Una delle feste probabilmente meno conosciute caratteristiche della tradizione ambrosiana è quella della cosiddetta Christophoria o Reductio ab Ægypto. Trattasi di una particolarità, infatti, del rito mediolanense, spazzata via dopo la riforma liturgica postconciliare.
L’oggetto della festa
Questa celebrazione ha per oggetto, come è possibile intendere dal nome, il trasporto di Nostro Signore Gesù Cristo dall’Egitto per fare ritorno in Israele. Difatti, stando al testo evangelico, la Sacra Famiglia era fuggita nella provincia romana che fu tolemaica per fuggire alla persecuzione del Re Erode il Grande (Matt. II 13). Avvertito in sogno da un angelo della morte di costui, San Giuseppe riporta la sua Sposa e il Salvatore in Israele (Matt. II 20).
E’ questo, quindi, un fatto storico della vita di Nostro Signore sulla terra, specificatamente legato alla Sua infanzia. Tuttavia, questa non è un semplice “aneddoto” della Sua santissima vita, ma è una realizzazione della profezia di Osea, dimostrando, fin da subito, come Egli sia il Salvatore che, per usare le parole cantate nei Secondi Vespri dell’Epifania, “hanno acclamato tutti i patriarchi” [1].
Testi liturgici
Secondo il Messale Ambrosiano del 1954, ultima edizione prima della riforma, la solennità del Signore è indicata come “Cristophoria sive ReditusChristi ex Ægypto”. E’ fissata al 7 gennaio e celebrata in paramenti bianchi; trovandosi nell’Ottava dell’Epifania, se ne fa sempre commemorazione per ognuna delle quattro orazioni, con conclusioni distinte (super populum, super sindonem[2], super oblatam, post communionem). Si cantano il Gloria e il Credo.
Consideriamo ora alcuni testi, qui di seguito.
L’Ingressa della Messa (equivalente dell’Introito romano) recita: Visi sunt gressus tui, Domine: gressus Dei mei, regis, qui est in sancto. Praevenurunt principes conjuncti psallentibus. Il ritorno di Cristo è visto, riprendendo il salmo 67, come un corteo, il corteo di Dio.
L’oratio super populum: Praesta, omnipotens Deus, cordibus nostris: ut iugiter Ægyptiacae servitutis, et peccati iugum excutere cupiamus, atque maiestati tuae apparere possimus in caelesti patria, quam nobis promisisti. Per Dominum…Si nota l’interessante parallelismo tra Egitto e peccato, assai caro alla tradizione cristiana [3]. Naturalmente, Cristo non ha bisogno di purificarsi da alcun peccato, e nemmeno la Santa Vergine, ma l’orazione propone un modello didascalico che segna, ancora una volta, un collegamento veterotestamentario (o, meglio, una sua realizzazione più perfetta).
La lettura è tratta dal profeta Osea (Os. XI 1-12), il cui punto chiave è sicuramente la profezia esplicita: "et ex Ægypto vocavi filium meum”.
L’epistola, tratta dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Ebrei (XI, 13-16), considera la fede dei padri, che non riuscirono a raggiungere i beni della terra promessa. Ancora si fa dunque un parallelismo col popolo ebraico e il Salvatore.
Il Vangelo, naturalmente, racconta l’episodio, dal sogno di San Giuseppe fino all’arrivo a Nazareth (Mt II 19-23).
Negli apocrifi
Se questo episodio non è molto conosciuto, anche perché l’unica testimonianza è data da San Matteo, ne danno, invece, attenta testimonianza gli apocrifi dell’infanzia, in particolare i vangeli dello pseudo-Matteo e il cosiddetto arabo. Pur non essendo testi canonici, possono fornire alcuni spunti interessanti: per esempio, al passaggio di Gesù, Maria e Giuseppe, le palme si inchinano e le statue degli idoli egiziani si frantumano, dimostrando la veridicità del salmo XCV “Omnes dii gentium daemonia sunt”. Questo episodio è stato ricordato qui in occasione dell’assurda polemica sulla trafugazione delle statue della pachamama. Di fronte al vero Dio gli idoli crollano, dimostrando la propria falsità.
Conclusione
Oltre a quanto appena detto dal punto di vista, possiamo dire, teologico, c’è un punto liturgico da sottolineare: questa ricorrenza, al seguito della riforma postconciliare, è del tutto scomparsa, senza lasciare alcuna traccia. Eppure questa è una festa “storica” nel senso che commemora un evento della vita sulla di Cristo; di contro, sopravvisse e continua a sopravvivere, la festa della Santa Famiglia, che nel rito antico si celebra i lunedì successivo alla quarta domenica di gennaio, mentre nel rito attuale ne ha preso la precedenza sulla sopraddetta domenica. Si badi bene, non vi è alcun astio (e come potrebbe esserci?) nell’onorare la Santa Famiglia, ma questa è una festa d’idea, di astrazione, fissata da Leone XIII, poi soppressa da Pio X e restaurata nuovamente da Benedetto XV. Un’istituzione recente, quindi, istituita al fine di combattere il libertinismo, che però ha avuto più fortuna di una ricorrenza molto più antica che commemora un fatto storico. Ancora una volta ci si ritrova, dunque, nell’alveo di quel sistema già segnalato in questo blog.
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NOTE
[1] E' la traduzione dell’antifona in coro Omnes Patriarchae, già analizzata qui.
[2] Questa orazione segna lo stacco tra la parte didattica e quella sacrificale, essendo situata poco dopo il canto Post Evangelium e, subito dopo di essa, hanno inizio i riti offertoriali.
[3] Difatti, il salmo CXIII In exitu Israel de Ægypto, fu sempre visto non solamente in funzione letterale, ma anche e soprattutto come esempio dell’anima che deve fuggire dalla vita peccaminosa. Ne fornisce ottima illustrazione l’Alighieri nell’Epistola XIII a Cangrande della Scala.
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