medico dell'anima, il fece stare sette dì in tutta quiete solamente a vedere lo stato ed il modo del monasterio, poi segretamente il dimandò se gli piacea di rimanere con loro; e vedendo che veramente era compunto e contento di dimorare con loro, sì 'l dimandò che volea sapere qual cosa disonesta avea fatta ne mondo; e vedendo che chiaramente e prontamente tutti gli suoi difetti gli avea confessati, tentando, disse a lui: "Io voglio che tutti questi difetti tu manifesti a tutti gli frati:" e quegli che veramente avea in odio tutto il suo peccato, disprezzando ogni vergogna, sanza dubitazione gli promise e disse: "Se tu vuogli, io la manifesterò in mezzo della città d'Alessandria". Poi il pastore fece tutti i monaci ragunare nella chiesa, li quali erano dugentotrenta, e compiuto lo capitolo della domenica, poi che fu detto il Vangelio, essendo tutti li monaci schierati dianzi alla porta della  chiesa, l'abate stando nella porta della chiesa, fece quel peccatore sanza peccato in questo modo menare, col capo impolverato, ed altri lo tirava dinanzi colla fune, colla quale era legato, altri lo venia temperatamente battendo di dietro; e per l'aspetto di queste cose tutti li frati incontanente furono commossi a pianto, però che niuno sapea perché si facea questa cosa. Ed appressandosi alla porta della chiesa, quello santo padre e benigno giudice gridò con gran voce a lui, dicendo: "Sta fermo, he non se' degno d'entrare in questo luogo santo"; e quegli essendo sbigottito per quella voce dell'abate (però che com'egli poi affermava con giuramenti, non pensò di avere udita voce umana, ma d'un tuono), cadde incontanente a terra con grande tremore e paura e contrizione; e giacendo in terra così boccone tutto lo spazzo bagnò di lagrime, e permise quello maraviglioso medico, il quale in tutte queste cose procurava la sua salute, e dava forma della salute e della manifesta ed efficace umiltà a tutti gli suoi monaci, che dicesse specificatamente tutti gli suoi peccati dinanzi a tutti gli frati; e quegli con paura ogni cosa confessava, cose orribili ad audire, non solamente di peccati carnali secondo natura e contro natura, con creature ragionevoli e non ragionevoli, ma ogni altra maniera di peccato ed omicidii, e cose che non sono da dire; ed essendo confessato in questo modo, incontanente l'abate il fece vestire, e miselo in fra' monaci. Ed ammirandomi io della sapienzia di quel santo, lo domandai da parte, per qual cosa aveva tenuto questo modo così nuovo; ed egli ch'era verace medico delle anime, disse che per due cose l'avea fatto: la prima che per questa vergogna fu liberato dalla vergogna finale, però che innanzi che si partisse di quello luogo, ricevette la remissione di tutti li suoi peccati; e non ti para forte a credere, però che uno de' frati che vi fu presente, mi disse che quando quegli si confessava, vide stare appresso di lui uno uomo terribile colla carta e colla penna in mano, e com'egli confessava, così colla penna cancellava, secondo la parola del santo profeta, che disse a Dio: Io confesserò la mia iniquità, e tu, Signore, rimetterai la impietà del mio peccato. La seconda cagione è imperò che abbo frati, che ànno peccati non confessati, e per questa confessione tutti sono confortati a confessarsi, sanza la qual confessione niuno riceverà remissione. Vidi in quello monasterio ne' monaci e nell'abate molte cose degne d'ammirazione ed utili a ricordare, delle quali alcune mi studierò di manifestare, però ch'io dimorai con loro non poco tempo per vedere la loro conversazione, maravigliandomi grandemente, come quegli uomini terreni seguitavano stato angelico, però che tra loro era uno legame d'amore e di carità insolubile; e cosa che era ancora più ammirabile, che amandosi così perfettamente, erano liberi di ogni speziale parlare e confidenza ed affetti singulari, e sopra ogni cosa si studiavao di non offendere in niuna cosa la coscienzia de' loro compagni. E quando fosse alcuno veduta avere odio inverso l'altro frate, l'abate lo cacciava fuori dal monasterio, e mandavalo alla carcere; ed una fiata uno frate che disse all'abate male del prossimo suo, inconanente comandò che fosse cacciato fuori del monasterio, e disse che tanto si doveva permettere, che'l diavolo visibile dimorasse nel monastero, quanto l'invisibile.
Vidi a poco a poco in quelli santi cose veramente utili e degne d'essere manifestate, cioè fraternitade secondo Iddio adunata e legata in carità, nelli quali era mirabile operazione, e contemplazione, li quali così avevano cura l'uno dell'altro nelli esercizii e profitti spirituali, che quasi non abbisognavano d'essere sollicitati dal prelato, ma spontaneamente alla vigilia divina erano sollicitati l'uno dall'altro; ed era fra loro alcuni modi ed ordinamenti pensati e fermati da loro medesimi, molto a Dio piacevoli; che cominciato a dire male d'altrui, giudicare, o condannare, o fare parlari oziosi, l'altro frate gli facea segno celato col volto, e facealo cessare da quello difetto, reducendolo alla memoria per quel sgno; e se per quel segno non si risentiva, quel frate che gl'avea fatto quel  segno, andava ed iginocchiavas dinanzi a lui, dicendo sua colpa, e partivasi, acciò che per questo segno s'avvedesse del suo difetto. Ed anco aveano questa usanza, che sempre parlavano di cose utili, e di cose per le quali ricordassono della morte e del giudizio eternale. E non tacer della chiara perfezione del cuoco di quel monasterio, chè io viddi, e facendo egli il servigio che a lui s'appartenea, avea continui pianti e compunzione di cuore; ed io lo pregai che mi dicesse, come questa grazia avesse ricevuta da Dio, ed essendo sforzato da me, rispose così: "Io giammai non pensai di servire a uomini, ma a Dio, e sempre mi sono chiamato e reputato indegno della quiete e del riposo; e questa visione del fuoco sempre mi fa avere memoria della fiamma dello 'nferno".
Veggiamo un'altra perfezione di quelli santi, che sedendo a mensa, non cessavano dall'operazioni mentali ma con certi modi e segni ed atti ammonivano sé medesimi secondo l'anima, riducendosi a memoria la morte; e questo non solamente faceano alla mensa, ma dovunque si scontravano o s'adunavano. Anche più: se alcuno di que' frati avesse fallato in alcuna cosa, alcuni frati lo pregavano che la sollecitudine di satisfare all'abate di quello difetto lasciasse a loro, ed eglino ne voleano ricevere la correzione dall'abate, e così si facea: e però l'abate, sapiendo questo modo de' suoi discepoli, faceva più leggieri reprensioni, sapendo che colui, il quale riprendea, non avea colpa, e non si curava di sapere il principale, che avea commessa l'offesa.
Quando tra loro fosse stato parlare ozioso, o memoria d'alcuna cosa da fare ridere, o che alcuno avesse cominciato a litigare col prossimo, veniva l'altro frate ed intrava tra loro, e inginocchiandosi in terra, dicea sua colpa, ed in questo modo dissipava l'ira e la lite; ma se alcuno v'era, che volesse pur litigare o vindicarsi delle parole ricevute, incontanente si dinunziava a colui ch'era invece in vece dell'abate, ed egli gli facea riconciliare insieme anzi che'l sole tramontasse; e se alcuno si fosse indurato, ricevea questa correzione, che egli non mangiava se prima non era riconciliato, o elli era cacciato dal monasterio; e questo modo non era vano ed inutile, anzi faceva molto frutto appo quelli santi manifestamente. Molti attivi e contemplativi ci furono trovati, e conoscitori dello stato dell'anime ed umili; ed era cosa mirabile e degna d'essere contemplata dagli angeli, vedre uomini canuti e degni d'avere in reverenzia, belli per santità, a modo di parvoli correre a fare l'obedienzia, li quali si riputavano a grande gloria la propria umilitade, cioè di fare li vili servigi.
Vidi in quello monasterio di quelli, ch'erano stati da cinquanta anni nella obedienzia, li quali pregai che mi dicesseno, che consolazioni aveano ricevuti di tante fatiche: de' quali alcuni mi dissono ch'erano entrati nell'abisso della umiltà, per la quale ogni battaglia potentemente discacciavano da sé. Alcuni altri mi dissono ch'erano posti in tanta tranquillità, che non sentivano né pena né dolore di male che a loro fosse ditto, né di contumelia che a loro fatta fosse.
Vidi alcuni di quelli santi, degni d'essere sempre avuti in memoria, che dopo quella conversazione quasi angelica e quella canutezza venerabile, furono condutti a profondissima sapienzia e simplicità ed innocenzia e deliberazione, drittamente a Dio volontaria e non infingarda, i quali non erano coe li vecchi del mondo, i quali sono chiamati ritrosi e scimoniti, che avessono neuno parlamento né costume non ragionevole, né men che savio, né infinito, né pigro; ma tutti di fuori erano mansueti ed allegri, la qual cosa leggiermente non si trova in molti, e dentro nell'anima a Gesù Cristo Iddio loro ed al pastore loro quasi simplici ed innocenti parvoli ragguardanti, e contra alle demonia ed alli vizii aveano l'occhio della mente non confuso, ma fermo e terribile.

S. Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, volgarizzazione del testo latino di frate Agnolo de' Minori (inizio XIV secolo). Testo di lingua corretto su antichi codici mms. per Antonio Cerruti (1830-1918) dottore dell'Ambrosiana.

1 commento:

  1. Purtroppo il testo è in un fiorentino del Trecento, abbastanza semplice rispetto alla lingua d'un Dante o di altri prosatori contemporanei, ma comunque non immediato né scorrevole. Purtroppo è l'unica traduzione italiana liberamente accessibile.

    Potrei certo tradurre ex novo il testo greco in un Italiano meno arcaico, ma il lavoro richiederebbe molto tempo.

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