mercoledì 15 maggio 2019

San Giovanni Nepomuceno, ieromartire

IN SANCTA PATRIARCHALI PRIMATIALI
METROPOLITANA ARCHIDIOECESI VENETIARVM

16 maji
S. Joannis Nepomuceni
presbyteris et martyris
Cleri et Civitatis Venetiarum patroni 


duplex majus - paramenta rubra - missa propria "Dedit mihi" 
2a oratio de S. Ubaldo Ep. et Conf. - Gloria - praef. paschalis

***

Giovanni di Nepomuk, secondo le cronache, nel 1393 era vicario generale dell'arcidiocesi di Praga e che il 20 marzo dello stesso anno, su ordine di re Venceslao IV di Boemia, fu gettato nella Moldava e vi affogò.

Giovanni era il figlio di Velflin, un cittadino di Pomuke. Compiuti studi in utroque jure prima  Praga e poi a Padova, divenne canonico a Sant’Egidio di Praga nel 1389 e poi parroco della Chiesa di San Gallo, canonico della cattedrale di San Vito e arcidiacono di Saaz. Dopodiché, l’arcivescovo di Praga lo volle come vicario generale, e in questa qualità egli si oppose a re Venceslao IV di Boemia, Imperatore del Sacro Romano Impero, il quale aveva vietato di nominare un novo abate per il monastero di Kladruby, dopo la morte del precedente, per installarvi un proprio favorito. Venceslao rispose ordinando l'imprigionamento del vicario generale, del vicario della cattedrale, il prevosto Venceslao di Meissen, dell'assistente dell'arcivescovo e successivamente anche del decano dei canonici della cattedrale. I quattro furono anche torturati il 4 marzo e tre di loro furono indotti a cedere alle richieste del re; Giovanni tuttavia resistette fino all'ultimo. Gli fu fatto subire ogni tipo di tortura, inclusa la bruciatura dei fianchi con torce, ma neppure questo lo indusse all'obbedienza. Alla fine, il 20 marzo 1393, il re ordinò di metterlo in catene, condurlo attraverso la città e gettarlo nel fiume Moldava. Tale vicenda è rinovellata nel documento di accusa contro il re, presentato a papa Bonifacio IX il 23 aprile 1393 dall'arcivescovo Giovanni di Jenštejn, che andò a Roma con il nuovo abate di Kladruby. Il luogo della sua esecuzione, sul Ponte Carlo, è luogo di venerazione e viene ricordato da una lapide. Secondo la credenza popolare toccando la lapide con la mano sinistra si avrà fortuna per i successivi 10 anni.

Alcuni annali storici scritti 60-80 anni dopo la sua morte attribuiscono il martirio a cause molto diverse. Secondo questa tradizione Giovanni Nepomuceno sarebbe anche stato confessore della regina Giovanna di Baviera ed il re, avendo dei dubbi sulla fedeltà della stessa, gli aveva chiesto di rivelare quanto detto in confessione dalla regina. Giovanni non aveva accettato di violare il segreto delle confessioni e perciò venne fatto gettare nella Moldava, dove annegò. Il mattino seguente il corpo venne ritrovato sulle rive del fiume circondato da una strana luce; ciò sarebbe accaduto il 16 maggio del 1383. Questa versione divenne di gran lunga la più popolare, e S. Giovanni Nepomuceno fu eletto a speciale patrono del clero di molte città (tra cui quella di Venezia), e venerato quale martire del sigillo sacramentale della Confessione. Questo condizionò anche la sua rappresentazione iconografica: è spesso raffigurato con l'abito dei canonici (veste talare, cotta, almuzia e berretta), la palma del martirio e, talvolta, il crocifisso; porta un'aureola con cinque stelle in ricordo di quelle che, secondo la leggenda, apparvero quando venne gettato nella Moldava; in genere è raffigurato con il dito sulle labbra, a ricordare il sigillo sacramentale, ed è accompagnato da un angelo nel medesimo atteggiamento.

Sono stati rinvenuti quattro documenti contemporanei che concernono il martirio del Nepomuceno.
  • Il documento di accusa contro il re, presentato a papa Bonifacio IX il 23 aprile 1393 dall'arcivescovo Giovanni di Jenštejn che andò a Roma con il nuovo abate di Kladruby.
  • Pochi anni più tardi l'abate Ludolf di Sagan lo elenca sia nel catalogo degli Abati di Żagań (Sagan)[4] completato nel 1398, che nel trattato De longævo schismate, lib. VII, c. xix.
  • Un quarto riscontro documentario è fornito dal Chronik des Deutschordens, una cronaca dei Cavalieri dell'Ordine Teutonico che fu compilata da Giovanni di Posilge, che morì nel 1405.
  • L'arcivescovo Giovanni di Jenštejn, nella sua accusa summenzionata (all'art. 26), chiama Giovanni di Nepomuk, "santo martire"; nella biografia di Jenštejn, scritta dal suo cappellano, Giovanni di Nepomuk è descritto come gloriosum Christi martyrem miraculisque coruscum.

È chiaro che i suoi contemporanei già avevano cominciato a onorare come martire e santo il vicario generale messo a morte dal monarca per aver difeso la legge e l'autonomia della Chiesa cattolica. Ciò, inoltre, rende verosimile il fatto che il corpo di Giovanni Nepomuceno sia stato recuperato sulle rive della Moldava e seppellito nella cattedrale di Praga, dove infatti, com'è provato da documenti più tardivi, veniva venerato. Nella sua Chronica regum Romanorum, completata nel 1459, Tommaso Ebendorfer (d. 1464) riferisce che il re Venceslao aveva affogato nella Moldava il sacerdote confessore di sua moglie, indicato come Magister Jan, perché aveva affermato che «...solamente colui che governa bene è degno del nome di Re» e si era rifiutato di violare il segreto della confessione. Questa è la prima fonte che indica come motivo della condanna a morte il rifiuto della violazione del segreto confessionale. Il cronista che parla di un solo Giovanni, affogato su ordine del re Venceslao, evidentemente si riferisce al Giovanni di Pomuk messo a morte nel 1393. Nelle altre cronache scritte nella seconda metà del XV secolo troviamo regolarmente, come motivo dell'esecuzione di Giovanni, l'aver rifiutato di riferire al re quello che la regina aveva detto in confessione.

Il testo Istruzioni per il Re di Paolo Žídek (sc. Giorgio di Podebrady), completato nel 1471, contiene ancora maggiori dettagli. Vi si afferma che il re Venceslao sospettava di sua moglie, che era solita confessarsi da Magister Jan, e aveva fatto appello a quest'ultimo per ottenere il nome del suo amante. Il re ordinò che Giovanni fosse affogato per il suo rifiuto di parlare.

In queste antiche cronache non viene indicato il nome della regina o alcuna data dell'avvenimento. Nel 1483 il decano della cattedrale di San Vito, Giovanni di Krumlov, indica come data della morte del santo il 1383, anno in cui era ancora in vita la prima moglie di Venceslao, Giovanna (che morì nel 1389). Potrebbe trattarsi di un errore di trascrizione.

Nel suo Annales Bohemorum lo storico boemo V. Hájek di Libočany (morto nel 1553), è il primo a parlare di due Jan di Nepomuk, che furono messi a morte per ordine del re Venceslao: uno, il confessore della regina martirizzato per essersi rifiutato di violare il segreto confessionale, fu gettato nella Moldava nel 1383; l'altro, ausiliare Vescovile di Praga, venne affogato nel 1393 perché aver confermato l'elezione del monaco Albert come Abate di Kladruby.

Gli storici del sedicesimo e diciassettesimo secolo danno dettagli più leggendari del martirio universalmente accettato di Giovanni perché si rifiutò di violare il segreto confessionale. Bohuslav Balbinus, S.J., nel suo Vita b. Joannis Nepomuceni martyris fornisce il resoconto più completo. Vi si riferisce con molti dettagli come il 16 maggio 1383 (questa data già era stata riportata in cronache più antiche) Giovanni di Nepomuk, poiché si rifiutò di rivelare al re le confessioni della Regina Giovanna, fu gettato nella Moldava per ordine del sovrano ed affogò.

Secondo Venceslao Hajek di Libocany, storico boemo del Cinquecento, esistettero due personaggi distinti con lo stesso nome, il predicatore di corte che venne ucciso nel 1383 per non aver rivelato le confessioni della regina e l'ausiliario vescovile di Praga, che venne fatto uccidere nel 1393 per aver confermato l'elezione dell'Abate di Kladruby Alberto, in contrasto con il volere del monarca. In tempi successivi gli storici hanno ritenuto più probabile l'esistenza di un unico personaggio storico, il vicario-generale assassinato nel 1393 e che la controversia sia nata per un errore del decano della cattedrale di San Vito, Giovanni di Krumlov, che nel 1483 trascrisse per errore il 1383 come data della morte del santo.

Dopo la canonizzazione del Nepomuceno il suo culto si diffuse rapidamente anche a Venezia: come detto, fu eletto patrono del clero della città, e anche i gondolieri lo venerano come proprio patrono. Una statua, attribuita a Giovanni Marchiori è presente sul Canal Grande all'imbocco del canale di Cannaregio: molte statue dedicate al Santo erano infatti erette in prossimità dei fiumi, a ricordare il suo martirio.
Nel sestiere di San Polo, nella chiesa omonima, sopra l'entrata, vi è un lunettone ad affresco (purtroppo mutilo) raffigurante San Giovanni Nepomuceno; nella stessa chiesa è conservata nella cappella dedicata al santo la pala d'altare di Giambattista Tiepolo raffigurante san Giovanni Nepomuceno in adorazione della Madonna col Bambino ed un'altra tela del figlio Giandomenico raffigurante il martirio del santo (quella riportata in cima all'articolo). È da annotare che in questo sestiere fino agli anni cinquanta del Novecento vi era, nel giorno della ricorrenza del santo, una fiera lungo le calli adiacenti la Chiesa di San Polo e nel campo antistante. Restando a Venezia la presenza del santo boemo è capillare in molti edifici di culto: Santi Apostoli, Santo Stefano, San Niccolò dei Mendicoli, San Geremia, San Martino, ecc. 

 Statua di S. Giovanni Nepomuceno a Venezia (Canale di Cannaregio)

Statua di S. Giovanni Nepomuceno a Praga (Ponte Carlo)

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Deus, qui ob invictum beati Joannis sacramentale silentium nova Ecclesiam tuam martyrii corona decorasti: da, ut ejus exemplo et intercessione, ori nostro custodiam ponentes, beatis, qui lingua non sunt lapsi, annumeremur. Per Dominum.

O Dio, che per via dell'invitto silenzio sacramentale del beato Giovanni hai decorato la tua Chiesa con una nuova corona del martirio: concedi che, in virtù del suo esempio e della sua intercessione, custodendo la nostra bocca, siamo annoverati tra quei beati che non commisero peccati di lingua. Per il Signor nostro...

(Colletta di S. Giovanni Nepomuceno)

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