venerdì 23 febbraio 2018

L'Inno Akathistos alla Theotokos - parte 2

Proseguiamo la pubblicazione dell'Inno Akathistos alla Madre di Dio, con la II stasi. Questa settimana proponiamo anche un commento sulla figura fondamentale della Madonna nell'economia salvifica, secondo la teologia orientale; in esso si può trovare la spiegazione di molti dei 144 epiteti, anche i più oscuri, con i quali viene salutata la Santa Vergine per 12 volte a ogni strofa dispari dell'Inno.

L'introduzione storica e la I stasi si trovano QUI.


Ὁ Ἀκάθιστος ὕμνος εἰς τὴν Ὑπεραγίαν Θεοτόκον - II

La figura della Theotokos nella teologia orientale

La figura della Theotòkos detiene un posto speciale nella coscienza dei fedeli d'Oriente. E’ la santa dei santi, la madre di Cristo e il principio della salvezza del genere umano. Questa sua eminente posizione è stata sottolineata particolarmente nella tradizione ecclesiastica, che ne ha inneggiato le virtù ed i carismi, glorificandola con elogi. La Chiesa, a causa del ruolo della Panaghìa nel mistero della divina incarnazione, l’ha circondata di profondo rispetto e di gran devozione, proponendola quale modello di santità, di perfezione e di divinizzazione dell’uomo. La figura della Madre di Dio, nel suo splendore eterno e intramontabile è un perenne invito al ritorno ai valori morali e agli obiettivi spirituali. La vergine Maria incarna nella tradizione orientale il vero prototipo della morale e della virtù.
La salvezza del mondo è la più alta aspettativa umana e in essa è riposta tutta l’opera dell’economia divina. La caduta allontanò l’uomo da Dio, conducendolo nella condizione del peccato, caratterizzata dalla corruzione della natura e dalla morte. Era impossibile per l’uomo decaduto salvarsi senza la rivelazione di Dio. La Panaghìa con la nascita di Cristo diventa il punto di partenza della salvezza del mondo. Come dunque viene compreso il ruolo della Madre di Dio nell’opera salvifica di Cristo? La posizione della Chiesa e della sua teologia è chiara: la Panaghìa è la Theotòkos, la Genitrice di Dio, colei che ha generato il salvatore del mondo. Questa fede è dimostrata con energia nella tradizione liturgica della nostra Chiesa. La Panaghìa viene iconografata, inneggiata e venerata insieme con il Cristo. Così, dunque, in tutte le arti che vengono utilizzate per esprimere l’insegnamento della Chiesa, traspare la verità della figura della Madre di Dio, sempre in relazione con il Figlio Suo.
L’umanità precedente la venuta di Cristo recava le conseguenze della maledizione dei progenitori, procurata da uno solo, Adamo, l’antenato di tutto il genere umano. La stirpe intera era afflitta dalle conseguenze di quella caduta che annichiliva e amareggiava tutta la natura. Giungendo però Cristo, il liberatore della natura, la maledizione venne trasformata in benedizione, avendo assunto la natura umana dalla purissima Vergine Maria. Per questa sua partecipazione e collaborazione viene riconosciuto giustamente onore e rispetto alla figura della Panaghìa. La partecipazione in particolare ha un significato assai profondo. In primo luogo significa adesione libera e volontaria alla volontà divina, spontaneo adeguamento ad essa e ancor di più, offerta pura e immacolata di tutto il suo essere in vista della realizzazione della salvezza del mondo intero.
Simboli e figure veterotestamentarie vengono riferite al ruolo della Panaghìa in riferimento alla salvezza e risurrezione del mondo. La Panaghìa Maria è la scala che fa salire gli uomini verso Dio e li guida dalla terra al cielo. E’ la porta da cui è uscito il salvatore.
La Vergine Maria in quanto persona umana, essa stessa diviene, mediante l’incarnazione, collaboratrice della salvezza del genere umano. Proprio dal V secolo la tradizione della Chiesa circa il ruolo e la persona della Madre di Dio diviene oggetto di grande riflessione e studio da parte dei padri della Chiesa anche all’interno delle discussioni sinodali che si svolgono durante la celebrazione dei Concili Ecumenici: sono secoli difficili e duri per la fede, sorgono figure di eresiarchi che tentano di ridimensionare e ridiscutere quanto la tradizione cristiana ha trasmesso nel culto e nella fede alle varie generazioni di credenti, attraverso persecuzioni e martirio. L’insieme stesso della Chiesa riesce a conservare il giusto rispetto e la degna venerazione che la Panaghìa merita. Questa venerazione si sviluppa in differenti modi: le feste a lei dedicate, con le solenni ufficiature, arricchite di esuberanti componimenti innografici; vengono edificate Chiese e cappelle a Lei dedicate, l’architettura e la poesia liturgica collaborano nell’esprimere la purezza della fede e della teologia divina. Ne viene sottolineata l’efficacia della mediazione e il particolare potere della sua intercessione presso Dio in relazione al raggiungimento della perfezione spirituale e alla salvezza individuale e cosmica. Tutto  ciò si spiega con il riconoscimento dell’eccelsa santità della Panaghìa e del purissimo e decisivo ruolo che ricopre nell’opera salvifica di Cristo. Ma anche la sua memoria, come pure l’imitazione della sua vita, delle sue virtù e delle sue attitudini spirituali vengono considerate un grande aiuto al compimento della salvezza degli uomini e questo proprio perché essa è il più perfetto prototipo umano della santità e imitarla significa imitare Cristo.
Gli scrittori ecclesiastici, nella totalità, esaltano le caratteristiche della personalità della Madre di Dio, che in qualche modo attirarono il divino assenso all’incarnazione di Dio. Secondo san Giovanni Damasceno si tratta in primo luogo del suo intelletto spirituale, sempre e soltanto rivolto verso Dio e indirizzato da Lui; il suo desiderio, unicamente sospinto dall’amore e dall’affetto per il Creatore, insieme con l’ira rivolta contro soltanto il peccato  e ciò che lo provoca. La condotta di vita mantenuta al di sopra della condizione naturale, dal momento che non viveva per se stessa, ma per Dio e per essere utile alla salvezza universale, in cui si inquadra anche la prospettiva della divinizzazione per grazia dell’uomo.
L’immagine più efficace della sublimità della condizione della Madre di Dio è fornita da Gregorio Palamàs attraverso una metafora comparativa tra le proprietà umane e quelle divine. E’ come se Dio avesse voluto, scrive il santo, abbellire una icona di ogni ornamento visibile ed invisibile attraverso un miscuglio di grazie divine ed umane, di straordinaria bellezza per adornare entrambi i mondi, quello sensibile e quello spirituale. Quando Dio completò, infine, questa icona, vide che era assolutamente corrispondente e somigliante all’immagine della Madre della luce.
Negli inni della Chiesa emerge la necessità del rafforzamento etico dell’animo umano, appesantito e indebolito dal peccato e dalla trascuratezza. Per questo l’anima che rivolge la sua preghiera alla Panaghìa, domanda quel rafforzamento necessario per opporsi al maligno. La sovreminente santità della figura della Theotòkos domina l’anima e il pensiero di Romano il Melode, come l’animo dell’umanità stessa. La Panaghìa viene inneggiata come pietra miliare e spartiacque di tutta la storia, avendo inaugurato un periodo che riceve senso e significato proprio dalla sua santità.
La Panaghìa, in quanto mediatrice, guida l’uomo verso Cristo e intercede per la sua salvezza. Nell’iconografia e nell’innografia che danno forma alle liturgie della Chiesa, nei poemi liturgici, come i canoni e l’Inno Akàthistos nei Theotokària, che sono le raccolte di poemi liturgici dedicati alla Theotòkos, nelle suppliche sacerdotali e diaconali, come poi in ogni tipo di componimento ad uso liturgico, la Theotòkos viene invocata per i fedeli come Madre di tutti. Si comprende ancor più chiaramente tutto questo dalle solennità a Lei particolarmente dedicate, in cui sono specificati tutti i temi cui abbiamo brevemente accennato, soprattutto la protezione e il rifugio che essa offre a tutti i cristiani.
La Panaghìa si trova molto vicino a Dio. Da questo sua prerogativa deriva anche la particolare parrisìa, cioè la confidenza e la franchezza con cui può rivolgersi a Lui, in favore del genere umano e di ciascun uomo, sempre ascoltata ed esaudita. Quando i fedeli rivolgono suppliche e preghiere a lei, come anche ai santi, questo non vuol dire che trascurano il Cristo salvatore: è Lui in definitiva a salvare il genere umano. Così cantiamo all’inizio della Divina Liturgia: Per le preghiere della Madre di Dio, Salvatore, salvaci.
In un antico inno di supplica risalente all’ottavo secolo, che i più antichi codici liturgici attribuiscono ora al monaco Teostiricto, ora ad un non precisato Teofane, il Canone della Paràclisi, che con l’Inno Akàthistos è il testo più diffuso nella devozione popolare bizantina, ci si rivolge alla Panaghìa con queste parole: Salva dai pericoli i tuoi servi, Madre di Dio, poiché dopo Dio è in te che tutti ci rifugiamo, inespugnabile baluardo e protezione. Questi concetti servono opportunamente a chiarire qual è il sentimento teologicamente corretto che la Chiesa propone non come un arricchimento facoltativo della spiritualità individuale, ma come un elemento costitutivo della fede e del dogma cristiano, senza il quale la nostra fede sarebbe gravemente mutila e di scarsa efficacia in vista della salvezza dell’anima e dell’umanità intera. I latini direbbero: Ad Jesum per Mariam
La salvezza e la speranza della risurrezione provengono dallo stesso unico Dio vivente. La possibilità della salvezza, comunque, è messa a disposizione agli uomini attraverso la Madre di Dio, la quale, fornendo il prototipo completo e perfetto della vita di santità, è in grado di guidare gli uomini verso la virtù e la conversione. Questa profonda e spontanea attenzione verso la figura della Madre di Dio nei termini che abbiamo descritto trae origine dall’esperienza religiosa dei primi cristiani. La Madre di Dio era stata sempre percepita come consolatrice degli afflitti e pronto soccorso per tutti quelli che la supplicano. Essa stessa si avvicina agli uomini, prova compassione per loro e desidera la salvezza di tutto quanto il mondo, con il suo abbraccio riunisce ognuno a Dio salvatore, sempre pronta a intervenire come mediatrice ben accolta con le sue intercessioni sempre esaudite presso lo stesso Creatore e Salvatore del genere umano da Lei generato. Con il suo intervento le molteplici situazioni umane complicate e appesantite dall’egoismo e dal peccato, vengono semplificate e risolte, i mali e i dolori si affievoliscono e tutto diventa sopportabile attraverso la pura e solida consolazione interiore che la sua presenza e il Suo intervento garantiscono.
E’ concessa dunque agli uomini una potente protezione nella figura della Panaghìa con le sua caratteristiche e prerogative: il male che assale l’uomo può essere arrestato, contenuto, arginato, ridimensionato, guarito. Essa sorveglia dall’alto compassionevole e sollecita, quale invincibile stratega, secondo le efficaci e realistiche parole dell’Inno Akàthistos, il gregge che è esposto ad assalti visibili ed invisibili da parte dei nemici e soprattutto da parte dell’antico e malvagio nemico e tiranno del genere umano. La mediazione della Madre di Dio è quel mezzo, che non solo da lustro al genere umano, ma soprattutto lo rafforza, avendo la forza di allontanarlo e preservarlo dal dominio dei mali interiori ed esteriori, dalle cattive abitudini e dalle loro cause. I fedeli supplicano la Theotòkos affinché guarisca le passioni delle loro anime e diradi gradualmente la nebbia della percezione carnale, questa coltre terrosa e pesante che grava sugli occhi dello spirito.
Spesso infatti la svogliatezza e l’ignavia tipica della natura umana e la greve materialità e carnalità del pensiero rendono l’uomo indolente verso la virtù, la quale richiede sforzo continuo e costante. Il perseguimento della virtù è impresa ardua ed esposta a numerosi intralci e impedimenti: tali e tante sono le tribolazioni, le preoccupazioni della vita e le tentazioni che circondano da ogni parte il credente, a tal punto da render necessaria e indispensabile la potente protezione della Panaghìa, sempre pronta a soccorrere e ad intervenire in favore di quanti la supplicano.
San Giovanni Damasceno sostiene che l’esistenza umana sarebbe vuota e persino disumana per i credenti se non avessero la Madre di Dio con cui conversare e a cui domandare protezione e consolazione. La Madre di Dio, grazie alla sua vicinanza con Dio e alla sua partecipazione alla condizione della natura umana, come qualsiasi altro essere umano, diviene il chirografo, il documento, l’attestato scritto di correzione mediante il quale la creatura è riconciliata con il Creatore. 
La particolare posizione della Panaghìa nella vita religiosa dei fedeli riveste le stesse caratteristiche che la sua persona e il suo ruolo nelle vicende storiche della salvezza hanno espresso. La pietà personale diffusa nel popolo credente ha inneggiato le sue virtù e la sua santità dedicandole attributi e appellativi che potevano esprimerne e tratteggiarne le qualità interiori. La grandezza della sua figura viene percepita molto intensamente nelle anime religiose come la grande Madre, protezione e soccorso nei bisogni spirituali, ma anche nelle necessità e nelle lotte quotidiane. Nell’iconografia mariana bizantina contemporanea, depositaria e continuatrice dell’arte raffigurativa cristiana tradizionale antica, come ben testimoniato anche nell’arte cristiana occidentale delle origini, la Madre di Dio è rappresentata, com’è noto, con il bambino Gesù fra le braccia: è questa l’immagine che la pietà popolare cristiana ha sempre conosciuto dalle origini, dalla Mesopotamia alla penisola Iberica, dall’Etiopia alla Georgia, dall’Armenia all’Irlanda; questa immagine, questo tipo di icona ha ispirato nei cristiani di tutti i luoghi e di tutte le epoche, le più genuine e liriche espressioni di amore e fiducia. Nella tradizione locale dell’isola di Rodi, ad esempio, la Madre di Dio è stata celebrata solennemente dedicandole innumerevoli chiese e monasteri con titoli e dedicazioni che assomigliano molto nel concetto e nell’immagine alle espressioni che spesso riscontriamo anche in occidente, come la Panaghìa delle Grazie, del Patrocinio, la Regina dell’universo, oppure con espressioni che ricordano un particolare toponimo o avvenimento, come la Panaghìa del castello, del deserto o dell’apparizione.

Molti padri della Chiesa dichiarano di non avere a disposizione, né il coraggio, né le parole necessarie per poter descrivere o elogiare l’eccellenza e l’altezza della santità della Theotòkos. Per poter parlare di Lei in modo adeguato, è necessario possedere molta purezza nell’anima e nel corpo; siccome è piuttosto difficile con le proprie forze raggiungere una condizione del genere, è proprio a Lei che bisogna chiedere la liberazione e il distacco del cuore dalle passioni carnali e dai desideri materiali. Solo chi si innalza verso una purezza simile alla Sua sarà in grado di celebrarne degnamente la santità.

II STASI

La II stasi conclude il racconto storico, che non è solo storico ma anche e soprattutto teologico, dell'Incarnazione e dell'Infanzia di Cristo, presentandoci l'adorazione dei pastori (stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12).


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