giovedì 20 agosto 2020

Critica storico-simbolica della "messa vespertina"

In un nostro recente post, un lettore si domandava quale fosse l'intendimento tradizionale circa la cosiddetta "messa vespertina", cioè la messa celebrata nelle ore pomeridiane. Nel mondo "tradizionalista" cattolico è ampio il ricorso alla celebrazione di questa messa, e la prassi sta purtroppo introducendosi sottilmente pure nella Chiesa Ortodossa (durante una mia visita a Tessalonica qualche anno fa appresi con molto stupore della celebrazione di una Divina Liturgia serale ogni venerdì nella cattedrale di S. Demetrio, dove negli altri giorni ero solito assistere al Vespro): ma quest'uso ha qualche attestazione nella prassi antica, oppure è un'invenzione "pastorale" moderna?

1. L'introduzione della Messa vespertina nel 1953.

La messa vespertina viene introdotta il 6 gennaio 1953 con la costituzione Christus Dominus firmata da Papa Pio XII. A leggere il documento, dopo una lunga e dotta prolusione nella quale si citano gl'insegnamenti dei Padri e i canoni dei Concili sul digiuno eucaristico (che per effetto di questa medesima costituzione sarà sostituito dal tradizionale dalla mezzanotte alle mere tre ore), si giunge finalmente alle ragioni dell'introduzione della possibilità di celebrare il Divin Sacrificio in ora pomeridiana, "non ante horam IV post meridiem, sive in festis de praecepto, quae adhuc vigent, sive in illis quae olim viguerunt, sive primis uniuscuiusque mensis feriis sextis, sive denique in illis sollemnibus, quae cum magno populi concursu celebrentur atque etiam, praeter hos dies, semel in hebdomada" (ibidem, vi). Al di là delle notevoli limitazioni qui imposte ai giorni in cui è lecito servirsi di questo permesso, che saranno però prontamente disattese talché la celebrazione serale diverrà ben presto la norma, è da notare che tra le motivazioni non ne è apportata nessuna di carattere storico. La "reintroduzione del costume antico" da molti ventilata non trova dunque un diretto chiamarsi in causa.

Le ragioni addotte sono tutte di ordine pastorale, e alquanto discutibili. Anzitutto si pensa ai sacerdoti, che sono tenuti a "enervantes labores" (che modo improprio per definire la celebrazione dei Sacri Misteri!). Probabilmente a snervare i sacerdoti era piuttosto lo star dietro ad associazioni, scoutismo, e tante iniziative compagne della "dottrina sociale" cattolica tanto di moda in quegli anni, non certo il celebrare una messa bassa in venti minuti e leggere di corsa il breviario tagliuzzato in una mezz'ora (poiché questa tristmente era la prassi dell'epoca). Ma da tempo in quella società ecclesiastica decaduta la Liturgia, cioè lo scopo stesso per cui Iddio ha istituito la Chiesa, non era più al primo posto...

Le altre motivazioni sono tra il sentimentalista (le povere donne che non riescono a terminare in tempo i lavori di casa per ascoltare la Messa) e il ridicolo. Siccome oggi - è scritto - molta gente si reca in altri luoghi nelle ore pomeridiane, per assistere a funzioni religiose, non sarebbe meglio che assistessero alla Messa? In questa domanda retorica è sottinteso il disprezzo velato per la liturgia nel suo complesso molto in voga in quegli anni: la liturgia ridotta al "prender messa", quando essa, il cuore della vita del Cristiano, non si esaurisce nel Sacrificio Eucaristico che pur ne è parte fondamentale, ma che è costituita da un totum indivisibile, scandito dalle Ore liturgiche dell'Ufficio Divino.

2. Struttura simbolica dell'ufficio liturgico quotidiano.

Il Sacrificio Eucaristico, si diceva, è parte fondamentale della Liturgia, ma lo è se ben inserito all'interno di un sistema globale, con una sua profonda motivazione simbolica e cosmologica (essendo il Cristianesimo, secondo una distinzione classica della storia delle religioni, una religione uranica). Diamo ora un'occhiata al complesso della giornata liturgica: la analizzeremo da Vespro a Nona, cioè secondo lo schema comune a molti riti, di derivazione ebraica, di far iniziare il giorno liturgico al Vespro della sera precedente. Il rito romano più arcaico, quello delle Basiliche dei primissimi secoli, non seguiva questa scansione, e ancora non la segue per i giorni feriali, che iniziano a Mattutino (come si evince dalla distribuzione del salterio), mentre l'ha adottata per le feste di qualsiasi grado. Tuttavia, adottando nel corso dell'alto Medioevo elementi alloctoni (come gli inni), de facto pure il rito romano ha acquisito una serie di caratteristiche che suggeriscono l'inizio simbolico della giornata liturgica al Vespro, e ciò ci consente di svolgere più agilmente questo schema.

a) Vespro: prima del tramonto del sole, inizia il giorno liturgico e, simbolicamente, inizia la Storia della Salvezza, che è tutta rappresentata nella splendida micrografia della liturgia, con la Creazione, ricordata dagli inni romani e dal salmo proemiale (103) con cui si apre il Vespro bizantino. Al Vespro si compie l'offerta dell'incenso, come già nella prassi giudaica (il sacrificium vespertinum del salmo 140, malamente interpretato da alcuni moderni come un riferimento in favore della Messa vespertina, era il sacrificio dell'incenso, e non certo il sacrificium cruentum di cui il sacrificium incruentum della Messa ha preso il posto), spesso proprio durante il canto del salmo 140 (fa parte dei quattro salmi fissi del Vespro bizantino, che si accompagnano al kathisma variabile del giorno) o almeno del suo verso Dirigatur (il verso di prostrazione vespertino nell'ufficio romano arcaico: l'incensazione vera e propria della chiesa si è spostata al Magnificat, ma nei cerimoniali arcaici resta traccia di un'offerta del turibolo fumigante in questo momento).

b) Compieta: quest'ora entra nella preghiera cristiana relativamente tardi (tra il IV e il VI secolo), e infatti è assente dai riti più primitivi come quello persiano. Il tema del sonno è posto in allegoria con quello della morte (noctem quietam - finem perfectum), e, spiritualmente, con la morte del peccato, originata dal peccato ancestrale dei progenitori.

c) Vigilie notturne (Mattutino): il tema del peccato e l'attesa della seconda venuta, la veglia della penitenza, rappresentano simbolicamente la condizione dei padri d'Israele, tra la compunzione del pentimento e la lode del creatore (i temi delle due sezioni dell'esapsalmo bizantino).

d) Ufficio dell'alba (Laudi): nella triplice lode di Dio (i salmi 148-149-150) si attende il sorgere del sole di giustizia (laonde il canto del Benedictus, ma il tema del sorgere del sole ricorre pure negli inni), glorificando colui che ci ha mostrato la luce (così si apre la grande dossologia bizantina che conclude quest'ora). Un'altra offerta dell'incenso, seppur meno marcata da testi liturgici, ma comunque di origine giudaica, è compiuta a questo punto (al cantico evangelico, ovvero alla nona ode del Canone).

La luce mattutina del sole sorgente filtra dalla finestra absidale
della chiesa del Monastero della Consolazione a Luras (Sassari)

A questo punto, s'inserisce la celebrazione della Divina Liturgia della Messa, la cui ora naturale di celebrazione è all'ora terza, poiché segue e completa l'ufficio dell'alba: il sole di giustizia che abbiamo atteso ora giunge, con la sua reale presenza nel Divin Sacrificio, che a sua volta è in sé un'altra micrografia della storia della salvezza fino alla Pentecoste e all'attesa della seconda venuta. Nelle chiese orientate la luce del mattino filtra dalle finestre absidali (nell'architettura romanica una finestra è posta al centro dell'abside, proprio dietro l'altare), completando l'identificazione cosmologica della luce del sole con la Luce del mondo che è Cristo. Questa è un'ottima ragione per cui il Sacrificio si celebra al mattino, perché celebrarlo alla sera significherebbe distruggere questo impianto simbolico-cosmologico. 

Le piccole ore, ciascuna simbolicamente legata a un episodio della Passione di Cristo (successivamente accompagnata dalla simbologia resurrezionale dell'ora Prima, da quella pentecostale dell'ora Terza etc.), s'inseriscono nel tessuto del giorno senza farne compiutamente parte, e generalmente accompagnano i servizi maggiori. Prima è spesso pregata subito dopo l'ufficio dell'alba, Terza subito prima della Divina Liturgia nell'uso latino, la quale è subito seguita da Sesta e Nona in ringraziamento; nell'uso russo Terza e Sesta precedono la Divina Liturgia e Nona la segue immediatamente: lo stesso è praticato anche nella chiesa latina nei giorni feriali e nelle feste minori. Ne consegue che, pur legate teoricamente alle ore del giorno (6, 9, 12 e 15), le piccole ore vengono in realtà adattate durante la giornata attorno ai servizi maggiori, com'è naturale, avendo una simbologia propria che non rientra nel ciclo cosmologico-soteriologico quotidiano. Terminata la giornata e conclusasi nella Divina Liturgia la storia della salvezza, si è pronti a iniziare un'altro giorno con il canto del Vespro.

Proprio per mantenere la struttura simbolica dell'identificazione tra il sole sorgente e il Cristo presente nell'Eucaristia, anche quando nella Chiesa Romana si è iniziato a staccare impropriamente la Messa dal resto dell'ufficio, sia nella prassi parrocchiale che nella sfortunata invenzione della messa privata, la rubrica del Messale Romano circa l'ora in cui celebrare il Sacrificio è imperativa: ab aurora usque ad meridiem, e rigorosamente post Matutinum et Laudes (Rubr. gen. xv).

3. Casi di liturgia vespertina nel Tipico: eccezioni limitate e motivate.

Tanto nella tradizione orientale quanto in quella occidentale vi sono delle eccezioni alla regola generale, ovvero delle Messe la cui celebrazione, secondo le istruzioni del Tipico, è da compiersi in orari diversi da quello consueto mattutino. Si tratta però di eccezioni limitate e motivate da circostanze particolari. Il caso più noto ai fedeli latini è probabilmente la messa della notte di Natale, che si celebra tra le vigilie notturne e l'ufficio dell'alba (dunque in pieno buio), ma la motivazione intrinseca di ciò è il fatto che Nostro Signore sia nato nel cuor della notte, e dunque in grazia della rievocazione storica dell'atto è permesso di cantar questa Messa a mezzanotte.

Altri casi eccezionali sono, per esempio, il Giovedì Santo e il Sabato Santo, dove la Liturgia - tanto nella prassi latina quanto in quella greca - si lega al Vespro. La ragione è in entrambi i casi data da motivi contingenti di realismo storico circa la Cena del Signore (anche se sarebbe da discutere su quale sia questa ora vespertina: la cena, nella Palestina dell'epoca, avveniva circa a metà del pomeriggio, non certo alle venti come da noi oggi), o la gloriosa discesa agli Inferi. In questi casi però la prassi secolare della Chiesa ha portato già in alto Medioevo ad anticipare, almeno nelle parrocchie, queste liturgie al mattino per permettere una più armoniosa celebrazione del complesso degli uffici della Settimana Santa, ricordando che l'ora simbolica è significata dall'ora liturgica (celebrare queste liturgie insieme al Vespro è già sufficiente per dar loro un carattere vespertino, senza necessità pretestuosa di veritas horarum). Dunque, nonostante l'indicazione del Tipico, non costituiscono eccezioni vere e proprie.

Nelle rubriche latine compare spesso la liturgia cantata dopo Nona, quindi come ultimo atto liturgico del giorno, carattere proprio dei giorni di penitenza e delle vigilie. Tuttavia, se non nei primissimi secoli e comunque in circostanze vigiliari limitate e legate alla prassi urbana di Roma, in questi casi si è sempre usato cantare in orario mattutino la Liturgia, rispettando dunque la rubrica che pone come orario per la celebrazione ab aurora usque ad meridiem, semplicemente anticipando Nona al mattino, visto che - come detto - le piccole ore sono adattabili in funzione degli uffici maggiori. Essendo poi una prassi legata ai giorni di penitenza, dove il sovvertimento dell'ordine naturale degli uffici (come il Vespro anticipato al mattino in Quaresima) è una significazione simbolica del sovvertimento dell'ordine naturale portato dal peccato, non possono certo far testo.

Anche le celebrazioni vespertine dell'antichità, di cui ci riferisce, per esempio, la pellegrina Egeria (IV-V secolo), che peraltro non sono necessariamente eucaristiche, erano comunque limitate a dei giorni particolari (per esempio la Settimana Santa) e alla particolare ritualità dei luoghi della Terra Santa. Costituivano dunque una limitata e motivata eccezione rispetto alla consueta celebrazione mattutina dell'Eucaristia domenicale, rigorosamente riferita dalla Peregrinatio.

Pertanto, non si può in alcun modo asserire che le eccezioni contenute nel Tipico suggeriscano una generalizzata prassi di messa vespertina in passato; pure nelle eccezioni si ha comunque una prassi disusata da circa quindici secoli (la sola sopravvissuta storicamente è la liturgia notturna di Natale) e che dunque non vi sarebbe ragione di recuperare in modo arbitrario. Tanto meno tali liturgie vespertine o pomeridiane di età tardoantica avevano luogo nelle domeniche e nei giorni di festa, dove il canto della Liturgia è sempre stato dopo Terza, e invece la costituzione di Pio XII si riferisce proprio ai giorni di festa (per le ragioni pastorali già menzionate).

4. Conclusioni.

La prassi di celebrare la Messa in orario serale non trova alcun precedente storico, e anzi costituisce una grave rivoluzione dello spazio simbolico-cosmologico della liturgia che per secoli ne ha regolato il funzionamento.

L'introduzione di questa prassi tradisce una mentalità liturgica corrotta, nella quale l'ufficio divino come regola di distribuzione del giorno non è più osservato (come già più volte rimarcato, si è ridotto a preghiera privata del prete completamente scollegata dal suo naturale significato liturgico), e dunque le distinzioni cosmologiche vengono completamente tradite (il Sole che sorge, Cristo incarnato nell'Eucaristia, è così accolto mentre il sole tramonta e la luce muore...): nella prassi anche "tradizionalista" odierna la messa vespertina è spesso celebrata dopo i secondi Vespri (visto che nel 1955 dal Breviario sono espunti quasi tutti i primi Vespri), cioè quando il giorno liturgico è ben che finito. Se una celebrazione pomeridiana tra Nona e Vespro poteva richiamarsi in qualche (improprio e fallace) modo alla consuetudine di celebrare talora dopo Nona, la messa dopo il Vespro è un enorme abominio simbolico e liturgico.

Le ragioni pastorali sottese, piuttosto che la volontà di aiutare i fedeli, tradiscono l'incomprensione dei principi liturgici più elementari: la soddisfazione del precetto (legalisticamente inteso come "prender messa", e non come partecipare alla lode divina nella liturgia della Chiesa, che non è solo messa) è posta al di sopra della consuetudine ecclesiastica secolare, una faccenda di pura morale è posta al di sopra del tesoro apostolico della liturgia. Una consuetudine che non è solo pratica, ma anzitutto necessaria per la allegoria liturgica medesima, praticata dalla Chiesa per circa quindici secoli, è rivoltata d'imperio per una banale e discutibile esigenza contingente.

La messa, per un'impropria concezione devozionistica sull'eucaristia e aliena dalla mentalità liturgica, è ritenuta di fatto l'unica funzione degna di essere celebrata: così si spiegano molte frasi della costituzione di Pio XII, e si spiega anche perché la messa vespertina abbia in breve tempo soppresso l'unica celebrazione liturgica non eucaristica rimasta nelle parrocchie cattoliche fino al XX secolo, cioè il Vespro domenicale.

(Per la simbologia delle ore si è fatto riferimento a D.P. SOKOLOV, Manual of the Orthodox Church's Divine Services, New York & Albany, Wynkoop, Hallenberg & Crawford, 1899. Questa lettura, sebbene ivi fornita per il rito bizantino, si applica largamente alla quasi totalità dei riti orientali e occidentali, fatti salvi i dovuti adattamenti, come dimostra bene R.F. TAFT, The Liturgy of the Hours in East and West: The Origins of the Divine Office and Its Meaning for Today, Collegeville, The order of Saint Benedict, 1986).

lunedì 10 agosto 2020

Numquam sine ministro sacrificium offerre consueveras

Quo progrederis sine fílio, pater? Quo, sacerdos sancte, sine ministro properas? Numquam sine ministro sacrificium offerre consueveras.

Purtroppo non posso pubblicare qui la foto di una messa "in terzo" di una feria di Avvento cui ebbi occasione di assistere tempo fa. Testimonierebbe perfettamente come la forma consueta di liturgia, che dovrebbe essere celebrata quotidianamente nelle grandi chiese, sia la messa solenne, anche nei giorni feriali.

Con queste parole, riportate da S. Ambrogio nel De Officiis ministrorum (I, 41), il protomartire romano Lorenzo la cui nascita al cielo oggi festeggiamo si rivolge a san Sisto II Papa di Roma, suo vescovo, mentre questi veniva condotto al martirio il 6 agosto di quello stesso anno 258.

Da queste parole possiamo trarre un'informazione molto importante: ai tempi di san Lorenzo era impensabile che il sacerdote offrisse il Divin Sacrificio senza l'assistenza del suo minister, cioè del suo  διάκονος. La forma consueta della celebrazione della Divina Liturgia, come inscritta nei libri, prevede nella totalità dei riti la presenza di un diacono e, in Occidente, di un suddiacono. Si tratta della cosiddetta "Messa solenne", che a sua volta è una riduzione della liturgia pontificale celebrata dal Vescovo con i suoi diaconi e il suo presbiterio. La Chiesa consente, per economia, di adattare questa forma canonica nei casi in cui non sia possibile avere un diacono (per esempio nei territori di missione, o nelle piccole parrocchie di campagna), ritenendo al celebrante i compiti del diacono che richiedono il potere d'ordine, e assegnando ai ministri inferiori i restanti.

In seguito alla moltiplicazione del numero delle messe, in Occidente si è diffuso il costume di celebrare privatamente una forma ulteriormente semplificata di liturgia, senza incenso e con un solo serviente, la cosiddetta "messa bassa" (che, tuttavia, era comunque cantata, seppur in monodia, e solo nel corso del XVII divenne inauditamente una "messa letta", andando contro il millenario principio del canto dei testi liturgici di cui abbiamo già più volte parlato). Questa forma semplificata, che un amico soleva definire, "il sacrificio della lode sull'altare del papismo", è nata per la celebrazione privata e per essa dovrebbe rimanere. Una messa bassa pubblica non ha alcun senso, e anzi un tempo (come buona logica vorrebbe) il fedele non avrebbe soddisfatto il precetto partecipandovi. Nonostante alcuni "tradizionalisti" ritengano che la messa bassa sia "più didattica" e "più opportuna" perché "si sentono le preghiere ai piedi dell'altare (che non ha senso vengano sentite, essendo una preparazione privata dei ministri!) che fanno molto da film" (sic!), la storia della liturgia e lo studio dei suoi significati indicano tutt'altro! Una liturgia senza canto e senza i caratteri di pubblicità e solennità (come l'incenso) che contraddistinguono il culto, non può essere chiamata liturgia. La messa di Paolo VI non a caso è di fatto praticata come una messa bassa, con dei canti devozionali ad libitum inseriti qua e là, cioè esattamente nel modo antiliturgico che si era diffuso nel mondo cattolico a partire dal secolo XIX, e che tutto si può definire meno che tradizionale.

In presenza del numero di sacri ministri necessario, poi, non v'è ragione per cui non si debba celebrare la liturgia nella sua forma tipica, ovvero quella cosiddetta "solenne" (il termine viene apposta virgolettato, poiché la liturgia dev'essere sempre il solenne culto a Dio; non esiste una liturgia solenne contrapposta a una non solenne interscambiabile). Vi sono poche cose più assurde di avere chiese "tradizionali" con due o tre preti in cui tuttavia si celebrano solo messe basse, o al massimo una messa cantata e diverse basse, magari addirittura in contemporanea. E altrettanto assurdo è che i sacerdoti "tradizionali", indulgendo alla loro proverbiale pigrizia o al loro mancato senso liturgico, si rifiutino di cantar messa fuori dalle domeniche, anche quando cantori e servienti sarebbero a disposizione.
Visto poi che la tradizione latina permette storicamente ai sacerdoti di indossare i paramenti diaconali per servire nella Divina Liturgia come diaconi di un altro sacerdote (cosa che nella tradizione bizantina può avvenire, ma serbando i paramenti sacerdotali), il dovere del clero di questa parrocchia sarebbe garantire una messa solenne, unica come unico fu il Sacrificio di Cristo. Per consuetudine (della cui correttezza si potrebbe dibattere), gli altri sacerdoti possono poi offrire del tutto privatamente una messa bassa, avendo comunque un chierico a servir loro la liturgia, poiché mai fu ammesso (e persino il Codice di Diritto Canonico del 1917, can. 813, lo rimarca) che un sacerdote potesse celebrare senza qualcuno che gli rispondesse. Il malvezzo, messo a nudo particolarmente durante lo streaming universale dei trascorsi mesi di chiusura, ma precedentemente appalesato in alcune foto (come quella della celebrazione contemporanea di una dozzina di messe da parte di sacerdoti dell'Istituto di Cristo Re, tutti senza chierichetto), di celebrare la messa privata senza ministro, perché comunque "l'importante è che io offra il Sacrificio tutti i giorni" (notare la triste accezione personalistica e devozionale che assume questo atto pubblico di tutta la Chiesa, nelle parole che un sacerdote "tradizionalista" stesso mi ha rivolto in risposta a una mia obiezione), è completamente anticanonico, oltreché privo di senso. Se la Divina Liturgia, come tutta la liturgia, è un atto pubblico di tutta la Chiesa, che senso ha che venga celebrata senza che la Chiesa vi partecipi almeno per ministrum? Benché queste cose, come la moltiplicazione delle messe private senza ministro, ai "tradizionalisti" piacciano molto, esse sono tutt'altro che tradizionali, e denotano solo un'invincibile ignoranza liturgica.

Certo, per celebrare come si deve la liturgia latina servono i sacri ministri, cioè un diacono e un chierico o un laico che funga da suddiacono, poiché la Chiesa ammette secolarmente che i laici possano ricoprire i ruoli degli accoliti e dei suddiaconi (cfr. L. MONTAN, Dizionario teorico-pratico di casistica morale, tomo XII, Venezia, Antonelli, 1844, p. 146; ma si veda anche il tipico costume bizantino di far vestire alcuni servienti con lo sticario e l'orarion incrociato sulla schiena al modo degli ipodiaconi). Meglio ovviamente sarebbe un suddiacono ordinato, che possa portare il manipolo. Ma ci si trova dunque davanti a un problema: nella chiesa cattolica diaconi e suddiaconi sono quasi scomparsi, divenuti mere tappe nel cammino dei sacerdoti. Stessa sorte è toccata agli ordini minori, che un tempo erano invece fondamentali nelle chiese, e lo sarebbero tutt'ora, per poter garantire un dignitoso servizio liturgico, il canto dell'Ufficio Divino, etc. Nonostante la prassi secolare della Chiesa d'Oriente e d'Occidente di conferire gli ordini minori, e finanche il diaconato, a uomini non necessariamente destinati al sacerdozio ma unicamente intenti a dedicarsi al servizio dei sacri uffici nel loro ruolo, prassi ribadita peraltro in Occidente dal Concilio di Trento alla XXIII sessione, il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can. 973 recita: Prima tonsura et ordines illis tantum conferendi sunt, qui
propositum habeant ascendendi ad presbyteratum. Ovvero, gli ordini diventano nella concezione del codice dei meri gradini nella scala verso il sacerdozio, in una chiesa clericalizzata in cui per contare qualcuno si deve per forza essere sacerdoti: concezione che ha portato alla distruzione del concetto di Chiesa, e alla contemporanea distruzione della liturgia, divenuta già in età preconciliare, e massimamente in età postconciliare, il palco di esibizione del celebrante (prima in un modo più "devozionale" con silenzio e pietismo ostentato, poi in un modo più "pastorale" con chiacchiere e colpi di scena da attore), e non l'imitazione perfetta della Divina Liturgia celeste delle schiere angeliche, cui tutta la Chiesa prende parte secondo il suo ordine e stato nel cantare la lode al Signore tre volte santo.

martedì 4 agosto 2020

Note storiche sul digiuno della Dormizione

La festa della Dormizione della Madre di Dio è conosciuta in Oriente come "Pasqua d'Estate". Proprio come la Pasqua, essa è preceduta da una breve "quaresima" di quindici giorni, durante i quali si osserva il digiuno rigoroso (astensione da carne, uova, latticini, olio e vino), con licenza di olio e vino il sabato e la domenica e di pesce alla gran festa della Trasfigurazione, e si canta quotidianamente dopo il Vespro il Canone Paracletico alla Beata Vergine, alternando quello "piccolo" di S. Teocteristo a quello "grande" di Teodoro Duca Lascaris. Inoltre, secondo il tipico, nei giorni feriali dovrebbe essere celebrata la Grande Compieta e offerta la Liturgia dei Presantificati, ma è una prassi da tempo disusata.

Duccio di Buoninsegna, Dormizione della Vergine, 1308-11

Le origini di questo digiuno paiono essere molto antiche. Alcuni storici russi hanno provato a identificare questo digiuno come l'obbedienza al precetto biblico del digiuno del settimo mese; tuttavia, essendo il settimo mese a settembre si identificherebbe questo più facilmente con il digiuno prescritto dal Tipico per la festa dell'Esaltazione, che ha pure un rapporto più chiaro con il corrispondente digiuno occidentale. In generale conviene separare il digiuno della Dormizione da quelli veterotestamentari, e identificarlo come un esatto parallelo di quello quaresimale, avendo la tradizione antica sempre ricoperto di molte somiglianze simboliche (non ovviamente teologiche, visto che la tradizione non ammette affatto il moderno teologumeno di "corredenzione") la Dormizione della Madre di Dio e la Morte del Salvatore, sviluppatosi entro il V secolo.

Pare peraltro chiaro che, come già altri digiuni oggi praticati solo dalla Chiesa Orientale, pure l'Occidente fosse in antichità osservante di questa pratica ascetica. La testimonianza diretta si trova nelle lettere di Papa Niccolò I al Khan Boris dei Bulgari (IX secolo), che parla di jejunium ante Assumptionem Genitricis Dei Mariae... quod Romana Ecclesia antiquitus suscepit et tenet. Il gesuita Jean Croiset (Esercizi di pietà, vol. 8, 1755) ci informa che S. Francesco e S. Chiara osservavano un digiuno di quarantasei giorni prima dell'Assunzione, cioè esattamente quanti giorni dura la Quaresima, iniziando dunque subito sopo la festa dei Ss. Pietro e Paolo. Nei monasteri in Oriente ancor oggi il digiuno della Dormizione si estende per tutto il mese di luglio, venendosi così a formare dall'unione col Digiuno degli Apostoli una sola grande stagione di digiuno che va dall'Ottava di Pentecoste alla Dormizione, con la sola interruzione della festa dei Ss. Pietro e Paolo.

In età bassomedievale pare comunque che questo digiuno fosse stato ridotto in Occidente a una sola pia pratica non più obbligatoria, come il digiuno del mercoledì. Dalla vita del beato Odorico di Pordenone (nel Leggendario di Benedetto Mazzara) apprendiamo ch'egli "oltre i digiuni ordinati", digiunava "li quindeci giorno avanti l'Assunta".