martedì 19 novembre 2019

Qualche strumento orientativo per l'ora presente - Traditio Liturgica

I nostri tempi procellosi non devono trovarci deboli ma motivati e forti. Il dramma, infatti, non è tanto la diffusione della negatività attorno a noi, nella società e nella Chiesa, ma quanto, a causa di ciò, potrebbe succedere in noi.

L'uomo dal cuore retto oggi potrebbe essere tentato di chiudersi in se stesso, abbandonare tutto, visto che il mondo intero pare immerso in una densa indifferenza verso le cose migliori e più alte.

Ebbene, no! Ciò non deve avvenire almeno per amor del proprio interiore benessere, quel benessere promesso da Cristo stesso il quale ha assicurato di donare una pace che il mondo non conosce (Gv 14, 27).

Certo, è necessario pagare il prezzo della fatica, della ricerca, dell'andare contro corrente. Ma uno non lo farebbe se, per caso, il premio fosse un'ingente eredità? E se lo si fa per un'eredità, che comunque non è mai in grado di saziare la propria interiorità, perché non lo si deve fare per quanto ha un più alto e grande valore?

Qui le persone si fermano perché percepiscono Dio e i beni celesti come qualcosa di irraggiungibile, di ideale o appartenente al mondo degli ideali. Non essendo qualcosa che, di fatto, li tocca finiscono, al più, nell'offrir loro un ossequio formale ma la loro esistenza è davvero lontana da tutto ciò.

Si ha un bel parlare di secolarismo che invade la Chiesa, che permea la società, della ricerca del piacere immediato alla quale oramai sono sottomessi i chierici stessi. Parlarne e accusare questo fenomeno non serve a ridimensionarlo e tanto meno a guarirlo.

A livello intuitivo qualcuno comprende che esiste un meccanismo che, nel cuore della Chiesa stessa, si è inceppato, qualcosa che pian piano nel tempo ha finito per bloccarsi, come se si avesse esposto i delicati meccanismi di un orologio ad una secolare polvere la quale, ispessendosi, ha finito per bloccare e rompere tutto.

L'intuizione sente bene, infatti, ma la ragione non arriva ancora a capire, non sa come porre rimedio al tutto, come far risvegliare la coscienza cristiana.

I tentativi nati in Occidente dalla Riforma luterana ai giorni nostri hanno fondamentalmente fatto leva su due sfere: la ragione e i sensi.

La Rivelazione portata da Cristo e testimoniata dalla Chiesa lungo i secoli è passata attraverso il filtro sempre più raffinato della ragione e la fruizione sensoriale, un bisogno di “vedere” in qualche modo il mistero, di sentirsene toccati fisicamente. Attraverso la ragione si ha “pensato” Dio fino a racchiuderlo nei limiti dei nostri angusti ragionamenti. L'ultima filosofica conseguenza è stata quella di negarne l'esistenza. Attraverso una certa percezione sensoriale si ha modellato una particolare devozione e una singolare mistica sempre più sensuale. La conseguenza ultima è stata quella di aver fatto aderire la propria interiorità a dei semplici bisogni fisici o di aver equivocato l'amore umano con l'amore divino, abbandonando il secondo per nutrirsi solo del primo, ben più accessibile e immediato. La scienza, poi, sulla base della sperimentazione legata alla constatazione fisica, ha negato il soprannaturale.

Si deve dedurre che l'ateismo teorico o pratico e la ricerca dei piaceri non sono, così, un'invenzione della cattiva società ma hanno trovato una loro prima inconscia incubazione nello stesso pensiero teologico delle accademie europee, maturato già da alcuni secoli. Non è difficile trovare letture e autori che ci confortino in tal senso.

Cos'è stato perso? Ecco la domanda fondamentale.

In questo cammino plurisecolare, al di là o assieme alle questioni più squisitamente teologiche, è mutato il concetto stesso di uomo. L'uomo moderno di questi ultimi secoli è un uomo di ragione e sensi e con questi due principi ha costruito tutta la civiltà attorno a sé. Con la ragione ha formato il diritto che regolamenta la società e la Chiesa, con i sensi ha raffinato la sua estetica nelle arti. La stessa religiosità, come dicevamo, si è modellata con questi due principi e quanto non risultava ad essi conforme è stato lentamente messo da parte.

Nella liturgia, le forme simboliche, che non si spiegano necessariamente né con la ragione né con i sensi, sono state le prime ad essere progressivamente abbandonate. Il fenomeno è emerso dapprima nel mondo protestante e poi, coerentemente, nel mondo cattolico attraverso una riforma di inaudita vastità e orgogliose pretese.

In tal modo inevitabilmente quanto ereditato è stato progressivamente livellato, abbassato, adattato per poi essere... svuotato!

Cos'è stato, allora, perso?
Semplice: il concetto di uomo tradizionalmente biblico e patristico.

Per la Bibbia e i padri, ossia i commentatori più autorevoli della Bibbia nei primi secoli, l'uomo è certamente dotato di ragione e di sensi ma, in più, è dotato di un cuore spirituale. La Rivelazione apportata da Cristo è convenientemente abbordabile solo attraverso quest'ultimo perché spesso sfugge alla ragione e, a maggior ragione, ai sensi.

Il cuore spirituale non è una metafora, un modo di dire, ma corrisponde all'interiorità umana più profonda, la sede dell'intuizione, potremo dire. Così, quando Cristo parla di “cuore di pietra” e “cuore di carne”, intende che, all'origine, prima di riceverne la possibilità, tutti hanno un “cuore di pietra”, ossia insensibile alla Rivelazione, incapace di esserne esistenzialmente toccati.

È assurdo pensare che una “migliore” spiegazione razionale potrà attirare le persone al Vangelo, esattamente com'è assurdo credere di far leva sui sentimenti o sui sensi per ottenere il medesimo scopo. La Rivelazione è il Dio che agisce nell'interiorità umana e, pur mantenendo il mistero, fa sentire la sua ineffabile presenza.

Di conseguenza san Paolo parla di “uomo spirituale” o interiore e lo contrappone all'uomo secolare o “carnale”. La durezza con cui san Paolo condanna chi si dà alle mollezze e alla dissoluzione morale nasce proprio dalla constatazione che, così facendo, si rende sempre più insensibile la propria interiorità. È tutt'altro che moralismo, dunque!

Quanto si definisce con il termine “ascesi”, ossia la fuga dalla mondanità e la pratica dei comandamenti e della preghiera, ha senso tanto in quanto opera un risveglio di questa interiorità, una sua sensibilizzazione attraverso la quale “fiumi di acqua viva sgorgheranno” nel proprio seno (Gv 7, 38).

Laddove l'ascesi non esiste più, è disprezzata o equivocata c'è da temere di essere in presenza di un concetto di uomo modificato, rispetto a quello biblico, ossia ad una rappresentazione ideologica di uomo, un uomo unicamente “carnale”, come direbbe san Paolo.

In questo caso, la Chiesa ha smesso di essere tale e si è trasformata nel suo contrario, pur mantenendo tradizionali apparenze.

Per ricominciare davvero, è dunque necessario riprendere la pratica cristiana camminando in un giusto equilibrio e nella tradizione più vera e piena ben sapendo che quanto di religioso vediamo attorno a noi non è che in gran parte travisato o avvelenato.


[Fonte]

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