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| Vanni di Badolo, Annunciazione, XIV secolo, Perugia, Biblioteca Augusta | 
La soppressione della quasi totalità delle sequenze durante la riforma piana del XVI secolo, se può spiegarsi con motivi pratici per via della proliferazione enorme di questi testi (alcuni autori ne contano addirittura cinquemila!) che avrebbe reso difficile realizzare quell'uniformità cercata dai riformatori tridentini, creò nondimeno un vuoto notevole nel patrimonio liturgico occidentale. Una cosa che appare subito a chiunque confronti altri riti, come il bizantino, al romano, è la grande scarsità di testi liturgici di carattere agiografico sui santi. Mentre le ufficiature bizantine abbondano di poetiche composizioni patristiche che lodano le virtù specifiche di ogni santo, rimembrandone la vita e i miracoli, patrimonio innodico sviluppatosi nei grandi monasteri dell'Oriente cristiano, nel rito romano la quasi totalità dei testi per gli uffici dei santi sono passi scritturali vagamente attinenti alle qualità condivise dal santo, fatta eccezione per le feste maggiori e le feste romane più antiche (vedansi le antifone delle Laudi delle feste di S. Cecilia o S. Clemente) che posseggono testi propri sul modello orientale. Le sequenze supplivano a questa mancanza, andando a svolgere lo stesso ruolo agiografico degli stichirà bizantini. A ciò si deve aggiungere il fatto che le sequenze costituivano un patrimonio storico e letterario nient'affatto indifferente, testimonianza della versificazione latina medievale, del passaggio dal metro quantitativo a quello accentuativo (per fare un esempio noto, il Dies irae è composto in tetrametri trocaici, in cui però sulla prima sillaba di ogni piede cade l'accento "meccanico" della parola, e non l'ictus da porre sulla vocale lunga), della comparsa della rima come artificio poetico (sconosciuta alla poesia classica). Una riscoperta di questo corpus innodico liturgico è dunque un passo necessario al recupero delle antiche tradizioni del Cristianesimo occidentale.
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| Mosaici della Basilica di S. Marco, Annunciazione, XI secolo | 
L'inno si ritrova in molteplici manoscritti: solo per citarne alcuni, il Mone riproduce un manoscritto del XIII secolo custodito nell'abbazia benedettina di St. Paul in Carinzia, e il Daniel (ii, p. 59) ne riporta uno coevo monacense. E' presente altresì nei messali di Sarum (ms. in Bodleian, c. 1370, Barlow, 5, p. 450), di Hereford (ms. in Bodleian, c. 1370, York (ms. in Bodleian, c. 1390), Magdeburgo (1450), Parigi (1481), e di Aquileja (1517). Il messale aquilejese aggiunge in fine della sequenza un'allocuzione supplice a Nostro Signore, non presente nella maggior parte degli altri manoscritti.
Sequentia: Mittit ad Virginem
dal Messale Aquilejese
Missale Aquileyensis Ecclesie, 1517, fol. 000
Trascrizione e traduzione di N. Ghigi.
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   1.
   Mittit ad Virginem non quemvis Angelum: 
   Sed
   fortitudinem suam, Archangelum, 
   Amator
   hominis. 
   2.
   Fortem expediat pro nobis nuncium, 
   Naturæ
   faciat ut prejudicium 
   In
   partu Virginis. 
   3.
   Naturam superet natus Rex gloriæ; 
   Regnet
   et imperet ut zyma scoriæ 
   Tollat
   de medio. 
   4.
   Superbientium terat fastigia; 
   Colla
   sublimium calcet vi propria 
   Potens
   in prælio. 
   5.
   Foras ejiciat mundanum principem; 
   Sponsamque
   faciat secum participem 
   Patris
   imperii. 
   6.
   Exi qui mitteris; hæc dona dissere; 
   Revela
   veteris velamen litteræ 
   Virtute
   nuntii. 
   7.
   Accede, nuntia, dic Ave cominus; 
   Dic
   Plena Gratia, dic Tecum Dominus; 
   Et
   dic, Ne timeas. 
   8.
   Virgo suscipias Dei depositum; 
   In
   quo perficias castum propositum, 
   Et
   votum teneas. 
   9.
   Audit et suscipit puella nuncium; 
   Credit
   et concipit, et parit Filium, 
   Sed
   Admirabilem. 
   10.
   Conciliarium humani generis, 
   Et
   Deum fortium et Patrem posteris 
   In
   pace stabilem. 
   11.
   Qui nobis tribuit peccati veniam: 
   Reatus
   diluat: et donet patriam 
   In
   arce siderum. Amen. | 
   1.
   Non mandò alla Vergine un angelo qualsiasi, 
   bensì
   la sua fortezza, l’Arcangelo, 
   Colui
   che ama gli uomini. 
   2.
   Si degni d’inviar per noi il valente messaggero, per sconfiggere
   la natura 
   col
   parto di una Vergine. 
   3.
   Il nato Re della gloria sia sovrano al di sopra della natura,
   regni ed imperi per levar dal mondo 
   il
   germe della corruzione. 
   4.
   Abbatta la tronfia fronte de’ superbi, 
   e
   con la propria potenza schiacci i capi dei dominanti, Colui che è
   potente in guerra. 
   5.
   Cacci lontano il principe di questo mondo, 
   e
   renda la sua sposa compartecipe 
   del
   regno del Padre. 
   6.
   Pàrtiti, tu che fosti mandato, annuncia questi doni; scopri il
   velo dell’antico testamento 
   con
   la potenza del tuo messaggio. 
   7.
   Vieni, annunzia, e giuntole vicino dille: Ave. 
   Dille Piena
   di grazia, dille Il Signore è teco, 
   e
   dille Non temere. 
   8.
   O Vergine, ricevi il deposito di Dio, 
   in
   cui si compie il casto proposito, 
   e
   serba fede alla tua promessa. 
   9.
   La ragazza ascoltò e accolse l’annunzio; 
   credette,
   e concepì e partorì un Figlio, 
   un
   Figlio Ammirabile. 
   10.
   Il mediatore del genere umano, 
   il
   Dio dei forte e il Padre dei secoli futuri, 
   il
   Pacificatore. 
   11.
   Colui che ci concede la remissione dei peccati, rimetta le nostre
   colpe, e ci faccia dono 
   della
   patria celeste. Amen. | 
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