domenica 3 gennaio 2021

La liturgia, la morale e il diritto: compenetrazione o sottomissione?

Recentemente, in occasione della notte di Natale funestata dalle misure di coprifuoco imposte dal governo italiano, il locale distretto della FSSPX ha diramato un comunicato, indubbiamente di buonsenso, in cui si deprecava la scelta operata dalla Conferenza Episcopale Italiana di anticipare la messa della notte in orario serale. Nel complesso si è trattato di un buon comunicato, pure con un tentativo (non riuscito benissimo, ma si può perdonare dato l'ambiente) di citare qualche fonte di storia della liturgia, che tuttavia scade irrimediabilmente nel finale, quando afferma che: "il Distretto italiano ribadisce che mantiene la tradizione bimillenaria del precetto festivo il quale si assolve dalla mezzanotte alla mezzanotte del giorno festivo stesso"

Peccato che il precetto festivo così come lo conosce la Chiesa Cattolica sia stato introdotto solo dal Concilio Lateranense nel 1215; le fonti che in precedenza, in modo molto diverso e talora contraddittorio da luogo a luogo, elencano delle feste che oggi potremmo considerare "di precetto" erano piuttosto norme statali relative ai giorni in quibus sabbatizandum, ovvero di astensione dai lavori servili, di sospensione dei tribunali etc., non già alla partecipazione alla liturgia - che, come vedremo, era data per scontata. Dunque l'assolvimento di un precetto partecipando a una liturgia entro le 24 ore del giorno festivo è una norma tutt'altro che bimillenaria, bensì meno che millenaria. Inoltre, così come per il digiuno, ci sarebbe molto da dire sulla correttezza di osservarlo dalla mezzanotte alla mezzanotte e non, piuttosto, da vespero a vespero. La Fraternità avrebbe potuto più convenientemente ribadire il sì quasi bimillenario costume di non celebrare ordinariamente l'Eucaristia dopo il mezzodì, interrotto scandalosamente da una costituzione di Pio XII del 1953, ma non penso sia nelle loro intenzioni (dacché la seguono) e, forse, nemmeno nelle loro conoscenze.

Ma il punto grave è qui un altro. Il comunicato dovrebbe essere inteso perché i fedeli e i religiosi sappiano che la liturgia ha dei tempi e delle esigenze, anche simboliche e cosmologiche (appunto cosmologica è la ragione che impone di non celebrare al pomeriggio, per esempio), che non si possono variare a cuor leggero per osservare un DPCM di dubbia legittimità e comunque contingente. Non sarebbe male ricordare che queste esigenze furono violate proprio da Papa Pacelli quando, in occasione del ben più motivato coprifuoco bellico, concesse la facoltà di celebrare la messa della notte alle 16 del pomeriggio, anticipando di un decennio la sua stessa introduzione della messa vespertina: non ho approfondito le circostanze speciali che indussero alla concessione della facoltà, ma ceteris paribus non vi sarebbe stata ragione - come non v'è ragione nel 2020 - di anticipare una messa della notte quando i fedeli possono senza incomodo ricevere le grazie della Liturgia e dei Sacramenti partecipando alle due messe dell'aurora e del giorno. Eppure, la frase finale ci fa capire che non è questo il senso del comunicato: il senso del comunicato è far capire ai fedeli come assolvere correttamente il precetto di Natale. Come se un fedele andasse in chiesa per assolvere il precetto, e non piuttosto per ricevere la Grazia divina.

Ne conseguirebbe che un fedele dovrebbe andare in chiesa solo nei giorni di precetto, che poi è la convinzione di moltissimi fedeli; anche se il 24 giugno non lavoro, siccome non è giorno di precetto chi me lo fa fare di andare alla liturgia? In Oriente, dove il concetto di "precetto" e tutti le sue superfetazioni giuridiche non sono mai penetrati - Deo gratias - il concetto è piuttosto che ogni fedele deve andare alla liturgia ogni volta che può, sia di domenica, sia la festa di un santo, siano entrambe: del resto, noi sappiamo che nella liturgia riceviamo la grazia deificante, il tesoro più grande su questa terra, e vorremmo andarci solo e soltanto quando una legge ce lo comanda? Difficilmente si potrebbe dire che crediamo davvero in questa grazia. Senza contare l'altro assurdo: vado alla liturgia il 24 mattina, magari con Prima e gli altri uffici, poi al Vespro di Natale, e tornerò il 26 per la liturgia e il Vespro, ma per un impedimento non sono riuscito ad andarci il giorno di Natale, ho ricevuto probabilmente (considerando un'equipollente disposizione d'animo) di chi, potendo andarvi tutti questi giorni, vi è andato solo a Natale. Ma legalmente lui ha soddisfatto il precetto, io l'ho violato. Sic...

Recentemente, poi, su un blog curato da una persona indubbiamente competente in materia rubricale, che edita quotidianamente un esteso "ordo" secondo le rubriche di Pio X, è stata pubblicata un'ampia dissertazione, ispirata a un'opera del padre Pruemmer, circa le norme morali e giuridiche relative all'obbligo del Divino Ufficio per i chierici. Devo dire che a leggerlo sono stato alquanto disturbato dal voler osservare ogni minimo dettaglio, con un morboso scandaglio di nugae su cui il buonsenso saprebbe dare risposte da sé soddisfacenti. E' una tendenza del resto diffusa nella moralistica cattolica, specie dall'Ottocento, quella di entrare nei minimi dettagli di ogni specie di peccato o violazione della norma canonica, una casuistica talora lassista e talora acribica che, in alcune materie come la morale sessuale risulta ridicola e ai limiti del pornografico. La tradizione dei padri asceti insegna che il fedele che si sforza di vivere in grazia di Dio, frequenta la liturgia e i sacramenti, prega devotamente e legge le Scritture e le vite dei santi, ha da sé il discernimento (quello che si diceva sensus fidelium) per capire quali atti lo allontanano da Dio e lo consegnano alla morte spirituale e quali no; in caso di dubbio, si può consultare il padre spirituale per una decisione nel caso specifico, che può valutare inoltre se agire con economia o acribia a seconda delle condizioni personali e spirituali del suo figlio. Una casuistica morbosa e dettagliata non aiuta nemmeno il fedele scrupoloso, anzi lo consegna a sempre ulteriori scrupoli e incertezze, data l'ovvia generalità della casuistica difficilmente tratterà un caso del tutto identico a quello che si presenta nella realtà, e le distinzioni circa condizioni esterne, consapevolezza e volontà confondono lo scrupoloso piuttosto che aiutarlo.

Ma in questo caso sono stato disturbato non solo dalla puntigliosità della casuistica, ma dell'impostazione generale dello scritto: trattare il Divino Ufficio come se fosse meramente l'obbligo materiale del chierico. Si discute di cosa fare se si è saltata un'ora per errore, o recitata due volte... addirittura se suonando l'organo all'ufficio non si sono recitati tutti i versetti, e si perde di vista quello che è il vero scopo dell'Ufficio Divino, ovvero la santificazione del tempo e la lode incessante a Dio. Leggere il Breviario in un paio d'ore subito scoccata la mezzanotte, come faceva il cardinale Richelieu secondo un antico racconto, santifica il tempo e rende lode incessante a Dio? Certamente poi il padre Pruemmer raccomanda che sarebbe meglio recitarlo inginocchiati davanti al Sacramento piuttosto che seduti o stesi (sic!), ma si guarda bene dal dire che sarebbe molto meglio che fosse cantato in chiesa in modo che il popolo ci possa partecipare. Quel che dirò scandalizzerà forse i "tradizionalisti", ma un prete che canta in parrocchia il Mattutino e il Vespro tutti i giorni e non recita le altre ore privatamente loda Dio e assolve al suo mandato (cioè celebrare la liturgia per il popolo) molto più di uno che legge nella sua stanza tutto il Breviario. La liturgia è un atto pubblico, e se la recita di alcune ore liturgiche può avvenire come devozione personale non c'è ragione, quando si ha la possibilità, di non cantarle in modo pubblico in chiesa. Paradossalmente, infatti, l'unica disposizione giuridica che l'estensore dell'articolo attesta già decaduta molti decenni prima del Vaticano II, e le cui prime fasi di decadenza - aggiungo - risalgono all'età tridentina, è quella che i canonici e i religiosi con obbligo di coro dovrebbero cantare per intero tutto l'ufficio. Pia illusione da alcuni secoli a questa parte, almeno per i Mattutini e pure per molte altre ore temo.

Un esempio di quella che io definisco follia giuridica: "I Chierici contraggono l'obbligo di recitare l'Ufficio a partire dall'ora della loro Ordinazione al Suddiaconato, e l'Ora Canonica da cui devono iniziare è quella che meglio corrisponde all'orario dell'avvenuta Ordinazione. Per esempio coloro che sono stati ordinati prima delle 9.00 del mattino non sono tenuti a recitare né Mattutino né Lodi né Prima del giorno della loro Ordinazione, ma (pur potendo anche recitare quelle Ore se lo desiderano) devono cominciare almeno da Terza; [...] Se hanno già recitato l'Ora Canonica in questione prima dell'Ordinazione, allora sono tenuti a ripeterla dopo, perché in quel non potevano soddisfare a un precetto che non avevano ancora contratto". Solo a leggere un'elucubrazione del genere si rimane interdetti, ma se si pensa alle conseguenze... un chierico viene ordinato suddiacono, presumibilmente in un solenne pontificale in Cattedrale preceduto dal canto di Terza... ma questo canto di Terza per lui non era valido, nulla, perché "per precetto" vale di più la Terza che mormorerà distrattamente la sera in camera sua, finiti i festeggiamenti, di quella che ha ascoltato devotamente cantare in coro mentre attendeva con gioia di rivestire per la prima volta il sacro manipolo e ministrare al Divino Servizio.

Esempi a parte, abbiamo più volte rimarcato come un intendimento puramente giuridico dell'atto liturgico porti non solo a snaturarlo e a non capirlo, ma anche a violarlo. Le drastiche e deleterie riforme dell'Ufficio compiute nel XX secolo furono tutte motivate col pretesto di alleggerire il carico di quelli che dovevano quotidianamente recitare l'Ufficio. Non si pensò, piuttosto, a sgravarli dal dire qualche ora dello stesso, che detta male e in fretta com'era non faceva certo piacere a Dio, ma si preferì picconare la tradizione liturgica plurisecolare per ossequio alla disposizione giuridica. Similmente avvenne con le riforme della messa, e particolarmente le semplificazioni rubricali occorse tra il 1955 e il 1962.

L'ufficio cantato (in Oriente e Occidente) per rendere lode a Dio
e recitato passeggiando (da don Abbondio) per assolvere il precetto giuridico/morale.

Nel XX secolo fa da padrone il diritto, che ha il suo trionfo con il Codice piano-benedettino, che si permette di normare in modo non solo differente dal diritto canonico sino ad allora in vigore, ma pure in aperto contrasto con le tradizioni e le consuetudini liturgiche, in ossequio a un'ossessione per il diritto che ha afflitto in diverse fasi la Chiesa Romana fino a renderla un monstrum burocratico in cui già Bernardo di Chiaravalle deprecava il fatto che ivi "quotidie perstrepunt leges, sed Justiniani, non Domini", e in cui la funzione precipuamente spirituale della Chiesa viene offuscata in un complesso meccanismo mondano. Nei secoli precedenti troneggiava la morale: l'osservanza delle norme liturgiche era ridotta a un complesso di osservanze moralistiche, per cui il sacerdote era minacciato di peccato per ogni minima azione che andasse contro le rubriche. Questo si rendeva probabilmente necessario in uno scenario di clero distratto e non sempre pio e devoto, purtroppo non raro a quei tempi, talché l'obbligo morale era l'unico forte deterrente (per alcuni...) a rispettare le norme di una liturgia cui non prestavano gran cura o attenzione. Così come il diritto poi sarebbe stato l'unico strumento per far tornare ai suoi doveri il prete di XX secolo, che doveva occuparsi della buona società cristiana e della dottrina sociale rischiando di dimenticarsi quella cosa trascurabile che si chiama Liturgia...

Chi scrive non è affatto contro le rubriche o le norme liturgiche, anzi, le ha studiate e le studia tutt'ora e rientrano nei suoi diletti e interessi. Tuttavia, lasciando da parte il fatto che talora il buonsenso stesso porta a preferire l'osservanza del principio sopra la norma scritta, specie in fatto di norme recentiores et deteriores (i principi della filologia spesso s'invertono, in questo campo), per potersi approcciare serenamente allo studio della normativa liturgica è fondamentale capire che questa normativa non è un codice di diritto canonico o un libro di precettistica morale, bensì una forma tipica e motivata storicamente o simbolicamente di rendere a Dio un culto gradito, sacro e apostolico (non un "culto legale" come direbbero taluni).

La liturgia è tanto importante, nella concezione dei Padri, da fondare addirittura la dogmatica; come potrebbe allora sottomettersi, come di fatto è successo, a branche come il diritto canonico o la moralistica, che sono ampiamente inferiori alla dogmatica? Eppure ciò è stato fatto: e questo è il segno che chi ha permesso che ciò accadesse aveva una concezione della liturgia opposta a quella dei Padri. E il risultato è stato che, dimenticato il motivo per cui si era cercato di introdurre vincoli moralistici o giuridici all'atto liturgico, cioè vincere la pigrizia e la negligenza dei preti, a fronte dell'invincibilità della loro noncuranza e della moltiplicazione dell'abuso si è preferito salvaguardare il vincolo esterno piuttosto che la sostanza, ovvero la liturgia dei Padri e degli Apostoli.

Nel Codice del 1917, come espressione di una mentalità che nasce secoli prima e prosegue ancor oggi, la liturgia non è che una branca del diritto canonico. Gli Apostoli che si ascendevano al Tempio per il servizio divino, e che nelle prime domus ecclesiae celebravano le sante ierurgie (di cui alcune, come quella di S. Giacomo fratello del Signore, sono giunte nella loro sostanza sino a noi), secondo questo orribile principio avrebbero fatto meglio a stendere un codice di diritto e a celebrare processi canonici...

14 commenti:

  1. La monasticizzazione del clero al di fuori del monastero porta danni, crea una classe che vive nel mondo ma - essendo finanziariamente mantenuta, celibe, etc. - non riesce a capire il mondo in cui deve essere operaio della vigna del Signore, e più naturalmente s'impigrisce e trascura la vera liturgia. Così come l'obbligo dell'intero ufficio fuori dal coro finisce per snaturare l'ufficio stesso che è del coro, cioè del canto pubblico.

    Per quanto riguarda la "clericalizzazione del laicato", è una malattia del mondo tradizionalista, secondo me. Ma non necessariamente della sua maggioranza, quanto piuttosto dei suoi membri più chiassosi e, purtroppo, influenti.

    RispondiElimina
  2. Due domande: il clero uxorato in oriente e' tenuto a pregare interamente e ogni giorno l' Ufficio Divino? E nelle chiese cattoliche orientali si e' imposto l' uso che i chierici siano obbligati a tale uso della tradizione latina?
    Grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nella tradizione orientale non esiste l'obbligo della recita privata dell'Ufficio Divino, perché non avrebbe senso leggere mormorando un ufficio nato per essere pubblico e cantato. Le preghiere del mattino e della sera, obbligatorie per tutti i cristiani, sono tratte da alcune parti dell'Ufficio Divino (Mesonittico e Mattutino al mattino; Vespro e Compieta alla sera), ma non replicano esattamente questi uffici. Il parroco dovrebbe assicurare nella sua parrocchia almeno il Vespro quotidiano, idealmente, ed è ancora una norma abbastanza rispettata.

      Da quel che so Roma non ha imposto agli uniati la recita dell'ufficio, ma ignoro se poi singole chiese uniate abbiano provveduto in tal senso.

      Elimina
  3. Non capisco bene in che senso si parli di clericalizzazione del laicato.
    Credo che si debba distinguere la parrocchia modernista cattolica da chi frequenta le cappelle FSSPX. Avendo frequentato entrambi gli ambienti, credo di poter dire la mia.
    La parrocchiana modernista (sono quasi solo donne, difatti) mi pare un vero esempio di clericalizzazione, le definirei addirittura papesse: critiche verso la morale cattolica (gender, convivenze, matrimoni omosex, anticoncezionali, prostituzione, e chi più ne ha più ne metta), hanno sempre da ridire su quanto il parroco fa, molta azione e poca preghiera. A queste fanno da contrappunto uno sparuto gruppo che continua a recitare i rosari, fa novene e si scandalizza quando il parroco abolisce le processioni. La mia simpatia va a questo secondo gruppo, che mantiene una forma di fede (non entro nel discorso cosa sia davvero la fede nel primo millennio). Di solito questo secondo gruppo più che sbraitare soffre, al massimo si lamenta, ma senza successo perché il parroco (volente o nolente) segue le direttive del vescovo, che segue il papa (se questo è modernista) o fa quello che vuole (ai tempi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI).
    Da questo ambiente, tra gli altri, scappano quelli che hanno capito che non si può soffrire senza agire e che "si buttano" sulla s.messa in latino, come via di salvezza: lì si riesce a pregare, si fanno processioni, il prete crede e ha posizioni antimoderne chiare e forti.
    La clericalizzazione dei laici in questo caso è diversa: si diventa ipersensibili a tutte le sbavature (grandi o piccole) che fanno gli altri. Purtroppo in questo caso il rischio è di tal fatta: conta solo la Legge e non lo Spirito. Discorso minato, dopo il Concilio Vaticano II, ma da fare: basta assolvere il precetto domenicale, o esso ci deve portare alla preghiera continua (per dirne una)? Purtroppo nel caso delle parrocchie moderne, la questione Legge/Spirito si traduce ad es. nella cosiddetta liceità dei rapporti prematrimoniali: non conta il matrimonio (Legge), ma il volersi bene (Spirito); stessa cosa per gli anticoncezionali...
    Stando così le cose, io eviterei di dare il destro a etichette per chi, tradizionalista, si permette di criticare quei preti e vescovi che ammettono le cose di cui sopra, o per esempio, tolgono la santa messa per due settimane come forma di commiserazione ai malati.
    Aiutiamo i tradizionalisti a crescere, non tarpiamo loro le ali.
    Detto ciò, sottoscrivo in toto l'articolo di Unam sanctam, e deploro che, come al solito, i preti tradizionalisti si tengano lontani da risposte di qualsiasi tipo.

    RispondiElimina
  4. La maggior parte dei fedeli "tradizionalisti" è gente che si limita ad andare a messa e a dire il rosario, magari legge qualche pubblicazione delle loro, s'imbeve un po' di devozionismo discutibile e di qualche teoria del complotto ecclesiastico fantasiosa, ma nulla più. Soprattutto fuori dalla FSSPX o da altri istituti, dove il clero iper-clericalizzato fa tutto, si formano certi personaggi cui mi riferivo nel commento precedente.

    Sono considerato una persona abbastanza acribica, quindi non amo nemmeno la distinzione "legge" vs. "spirito" in materie come la morale, che effettivamente nella modernità porta alle deviazioni di cui parla. Quello che mi premeva di evidenziare è che la liturgia è sopra qualsiasi distinzione legale o morale, perché è essa stessa il fondamento di queste ultime.

    Infine, ci sono molti frequentatori della messa tradizionale che leggendo questo blog sono "cresciuti" nelle conoscenze storiche, liturgiche e non solo. Quando parlo di "tradizionalisti" mi riferisco a quella chiassosa categoria che non crescerà mai perché è consapevole degli sbagli che fa e ne va fiera.

    RispondiElimina
  5. Un lettore ci fa notare che nel Book of Common Prayer del 1662 c'è una rubrica che prescrive al rettore della chiesa di recarvisi per celebrare in pubblico Mattutino e Vespro, facendo suonare le campane.

    Segni di una mentalità antica, che è andata poi perdendosi.

    RispondiElimina
  6. Non che la gente in una parrocchia non tradizionalista faccia molto rispetto ad andare a Messa la domenica...
    In compenso molti "laici impegnati' (soprattutto donne) ambiscono a fare le cose che fa il prete, in primis distribuire la Comunione

    RispondiElimina
  7. Interessante questo appunto: una chiesa che voleva tagliare con una certa tradizione, sembra abbia invece conservato elementi tradizionali in una liturgia che fu, se sono bene informato , uno dei principali strumenti di diffusione del nuovo credo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. può anche darsi che l'abbia conservato per una certa tendenza 'archeologista a modo loro' tipica di certo anglicanesimo
      o anche per una certa influenza dei riti orientali, che sia Cranmer sia i suoi successori un secolo dopo conoscevano discretamente bene (i non-jurors usavano nelle loro liturgie versioni modificate di anafore bizantine)

      Elimina
  8. Risposte
    1. Erano anglicani che dopo la 'Gloriosa Rivoluzione' continuarono a mantenersi fedeli agli Stuart, e che erano rappresentanti di quell'anglicanesimo meno vicino al protestantesimo

      Elimina
  9. Sono affascinato dall'interesse per la pratica anglicana. Mi scuso per questa traduzione di Google. La pratica anglicana è molto sottile e molto complicata. Ci sono sempre stati molti filoni, alcuni più cattolici e altri più protestanti e l'Antico Libro di Preghiere dà grande libertà di credo così come l'organizzazione. La conservazione in pubblico dell'Ufficio quotidiano non aveva alcun significato dottrinale. Ha mantenuto una forma ordinata di ufficio divino quotidiano in due parti, basata sul vecchio Breviario ma severamente riformata. Molte altre vecchie pratiche sono state mantenute, senza significato dottrinale, ad esempio i giorni di digiuno e l'astinenza. Ciò ha portato la maggior parte delle scuole e dei college anglicani ad avere pesce venerdì.

    RispondiElimina
  10. Siete ortodossi o cattolici voi amministratori del sito?

    RispondiElimina