Ci sono certi siti cristiani che meritano di essere letti e controllati quotidianamente; altri, anche se apparentemente buoni, ho imparato che è assai meglio lasciarli perdere. Come mi diceva un buon sacerdote: "Non abbiamo tempo di leggere tutto, dunque dobbiamo leggere solo ciò che è utile allo spirito o alla formazione".
Particolarmente, mi riferisco a quei siti che, nel pur lodevole tentativo di difendere la Tradizione Cattolica, rinunciano sovente alla Storia e alla stessa ragione, per approcciarsi all'argomento in modo completamente ideologico. Ma Fede e ideologia sono cose sostanzialmente diverse (anzitutto perché la prima di provenienza divina e virtù soprannaturale, la seconda di provenienza umana), che se mischiate o confuse tra loro producono inevitabilmente pasticci: in fondo anche il modernismo liturgico e teologico sono figli dell'immissione di un'ideologia nel contesto della Religione.
In particolare vi è un sito (che recentemente parrebbe esser diventata l'agenzia stampa della Lega piuttosto che un sito di tradizionalismo cattolico) più volte distintosi per numerose posizioni di tipo ideologico in materia religiosa (un caso tra i più noti:
QUI l'amico Pietro C. confuta la loro analisi sull'anafora di Addai e Mari), che continua a sfornare, soprattutto grazie a un gruppetto di fedelissimi commentatori, esagerazioni ideologiche che sfociano in vere e proprie cattiverie gratuite nei confronti di tutto ciò che non risponde alla tradizione (volutamente minuscolo, per distinguerla dalla Tradizione propriamente detta) romana.
Uno dei tratti più evidenti dell'approccio ideologico è l'autoreferenzialismo: secondo l'ideologo, se una qual cosa non è presente nel proprio orticello (o viceversa è presente in quello altrui, ma nel proprio è assente), secondo lui è sicuramente una cosa orribilmente sbagliata.
Questo è stato a lungo il metodo adottato dai polemisti sia di parte latina che di parte ortodossa nel secolare dibattito tra Oriente e Occidente, un metodo sterile, basato sul discredito altrui, ma che finisce essenzialmente per screditare e ridicolizzare lo stesso accusatore. Mi è capitato di leggere un lungo intervento in materia, raccolto e pubblicato da un sacerdote ortodosso russo che esercita il proprio ministero in Italia settentrionale (e che peraltro stimo): in tale documento si accusavano i latini di 'aver tolto la proscomidia dal rito', per via dell'introduzione dell'uso di azzimi, e di aver introdotto la latria dell'Eucaristia, solo perché questi fatti non rientrano nella mentalità orientale.
Sulla prima questione, verrebbe da chiedersi perché allora i Greci siano rimasti in comunione con i latini per tanti secoli, visto che questi ultimi avevano un rito senza proscomidia e con azzimi sin da molti secoli prima dello scisma (come del resto ci testimoniano gli antichi sacramentari)? La proscomidia -nel senso bizantino del termine- non rientra in generale nell'impostazione di nessuno dei riti occidentali, mentre è generalmente diffusa nei riti orientali: è una questione di mentalità, assai diversa tra due mondi da sempre molto diversi, ma che non tange minimamente la sostanza della Liturgia né della Dottrina.
Simile analisi può farsi sul culto eucaristico: si tratta dell'evoluzione storica particolare, in Occidente, della comune dottrina della presenza reale. Tale sviluppo particolare (evidente anche in altri aspetti della liturgia, come le molteplici genuflessioni al Sacramento, l'elevazione delle Sacre Specie e, dal Concilio di Trento, il posizionamento del tabernacolo al centro dell'altare) risponde a un'esigenza storica avvertita solo in Occidente ma sconosciuta all'Oriente, ovverosia la diffusione di eresie antieucaristiche, che negavano quella fede nella presenza reale, la quale necessitava di essere riaffermata in modo quanto mai 'palese'. Lo stesso discorso all'incontrario può farsi nei riguardi del grande culto delle icone presente nella tradizione orientale: pur essendo sempre esistito nel cristianesimo il culto delle immagini, le prime iconostasi erano spoglie, e comunque alcuni aspetti liturgici del culto delle icone (ad esempio l'icona di Cristo sulla protesi, o le icone di Cristo e della Vergine che il sacerdote bacia più volte durante la Liturgia) sono tardivi. Anch'essi rispondono a una necessità storica, ovverosia contrastare i movimenti iconoclasti dell'VIII secolo, eresia però sconosciuta all'Occidente, la qual cosa giustifica l'assenza di una tale iconodulia nel mondo latino.
Non certo che i polemisti di parte latina siano meglio: anzi! Ricordo sempre con un mezzo sorriso le parole del Cardinale Umberto di Silvacandida, legato pontificio che comminò la scomunica (per altro canonicamente irregolare, ma di questo parlerò altrove) al Patriarca Michele Cerulario nel 1054, il quale se ne uscì con una frase del tipo: "I Greci sono rei di aver tolto il
filioque dal Credo!". Come si può vedere da tutti gli esempi sopraccitati, per l'ideologo la storia non ha senso, la storia dev'essere annullata da una sorta di dommaticità, dall'assolutizzare ciò che per una volta tanto (visto che non parliamo della materia della Fede né dei suoi principi) può essere relativo.
L'ideologismo, portato al suo massimo grado, è oggi molto in voga tra i "tradizionalisti", che si scagliano senza freni contro tutto ciò che non risponde all'uso latino-tridentino (ma talora nemmeno a quello, ma semplicemente all'uso latino dell'ultimo secolo), dimenticando che prima di Trento ci sono stati i Padri latini, che avevano una visione molto meno rigida di alcuni aspetti e talora differente, e accanto a loro ci sono stati i Padri greci, che vivevano la stessa fede in un contesto culturale completamente diverso. Del resto, ad estremizzare il Concilio di Trento come fanno molti di costoro, non sarebbe troppo lontano rivolgere loro la stessa domanda che si utilizza per confutare rapidamente il Concilio Vaticano II (che però è problematico già di per sé, senza bisogno di essere estremizzato o strumentalizzato come qualcuno fa con il Concilio di Trento, in sé ottimo): la Chiesa dunque sarebbe stata nell'errore per quindici secoli, perché non rispondeva (in anticipo) ai dettami tridentini?
Sull'ideologismo che vien fatto nei confronti degli Ortodossi, rimando a un'analisi che avevo già pubblicato
QUI. Pubblicherò comunque qualcosa a breve, per rispondere a dei commenti che ho trovato in giro su pagine internet che avevano ripreso un mio recente post. Ricordo anche la conversazione avuta tempo fa con un curioso personaggio che fino a qualche mese fa incontravo nella chiesa che frequento, il quale parlava inorridito dell'uso di comunicarsi dallo stesso cucchiaino, segno secondo lui di scarsa igiene e fonte di malattie, e pertanto argomento di discredito nei confronti dell'Ortodossia. Trovo interessante un intervento in materia di Sua Eccellenza il Metropolita Nicola di Mesogaia e Lavreotiki (
QUI), che attribuisce queste posizioni a coloro che non hanno fede nella Presenza Reale...
Tratto invece brevemente l'ideologismo che viene fatto sul clero uxorato, additato dai tridentini come uno dei peggiori mali. Siamo d'accordo sul fatto che non è certo il momento migliore per introdurlo (visto che nelle mani di questa gerarchia scristianizzata può diventare uno strumento per rendere lecita prima o poi ogni immoralità nel clero, e -perché no, tanto
de facto sono già benaccetti, come testimoniano le recenti notizie prognesi- la sodomia dei chierici), ma scagliarsi a prescindere, in modo appunto ideologico, sulla concezione di clero sposato è assolutizzare una legge canonica fino a farla assurgere a legge divina! Il celibato ecclesiastico nasce in Occidente per ragioni esclusivamente pratiche, legate alla pubblica figura del sacerdote (la moglie infedele del prete non fa buona pubblicità alla Chiesa), che oggi effettivamente risultano addirittura amplificate (direi che è ancora peggiore la pubblicità che viene fatta dal figlio del prete che non va più in chiesa, fuma marijuana o -come in un caso a me personalmente noto- frequenta le parate della vergogna sodomita...), ma che ad esempio nella Russia del XVII secolo non avevano modo di esistere (come ci testimonia la
Vita dell'arciprete Avvakum scritta da lui stesso, fonte principale sulla storia dei Vecchi Credenti, tutti i parroci erano sposati, e il primogenito maschio sarebbe a sua volta diventato il parroco del medesimo villaggio). La condizione di celibato era propria dei monaci (che avevano scelto di rinunciare al mondo nella sua interezza, mentre il clero 'secolare' pur non essendo del mondo vive nel mondo) e dei vescovi (che avendo prerogative di governo nella chiesa dovevano essere scevri da qualsiasi legame, compreso familiare): ma il fatto che il celibato fosse un distintivo monastico ci è testimoniato dal fatto che tutti i vescovi orientali (doventi osservare il celibato), anche quelli provenienti dal clero secolare, vestono come dei monaci (con l'epanokamilavkion), oppure dal fatto che i sacerdoti secolari non sposati vengono comunque definiti
ieromonaci (dobbiamo ricordare che, come del resto anche nella tradizione benedettina, il monaco non è necessariamente sacerdote, anzi nella maggioranza dei casi è il contrario).
Come in ogni processo ideologico, anche in questo caso si sono presi e stravolti passi delle Sacre Scritture (gli
eunuchi per il regno dei cieli, riferimento alla castità che ogni cristiano deve osservare, sono diventati in taluni scritti il fondamento del celibato ecclesiastico), per trasformare all'apparenza in legge divina una legge puramente canonica e pertanto (al di là che sia più o meno giusto od opportuno farlo) legittimamente modificabile. Poi come facciano costoro a spiegare che nella Chiesa latina vi sia stato a pieno diritto clero sposato per sette secoli, francamente lo ignoro.
Un altro argomento trattato in modo ideologico è la concelebrazione. L'assenza di tale pratica nell'uso canonico latino (e non solo: per esempio è assente anche da quello etiope) ha fatto sì che oggi, nello scagliarsi contro la moda della concelebrazione occorsa nel rito nuovo (che è deprecabile sì, ma per altri motivi: anzitutto perché è una moda e perché nella modalità con cui vien attualmente praticata causa non pochi problemi di vario ordine), venga invocata l'impossibilità di concelebrare come una norma divina, facendo assurgere a precetto la lettura per cui il celebrante rappresenta l'unicità del sacerdozio di Cristo (una lettura spirituale sicuramente bella ed efficace, ma non può e non deve essere usata per dire che Dio stesso vieti la concelebrazione!). Altrimenti, è da ribadire, non si spiega come mai ci fosse la concelebrazione nel primitivo rito romano e come mai essa esista nel rito bizantino. E non sono, come potrebbe delirare qualcuno dei nostri amici ideologi, deviazioni introdotte dagli "scismatici orientali" a causa del loro allontanamento da Roma (sic!), frase che mi fa sempre ridere, anche se dovrebbe far piangere.
Non sto nemmeno a citare molti altri temi (quello sulla concezione di Eucaristia si è accennato all'inizio) di cui si potrebbe parlare. Le discussioni con i suddetti signori possono risultare interessanti per comprendere la loro mentalità, ma sono spesse volte vane e sterili. E l'assolutizzare i costumi religiosi non è tutto, perchè talora essi rispondono a una logica essenzialmente incoerente, una logica in fondo progressista: l'evoluzione nella Chiesa (alcuni di loro parlano di "approfondimento della scoperta della Verità" o roba del genere, linguaggio che si addice ad alfieri conciliari piuttosto che "tradizionalisti") secondo costoro va bene fino a un certo punto, stabilito arbitrariamente nel 1958 o nel 1965 o ancor peggio nel 2013. Non si capisce però con che autorità essi sanciscano la fine dell'accettabilità dell'evoluzione, o in che modo giustifichino l'evoluzione che essi difendono, visto che si prodigano per combattere quella successiva.
Secondo costoro sono accettabili dei culti o delle pratiche di origine estremamente recente (trattato
QUI il culto al Sacro Cuore), i quali (a differenza di altre pratiche più antiche, storicamente spiegabili e fedeli alla dottrina di sempre, come la latria eucaristica summenzionata), nel modo in cui vengono poi concepiti, confliggono apertamente con l'insegnamento dei Padri. Anzi, secondo costoro chi non avesse questi culti avrebbe qualcosa che manca propria fede, e in questo intento puramente ideologico cercano di far dire ai Padri ciò che non hanno mai detto (al Mattutino del Preziosissimo Sangue si legge un passo di San Giovanni Crisostomo, che parla sì del Sangue di Cristo, ma non ha assolutamente nulla a che fare con la devozione francescana medievale che ha originato questo culto, né tantomeno con la deteriore concezione ottocentesca che se ne ha). E intendiamoci: possiamo non avere nulla in contrario con la nascita di queste devozioni, ma farle assurgere (come vogliono costoro) a un patrimonio irrinunciabile della fede è un atto di pura ideologia e di mistificazione della Tradizione!
Secondo costoro ogni innovazione è accettabile, purché fatta prima di una certa data e in un certo modo (ho già parlato del paradosso dell'
actuosa partecipatio, cosa benedetta se la dice Pio XII e maledetta se la dice Montini, ma potrei citare molti altri casi del genere). Questo essere legati a una mentalità specifica, con notevoli localismi e recentismi, non può essere che frutto di una nostalgia, condita con molta
vis polemica e ideologia politica, piuttosto che una sana volontà di tornare o restare nella Fede dei nostri padri!
Iddio ci preservi da tutto ciò, e ci guidi sulla retta via che conduce a Lui, senza deviazioni di sorta!