venerdì 19 luglio 2019

Il culto di S. Elia Profeta nella tradizione occidentale

Mentre in Oriente sempre è rimasto vivo il culto dei Santi dell’Antico Testamento, onorati nella liturgia con feste loro proprie (quelle di molti profeti, ad esempio, si trovano collocate dal calendario bizantino nel mese di dicembre, per evidenziare il legame tra la loro predicazione e l’avvento del Salvatore), questi nell’Occidente hanno avuto nei secoli una minor considerazione. Certo, l’iconografia occidentale ha per secoli continuato a rappresentare scene dell’Antico Testamento, e in molti affreschi i profeti e i patriarchi attorniano l’immagine di Dio, proprio come nell’uso tradizionale russo i dodici profeti e i dodici patriarchi hanno un loro posto stabilito nella corte celeste raffigurata dall’iconostasi; certo, nel Canone Romano viene menzionata l’oblazione pura di Abele, il sacrificio di Abramo e quello del sommo sacerdote senza genealogia Melchisedec; certo, nei giorni tramandati dalla tradizione come loro transito il Martirologio Romano contiene l’elogio dei profeti e dei patriarchi. Nondimeno, possiamo notare la differenza di culto dando un semplice sguardo al Calendario liturgico: mentre dozzine di Santi della Prima Alleanza hanno una propria celebrazione liturgica nel calendario bizantino, in quello romano trovano posto solo i Fratelli Maccabei, commemorati il 1° agosto, e alcuni santi “parzialmente neotestamentari” (come li definì Silvio Tramontin), cioè i santi progenitori del Signore Gioacchino e Anna. Tale differenza si amplifica se si considera il numero di chiese dedicate ai santi veterotestamentari in Oriente, di fronte alla quasi totale assenza di esse in Occidente.

Si è parlato di quasi totale assenza, perché un’eccezione notevole c’è, ed è Venezia, che in virtù del suo stretto legame con l’Oriente ha, sin dai tempi più remoti (si consideri il Kalendarium della Chiesa Veneta dell’XI secolo), conservato il culto dei santi veterotestamentari, dedicando loro numerose chiese urbane e celebrando le loro feste. Giambattista Galliccioli, nelle sue Memorie della Chiesa Veneta, c’informa che nel 1764 il Patriarca Giovanni Bragadin avesse composto degli offici propri per i santi dell’Antica Legge venerati nelle Venezie, ma che altri testi propri fossero in uso sin dal XII secolo. Nella sua lista, il Galliccioli include S. Geremia al 1° maggio (1), S. Giobbe al 10 maggio, S. Daniele al 21 luglio, S. Samuele al 20 agosto, S. Mosè al 4 settembre, S. Simeone profeta all’8 ottobre (2), S. Lazzaro risuscitato al 17 dicembre (3). A questi si aggiunge la memoria di S. Zaccaria padre del Battista, celebrata il 5 novembre, il cui officio era stato però composto già nel 1761.

Nonostante quanto appena scritto, proprio a Venezia manca la celebrazione (così come il titolo) del santo veterotestamentario forse più venerato in tutto l’Occidente: Elia profeta. Il 20 luglio, giorno tradizionalmente ritenuto della sua morte, e sua memoria nel Martirologio Romano, a Venezia si celebra infatti con solennità la festa di S. Margherita Megalomartire d’Antiochia, parte delle cui reliquie sono custodite in città (4).

Ad aver diffuso il culto del santo profeta in Occidente, oggi patrono di molte città e paesi in tutta Europa, è stato senza dubbio l’Ordine del Carmelo, che, com’è noto, facendo rimontare l’origine del proprio ordine monastico all’esperienza eremitica iniziata proprio da Elia sul Monte Carmelo, lo venera come dux ac pater, tributandogli quotidiano onore nel proprio officio, menzionandolo nel Confiteor della messa, e celebrando la di lui solenne memoria proprio il 20 luglio.

Nel Breviario proprio dei Carmelitani Scalzi, i quali hanno recepito come base il Rito Romano, la festa, celebrata sub ritu duplici I classis cum octava communi, inizia con il Vespero festivo, nel quale ai salmi del Comune dei Confessori non Vescovi si inframmezzano antifone proprie tratte dai passi dei Libri dei Re che narrano la vita del santo profeta. Il capitolo è tratto dall’Ecclesiastico, 48, 1-2, nel quale si fa memoria della predicazione di Elia Profeta, paragonato al fuoco, e della sua parola, paragonata a una fiaccola ardente; l’inno è proprio, il Nunc juvat celsi. L’antifona al Magnificat è tratta dal profeta Malachia (4,5-6), e dice così: Ecce, ego mittam vobis Eliam Prophetam, antequam veniat dies Domini magnus et horribilis. Et convertet cor patrum ad filios, et cor filiorum ad patres eorum. Il fatto che la figura di Elia ricorra anche negli scritti profetici e sapienziali successivi è indice dell’importanza capitale di questa figura, posto nella scrittura come primus prophetarum, e nel quale molti non per nulla identificavano il Messia. L’orazione, nella sua parte elogiativa, fa memoria del miracoloso transito del Profeta, trasportato in cielo igneo curru, e che per tal motivo secondo una tradizione popolare, abbenché mai ufficialmente approvata dalla Chiesa, non sia mai morto (5). Viene poi commemorata solo l’Ottava privilegiata della Madonna del Carmine.

Oltre al già menzionato Nunc juvat celsi dei I Vespri e all’Audiat miras dei II Vespri, la pietà carmelitana dedica altri due inni al proprio capostipite: il Te magne rerum Conditor al Mattutino e il Pergamus socii tollere alle Laudi. L’antifona al Benedictus è tratta dall’epistola di S. Giacomo (5, 17-18), che magnifica Elia, homo similis nobis in passibilibus, ricordando uno dei suoi miracoli, ovvero la siccità e la successiva pioggia da lui invocate con la preghiera. La figura etimologica oratione oravit contenuta nel testo, con il verbo che viene di lì a poco ripetuto (et rursum oravit), focalizza l’attenzione sulla preghiera come elemento centrale nella vita contemplativa del monaco carmelitano. Oltre all’Ottava della Madonna del Carmine, ad laudes tantum (e nelle messe private), si commemora S. Girolamo Emiliani.

Alla Messa, l’introito è lo stesso brano di Malachia cantato ai Vespri; parimenti, la lezione è un’estensione del brano sapienziale impiegato come Capitolo. Il Graduale è tolto dal salmo 144, e ancora pone l’accento sull’importanza della preghiera, ricordando che il Signore prope est omnibus invocantibus eum e deprecationem eorum exaudiet et salvos faciet eos. Il carme allelujatico è invece tolto dal terzo libro dei Re (18, 36. 38), ed è costituito dalle parole (Domine Deus, ostende hodie quia tu es Deus Israel, et ego servus tuus) pronunziate da Elia profeta per supplicare il Signore di mostrare la sua potenza, cosa ch’Egli farà, talché cecidit ignis Domini, et voravit holocaustum. Il Vangelo è chiaramente quello della Trasfigurazione, in cui appunto Elia appare insieme a Mosè sul Tabor per affiancare la luminosa manifestazione della Divinità del Salvatore. All’offertorio è cantato per antifona il brano di S. Giacomo impiegato alle Laudi, mentre l’orazione sopra le oblate mette in correlazione l’olocausto dedicato a Dio da Elia (cfr. III Re 18,38) con il sommo sacrificio di Cristo.

Il Canone è introdotto dal Prefazio proprio del Santo Profeta, elegante panegirico che magnifica le imprese del santo, in virtù della cui parola caelum continuit, mortuos excitavit, tiranno percussit, sacrilegos necavit, vitaeque monasticae fondamenta constituit, e prosegue narrandone con ispirati verbi il suo miracoloso transito, e lo esalta quale Praecursor venturus secundi adventus Jesu Christi Domini nostri. L’antifona della Comunione è tolta anch’essa dal terzo libro dei Re (19, 8), in cui Elia si rifocilla prima di ascendere al monte di Dio: il paragone che s’instaura è sublime, nella misura in cui il monaco comedit et bibit il Corpo e il Sangue di Cristo, Sacramento eccelso che lo conduce alla vetta spirituale. Tale comparazione è pressoché esplicitata dall’orazione dopo la Comunione.

Ai II Vespri le antifone sono diverse da quelle dei primi, pur mantenendo il medesimo tema e sfruttando le medesime fonti. Dopo l’inno Audiat miras, per antifona viene cantato un brano del terzo libro dei Re commemorante un altro miracoloso evento della vita di Elia, quand’egli per turbinem ascende in cielo: Tulit Elias pallium suum, et percussit aquas Jordanis, quae divisae sunt in utramque partem, et transierunt ipse et Eliseus per siccum: et ascendit Elias per turbinem in caelum.

E’ interessante notare che i Carmelitani dell’Antica Osservanza, i quali hanno mantenuto invece il loro rito proprio, impiegano dei testi sostanzialmente diversi dai loro fratelli riformati per questa grande festa. L’introito è tolto dal salmo Zelo zelatus sum, come per tutti i servi devoti del Signore; nel Graduale si narra l’ascensione di Elia al Carmelo e di com’egli venne miracolosamente nutrito; il carme allelujatico, di composizione ecclesiastica, si dimanda: quis potest similiter gloriari tibi?, commemorando alcuni dei suoi più noti miracoli. L’offertorio è però uguale a quello in uso presso gli Scalzi, mentre per Communio i Calzati impiegano il brano di Malachia che i Riformati adoperano per introito.

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NOTE

 (1) Commemorato nella festa dei SS. Filippo e Giacomo Apostoli; l’ufficio era in uso solo nella parrocchiale di S. Geremia, che lo celebrava come patrono, con rito doppio di I classe. Triste è notare che lo scorso anno la Chiesa di S. Geremia, oramai nota solo perché destinata a custodia delle spoglie di S. Lucia dopo la distruzione della chiesa dedicata alla martire siracusana, ha definitivamente mutato il proprio titolo in “Santuario di S. Lucia”, venendo meno così proprio uno di quei caratteri peculiari della Chiesa Veneta, quale il culto per i santi veterotestamentari.

(2) Dal 1806, solo commemorato nella festa della Dedicazione della Cattedrale, fuorché nella chiesa di S. Giobbe in Cannaregio, ove era celebrato con rito doppio di I classe.

(3) Cristoforo Tentori, nelle sue Osservazioni sopra le Memorie del Galliccioli, contesta la classificazione di S. Lazzaro quale santo veterotestamentario, argomentando col fatto che secondo la Tradizione (“è cosa trita, e notoria”) egli fu Vescovo della Chiesa di Cristo, e pertanto la Tradizione avesse assegnato alla sua memoria alcune parti dal Comune dei Vescovi. Parimenti, giusta la retta opinione del Tentori, sono da considerarsi neotestamentari S. Marta e S. Maria Maddalena, dacché han vissuto parte della loro vita sotto la Nuova Legge, mentre i già citati santi come Simeone Profeta, S. Gioacchino, S. Anna, S. Zaccaria etc. sono da considerarsi veterotestamentari (o “parzialmente neotestamentari” per il Tramontin) perché morirono prima dell’abolizione della Vecchia Legge.

(4) San Girolamo Emiliani, santo veneziano, nel Calendario Romano al 20 luglio, nell’urbe lagunare è celebrato l’8 febbraio, giorno del suo transito.


(5) Alcuni commentatori, cercando di giustificare quest’affermazione di fede popolare, ipotizzarono ch’egli e Mosè non fossero morti perché sarebbero dipoi dovuti comparire sul Tabor al momento della Trasfigurazione, dando dunque una lettura prettamente e sanamente cristologica al fatto.

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