venerdì 14 settembre 2018

La festa dei Sette Dolori della Madre di Dio

Il Calendario Romano annovera due diverse feste dedicate ai Sette Dolori della Beata Vergine Maria: la prima e più antica nel venerdì della settimana di Passione; la seconda invece fissata al 15 settembre. Tali due feste hanno identico formulario alla messa, ma un Ufficio notevolmente diverso.
Ambedue queste ricorrenze hanno la loro origine nella devozione medievale: già nell'XI secolo si hanno tracce di una devozione ai cinque dolori della Madonna, simboleggiati da cinque spade. Anche quando poi il numero di sette sarà definitivamente fissato sarà mantenuta la rappresentazione simbolica della spada, che passò poi pure in Russia, ove vi sono diverse icone mariane (per esempio quella del Don) che presentano sette lame al cuore della Madre di Dio. Il movimento francescano contribuì notevolmente alla diffusione di questa festa, come ci testimonia la composizione della nota sequenza Stabat Mater di Jacopone da Todi (1236-1306).

Albrecht Dürer, Polittico dei Sette Dolori, 1500 circa

I sette dolori a cui si riferisce la  la varante più diffusa della tradizione (quella dell'Ordine dei Serviti, cui accenneremo in seguito), sono:

1. La Profezia di Simeone.
2. La fuga in Egitto.
3. Lo smarrimento di Gesù infante nel tempio.
4. La salita al Calvario (l'incontro di Cristo con la Madre).
5. La Crocifissione.
6. La Deposizione.
7. La Sepoltura di Cristo.

Si noti che comunque le tradizioni antiche non erano concordi in materia. Nell'immagine in alto, per esempio, che riflette la devozione nordeuropea della fine del Quattrocento, la Profezia di Simeone è sostituita dalla Circoncisione (un'effusione del sangue di Cristo, e quindi cagione di dolore); tra la salita al Calvario e la Crocifissione è inserito l'Inchiodamento di Cristo alla Croce, e conseguentemente manca la Sepoltura.

La festa del venerdì di Passione

Le prime tracce di una festività liturgica dei Sette Dolori si hanno nel XV secolo nell'area germanofona dell'Europa centro-settentrionale. Ciò probabilmente va inquadrato in un generale incentramento della devozione popolare sulla Passione di Cristo e su tutti gli aspetti correlati (dunque anche sulle sofferenze della Madre Sua), in risposta all'eresie del movimento hussita. La festa tuttavia presentava caratteristiche e date diverse da luogo a luogo, e pure andava sotto una gran varietà di denominazioni. Tra il XV e il XVII secolo, fatte salve alcune diocesi che la fecero festa propria, rimase comunque unicamente come Messa votiva.
Nell'Arcidiocesi di Colonia si menziona per la prima volta questa festa, sotto il titolo di Compassionis B. Mariae Virginis, con ricorrenza fissata al terzo venerdì dopo Pasqua. Si noti che nel calendario proprio della Chiesa Coloniese la ricorrenza fu mantenuta in tal data fino alla fine del XVIII secolo, pur avendo nel tempo assunto il titolo di festa "dei Sette Dolori". I Domenicani invece hanno mantenuto intatto il titolo di Compassionis B.M.V. nel loro tipico, che presenta peraltro un ufficio diverso da quello romano.
Il Messale di Sarum presentava un formulario di messa votiva Compassionis sive Lamentationis BMV, dotata peraltro di una lunghissima sequenza autoctona, di ben 128 versi.
Altri usi locali la conoscevano come la Transfixio B.M.V., secondo quanto profetizza Simeone alla Vergine, che "una spada le trapasserà l'anima" (cfr. Lc 2,35). Tracce di quest'antica denominazione sono presenti nel rito romano attuale, per esempio nel prefazio della festa odierna, in cui alla prefazione comune della Beata Vergine si aggiunge et te in transfixione Beatae Virginis. Si noti che negli usi particolari laddove sia tramandata una denominazione propria, sovente è questa ad essere impiegata nel prefazio (per esempio, i domenicani dicono et te in compassione, vide supra).

Nell'ufficio romano della festa quaresimale dei Sette Dolori, la cui fissazione risale più o meno al periodo summenzionato, sono presenti salmi propri (che rimandano alla salmodia propria dei giorni del Triduo Sacro), lo Stabat Mater di Jacopone da Todi quale inno (diviso in tre parti: la prima ai Vesperi, la seconda all'inizio del Mattutino e la terza alle Lodi; inoltre prevede una melodia più semplice di quella prescritta per la sequenza; la stessa semplice melodia è quella che s'impiega nel pio officio della Via Crucis). Pure i responsori del Mattutino sono tratti dal Triduo Sacro o da altri offici della Passione di Cristo (v'è pure il famosissimo Tenebrae factae sunt del Giovedì Santo, ma con un verso differente, che recita stavolta Quis tibi nunc sensus, dum cernis talia, Virgo?), così come le letture del I Notturno sono tratte dalla profezia del Servo Sofferente (Isaia 53). Le letture del II Notturno sono tratte invece dal sermone di San Bernardo di Chiaravalle in cui egli parla del "martirio" della Vergine, rivolgendosi a lei direttamente in un passo di altissimo valore spirituale.

Un ulteriore diffusione della festività si ebbe in opposizione al Protestantesimo, e proprio nel corso del XVI secolo molti luoghi iniziarono a fissare la festa propria al venerdì di Passione. Oltre un secolo dopo, Papa Benedetto XIII (+1730) estese la festa alla Chiesa Universale, adottando la denominazione di festa dei Sette Dolori.

La festa del 15 settembre

Carlo Dolci, Mater dolorosa, 1650 circa

La festività odierna invece affonda le sue origini nella devozione dell'Ordine dei Servi di Maria, nato ad opera di alcuni nobili fiorentini nel 1233, in seguito al miracolo cui assistettero il 15 agosto di quell'anno, quando l'immagine della Madonna dipinta su un muro della città, presso la quale si ritrovavano per pregare, iniziò a mostrarsi addolorata e piangente. L'Ordine, che conobbe una rapidissima e notevolissima crescita, sviluppò dunque una sua particolarissima e intensa devozione alla Madonna Addolorata, e aveva verso di essa una particolare devozione, il Rosario dei Sette Dolori (secondo la lista sovrariportata). Nel 1668 fu ufficialmente istituita quale festa patronale del loro ordine.

Poiché la devozione servita non era incentrata completamente sulla Passione di Cristo, ma piuttosto su tutti i dolori sofferti dalla Santa Vergine durante la sua esistenza terrena, in questa seconda festa si operarono dei cambiamenti nei testi liturgici. Nella Messa fu solo marginalmente cambiata la colletta, levandovi il riferimento alla Passione; nell'Ufficio si scelse d'impiegare i salmi del Comune della Madonna ai Vesperi, con salmodia invece propria al Mattutino; gl'inni sono composti ex novo a tutte le ore, in stile classicizzante secondo la moda dell'epoca. Le letture del I Notturno vengon tolte dal Libro delle Lamentazioni, mentre quelle del II Notturno sono composte dallo stesso sermone di S. Bernardo dell'altra festa. Particolarmente interessanti e di pregevole armonia compositiva sono i responsori del Mattutino, ciascuno dedicato a uno dei dolori della Vergine, più l'ottavo che costituisce una splendida esortazione:

In toto corde tuo gémitus Matris tuæ ne obliviscáris, ut perficiátur propitiátio et benedíctio. Ave, princeps generósa, Martyrúmque prima rosa, Virginúmque lílium. Ut perficiátur propitiátio et benedíctio. Glória. Ut perficiatur.

Non dimenticarti del pianto della Madre tua in tutto il tuo cuore, perché ne riceva propiziazione e benedizione. Ave, o regina magnanima, prima rosa dei Martiri, e giglio delle Vergini. Perché ne riceva propiziazione e benedizione. Gloria. Perché ne riceva.

Il Calendario Romano generale recepì la festa servita nel 1814, per imperio di Pio VII, dopo l'esilio in Francia, quale supplichevole richiesta d'intercessione alla Vergine per la Chiesa in quei turbolenti anni. La festa fu fissata alla terza domenica di settembre, ma meno di un secolo dopo, nel quadro del riordino del calendario voluto da Papa San Pio X, il quale volle liberare le domeniche dalle feste devozionali assegnatevi negli ultimi secoli, la fissò definitivamente al 15 settembre, mettendola dunque in stretta relazione (com'è naturale) con il mistero della Crocifissione, dacché il 14 si celebra l'Esaltazione della Santa Croce. L'unica conseguenza spiacevole di questa significativa collocazione, fanno tuttavia notare taluni liturgisti, è la soppressione del II Vespro della festa dell'Esaltazione, soppiantato dal I Vespro della festa dei Sette Dolori e semplicemente commemorato al suo interno. La cosa risulterebbe a parer mio non troppo problematica, se si tenesse conto (cosa che oramai, complici le riforme liturgiche del XX secolo, non è più nel senso comune) che il Vespro di una festa è quello della sera prima, e il II Vespro è solo un'appendice (meno solenne, secondo quanto riporta il Pontificale Romano) che si dà alle feste di grado maggiore.

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