mercoledì 2 settembre 2020

Un canto epicletico "infra Actionem" dalla consuetudine bobbiense

 Fondandosi sugli scritti di san Nicola Cabasila, nel suo scritto sull'Ortodossia del Canone Romano il prof. Nikolaj Dimitrevic Uspenskij spiega molto bene come l'Anafora che la tradizione attribuisce a San Gregorio Magno ed è contenuta nei libri liturgici romani abbia nella sua interezza un "carattere epicletico" consacratorio, che trova la sua akmè (ma non necessariamente il suo completamento) nel Supplices te rogamus.

Dalla consuetudine altomedievale dell'Abbazia di San Colombano a Bobbio traiamo l'interessante informazione che, dopo le parole dell'Istituzione, il coro accompagnava il proseguimento dell'Anafora con un canto infra Actionem dal chiaro significato epicletico.

Emitte Spiritum Sanctum tuum, Domine, ut dignetur sanctificare corpus et sanguinem tuum. Nos frangimus Domine, tu dignare retribuere, ut inmaculatis manibus illud tractemus. O quam beatus venter ille qui Christi corpus meruerit digne percipere. O quam preciosa escae commestio, quam lucis mundi illustrat gracia. O quam beati pedes illi qui Christum meruerunt sustinere, cui Angeli et Archangeli offerunt munera sempiterno et excelso Regi, alleluja.

Manda il tuo Santo Spirito, o Signore, perché si degni di santificare il tuo corpo e il tuo sangue. Νοi compiamo la frazione, o Signore, tu degnati di donarci in cambio di toccarlo con mani immacolate. O quanto beato fu il ventre che meritò di ricevere degnamente il corpo di Cristo. O quanto prezioso è il cibarsi del nutrimento, illuminato dalla grazia della luce del mondo. O quanto beati son quei piedi che meritarono di portare Cristo, al quale, sempiterno ed altissimo Re, gli Angeli e gli Arcangeli offrono i loro doni, alleluia.

In alcune recensioni le parole "Spiritum Sanctum tuum" sono sostituite da "Angelum sanctum tuum", mettendolo così in esplicita relazione con le parole del Supplices te rogamus. L'identificazione di questo Angelo è discussa dai vari commentatori: san Pascasio Radberto vede in esso Cristo stesso che officia il Sacrificio del suo medesimo Corpo, mentre il Cabasila vi nota esattamente lo Spirito Santo come nelle epiclesi orientali, interpretando "Angelum" come un grecismo nel senso di "inviato". Sicuramente è il passo più manifestamente epicletico del Canone Romano, seppur - come detto - questo intendimento pervade tutta l'Anafora, senza che i Padri abbiano in essa voluto identificare un momento preciso di consacrazione come più tardi pretenderanno di fare gli scolastici.

Questa testimonianza, oltre a inserire nuovi tasselli nella ricostruzione della concezione patristica della consacrazione dei Santi Doni, ci offre lo spunto per recuperare un'antica consuetudine liturgica, quella del canto epicletico infra Actionem, purtroppo smarrita nei secoli. Storicamente in ogni caso l'anafora segreta è sempre stata accompagnata dal canto del coro: in età bassomedievale saranno introdotti i cosiddetti "canti per l'Elevazione" (O salutaris hostia ad esempio), e in età tridentina avranno la meglio le toccate d'organo o la ripresa dell'ultimo verso del Sanctus polifonico di una certa lunghezza. La prassi del silenzio durante la seconda parte dell'anafora, o ancor peggio del silenzio durante le sole parole dell'Istituzione come voluto dalle rubriche del 1960 per sottolineare tomisticamente questo momento come quello della consacrazione, benché ampiamente praticata dai "tradizionalisti" odierni, è del tutto antistorica.

Offriamo di seguito l'esecuzione musicale del canto sopraddetto, secondo la notazione contenuta in un codice bobbiense di XII secolo, curata dal prof. Luca Ricossa, docente presso l'Haute école de musique di Ginevra. Sotto si trova la trascrizione in notazione quadrata, ad opera del medesimo prof. Ricossa.



6 commenti:

  1. Grazie molte. Mi verrebbe da dire che le parole dell' Istituzione siano quasi una sorta di introduzione più che il vertice del Canone. Anticamente i monaci di San Colombano eseguivano questo canto nel quale si chiede al Padre che mandi lo Spirito Santo a santificare le oblate (come se ancora debbano essere santificare o completamente santificate). Sembra che fosse considerata molto importante, se ho capito bene,la preghiera supplices te ai fini della consacrazione, e non posso non pensare che nella messa bizantina, l' invocazione allo Spirito la si fa subito dopo le parole dell' Istituzione e dopo averla pronunciata e dopo che il celebrante segna con la croce prima il pane, poi il vino, poi entrambe le oblate e poi si prostra faccia a terra (almeno nelle liturgie russe che ho visto da internet). Voglio dire che sembra coerente il modo tradizionale di intendere il canone in occidente dal modo di intendere l' anafora in oriente almeno circa la santificazione delle oblazioni.
    Confesso di essere un po' sorpreso nel constatare l' apparente non centralita' delle Parole di Nostro Signore nell' opera della transustanziazione. Ripensandoci forse inconsciamente qualcosa deve essere rimasto circa il fatto che il canone e' tutto "santissimo": nella mia chiesa capita ancora di vedere qualcuno che resta in ginocchio per tutto il canone.

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    1. Le parole non sono "non centrali", lo sono eccome, nelle anafore occidentali e bizantine. Semplicemente non sono "il momento preciso della consacrazione" nell'intendimento dei Padri. Più che il momento, l'epiclesi sottolinea la modalità di santificazione dei Doni.

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    2. Capisco. Ho sempre im mente sta cosa del "momento" del "quando succede" questa cosa tanto mirabile. Fin dai tempi della prima comunione me l' hanno detto senza parlare di quando servivo messa: suonavo il campanello proprio li'. Dunque trovo difficile considerare che non sia quello "il momento". Ma capisco che si tratta di andate più in profondità per recuperare una mentalità meno "matematica", per cosi' dire.

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  2. Mi permetto una domanda di carattere musicale: nell' articolo si dice che l' inno eseguito "infra actiones" veniva cantato dopo le parole dell' Istituzione, dunque non era ancora vigente l' usanza di cantare il Benedictus in tale momento. Questa pratica di cantare prima Sanctus e dopo (la "consacrazione") il Benedictus per accompagnare il canone detto sottovoce nasce con Trento? O comunque non nel Medioevo.

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    1. E' una conseguenza dell'impiego di pezzi molto lunghi, sovente polifonici e dunque da dividere in due parti, sorta probabilmente in età rinascimentale.

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  3. ricorda vagamente l'epiclesi presente nel Canone proprio del Giovedì Santo della liturgia ambrosiana

    Haec facimus, haec celebramus tua, Domine, praecepta servantes, et ad communionem inviolabilem hoc ipsum quod corpus Domini sumimus mortem dominicam nuntiamus. Tuum vero est, omnipotens Pater, mittere nunc nobis unigenitum Filium tuum, quem non quaerentibus sponte misisti. Qui cum sis ipse immensus et inaestimabilis, Deum quoque ex te immensum et inaestimabilem genuisti. Ut cuius passionem redemptionem humani generis tribuisti, eius nunc corpus tribuas ad salutem.

    in entrambi i casi il testo ha una professione del fatto che si sta compiendo l'azione liturgica comandata, e in 'cambio' si chiede di avere il Sacramento e di riceverne i frutti (anche se in questo canto l'epiclesi di comunione è espressa attraverso una contemplazione)

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