giovedì 28 ottobre 2021

Sinodalità e primato: postille a un fuorviante articolo della FSSPX

 Il 22 ottobre sul sito di notizie in lingua italiana della Fraternità Sacerdotale San Pio X è apparso un articolo dal titolo Sinodalità: imparare dagli “ortodossi”?, nell'ambito delle numerose analisi e notizie che la Fraternità fornisce in questo periodo attorno al "cammino sinodale" recentemente inaugurato dalla chiesa bergogliana. L'articolo, ovviamente, si costituisce anche come una critica dell'ecclesiologia apostolica conservata nella Chiesa Ortodossa e come un'apologia della monarchia papale; peccato che risulti essere alquanto impreciso e fuorviante, sino a scadere in alcuni punti nella completa illogicità.

Anzitutto l'articolo, come la maggior parte di quelli pubblicati in detto sito, è una traduzione dell'originale francese, pubblicato il giorno prima sull'omologa piattaforma del distretto francofono; la cosa si può facilmente intuire dal fatto che le didascalie delle fotografie sono lasciate in francese e non tradotte in italiano. Un rapido controllo dell'originale francese mostrerà inoltre che nella versione italiana sono stati virgolettati tutti i "patriarca" riferiti a Bartolomeo di Costantinopoli e a Cirillo di Mosca, che nell'originale invece sono scritti senza virgolette (coerentemente con la teologia cattolica secondo la quale nella Chiesa Ortodossa vi è reale ordine sacerdotale e successione apostolica); queste virgolette sui titoli ecclesiastici dei gerarchi orientali del resto sono un tratto caratteristico dello stile alcune realtà cattoliche tradizionaliste italiche, sovente animate contro l'Ortodossia da un inusitato zelum in despiciendo (per cui la psicologia classica potrebbe fornire interessanti spiegazioni...).

Ad ogni buon conto, l'articolo anzitutto riassume con qualche imprecisione (la cosiddetta autocefalia ucraina è stata concessa sul finire del 2018, non nel 2019; il concilio di novembre è stato rimandato ai primi mesi dell'anno venturo...) la vicenda che sta conducendo allo scisma tra Mosca e Costantinopoli, di cui potete leggere qui un riassunto in italiano più completo e sistematico.

Molto correttamente poi riporta dei legami tra Costantinopoli e i piani politici degli Stati Uniti nell'Europa orientale, a cui nuovo materiale sta aggiungendo la visita di Bartolomeo oltreatlantico in questi giorni.

Dopodiché, citando una frase pronunciata da Bergoglio a una commissione teologica, in cui il papa argentino spiegava che per il "cammino sinodale" in apertura in questo periodo nella Chiesa Romana sarebbe stato opportuno prendere a modello la "sinodalità ortodossa". Potremmo lungamente soffermarci su come tutto ciò sia estremamente propagandistico da parte di Bergoglio, e di come l'organizzazione apostolica della Chiesa Ortodossa sia sovente fraintesa nel mondo cattolico; di come la "sinodalità" di cui parla oggi il Papa sia una triste sinodal'nost' (parola che rimanda a difficile periodo della Chiesa Russa da Pietro il Grande in poi) in cui la sinodalità occorre solo per creare confusione e permettere che s'insinuino i venti delle novità e della rivoluzione grazie al tiranno (in questo caso il Papa medesimo) che da dietro tiene le fila; che tale sinodal'nost' non abbia nulla a che fare con la sobornost', parola che indica la conciliarità ma anche l'apostolicità (собѡрную traduce ἀποστολικὴν nel Credo), cioè la salvaguardia del principio di giurisdizione territoriale e della custodia della Tradizione da parte del πλήρωμα di fronte alla sovversione spesso proveniente dell'autorità, concetti presenti e affermati pure nella Chiesa d'Occidente in antichità; di come la sinodalità bergogliana sia la sinodalità clericalista dei vescovi pasciuti che discutono di castelli di nuvole lontana dal πλήρωμα della Chiesa, che del resto in Occidente ha quasi volontariamente abiurato al suo ruolo di custode della Tradizione. Tuttavia, non essendo questo il tema dell'articolo, proseguiamo.

Sinodo dei vescovi cattolici nel 2014

L'articolista sostiene che la Chiesa Ortodossa, a causa della sua natura sinodale, è costretta a seguire il potere politico. Leggiamo:

A poco varrebbe invocare i canoni dei primi concili, perché città e vescovi onorati da quei canoni sono oggi pressoché inesistenti, e si limitavano a fotografare una precedenza di onore dovuta a una situazione storica.

Questo è assolutamente vero, e tali canoni sono del resto riconosciuti dalla Chiesa Romana (o almeno teoricamente lo sarebbero, seppur vi sia la tesi secondo la quale la pubblicazione del CJC del 1917 come unica fonte del diritto canonico avrebbe conseguentemente abolito ogni forma di diritto consuetudinario, ivi inclusi i canoni dei Concili Ecumenici!); detti canoni affermano chiaramente che un primato d'onore è stato dato a Roma perché capitale dell'impero. E poiché Costantinopoli è stata in seguito dichiarata capitale dell'impero al pari di Roma, essa abbia tutti i suoi privilegi, e quindi il secondo posto nei dittici. Oggi l'impero non esiste più, e se Roma, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme possono vantare l'apostolicità della sede e il fatto di essere riconosciute come sedi principali sin dal primo Concilio Ecumenico, non v'è ragione per cui Costantinopoli, di fondazione e aggregazione post-apostolica, debba essere ancora considerata "Patriarcato Ecumenico" (titolo che è autonomo: infatti la titolatura completa è "Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma e Patriarca Ecumenico", laddove per gli altri sede e patriarcato sono indistinti: "Papa e Patriarca di Alessandria e di tutta l'Africa", "Patriarca di Mosca e di tutta la Rus'", "Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente"...). Ad ogni modo, non si vede perché lo status onorifico particolare di una sede, che ha una contingenza storica per ammissione degli stessi Padri del IV Concilio Ecumenico, debba inficiare l'intero sistema ecclesiologico.

La Chiesa Romana è invece l’unica ad aver mai preteso e ad essersi sempre visto riconosciuto un primato non per ragioni politiche, ma di diritto divino, per la presenza del Successore di Pietro, cui la Scrittura attribuisce le Chiavi, segno di giurisdizione. Essa sola stabilisce i gerarchi e ne limita le giurisdizioni territoriali, con la pienezza di potere che le viene dal Cristo.

Che sia l'unica ad averlo preteso (fino ai giorni nostri in cui vorrebbe pretenderlo pure Bartolomeo) è assolutamente vero, ed è stata proprio quella la ragione del suo allontanamento dall'ecclesiologia apostolica; decisamente falso storicamente è che l'abbia preteso e che gli sia stato riconosciuto da sempre, così come falso è che nella Chiesa antica fosse dato potere di giurisdizione illimitato a uno dei successori di Pietro (ce n'è almeno un altro ad Antiochia), del povero san Pietro che ha parlato e ricevuto le chiavi a nome di tutti gli Apostoli, di cui tutti i vescovi sono parimenti successori, secondo i Padri della Chiesa. Ma fin qui va bene, si tratta di consueta propaganda apologetica della monarchia papale, è sufficiente qualche dato storico per contrastarla. Prosegue:

La risposta di Mosca e di Costantinopoli diverge su base politica, e non propriamente teologica. Il problema qui non è quale interesse politico (e quindi quale “patriarcato”) sia il migliore, ma di capire che il sistema sinodale si regge unicamente su un calco geopolitico, e di tale calco non può non ricalcare le divisioni.

Probabilmente la conoscenza della disputa si limita a quella degli scarni resoconti pubblicati talora da agenzie di notizie geopolitiche con attenzione all'Europa Orientale, perché se si avesse accesso al grande materiale canonistico e teologico pubblicato da tre anni a questa parte sull'argomento (ma bisognerebbe conoscere come minimo il russo e il greco, e avere gran tempo di spulciare una molteplicità di fonti ortodosse che, immagino, non siano pane quotidiano per il prete francese della FSSPX) non parlerebbero mai di un problema unicamente geopolitico. Certo, la geopolitica c'entra, ma non è il cuore della questione, è semmai una conseguenza.

L'autore, abituato alla mentalità verticistica della Chiesa Romana, vuole a tutti i costi individuare un vertice ("il migliore"); dicendo però che non c'è una pretesa di diritto divino nel richiederlo, allora questo diventa soggetto alla mutabilità delle condizione politiche. Il problema, invece, sta proprio nel cercare il vertice, quando la parità sacramentale di tutti i vescovi e la reciproca indipendenza giurisdizionale (anche all'interno di quadri pattizi quali sono le arcidiocesi, le metropolie e i patriarcati, la giurisdizione resta propria di ogni singolo vescovo sulla sua diocesi, e l'arcivescovo non possiede una giurisdizione effettiva sulle sue suffraganee ma solo una responsabilità coordinativa, di diritto ecclesiastico e non divino) è un dato fondamentale della Chiesa Ortodossa. Peraltro, anche il trovare un vertice non aiuta a stornar da sé questioni geopolitiche, a meno che non si voglia sostenere che il Papato non abbia avuto un ruolo geopolitico determinante (che ne ha influenzato pure scelte ecclesiastiche) negli ultimi 1000 anni almeno.

L'articolo prosegue affermando che per la dottrina cattolica Dio ha concesso alla Chiesa un potere super gentes et super regna; con termini meno giuridici, ciò è vero pure per la Chiesa Ortodossa, poiché la libertà della Chiesa non può essere conculcata da alcun potere statale (diversamente si ricadrebbe nell'eresia del sergianismo, di cui l'attuale Patriarca Cirillo è forse il nemico più feroce tra tutti i gerarchi succedutesi sul trono moscovita dal 1917 a oggi). Poi:

Nel sistema sinodale ortodosso, mancando un principio unitario di autorità fondato sulla Rivelazione [ripeteremmo l'ovvio qui a dire che la Rivelazione non ha mai parlato del Papa di Roma, a meno di non considerare la "Rivelazione" arbitrariamente estesa fino all'XI secolo avanzato, ndr], il ricalcare gli interessi geopolitici nei rapporti ecclesiali è necessità inevitabile, è connaturale al sistema, e ne svela l’origine puramente umana: senza la Pietra [che però per i Padri della Chiesa è la confessione della fede autentica, e non la persona di Pietro né tantomeno quella di un suo successore, ndr] , non può esserci governo unico, come non può esistere un bene comune della Chiesa universale, preferibile a qualsiasi interesse politico. In due parole: attualmente nella Chiesa cattolica il bene comune generale ha sempre un’autorità unitaria che dovrebbe perseguirlo, ma che colpevolmente non lo fa; nel sistema ortodosso, tale bene comune generale non può esistere perché non c’è un’autorità competente a determinarlo e perseguirlo.

Temo che il redattore dell'articolo abbia letto un po' troppo de Maistre, e voglia riproporre nella Chiesa il modello autoritario dello Stato moderno, in cui un'autorità puramente umana è depositaria di una sovranità monarchica assoluta in grado di stabilire il "bene comune". Se avesse una concezione più tradizionale e giusnaturalista saprebbe che il "bene comune" è già stabilito eternamente dalla Legge naturale, e da Cristo stesso che ha fondato e guida la Chiesa, e a ogni uomo è dato il compito di perseguirlo secondo la sua libertà e in accordo con la Legge naturale. Postulare la necessità dell'autorità sovrana e assoluta (sia essa una monarchia individuale, come in questo caso, o una monarchia collegiale, come nel caso della "sinodalità senza popolo" bergogliana) per la regolamentazione della società umana, o tanto più di una società divino-umana come la chiesa, è quanto di più moderno ci possa essere. D'altro canto non mi stupisce questo afflato giuspositivista, visto che è lo stesso che ha portato il moralista della FSSPX don Seligny a scrivere molteplici articoli in difesa non solo della liceità ma della quasi obbligatorietà morale della "vaccinazione" anti-Covid (l'ultimo qui), e finanche a chiedere il green pass per l'accesso al "Convegno della Tradizione di Rimini" (poi annullato all'ultimo minuto a fronte del grande scandalo che la cosa aveva prodotto, con un frettoloso comunicato in cui il buon giuspositivista obbediente al Leviatano non solo non contempla la resistenza alla legge ingiusta che è un principio fondamentale della morale cristiana, ma nemmeno i molteplici metodi pienamente legali per cui ogni giorno, con semplici accortezze, si tengono in tutta Italia convegni senza che sia richiesto alcun lasciapassare).

Se si dovesse supporre la legittimità del sistema ortodosso, i difetti del sistema ecclesiale andrebbero riportati al modo in cui Gesù Cristo ha fondato la Chiesa e non a colpe umane. Ognuno vede come la sinodalità ortodossa, vantata dal Papa come modello, sfoci nella blasfemia.

Sarebbe difficile individuare un esempio più manualistico di non sequitur. Siccome non c'è l'autorità umana la colpa dei difetti degli uomini è di Gesù Cristo? Forse l'articolista dovrebbe ripassare i fondamentali del ragionamento logico, e nemmeno quelli aristotelici ma molto banalmente quelli della scuola primaria. A meno che egli non pensi che se il vescovo X professa eresia ed è cattolico la colpa dell'eresia sia del Papa, e allora se il vescovo Y professa eresia ed è ortodosso la colpa dell'eresia è di Cristo (Iddio ci perdoni perché il solo scriver di una colpa di Cristo, ancorché sia un'ipotesi dell'assurdo ragionamento dell'articolista, è indegno)? Sembra però che chi pensi così non abbia mai sentito nominare alcuni concetti fondamentali della teologia quali "peccato originale", "libera volontà dell'uomo" e "colpa individuale", e sia piuttosto affascinato dall'individuare dei "capri espiatori" di giudaica memoria.

Del resto non è la prima volta che qualche "tradizionalista" si lancia in ragionamenti sconclusionati nel tentativo di giustificare oltre il possibile la monarchia papale e demonizzare l'ecclesiologia antica. C'è chi ci prova falsificando le citazioni dei Padri della Chiesa (vedi qui), chi con magistrali non sequitur. L'importante è che i lettori, come confidiamo, sebbene benevoli non siano ingenui.

6 commenti:

  1. la tesi secondo la quale la pubblicazione del CJC del 1917 come unica fonte del diritto canonico avrebbe conseguentemente abolito ogni forma di diritto consuetudinario, ivi inclusi i canoni dei Concili Ecumenici

    Anche nei miei tempi da tradizionalista non avevo mai sentito quest'argomento - seppure non posso dire che mi stupisca. Posso chiedere da chi sia enunciato?

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    1. Non c'è un enunciatore formale, o almeno non ne sono a conoscenza, ma la tesi mi è stata presentata da diversi sacerdoti della fsspx, nonché da un avvocato canonista molto attivo nel mondo "tradizionalista", sia esplicitamente, che implicitamente. Del resto non è che una lettura estensiva, ma alla fine logica, del principio secondo il quale tutto ciò che non è stato riportato nel Codice non ha più valore di canone.

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    2. Interessante. Sembra di essere per ora qualcosa di marginale; purtroppo, come pure altre aberrazioni sorse in alcuni ambiti cattolici, prevedo che diventerà mainstream fra i tradizionalisti dopo di qualche anno.

      D'altra parte questo discorso è pure la conseguenza logica di un'altro problema: se ci abbiamo un papa che è autorità suprema in materie sia di fede che di diritto, perchè ci sono stati Concili Ecumenici, con i loro symbola e canoni, in passato?

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  2. Ragionando in termini puramente giuridici, non è possibile che si tratti -a ragione o a torto, esaurientemdnte o meno- di quello che chiamiamo "testo unico", cioé di un testo che raccoglie tutte le leggi e le modifiche su tale argomento, leggi che non vengono poi più lette, mantfnendone la validità?
    Ora, mi pare chiaro che i sacerdoti della sspx non sisno forti canonisti, e cone la gente comune, confondano i concetti.

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    1. Il senso del Codice è sicuramente quello, però bisogna considerare anzitutto che il Codice non include tutti i canoni dei Concili Ecumenici, e in secondo luogo gerarchizzare la fonte del Codice e le fonti dei canoni dei Concili.

      In generale, per quanto possa capire la voglia di una sistematizzazione, trovo che la promulgazione del Codice abbia di fatto distrutto la tradizione del diritto canonico che rimontava ai canoni apostolici, per fondarne una ex novo in cui - cosa più grave - non c'è più alcun principio consuetudinario (se non nell'interpretazione) ma solo la fonte d'autorità monocratica.

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    2. Da parte papale o vaticana, non c'è mai stato un pronunciamento sul rapporto del Codice con la legislazione conciliare precedente?

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