sabato 1 settembre 2018

La separazione tra il Santuario e l'aula nella tradizione liturgica

Da sempre i Cristiani, sul modello del tempio di Gerusalemme ove gli Apostoli pregavano nei primi tempi, hanno costruito i loro templi con dei precisi canoni architettonici, che riflettevano però dei significati mistagogici, teologici e spirituali fondamentali.

L'arte sacra, e dunque l'architettura degli edifici di culto, ha conosciuto un diverso sviluppo a seconda dei luoghi e dei periodi, con forme che seppur molto diverse tra loro, talune più consone al sostrato mistico (penso, per esempio, agli stili bizantino, romanico, gotico...) e altre esteticamente forse più belle ma un po' meno efficaci sotto l'aspetto teologico (come il barocco), ha cionondimeno mantenuto per secoli le sue caratteristiche fondamentali, i simboli che rendono un luogo adatto e deputato all'ufficiatura della sacra liturgia.

In Occidente, come sappiamo, da cinquant'anni potremmo dire che l'arte e l'architettura sacre non esistono più, non solo da un punto di vista estetico (visti gli orrori che ci vengono propinati come "chiese"), ma anche e soprattutto nei loro significati mistici e teologici. Ciò è particolarmente evidente quando elementi fondamentali dell'organizzazione dello spazio sacro vengono brutalmente abbattuti o inconcepibilmente modificati, fino a un sovvertimento e a uno svuotamento dello spazio religioso stesso.

In questo articolo propongo (per cominciare) l'analisi di uno degli elementi fondamentali dello spazio sacro, messo a repentaglio dalla riforma postconciliare, e cioè la struttura che separa il Santuario, il luogo dove si trova l'Altare del Signore e dove si celebrano i misteri, dall'aula, il luogo dove si raccolgono i fedeli.

Come si diceva, è dal modello stesso del tempio gerosolimitano che i primi cristiani ripresero l'idea di un Santuario, di un Sancta Sanctorum ove si celebrassero i misteri divini e soprattutto il Santo Sacrificio, che fosse inaccessibile (solo i chierici entrano nel santuario, giammai i laici!) e soprattutto ben distinto, anche visivamente, dal luogo dove i fedeli si radunavano per la preghiera o per assistere alla liturgia. Questo si rendeva particolarmente necessario, al di là dei significati profondi e inappuntabili appena menzionati, perché l'aula della chiesa veniva sovente utilizzata anche per scopi "profani" (raduni, incontri etc.) della comunità cristiana, cosa che in molte tradizioni (per esempio quella russa) sopravvive sino ai nostri giorni.

I. LE ORIGINI

Nella chiesa primitiva tale separazione assunse la forma della pergula, ossia di un colonnato con architrave di collegamento e un parapetto, con una sola apertura centrale attraverso la quale il sacerdote entrava e usciva dal Santuario durante le funzioni.




La pergula paleocristiana è ben visibile nella Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma (prima immagine in alto), edificata sotto Papa Adriano I (VIII secolo) e rifatta nel 1123. Attualmente la chiesa è sede delle celebrazioni della Chiesa greco-cattolica Melkita, che dunque vi ha posto delle icone sul parapetto. Alcuni storici sostengono che durante le sacre funzioni pure in Occidente si ponessero delle sacre immagini sulla pergula, affinché i fedeli potessero venerarle; cionondimeno nei primi secoli non esisteva l'idea di mantenere delle icone fisse su di essa.
La seconda immagine raffigura un altro esempio canonico di pergula antica, quella del sacello di San Prosdocimo (VI secolo) nella Basilica di Santa Giustina a Padova. La terza invece è quella della Basilica di Santa Maria delle Grazie a Grado, anch'essa del VI secolo.


Esempio arcinoto e paradigmatico di pergula secondo l'antico stile comune a tutto il mondo cristiano è la Basilica Costantiniana di San Pietro (in alto la raffigurazione di Raffaello all'interno dell'affresco della "donazione di Costantino").
Questo stile architettonico comunque sopravvisse lungamente, e in alcuni luoghi rimase addirittura esente dalle successive modifiche stilistiche locali. Per esempio in Inghilterra, laddove la high church anglicana ha mantenuto le strutture precedenti allo scisma enriciano e le ha conservate sino ai nostri giorni (sotto, la pergula della cattedrale di San Probo e della Divina Grazia a St. Probus, in Cornovaglia; e quella della St. Mary church a Berkeley, nel Glouchestershire).

 

II. EVOLUZIONE DELLA PERGULA IN ORIENTE

In Oriente una modifica di questo originario stile architettonico avvenne dopo la crisi iconoclasta (VIII-IX secolo). Per contrastare efficacemente tale eresia, che negava la possibilità di recar culto alle immagini di Cristo e dei Santi, nei territori bizantini s'incominciò a posizionare delle icone fisse sulla pergula, sino a realizzare (attorno al XII secolo) la cosiddetta iconostasi (letteralmente, luogo dove stanno le icone). Essa in tal modo oscura anche la vista del Santuario (funzione un tempo svolta dalla tenda, come si vedrà più avanti), nascondendo la celebrazione dei Sacri Misteri. Si dota inoltre delle porte, che si aprono e chiudono più volte durante la liturgia, in numero canonico di tre: una porta regale o porta santa al centro, da cui transitano i sacerdoti, e due porte diaconali ai lati, da cui invece passano appunto i diaconi e gl'inservienti. Tutto ciò è ben visibile nell'iconostasi della Chiesa di San Giorgio dei Greci in Venezia (sotto).


Le iconostasi possono essere di diverso materiale e variamente decorate. Canoni fissi sono però l'icona del Salvatore a destra delle porte regali e quella della Madre di Dio a sinistra (esse hanno infatti una funzione liturgica), nonché l'immagine dell'Ultima Cena o della Comunione degli Apostoli sopra le porte regali. Quasi tutte le iconostasi poi hanno un'immagine del Battista alla porta diaconale di sinistra, nonché l'Annunciazione raffigurata sulle ante delle porte regali.


A differenza dello stile greco, che generalmente adotta uno o al massimo due registri d'icone, e in cui l'iconostasi è di altezza moderata (in alto, l'abside della Cattedrale di San Demetrio a Tessalonica, la cui iconostasi è stata ricostruita nel secolo scorso sul modello di quella antica), in Russia si affermò un canone molto più complesso, che prevedeva iconostasi assai elevate (quasi fino al soffitto), con quattro o cinque registri d'immagini, rigidamente normati:
  • Nel registro inferiore: Annunciazione sulle porte regali; a destra il Salvatore, San Michele o Santo Stefano, il santo titolare; a sinistra la Madre di Dio, San Gabriele o San Lorenzo, San Nicola o San Giovanni Battista.
  • Secondo registro dal basso: Ultima Cena al centro; le dodici feste principali dell'anno liturgico (Natività della Vergine, Presentazione della Vergine, Annunciazione, Natività, Presentazione di Cristo, Battesimo di Cristo, Trasfigurazione, Ingresso in Gerusalemme, Risurrezione, Ascensione, Pentecoste, Dormizione della Vergine).
  • Terzo registro: Deisis (Cristo benedicente con la Madonna e il Battista) al centro; i dodici apostoli.
  • Quarto registro: la Madonna orante al centro; i dodici profeti dell'Antico Testamento.
  • Quinto registro: la Trinità al centro; i dodici patriarchi dell'Antico Testamento.
  • Coronamento: la Croce, con la Madonna a sinistra e San Giovanni a destra.
L'iconostasi della cattedrale di Sant'Elia Profeta a Yaroslavl (sotto) è un esempio perfetto di iconostasi tradizionale russa. 


III. LE TENDE

Abbiamo detto che un altro elemento di copertura del Santuario erano le tende. Tale elemento rimonta anch'esso ai primi secoli del Cristianesimo, e ha derivazione diretta dal velo del Tempio di Gerusalemme (quello che si squarciò alla morte di Nostro Signore), il quale occultava completamente l'Arca. Parimenti, le tende avevano la funzione di occultare il Santuario e la celebrazione dei Divini Misteri.
Il Rationale Divinorum Officiorum di Guillaume Durand (XIII secolo) c'informa della presenza in Occidente di tria vela, ossia di tre veli. Il primo era una tenda esterna, che copriva l'intero santuario. Abbiamo testimonianze del suo uso a Roma, laddove s'impiegava soprattutto in Quaresima, quando, simboleggiando l'oscurità del peccato che acceca la vista dei peccatori, l'intero santuario veniva occultato. Una funzione simile è svolta dalla grande tenda davanti al coro che si trova nella chiesa armena, che viene chiusa in alcuni momenti durante le sacre funzioni (Comunione del celebrante, per esempio), ma molto spesso durante la Quaresima. Tale tenda si ritrova pure nella tradizione bizantina, anche se di fatto è solo simbolica, dal momento che l'iconostasi provvede già ad oscurare i misteri. Comunque, l'origine comune di questo velo è testimoniata dal fatto che pure nel rituale bizantino il suo impiego precipuo è durante le funzioni quaresimali.

Santuario della chiesa di San Lazzaro, nell'omonimo monastero armeno in Venezia

Il secondo velo, anch'esso un tempo comune a tutta la Chiesa, è progressivamente scomparso dappertutto, ancorché sia stato tenuto per molto tempo nella Chiesa d'Occidente. Era il velo che oscurava solo l'altare, lasciando visibile il resto del Santuario. Questo era fissato al ciborium, che poi evolvette nel baldacchino, di cui le chiese latine continuarono a dotarsi per lunghi secoli, anche dopo la scomparsa delle tende, a memoria simbolica dell'antica funzione. Secondo alcune autorevoli ricostruzioni del rito latino antico, le tende dell'altare rimanevano chiuse all'inizio, e si aprivano mentre il sacerdote saliva all'altare per baciarlo (alcuni sostengono che la lettura privata dell'introito, con tanto di segno di croce, fosse una specie di "benedizione" dell'apertura delle tende). Dipoi, esse si chiudevano nuovamente all'inizio del Canone (con l'Orate fratres, infatti, il sacerdote in un certo senso si congeda dal popolo), e restavano chiuse fino al termine della Comunione del celebrante. Il suono del campanello aveva la funzione di avvertire il popolo, che non vedeva il prosieguo della celebrazione, dei momenti precipui dell'anafora, particolarmente della Consacrazione. All'ultimo suono del campanello, la tenda si apriva, e il popolo si accostava alla pergola per prepararsi alla ricezione dell'Eucaristia.

Particolarmente interessante (anche come argomento contro coloro che si battono per una "liturgia visibile") è il fatto che, scomparso il velo d'altare nell'uso medievale dell'Urbe, i suddiaconi papali -leggiamo negli antichi sacramentari - si disponevano a semicerchio attorno all'altare per impedire che venissero veduti i misteri. Tracce di questa pratica si conservano perfettamente nel rituale della Messa solenne, quando il suddiacono (che tiene in mano la patena) tiene sollevato il velo omerale durante il Canone, quasi a coprire simbolicamente ciò che accade sulla mensa.

Il terzo velo era semplicemente quello che copre il calice, rimasto in tutte le tradizioni orientali e occidentali.



Nella prima foto, il catino absidale della Basilica di San Clemente al Laterano, in Roma. Notare, oltre al ciborio, la particolare conformazione della balaustra che separa lo spazio presbiterale. Nella seconda foto, invece, il Ciborio della Basilica di San Paolo fuori le mura, sempre in Roma.

IV. EVOLUZIONE DELLA PERGULA IN OCCIDENTE


Poiché in Occidente, data l'assenza d'iconoclastia, non si sviluppò mai l'iconostasi, in molti luoghi si mantenne la tradizionale forma della pergula, tutt'al più sormontandola con un Crocifisso e con qualche statua (tipicamente i dodici Apostoli), com'è ben visibile nell'iconostasi trecentesca della Basilica Cattedrale di San Marco in Venezia (in alto; nell'immagine s'intravede pure il ciborio, un tempo con le tende). Si noti pure che il presbiterio è sopraelevato rispetto all'aula, cosa introdotta a Roma ai tempi di Gregorio Magno, e di lì passata in tutto l'Occidente e non solo (ancorché sia estraneo alla tradizione greca, quasi tutte le chiese russe hanno il Santuario leggermente sopraelevato). Il simbolismo di questo innalzamento è chiaro: il Santo Sacrificio si svolgeva sul Sacro Monte di Sion, e il Santuario deve misticamente rappresentarlo. Nel periodo romanico tale elevatezza fu particolarmente accentuata, soprattutto in seguito all'ampliamento delle cripte sottostanti, come si può ben vedere nel presbiterio della Basilica di San Zeno a Verona (a destra).

In altri luoghi, soprattutto in Francia e nel periodo gotico, invece si ebbe un'arricchimento artistico della pergola, sino a giungere alla formazione dei cosiddetti pontili-tramezzi, pareti divisorie realizzate in legno o in marmo, con una ricca decorazione scultorea che le copriva completamente, sino a occultare l'abside. Col tempo esse vennero dotate di due amboni, uno a destra per il canto dell'Epistola e uno a sinistra per il canto del Vangelo (tali amboni si vedono pure nell'iconostasi marciana). Proprio dal fatto che il diacono domandasse la benedizione salendo su questi, ha fatto sì che in Italia e Francia venissero conosciuti come jubè (dalla formula Jube domne benedicere). In inglese il termine per descriverli è rood screen (parete della croce, dal fatto che erano spesso sormontati da una grossa croce), in tedesco Lettern (da lectorium, proprio per la presenza di amboni), in spagnolo semplicemente coro alto. Questa struttura era particolarmente necessaria nelle chiese dotate di coro: infatti la sua precipua funzione non era quella di nascondere i misteri dell'altare, ma piuttosto quella di garantire tranquillità ai corali, che stavano negli stalli posti dietro di essa (come si vede nella ricostruzione della cattedrale parigina di Notre-Dame nel XIII secolo, a sinistra), dimodoché potessero cantare l'ufficio senza esser disturbati dal popolo che entrava in chiesa per la preghiera. Infatti mentre la messa solenne conventuale si officiava all'altare dietro tale tramezzo, talora la messa per il popolo era celebrata al di fuori, in un altare addossato al tramezzo stesso, detto impropriamente "altare della croce", per via della grande croce che sormontava il tramezzo.




Dall'alto, è possibile vedere un tramezzo latino raffigurato negli affreschi giotteschi della Basilica di San Francesco ad Assisi; l'interno del coro con tramezzo della Cattedrale di Santa Cecilia ad Albi (Francia); il tramezzo del coro della Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari in Venezia.

Tra Quattrocento e Cinquecento, un po' per mode estetiche, un po' per la crescente devozione nei confronti dell'Ostia consacrata e un po' per una concezione razionalista, iniziava ad avvertirsi la "necessità" che i misteri fossero visibili (notare che, nonostante queste pretese poco tradizionali, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di abolire le separazioni, né tantomeno di voltare l'altare...) la struttura di separazione fu progressivamente ridotta, fino a diventare una semplice balaustra (in plutei marmorei o a colonnine), chiusa da un cancello che permetteva l'ingresso e l'uscita del clero dal Santuario. Il Concilio di Trento canonizzò questa formula architettonica, sicché per i quattro secoli successivi si mantenne pressoché immutata la forma delle balaustre, e le antiche chiese vennero talora riadattate (questo per una moda cinque-seicentesca di uniformare tutto all'uso tridentino, senza rispetto per le tradizioni locali e secolari, cosa che il Concilio di Trento non aveva minimamente chiesto, ma si era insinuato nella mente di molto clero il pensiero che in tal modo si sarebbe potuto sopprimere qualsiasi germe di protestantesimo).
Sotto, è possibile vedere, a mo' di esempio, il presbiterio della chiesa dei Santi Michele e Gaetano a Firenze (1597).


Pur di forma decisamente ridotta e simbolica, la balaustra mantiene in sé tutte le funzioni dell'antica pergola, definendo chiaramente lo spazio del Sancta Sanctorum, dividendolo dall'aula e rendendolo inaccessibile ai laici. I significati simbolici, pratici e teologici della struttura che separa il Santuario dal resto della chiesa sono strettamente collegati alla sostanza stessa della liturgia e della preghiera del Cristianesimo, e alla profondità e alla santità dei misteri che si celebrano nel Santuario, e particolarmente del Santo Sacrificio Eucaristico.

Ora, se la modernità, dopo la riforma liturgica, ha voluto "aprire il presbiterio al popolo", abolendo le balaustre e stravolgendo ogni significato mistico del Santuario stesso, forse questa nuova architettura, così lontana dalla tradizione bimillenaria della Chiesa d'Oriente e d'Occidente, risponde a delle concezioni teologiche e liturgiche che NON sono quelle del Cristianesimo delle origini, che si possono bene (e tristemente) distinguere nel ritus modernus che le esprime...

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