giovedì 21 dicembre 2017

Tempora Adventus - I sermone di S. Bernardo sopra il "Missus est"

I sermoni di san Leone "sul digiuno del decimo mese" sottolineano i riferimenti agricoli di questo digiuno. Questo riferimento appare ancora nei formulari del leoniano, ma in essi è accompagnato già da un'allusione alla prossima venuta di Cristo. Benché qualche orazione sia stata ritoccata a questo scopo, i formulari gelasiani non sono ancora sistematicamente conformati al nuovo tempo dell'avvento. La cosa è compiuta nella nuova scelta di orazioni che appare con il gregoriano e che è riprodotta nel messale romano. L'assimilazione è totale per le letture e i canti, tutti fissati già nei più antichi documenti.
Le letture delle Messe sono tolte da Isaia. Alle sette pericopi che si leggono ancora, si aggiungeva una volta Is. 42, 1-9 che è stato poi sostituito da Dan. 3. L'epistola del sabato (II Tess., 2, 1-8), che tratta della parusia non è stata scelta forse per questo motivo, ma per il versetto 8 che cita Is. 11, 4.
Come le letture di Isaia, anche i Vangeli si riferiscono alla venuta di Cristo nella carne.
Alcune parti in canto sono tolte dalle letture di Isaia oppure da Zaccaria. Le altre sono tolte dal salterio. Accanto ad estratti isolati dei Sal 23,118 e 144, alcuni salmi sono stati usati sistematicamente per le loro allusioni alla venuta di Dio, e la parte comune di questi estratti indica il passo sul quale è messo l'accento. Il Sal 18, salmo d'introito del mercoledì, ha fornito tre antifone al sabato (parte comune, il versetto 7a). Il Sal 84 ha dato due antifone al venerdì (parte comune, il versetto 8). Il Sal 79, salmo d'introito del sabato, ha dato a questo giorno quattro antifone (parte comune, il versetto 3).

Particolarmente nota è la liturgia del mercoledì di queste Tempora: nel Mattutino la Chiesa non legge nulla del profeta Isaia, come aveva invece fatto per tutto il resto del tempo di Avvento; si contenta di ricordare il passo del Vangelo di san Luca nel quale è narrata l'Annunciazione della Santa Vergine, e legge quindi un frammento del Commento di sant'Ambrogio su questo stesso passo. La scelta di questo Vangelo, che è lo stesso della Messa, secondo la usanza di tutto l'anno, ha dato una particolare celebrità al Mercoledì della terza settimana di Avvento. Si può vedere, da antichi Ordinari in uso presso parecchie e insigni Chiese, tanto Cattedrali che Abbaziali, come si trasferissero le feste che cadevano in questo Mercoledì; come non si dicessero in tale giorno in ginocchio le preghiere feriali; come il Vangelo Missus est, cioè quello dell'Annunciazione, fosse cantato nel Mattutino dal Celebrante rivestito d'una cappa bianca, con la croce, i ceri e l'incenso, e al suono della campana maggiore; e come, nelle Abbazie, l'Abate dovesse tenere una omelia ai monaci, allo stesso modo che nelle feste solenni.

Proprio grazie a questa usanza, siamo in possesso di quegli splendidi trattati omiletici che sono i Sermoni supra "Missus est" di S. Bernardo abate di Chiaravalle, di cui riportiamo il primo.


SERMONI SOPRA L'EVANGELO "MISSUS EST"
del Mellifluo Dottore e ultimo de' Padri, S. Bernardo, Abate di Chiaravalle

SERMONE I

1. Perché mai l’Evangelista ha voluto indicare tante cose con il loro nome in questo passo? Credo che l’abbia fatto perché noi non trascurassimo nulla di quanto egli con tanta diligenza si è studiato di raccontare. Nomina infatti il Nunzio che viene inviato e il Signore da cui fu mandato, la Vergine alla quale è mandato, e anche lo Sposo della Vergine, la discendenza di entrambi, la loro città e la loro regione. E questo perché? Pensi forse che siano indicazioni superflue? No, certamente. Se infatti non cade una foglia senza una ragione, né cade sulla terra un passero all’insaputa del Padre celeste, potrei io forse pensare che dalla bocca del santo Evangelista sia uscita una parola superflua, specialmente nel racconto della storia sacra del Verbo (incarnato)? Non lo penso. Tutte quelle parole infatti sono piene di profondi misteri e spandono una celeste soavità, a condizione che uno le mediti con diligenza e sappia succhiare il miele dalla roccia (Dt 32, 13). In verità, in quel giorno i monti hanno stillato dolcezza, e i colli fecero scorrere latte e miele (G13, 18; Es 3, 8) quando dall’alto dei cieli stillava la rugiada e le nubi piovevano il giusto e la terra si apriva, germogliando con letizia il Salvatore (Is 45, 8; 35, 2); quando, manifestando il Signore la sua benignità, e dando la nostra terra il suo frutto, su quel monte eccelso, pingue e ferace, la misericordia e la verità si incontrarono, la giustizia e la pace si baciarono (Sal 84, 13. 11; 67, 16). Pure in quel tempo, questo beato Evangelista, uno, e non piccolo, tra gli altri monti, con il mellifluo linguaggio ci ha descritto il desiderato inizio della nostra salvezza e, quasi investito dal vento caldo (austro) e dai raggi del Sole di giustizia, ormai vicino a nascere ha sparso il profumo di celesti aromi. Si degni ancora Dio di mandarci la sua parola e spanda anche per noi; faccia soffiare il suo spirito, e ci renda intelligibili le parole del Vangelo: siano esse al nostro cuore più desiderabili che l’oro e le pietre molto preziose, e ci diventino anche più dolci che un favo di miele.

2. Dice dunque: L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio (Lc 1, 26). Non penso che questo Angelo sia di quelli inferiori, di quelli che sogliono di frequente portare annunzi dal cielo alla terra; ciò si deduce chiaramente dal suo stesso nome che significa Fortezza di Dio, e dal fatto che egli non viene mandato da un altro Angelo a lui superiore, ma viene detto mandato da Dio stesso. Perciò l’Evangelista ha precisato: Fu mandato da Dio; ovvero ha detto: Da Dio perché non si pensasse che Dio aveva rivelato il suo disegno a qualcuno degli spiriti beati, prima che alla Vergine, fatta eccezione per l’arcangelo Gabriele che tanto eccelleva tra i suoi compagni da apparire degno del suo nome, e degno di portare tale messaggio. Del resto al messaggio si adattava il suo nome. A chi infatti meglio conveniva annunziare Cristo, che è la virtù di Dio, se non a lui, il cui nome significava la stessa cosa? Forza di Dio è infatti lo stesso che virtù di Dio. Né disdice o è sconveniente chiamare con lo stesso nome il Signore e il suo messaggero, sebbene il medesimo nome sia attribuito per diversa ragione all’uno e all’altro. Cristo difatti è chiamato fortezza o virtù di Dio in senso diverso dall’Angelo: questi è detto virtù di Dio solo per partecipazione Cristo invece è tale per essenza, ed è lui che, più forte di quel forte armato che era solito custodire indisturbato la sua casa, venne a debellarlo con la sua potenza e così gli strappò la preda che teneva in suo potere. L’Angelo invece è stato chiamato fortezza di Dio, o perché ha meritato il privilegio di annunziare la venuta di questa Virtù di Dio, o per il fatto che doveva confortare la Vergine, per natura timorosa, semplice e vereconda perché non si spaventasse per la novità del miracolo; ciò che egli fece. «Non temere, o Maria, disse, hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1, 30). Si può anche ragionevolmente credere che sia lo stesso Angelo, anche se l’Evangelista non lo nomina, che ha confortato lo sposo di Maria, anche lui uomo umile e timorato. Giuseppe, gli dice, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa (Mt 1, 20). È pertanto conveniente che a Gabriele sia affidato questo compito; anzi appunto perché gli è imposto tale ufficio gli sta bene il nome con cui è chiamato.

3. Fu dunque mandato da Dio l’Angelo Gabriele (Lc 1, 26). Dove? In una città della Galilea chiamata Nazaret. Vediamo se da Nazaret, come dirà Natanaele (Gv 1, 46), può venire qualcosa di buono. Nazaret significa fiore. A me sembra che le parole e le promesse fatte da Dio ai Padri, Abramo cioè, Isacco e Giacobbe siano state come un seme della rivelazione divina gettato dal cielo sulla terra, del quale seme è scritto: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un seme, saremmo diventati come Sodoma e simili a Gomorra (Is 1, 9). Questo seme fiorì nelle meraviglie operate da Dio quando Israele uscì dall’Egitto, nelle figure e simboli misteriosi che lo accompagnarono durante tutto il viaggio per il deserto fino alla terra promessa, e in seguito nelle visioni e nei vaticini dei Profeti e nell’ ordinamento del regno e del sacerdozio fino all’ avvento di Cristo. Non a torto Cristo è considerato come frutto di questo seme e di questi fiori, secondo le parole di Davide: Il Signore elargirà il suo bene, e la nostra terra darà il suo frutto (Sal 84, 13); e ancora: Un frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Sal 131, 11). In Nazaret dunque viene annunziata la nascita di Cristo, perché nel fiore c’è la speranza del frutto. Ma, spuntato il frutto, il fiore cadde, perché apparendo la verità nella carne, la figura scomparve. Perciò è detto che Nazaret è una città della Galilea, cioè una città di passaggio, perché alla nascita di Cristo sono passate tutte quelle cose che ho detto sopra, le quali, come dice l’Apostolo «erano accadute loro come figure» (1 Cor 10, 11). Anche noi, che ormai possediamo il frutto, vediamo che quei fiori sono caduti; e mentre ancora si vedevano fiorire, si prevedeva che sarebbero passati. Per questo dice Davide: come l’erba che germoglia al mattino, che al mattino fiorisce e germoglia, e alla sera è falciata e dissecca (Sal 89, 6). Alla sera, cioè quando venne la pienezza dei tempi, in cui Dio mandò il suo Unigenito, fatto da donna, fatto sotto la legge, secondo ciò che ha detto: Ecco,faccio nuove tutte le cose (Ap 21, 5), le cose vecchie passarono e scomparvero, a quel modo che, appena il frutto comincia a crescere, i fiori cadono e inaridiscono. Per cui è ancora scritto: Seccò l’erba, e cadde il fiore; ma la Parola del Signore rimane per sempre (Is 40, 8).

4. Cristo pertanto è il buon frutto che rimane in eterno. Ma dov’è l’erba che è seccata? Risponda il Profeta: Ogni carne èfzeno (erba), e tutta la sua gloria è come ilfiore dell’erba (Is 40, 6). Se ogni carne è erba, dunque fu erba quel popolo carnale dei Giudei. Non è forse seccata l’erba, mentre quel popolo, vuoto di ogni contenuto spirituale, si contentò dell’arida lettera? Se non è caduto il fiore, dov’è dunque il regno, dove il sacerdozio, dove sono i Profeti, il tempio, dove infine quelle meraviglie di cui soleva gloriarsi dicendo: « Quanto abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato (Sal 77, 3). E ancora: le cose che ha comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli (ivi 5)? Questo per spiegare perché sia stato detto:...a Nazaret, città della Galilea.

5. In questa città fu dunque mandato da Dio l’Angelo Gabriele. A chi fu mandato? Ad una Vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe (Lc 1, 27). Chi è questa Vergine così venerabile da essere salutata da un Angelo, e così umile da essere sposa di un falegname? Bel connubio della verginità con l’umiltà; molto piace a Dio quell’anima in cui l’umiltà dà pregio alla verginità, e la verginità adorna l’umiltà. Ma di quanta venerazione pensi che sia degna colei nella quale l’umiltà è esaltata dalla fecondità, e la maternità consacra la verginità? La senti proclamare vergine, la senti umile; se non puoi imitare la verginità dell’umile, imita l’umiltà della vergine. È virtù lodevole la verginità, ma è più necessaria l’umiltà. La prima è consigliata, l’altra è comandata. Alla prima sei invitato, alla seconda sei obbligato. Della verginità è detto: Chi può comprendere, comprenda» (Mt 19, 12); dell’umiltà è detto: Se non diventerete come questo bambino non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18, 3); alla prima è promessa una ricompensa, la seconda è di stretta necessità. Insomma, puoi salvarti senza verginità; senza umiltà non lo puoi. Può, dico, piacere l’umiltà che rimpiange la verginità perduta; ma senza umiltà oso dire che neppure la verginità di Maria sarebbe stata gradita a Dio: Su chi, dice, si poserà il mio Spirito, se non sull’umile e compunto di cuore? (Is 66, 2). Sull’umile, ha detto, non sul vergine. Se dunque Maria non fosse stata umile, non sarebbe disceso in lei lo Spirito Santo. E se non fosse disceso in lei lo Spirito Santo, neppure avrebbe concepito per opera di Lui. Come infatti avrebbe concepito da Lui senza di Lui? È dunque chiaro che, perché essa concepisse per opera dello Spirito Santo, Dio, come essa confessa, ha riguardato l’umiltà della sua serva (Lc 1, 48), piuttosto che la sua verginità, concepì però per la sua umiltà. Anzi, è chiaro anche che se la verginità piacque, certamente fu in vista della sua umiltà.

6. Che ne dici tu che ti insuperbisci della tua verginità? Maria, dimentica di sé, si gloria della sua umiltà; e tu, trascurando l’umiltà ti vanti della tua verginità? Dio, dice Maria, ha guardato l’umiltà della sua serva. E chi è questa serva? Una vergine santa, sobria, devota. Sei forse tu più casto di lei? più devoto? O forse la tua pudicizia è più gradita della castità di Maria, di modo che per renderti accetto a Dio senza umiltà ti basti la tua, mentre a Maria non bastò la sua? Infine, quanto più sei degno di onore per il singolare dono della castità, tanto maggior danno fai a te stesso per il fatto che ne deturpi lo splendore mescolandola con la superbia. Al punto che ti converrebbe piuttosto non essere vergine che insolentire a causa della tua verginità. Non è di tutti la verginità; molto di meno sono quelli che con essa hanno l’umiltà. Se dunque non puoi se non ammirare la verginità in Maria, studiati di imitarne l’umiltà, e per te è sufficiente. Che se sei anche vergine, e sei anche umile, chiunque tu sia, sei davvero grande.

7. Ma c’è ancora una cosa da ammirare in Maria, la verginità unita alla fecondità. Non si è mai sentito dire che una donna fosse insieme madre e vergine. Oh, se riflettessi anche di chi è madre, fin dove salirebbe la tua ammirazione per la sua grandezza? Non ne concluderesti che la tua ammirazione non potrà mai essere adeguata? Non la giudicherai forse, anzi la Verità stessa non la giudicherà degna di essere esaltata al di sopra degli stessi cori Angelici, lei che ha avuto Dio per figlio? Non osa forse Maria chiamare figlio colui che è Dio, e Signore degli Angeli? Dice infatti: Figlio, perché ci haifatto così? (Lc 2, 48) Quale degli Angeli oserebbe fare questo? È sufficiente per essi, e lo considerano già un grande onore, il fatto che, essendo spiriti per natura, li abbia Dio gratificati col farli e chiamarli Angeli, come dice Davide: Fa degli Spiriti i suoi Angeli (Sal 103, 4). Invece Maria, riconoscendosi Madre, chiama con fiducia figlio suo quella Maestà a cui gli Angeli servono. Né Dio disdegnò di essere chiamato quello che si degnò di farsi. Infatti poco appresso soggiunge l’Evangelista: Ed era sottomesso a loro (Lc 2, 51). Chi? A chi? Dio agli uomini: Dio, dico, al quale stanno sottomessi gli Angeli, al quale obbediscono i Principati e le Potestà, era sottomesso a Maria; e non solo a Maria, ma per Maria anche a Giuseppe. Ammira dunque l’una e l’altra cosa, e vedi tu cosa sia più degna di stupore, o la benignissima degnazione del Figlio, o l’eccellentissima dignità della Madre. Doppio motivo di meraviglia, doppio miracolo, e che Dio si faccia obbediente a una donna, umiltà senza esempio, e che una donna comandi a Dio, eccellenza senza uguale. A lode delle vergini si canta come di un loro privilegio che seguono l’agnello ovunque vada (Ap 14, 4). Di quali lodi sarà pertanto degna colei che anche gli va innanzi?

8. Impara, uomo, ad obbedire; impara, terra, a sottometterti; impara o polvere a ottemperare. Parlando del tuo Creatore l’Evangelista dice: Ed era loro sottomesso (Lc 2, 51) , a Maria cioè e a Giuseppe. Arrossisci, superba cenere! Dio si umilia, e tu ti esalti? Dio si sottomette agli uomini, e tu, bramoso di dominarli, ti metti avanti al tuo Creatore? Dio volesse che, quando penso tali cose, Egli si degnasse di rispondermi come quando sgridò l’Apostolo Pietro: Vattene da me, Satana, perché non pensi secondo Dio (Mt 16, 23). Perché tutte le volte che desidero di comandare agli uomini, mi sforzo di precedere il mio Dio, e allora veramente non penso secondo Dio. Di lui è detto infatti: Era loro sottomesso. Se non disdegni, o uomo, di imitare l’esempio di un uomo, certamente non sarà cosa indegna dite seguire il tuo Creatore. Forse non potrai seguirlo dovunque vada: accetta per lo meno di seguirlo mentre Egli scende a te. Cioè, se non puoi praticare la via sublime della verginità, segui Dio almeno per la via sicurissima dell’umiltà. Anche le vergini, se dovessero deviare da questa via retta, neppure esse, a dir vero, seguirebbero l’Agnello dovunque va. Segue l’Agnello colui che è umile, ma è impuro, lo segue chi è vergine, ma superbo, ma nessuno dei due può dire di seguirlo dovunque va, perché il primo non può seguire nel suo candore l’Agnello senza macchia, né il secondo si degna di scendere alla mansuetudine del medesimo Agnello che restò muto non solo davanti ai tosatori, ma ai suoi uccisori. Tuttavia sceglie la via più salutare il peccatore che segue Cristo nell’umiltà, che non chi si insuperbisce per la verginità, perché quello è purificato dalla sua immondezza mediante l’umiltà, mentre alla pudicizia di questo porta pregiudizio la sua superbia.

9. Ma felice Maria, cui non mancò né l’umiltà, né la verginità. E una verginità singolare, a cui la maternità non portò offesa, ma onore; e pure una umiltà speciale che non fu tolta, ma elevata dalla verginità feconda; una fecondità del tutto incomparabile, accompagnata dalla verginità e dall’umiltà. Quale di tutte queste cose non è meravigliosa? Quale non incomparabile? Quale non singolare? Farebbe meravigliare se tu non esitassi nell’esprimere il tuo pensiero, se cioè stimi più degna di ammirazione la stupenda fecondità in una vergine, o l’integrità in una madre, o la sublimità della Prole, o l’umiltà in una persona così eccelsa. Ma senza dubbio alle singole qualità è da preferirsi l’insieme di tutte, ed è incomparabilmente più bello e più felice il considerarle tutte riunite nella medesima persona di Maria. E quale meraviglia se Dio, che si legge e si vede ammirabile nei suoi Santi, si è dimostrato più ammirabile nella sua Madre? Venerate dunque, o coniugi, l’integrità in una carne corruttibile; ammirate anche voi, sacre vergini, la fecondità nella vergine; imitate, uomini tutti, l’umiltà della Madre di Dio. Onorate, Angeli santi, la Madre del vostro Re, voi che adorate la Prole della nostra Vergine, che è nostro e vostro Re, riparatore del nostro genere umano, restauratore della vostra città. A Lui, così sublime tra di voi, fattosi così umile tra noi, salga da voi e da noi la riverenza dovuta alla sua dignità e l’onore e la gloria dovuti dalla sua degnazione nei secoli dei secoli. Amen.

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