mercoledì 31 luglio 2019

La Processione della Santa e Vivificante Croce

Il primo giorno del mese di Agosto, tutta la Chiesa, da Oriente a Occidente, fa memoria dei santi sette fratelli Maccabei, del loro maestro Eleazaro e della loro madre Salomè, portatori di passione per aver osservato con invitta fede la legge del Signore a onta dell’imperio del crudele sovrano seleucide Antioco IV Epifane. Si tratta, come abbiamo notato anche qui, dell’unica festa di santi veterotestamentari presente nel calendario romano.

Tuttavia, mentre dalla Chiesa Romana questo giorno fu dedicato alla memoria della miracolosa liberazione per mano di un Angelo del suo fondatore san Pietro dalle carceri ove era rinchiuso, festa pertanto detta “di S. Pietro in vincoli”, con particolare solennità serbata nella chiesa dell’Urbe così intitolata, ove venerasi la reliquia delle catene che trattenevano il santo apostolo, le Chiese d’Oriente invece consacrarono questo giorno alla terza memoria annuale della Santa, Preziosa e Vivificante Croce del Salvatore (dopo l’Esaltazione il 14 settembre e la memoria fattane la III domenica di Quaresima; la Chiesa greca non osservò mai la festa dell’Invenzione, particolarmente celebrata dalla Chiesa latina).

Le origini della festa odierna, detta della “Processione della Vivificante Croce” sono da ricercarsi nella tradizione prettamente costantinopolitana di percorrere le strade della Capitale con il Sacro Legno affine di scacciarne i morbi, sendo l’estate – e specialmente il mese di agosto – il periodo peggiore, più incline alla diffusione di malattie, per il clima del Bosforo. Leggiamo nell’Horologion greco del 1897: “A causa delle malattie che si verificano nel mese di agosto, era consuetudine in passato portare il Venerabile Legno della Croce per le vie e le piazze di Costantinopoli, al fine della santificazione della città, e per il sollievo dalle malattie. Alla vigilia, [la Reliquia della Vera Croce] veniva prelevata dal Tesoro Imperiale e posta sull'altare della Grande Chiesa di Santa Sofia. Da questa festa fino alla Dormizione della Santissima Madre di Dio, si portava in processione la Croce per tutta la città, offrendola alla venerazione della gente. Questa è altresì la Processione della Venerabile Croce".

Questa festa viene celebrata con particolare enfasi dalle chiese slave, in quanto, secondo la tradizione tramandata dalle Cronache russe del XVI secolo, il 1° agosto ricorre inoltre l'anniversario del Battesimo della Rus', ovvero della conversione del gran principe Vladimiro di Kiev e di tutta la Rus alla Vera Fede, nel 988. Su come venisse celebrata questa ricorrenza, abbiamo la testimonianza dell' "Ordine degli Uffici nella Santa, Cattolica e Apostolica Grande Chiesa della Dormizione", compilato per ordine Patriarca di Mosca e di tutta la Rus' Filarete nel 1627: "Il giorno della Processione della Venerabile Croce c'è una processione in Chiesa per la santificazione dell'acqua e per l'illuminazione del popolo, in tutte le città e in tutti i luoghi". 

Con minor solennità, in questo giorno è ritenuta pure la festa delle icone del Misericordiosissimo Salvatore e della Tuttasanta Madre di Dio, istituita in occasione dei prodigi compiuti dalle icone di Cristo e della Sua Genitrice durante una battaglia combattuta nel 1164 dal santo principe Andrea Bogoljubskij contro i bulgari.

Nella prassi comune, seguendo lo schema della festa dell'Esaltazione della Santa Croce, dopo la Grande Dossologia del Mattutino viene intronizzata al centro della chiesa la Croce, venerata dai fedeli al canto degli appropriati inni; quindi si celebra la Divina Liturgia, seguita dalla solenne benedizione dell'Acqua, con eventuale processione. In taluni luoghi suole pure benedirsi il miele novello.

Ἡ φύσις τῶν βροτῶν, συνεόρταζε πᾶσα, καὶ σκίρτα μυστικῶς· τοῦ Σταυροῦ γὰρ τὸ ξύλον, προτίθεται σήμερον, ἰατρεῖον ἀδάπανον, τοῖς προστρέχουσι, μέτ' εὐλαβείας καὶ πόθου, καὶ δοξάζουσι τὸν ἐν αὐτῷ προσπαγέντα, Χριστὸν τὸν φιλάνθρωπον.

Tutta la stirpe dei mortali festeggia e misticamente si allieta: oggi infatti il legno della Croce è recato quale gratuita medicina per coloro che vi si accostano con fede e devozione, e glorificano il Cristo filantropo che ad essa fu confitto.

(Catisma della I sticologia del Mattutino)

mercoledì 24 luglio 2019

Giustiniano chiuse veramente l'Accademia di Atene?

Viviamo in un mondo in cui dilaga la propaganda ideologizzata in funzione anti Cristiana, talora con diffamazioni che scadono nel ridicolo: proprio oggi leggevo sulla "guida autorizzata dalla Regione Puglia" a Castel del Monte che Papa Gregorio IX avrebbe scomunicato Federico II dopo la VI Crociata perché questa "è stata risolta dall'Imperatore senza spargimento di sangue, mentre i papi di quei secoli volevano a tutti i costi il sangue e la morte degli innocenti" [il valore storico di questo giudizio, a prescindere dai dati omessi sull'alleanza turco-normanna, è palesemente inferiore a zero, bollando quale macchina del fango propagandistica). Occupiamoci ora però di una questione più sottile, un dato spesso insegnato anche nelle scuole, la cui falsità non di rado sfugge anche ai dotati di una certa onestà intellettuale (quelli per capirci che criticano la baggianata dei roghi dell'Inquisizione e via discorrendo): la presunta soppressione dell'Accademia di Platone nel 529 ad opera dell'Imperatore Giustiniano. Testo tratto da qui, trad. di p. Atanasio M. Giorgi (qui).



Il mondo moderno ha molti miti, in buona parte inventati da circoli illuministi nel XVIII secolo con lo scopo di sporcare l'immagine della Cristianita'. Uno di questi e' la chiusura forzata da parte di Giustiniano imperatore, nel VI secolo, della celebre Accademia platonica di Atene, nell'anno 529 dopo Cristo. Eppure, l'Accademia era da molto tempo in decadenza, e si era trasformata, al tempo dell'Imperatore, piu' in una degradante missione pagana piuttosto che in un centro culturale.

Come leggiamo dalla celebre Enciclopedia Britannica [1]:

Platone ebbe a prendere una porzione di terreno e vi edifico' l'Accademia [...] Legalmente, la Scuola platonica era un centro religioso con lo scopo della venerazione delle Muse... l'Accademia era circondata da un giardino recintato, al quale potevano accedere solo i membri dell'Accademia e le persone selezionate dal Direttore. Vi si organizzavano sacrifici, liturgie e banchetti festivi in onore delle Muse.

Sebbene nei libri di Storia si parli sempre di Giustiniano come di un perfido distruttore di templi, gli storici sono contraddetti dai documenti, come per esempio il Codice Legislativo del 530 promulgato da Giustiniano a Beirut e ad Atene nel quale si proibisce il paganesimo ma non l'insegnamento della Filosofia, considerata da san Basilio come propedeutica al Cristianesimo. Lo storico contemporaneo di Giustiniano, Procopio, non menziona affatto la proibizione dell'insegnamento filosofico nelle Scuole [2]. Sempre Procopio nella sua Storia Segreta ci informa del fatto che Giustiniano, per riformare l'istituzione ormai decadente dell'Accademia, confisco' alcune loro proprieta' a fini di ripristinare l'insegnamento delle Scienze nella citta'.

Secondo teorie piu' moderne [3] la Scuola chiuse per fallimento e mancanza di studenti nel 560 d.C. Ad Alessandria d'Egitto il pagano Olimpiodoro pote' insegnare filosofia e culti pagani fino al 565 d.C. [4]. San Teodoro, arcivescovo di Canterbury nel VII secolo, era un greco con competenze in matematica e astronomia, il quale aveva studiato ad Atene proprio sul finire del secolo precedente.

L'Accademia chiuse alla fine del Cinquecento per mancanza di allievi, secondo le teorie piu' moderne.

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NOTE

1) Encyclopedia PAPYROS-LAROUSSE-BRITTANICA, Volume 6, under the entry: “Academy”

2) Su Procopio e il Codice Legislativo, cfr. F. Gregorovius, Ιστορία των Αθηνών - History of Athens, Marasli Library, Athens 1904, vol.1, page 122

3) Paolo Cesaretti, “Θεοδώρα˙ η άνοδος μιας αυτοκράτειρας” Theodora: the rise of an Empress, Oceanis Publications, page 240

4) Sture Linnér, Ιστορία του Βυζαντινού Πολιτισμού, History of the Byzantine Civilization, Govostis Publications, page 93

venerdì 19 luglio 2019

Il culto di S. Elia Profeta nella tradizione occidentale

Mentre in Oriente sempre è rimasto vivo il culto dei Santi dell’Antico Testamento, onorati nella liturgia con feste loro proprie (quelle di molti profeti, ad esempio, si trovano collocate dal calendario bizantino nel mese di dicembre, per evidenziare il legame tra la loro predicazione e l’avvento del Salvatore), questi nell’Occidente hanno avuto nei secoli una minor considerazione. Certo, l’iconografia occidentale ha per secoli continuato a rappresentare scene dell’Antico Testamento, e in molti affreschi i profeti e i patriarchi attorniano l’immagine di Dio, proprio come nell’uso tradizionale russo i dodici profeti e i dodici patriarchi hanno un loro posto stabilito nella corte celeste raffigurata dall’iconostasi; certo, nel Canone Romano viene menzionata l’oblazione pura di Abele, il sacrificio di Abramo e quello del sommo sacerdote senza genealogia Melchisedec; certo, nei giorni tramandati dalla tradizione come loro transito il Martirologio Romano contiene l’elogio dei profeti e dei patriarchi. Nondimeno, possiamo notare la differenza di culto dando un semplice sguardo al Calendario liturgico: mentre dozzine di Santi della Prima Alleanza hanno una propria celebrazione liturgica nel calendario bizantino, in quello romano trovano posto solo i Fratelli Maccabei, commemorati il 1° agosto, e alcuni santi “parzialmente neotestamentari” (come li definì Silvio Tramontin), cioè i santi progenitori del Signore Gioacchino e Anna. Tale differenza si amplifica se si considera il numero di chiese dedicate ai santi veterotestamentari in Oriente, di fronte alla quasi totale assenza di esse in Occidente.

Si è parlato di quasi totale assenza, perché un’eccezione notevole c’è, ed è Venezia, che in virtù del suo stretto legame con l’Oriente ha, sin dai tempi più remoti (si consideri il Kalendarium della Chiesa Veneta dell’XI secolo), conservato il culto dei santi veterotestamentari, dedicando loro numerose chiese urbane e celebrando le loro feste. Giambattista Galliccioli, nelle sue Memorie della Chiesa Veneta, c’informa che nel 1764 il Patriarca Giovanni Bragadin avesse composto degli offici propri per i santi dell’Antica Legge venerati nelle Venezie, ma che altri testi propri fossero in uso sin dal XII secolo. Nella sua lista, il Galliccioli include S. Geremia al 1° maggio (1), S. Giobbe al 10 maggio, S. Daniele al 21 luglio, S. Samuele al 20 agosto, S. Mosè al 4 settembre, S. Simeone profeta all’8 ottobre (2), S. Lazzaro risuscitato al 17 dicembre (3). A questi si aggiunge la memoria di S. Zaccaria padre del Battista, celebrata il 5 novembre, il cui officio era stato però composto già nel 1761.

Nonostante quanto appena scritto, proprio a Venezia manca la celebrazione (così come il titolo) del santo veterotestamentario forse più venerato in tutto l’Occidente: Elia profeta. Il 20 luglio, giorno tradizionalmente ritenuto della sua morte, e sua memoria nel Martirologio Romano, a Venezia si celebra infatti con solennità la festa di S. Margherita Megalomartire d’Antiochia, parte delle cui reliquie sono custodite in città (4).

Ad aver diffuso il culto del santo profeta in Occidente, oggi patrono di molte città e paesi in tutta Europa, è stato senza dubbio l’Ordine del Carmelo, che, com’è noto, facendo rimontare l’origine del proprio ordine monastico all’esperienza eremitica iniziata proprio da Elia sul Monte Carmelo, lo venera come dux ac pater, tributandogli quotidiano onore nel proprio officio, menzionandolo nel Confiteor della messa, e celebrando la di lui solenne memoria proprio il 20 luglio.

Nel Breviario proprio dei Carmelitani Scalzi, i quali hanno recepito come base il Rito Romano, la festa, celebrata sub ritu duplici I classis cum octava communi, inizia con il Vespero festivo, nel quale ai salmi del Comune dei Confessori non Vescovi si inframmezzano antifone proprie tratte dai passi dei Libri dei Re che narrano la vita del santo profeta. Il capitolo è tratto dall’Ecclesiastico, 48, 1-2, nel quale si fa memoria della predicazione di Elia Profeta, paragonato al fuoco, e della sua parola, paragonata a una fiaccola ardente; l’inno è proprio, il Nunc juvat celsi. L’antifona al Magnificat è tratta dal profeta Malachia (4,5-6), e dice così: Ecce, ego mittam vobis Eliam Prophetam, antequam veniat dies Domini magnus et horribilis. Et convertet cor patrum ad filios, et cor filiorum ad patres eorum. Il fatto che la figura di Elia ricorra anche negli scritti profetici e sapienziali successivi è indice dell’importanza capitale di questa figura, posto nella scrittura come primus prophetarum, e nel quale molti non per nulla identificavano il Messia. L’orazione, nella sua parte elogiativa, fa memoria del miracoloso transito del Profeta, trasportato in cielo igneo curru, e che per tal motivo secondo una tradizione popolare, abbenché mai ufficialmente approvata dalla Chiesa, non sia mai morto (5). Viene poi commemorata solo l’Ottava privilegiata della Madonna del Carmine.

Oltre al già menzionato Nunc juvat celsi dei I Vespri e all’Audiat miras dei II Vespri, la pietà carmelitana dedica altri due inni al proprio capostipite: il Te magne rerum Conditor al Mattutino e il Pergamus socii tollere alle Laudi. L’antifona al Benedictus è tratta dall’epistola di S. Giacomo (5, 17-18), che magnifica Elia, homo similis nobis in passibilibus, ricordando uno dei suoi miracoli, ovvero la siccità e la successiva pioggia da lui invocate con la preghiera. La figura etimologica oratione oravit contenuta nel testo, con il verbo che viene di lì a poco ripetuto (et rursum oravit), focalizza l’attenzione sulla preghiera come elemento centrale nella vita contemplativa del monaco carmelitano. Oltre all’Ottava della Madonna del Carmine, ad laudes tantum (e nelle messe private), si commemora S. Girolamo Emiliani.

Alla Messa, l’introito è lo stesso brano di Malachia cantato ai Vespri; parimenti, la lezione è un’estensione del brano sapienziale impiegato come Capitolo. Il Graduale è tolto dal salmo 144, e ancora pone l’accento sull’importanza della preghiera, ricordando che il Signore prope est omnibus invocantibus eum e deprecationem eorum exaudiet et salvos faciet eos. Il carme allelujatico è invece tolto dal terzo libro dei Re (18, 36. 38), ed è costituito dalle parole (Domine Deus, ostende hodie quia tu es Deus Israel, et ego servus tuus) pronunziate da Elia profeta per supplicare il Signore di mostrare la sua potenza, cosa ch’Egli farà, talché cecidit ignis Domini, et voravit holocaustum. Il Vangelo è chiaramente quello della Trasfigurazione, in cui appunto Elia appare insieme a Mosè sul Tabor per affiancare la luminosa manifestazione della Divinità del Salvatore. All’offertorio è cantato per antifona il brano di S. Giacomo impiegato alle Laudi, mentre l’orazione sopra le oblate mette in correlazione l’olocausto dedicato a Dio da Elia (cfr. III Re 18,38) con il sommo sacrificio di Cristo.

Il Canone è introdotto dal Prefazio proprio del Santo Profeta, elegante panegirico che magnifica le imprese del santo, in virtù della cui parola caelum continuit, mortuos excitavit, tiranno percussit, sacrilegos necavit, vitaeque monasticae fondamenta constituit, e prosegue narrandone con ispirati verbi il suo miracoloso transito, e lo esalta quale Praecursor venturus secundi adventus Jesu Christi Domini nostri. L’antifona della Comunione è tolta anch’essa dal terzo libro dei Re (19, 8), in cui Elia si rifocilla prima di ascendere al monte di Dio: il paragone che s’instaura è sublime, nella misura in cui il monaco comedit et bibit il Corpo e il Sangue di Cristo, Sacramento eccelso che lo conduce alla vetta spirituale. Tale comparazione è pressoché esplicitata dall’orazione dopo la Comunione.

Ai II Vespri le antifone sono diverse da quelle dei primi, pur mantenendo il medesimo tema e sfruttando le medesime fonti. Dopo l’inno Audiat miras, per antifona viene cantato un brano del terzo libro dei Re commemorante un altro miracoloso evento della vita di Elia, quand’egli per turbinem ascende in cielo: Tulit Elias pallium suum, et percussit aquas Jordanis, quae divisae sunt in utramque partem, et transierunt ipse et Eliseus per siccum: et ascendit Elias per turbinem in caelum.

E’ interessante notare che i Carmelitani dell’Antica Osservanza, i quali hanno mantenuto invece il loro rito proprio, impiegano dei testi sostanzialmente diversi dai loro fratelli riformati per questa grande festa. L’introito è tolto dal salmo Zelo zelatus sum, come per tutti i servi devoti del Signore; nel Graduale si narra l’ascensione di Elia al Carmelo e di com’egli venne miracolosamente nutrito; il carme allelujatico, di composizione ecclesiastica, si dimanda: quis potest similiter gloriari tibi?, commemorando alcuni dei suoi più noti miracoli. L’offertorio è però uguale a quello in uso presso gli Scalzi, mentre per Communio i Calzati impiegano il brano di Malachia che i Riformati adoperano per introito.

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NOTE

 (1) Commemorato nella festa dei SS. Filippo e Giacomo Apostoli; l’ufficio era in uso solo nella parrocchiale di S. Geremia, che lo celebrava come patrono, con rito doppio di I classe. Triste è notare che lo scorso anno la Chiesa di S. Geremia, oramai nota solo perché destinata a custodia delle spoglie di S. Lucia dopo la distruzione della chiesa dedicata alla martire siracusana, ha definitivamente mutato il proprio titolo in “Santuario di S. Lucia”, venendo meno così proprio uno di quei caratteri peculiari della Chiesa Veneta, quale il culto per i santi veterotestamentari.

(2) Dal 1806, solo commemorato nella festa della Dedicazione della Cattedrale, fuorché nella chiesa di S. Giobbe in Cannaregio, ove era celebrato con rito doppio di I classe.

(3) Cristoforo Tentori, nelle sue Osservazioni sopra le Memorie del Galliccioli, contesta la classificazione di S. Lazzaro quale santo veterotestamentario, argomentando col fatto che secondo la Tradizione (“è cosa trita, e notoria”) egli fu Vescovo della Chiesa di Cristo, e pertanto la Tradizione avesse assegnato alla sua memoria alcune parti dal Comune dei Vescovi. Parimenti, giusta la retta opinione del Tentori, sono da considerarsi neotestamentari S. Marta e S. Maria Maddalena, dacché han vissuto parte della loro vita sotto la Nuova Legge, mentre i già citati santi come Simeone Profeta, S. Gioacchino, S. Anna, S. Zaccaria etc. sono da considerarsi veterotestamentari (o “parzialmente neotestamentari” per il Tramontin) perché morirono prima dell’abolizione della Vecchia Legge.

(4) San Girolamo Emiliani, santo veneziano, nel Calendario Romano al 20 luglio, nell’urbe lagunare è celebrato l’8 febbraio, giorno del suo transito.


(5) Alcuni commentatori, cercando di giustificare quest’affermazione di fede popolare, ipotizzarono ch’egli e Mosè non fossero morti perché sarebbero dipoi dovuti comparire sul Tabor al momento della Trasfigurazione, dando dunque una lettura prettamente e sanamente cristologica al fatto.

mercoledì 17 luglio 2019

Messe votive in occasione dei pellegrinaggi

Specialmente negli ultimi anni, fioccano numerose le lodevoli iniziative di pellegrinaggi “della Tradizione” nei Santuari e nei luoghi di culto più cari alla Cristianità, culminanti con la celebrazione del Divin Sagrifizio nella forma tradizionale della liturgia romana. Se tali iniziative sono da salutare come ammirevoli e meritorie, non sempre impeccabile è tuttavia l’organizzazione liturgica degli stessi per quanto concerne l’osservanza scrupolosa delle rubriche, e particolarmente di quale messa si debba celebrare. Ciò avviene a detrimento del pellegrinaggio stesso, venendo meno quell’esattezza delle sacre cerimonie che, giusta le parole dell’insigne liturgista padre Giuseppe Baldeschi, “dà tale risalto e maestà all’ecclesiastiche funzioni, che ne restano eccitati a divozione non meno i fedeli che i nemici stessi della cattolica religione”.

Imperciocché usualmente tali pellegrinaggi si tengono in sabato, in quanto in tal data è possibile una maggior partecipazione dei fedeli, si è ampiamente diffusa la pratica di celebrare indistintamente una messa votiva della Beata Vergine Maria, essendo il sabato il giorno tradizionalmente dedicato dalla devozione occidentale agli esercizi di pietà in onore della Madre di Dio, sovente appellata, e non di rado in modo generalista e scorretto, come “messa di S. Maria in sabato”. Questa scelta, che di norma si compie per l'influsso che il devozionismo da un paio di secoli almeno esercita sulla liturgia (1), è da riprovare in tutti quei (numerosissimi) casi in cui detta messa votiva sia proibita dalle rubriche.

In sabbatis non impeditis festo duplici vel semiduplici, octava, vigilia, feria Quadragesimae vel Quatuor Temporum, vel officio alicujus Dominicae, quae supersit, in praecedens Sabbatum translato, dicitur Missa de sancta Maria secundum varietatem temporum, ut in fine Missalis ponitur. (2)

Queste indicazioni (riportate in Rubricae generales Missalis Romani, IV) sono da seguirsi scrupolosamente. La ricorrenza di S. Maria in sabato, si noti inoltre, è dotata di un proprio ufficio e sostituisce in toto l’ufficio della feria del sabato in cui non ricorra alcuno dei casi sopraelencati. Non è dunque propriamente una “messa votiva”, quantunque sottostia a molteplici delle norme ad esse relative, e ciò si può intuire dal fatto che in essa sia previsto il canto del Gloria, a differenza di quanto avviene in tutte le altre messe votive, comprese quelle che tengono il posto della messa conventuale.

Altro discorso, ben distinto dalla memoria di S. Maria in sabato, è la “messa votiva della Madonna”, che può celebrarsi in qualsiasi giorno (e non solo in sabato), purché rispettando la seguente e limitativa norma, che si applica a tutte le messe votive, in onore di Nostro Signore, della Madre di Dio, della Trinità, dello Spirito Santo o di un qualsiasi santo iscritto nel Martirologio (3):

Missae votivae cantatae, etiam pro re non gravi, permittuntur quandocumque non occurrit Officium duplex, vel Dominica quaevis, licet anticipata vel, etiam quoad Officium, reposita;
[…]
Prohibentur:
1. In feria IV cinerum et feriis Majoris Hebdomadae
2. In vigiliis Nativitatis, Epiphaniae et Pentecostes;
3. Infra Octavas Nativitatis, Epiphaniae, Paschatis, Ascensionis, Pentecostis et Corporis Christi, aliasque octavas alicubi privilegiatas ;
4. Diebus octavis simplicibus, etiamsi tantum commemoratis ;
5. Diebus, in quo primo resumitur missa Dominicae impeditae;
6. In ecclesiis unam tantum missam habentibus, diebus Rogationum, si fiat processio, et ubi cujuslibet missae conventualis onus urgeat, cui per alios sacerdotes satisfieri nequeat. (4)

Si osserva che queste rubriche si riferiscono alla messa cantata (essendo questa generalmente celebrata in occasione di pellegrinaggi); per la messa privata le rubriche sono più restrittive, e includono nella proibizione tutte le vigilie, le ferie delle Quattro Tempora, le ferie d’Avvento dal 17 al 23 dicembre inclusive, tutta la Quaresima e il lunedì delle Rogazioni.

Come si noterà, per poter celebrare una messa votiva occorre scegliere un giorno in cui ricorra un ufficio al massimo semidoppio, e tali giorni costituiscono una minima parte del Calendario Romano.  La restrizione è ancora maggiore dopo l'aggiornamento del 1962, dacchè il doppio e il semidoppio confluiscono nella III classe, e la messa votiva è proibita nelle feste di detta classe.

A ciò si aggiunga che –dacché le rubriche richiedono comunque, anche quando permessa, una causa ragionevole per celebrare la messa votiva– la logica e il buonsenso impongono, nel caso in cui si faccia un pellegrinaggio verbigrazia a un Santuario della Santa Croce oppure di alcuni Santi Martiri, di celebrare (sempre se consentito dalle suddette rubriche) la messa votiva del titolo del Santuario in cui ci si reca, e non già quella della Madonna per pura devozione. Questa scelta, benché non sia esplicitamente indirizzata da rubrica veruna, si può ricavare dalla norma di seguito esposta.

Moltissimi luoghi di pellegrinaggio, in virtù del gran numero di pellegrini affluentivi, hanno ottenuto dalla Santa Sede il permesso di celebrare al suo interno una “messa votiva del Santuario”. Tale possibilità, concessa ab immemorabili per alcuni luoghi (essempligrazia, i luoghi della vita di Nostro Signore in Terra Santa, che hanno messe votive proprie speciali), è menzionata espressamente nel Codice delle Rubriche del 1960. Nelle Rubricae generales Missalis Romani dell’edizione del 1962, cap. VI, par. C, tit. X, nn. 375-376, la messa votiva celebrata in questi luoghi pii è classificata come di II classe secondo il nuovo Codice delle Rubriche, ed è quella del titolo del Santuario. Talora, se il titolo fosse stato un mistero della vita del Signore o della Madonna, veniva concesso di celebrare la messa votiva di quel mistero (cosa ordinariamente vietata): per esempio, il mistero della Presentazione della Vergine nella Basilica della Salute in Venezia. Tale concessione è comunque strettamente legata al luogo e a un permesso esplicito, tuttavia ci fornisce alcune indicazioni di carattere generale (per esempio, il fatto che la messa votiva del santuario sia quella del titolo).

Infine, bisogna trattare della messa votiva pro re gravi et causa simul publica, cioè quella che può liberamente celebrarsi in qualsiasi giorno fuorché nelle feste doppie di I classe, nelle domeniche di I classe, nelle ferie privilegiate (Ceneri e Settimana Santa), nelle vigilie di Natale e Pentecoste e nella commemorazione di tutti i fedeli defunti. Moltissime messe votive oggidì celebrate in occasione di pellegrinaggi vel similia rispondono teoricamente alle rubriche della messa pro re gravi; tuttavia, questa messa non si può celebrare a discrezione del singolo sacerdote, ma presuppone dei requisiti:

1. Res gravis: i decreti della Sacra Congregazione dei Riti affermano esservi questo requisito quando implorandum sit divinum auxilium in urgenti aliqua necessitate, aut gratiae agendae pro insignibus beneficiis obtentis. Il motivo grave condiziona anche la scelta della messa votiva: se questa vien cantata per implorare l’aiuto divino, potrebbe essere logico cantare una delle numerose messe votive pro quacumque necessitate contenute alla fine del Messale. Se invece è di ringraziamento, alla messa votiva (della Trinità, dello Spirito Santo, della B.V.M. o di un qualsiasi santo iscritto nel Martirologio) dovrebbe aggiungersi l’orazione pro gratiarum actione.
2. Causa publica: per definire questa condizione sfruttiamo l’interpretazione che ne dà il liturgista barnabita Bartolomeo Gavanto, ovvero che la causa sia pubblica an pertineat, vel per se, vel per accidens, notabiliter ad communitatem, vel saltem ejus partem. Un pellegrinaggio che coinvolga una notevole quantità di fedeli dunque soddisferebbe a questo requisito.
3. Mandatus vel consensus Ordinarii loci: non è possibile cantare una messa votiva pro re gravi senza il permesso, almeno implicito, dell’Ordinario locale; sarebbe un abuso farlo in assenza di questo. Il parroco può permettere la messa votiva per causa grave nella sua parrocchia senza ricorrere al Vescovo solo se detta causa sia imminente e non vi sia tempo di contattare l’Ordinario.

Occorre infine rilevare alcuni importati aspetti concernenti l’ordinamento della messa votiva: la messa privata, così come quella cantata pro re non gravi, vengono celebrate senza il Gloria e il Credo, con il tono feriale e il Benedicamus Domino in fine: uniche eccezioni sono la messa votiva degli Angeli e la messa di S. Maria in sabato, che hanno il Gloria; tuttavia si è visto che quest'ultima non è esattamente una messa votiva. La messa votiva pro re gravi invece ha il Gloria (se previsto dall’ordinamento della messa: se si tratta, ad esempio, di una messa contra paganos, in paramenti viola, non avrà l’Inno Angelico) e il Credo, e s’impiegherà il tono festivo. Tuttavia, il Codice delle Rubriche del 1960 ha apportato una modifica a questo punto, limitando il Credo alle sole messe votive di I classe (cioè quelle in occasione della Dedicazione di una Chiesa, di un Congresso Eucaristico, oppure di tridui, ottavari, centenari e altre consimili celebrazioni straordinarie indette dall’Ordinario); per chi segue dunque il messale del 1962, tanto la messa votiva pro re gravi, quanto la messa votiva “del Santuario”, essendo ambedue di II classe, vanno cantate senza il Credo.

Nelle precedenti righe si è trattato essenzialmente dei casi principali in cui può imbattersi l'organizzatore di pellegrinaggi: la casistica delle messe votive è molto variegata e complessa e non è certo esaurita da tale trattazione, che non menziona ad esempio le messe degli sposi, le messe votive permesse il primo giovedì (in onore di Cristo Sommo Sacerdote) e il primo venerdì (in onore del S. Cuore) del mese ove si tengano particolari esercizi di pietà, le solennità esterne, gli anniversari, etc. etc. Tuttavia, i lineamenti generali e i principi fondamentali sono stati espressi con chiarezza.

Confidando nell’ampio accoglimento tanto delle norme cogenti quanto dei principi di buonsenso testé espressi, ci permettiamo in ultima istanza di segnalare come il culto liturgico sia scandito temporalmente da un Calendario, ovvero da un Proprio del Tempo e da un Proprio dei Santi, il cui armonico disporsi lungo l’anno costituisce un ripercorrersi della Storia della Salvezza cui l’atto liturgico è imprescindibilmente legato. Perciò, a nostro modesto avviso, fatta salva la sussistenza di peculiari necessità, non dovrebbe indiscriminatamente preferirsi la celebrazione delle messe votive a quella delle messe del giorno, sibbene effettuarsi una ponderata valutazione, che tenga conto anche del Calendario particolare della Diocesi e della Chiesa in cui si celebra la messa (5), affine di celebrare la messa che risponda maggiormente allo spirito della Sacra Liturgia.

La messa del giorno celebrata in occasione di un pellegrinaggio alla Basilica della Salute in Venezia

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NOTE

1. Questo dà origine a una commistione tra il culto privato e il culto pubblico, non rispettando la superiorità che quest’ultimo deve avere sul primo; tale confusione di piani può portare a scivolare nell’eresia pietistica, che porta a considerare la devozione privata come superiore al culto pubblico e ufficiale della Chiesa.

2. "Ne' sabati non impediti da una festa doppia o semidoppia, da un'ottava, una vigilia, una feria di Quaresima o delle Quattro Tempora, o dall'ufficio di una Domenica sopravanzata traslato nel sabato antecedente, si dice la messa di santa Maria secondo la diversità dei tempi, come indicato nel messale".

3. Sono invece proibite, senza esplicito indulto, le messe votive dei beati.

4. "Le messe votive cantate, anche per causa non grave, sono permesse ogniqualvolta non occorra un officio doppio, o una qualche Domenica, pur anche anticipata o, per quanto concerne l'Ufficio, riposta; [...] Sono invece proibite: 1) Il mercoledì delle Ceneri e nelle ferie della Settimana Santa; 2) Nelle vigilie di Natale, Epifania e Pentecoste; 3) Fra l'ottave del Natale, dell'Epifania, della Pasqua, dell'Ascensione, di Pentecoste e del Corpus Domini, e fra l'altre ottave privilegiate del luogo; 4) Nei giorni d'ottava semplice, ancorché siano soltanto commemorati; 5) Nei giorni in cui si riassume per la prima volta la messa di una Domenica impedita; 6) Nelle chiese ove si tiene una sola messa, nei giorni delle Rogazioni, qualora si faccia la processione, e dove viga obbligo di messa conventuale, che non può esser soddisfatto da altri sacerdoti."
Trattasi di un sunto delle istruzioni contenute in Additiones et Variationes in rubricis Missalis Romani, II, riportato in Kalendarium liturgicum in Archidioecesi Cracoviensi A.D. 1923 servandum.

5. In alienis ecclesiis vel oratoriis Missa regulariter debet omnino convenire cum Officio loci, non autem celebrantis. Di ciò si deve tener conto anche nel considerare se sia possibile dire una messa votiva: oggi 17 luglio è sicuramente possibile dire una messa votiva ove si celebra S. Alessio, che è di rito semidoppio, ma non già a Venezia, ove celebrasi la Traslazione di S. Marina con rito doppio maggiore.

venerdì 12 luglio 2019

Pellegrinaggio a Lazfons il 27 luglio

Una Voce Bolzano organizza anche quest'anno il secondo pellegrinaggio al Santuario della S. Croce di Lazfons, sopra Chiusa (BZ), che pregiasi d'essere il più alto d'Europa (2.311 metri sovra il livello del mare).

Il pellegrinaggio è previsto per sabato 27 luglio p.v., con partenza alle ore 7.45 dal parcheggio di Kühhof sopra Lazfons. Alle ore 11 il rev. don Paolo Crescini, parroco di Salorno, canterà la messa in rito tradizionale all'altare del Santuario.

È gradita conferma della partecipazione, particolarmente per la possibilità di partecipare al pranzo che seguirà la liturgia. Quanti non riuscissero a completare l'intero percorso del pellegrinaggio a piedi, ovvero non fossero in grado di presentarsi al punto di ritrovo all'orario stabilito, possono percorrere in auto parte del tragitto, sino al rifugio di Chiusa/Klausnerhütte. È richiesta, per usufruire di tale possibilità, comunicazione tempestiva entro il 15 luglio, affin d'ottenere il necessario permesso dalla Guardia Forestale.

Contatti:
unavocebozen@yahoo.it
+39 338 170 2367 (Enea Capisani)