martedì 27 luglio 2021

Un caso di sovrapposizione: un altro San Foca

Celebrando oggi 14 (27) luglio la festa di San Foca di Sinope, vescovo e martire, analizziamo un curioso caso di sovrapposizione del culto. Tale situazione si verifica infatti per alcuni Santi dei primi secoli e di cui vi sono poche notizie agiografiche (ma, non per questo, leggendarie e da espungere come fecero i riformatori [1]); celebri i casi di S. Dionigi di Parigi con l’omonimo Aeropagita (ricordati peraltro lo stesso giorno dalla liturgia orientale [2]), o della triade Maria Maddalena-Maria di Betania-peccatrice pentita (non a caso il Dies Irae recita “Qui Mariam absolvisti”).

Il nome Foca ci rimanda infatti a quello di più Santi. Wandelberto, monaco e poeta belga del IX secolo, scrive infatti:”Ternas martyr habet meritorum nomine Phocas” [3]. Vi è quindi un S. Foca vescovo, un secondo agricoltore e un altro soldato. Tuttavia, il cardinale Cesare Baronio, ripreso poi dal teologo calabrese (e non è un caso, come vedremo) Onofrio Simonetti, scrisse:”Duos fuisse Phocas, ambosque martyres illustres”. Quest'altra tradizione quindi distingue il santo vescovo e unifica l’agricoltore col soldato, entrambi degni della palma.

Martirio di San Foca di Sinope, dal Menologio di Basilio II (Costantinopoli, X sec.)

La festa odierna ci porta dunque a considerare anche il S. Foca agricoltore e martire, protettore contro i morsi dei serpenti. Secondo lo storico Michele Amari tale culto fu portato o rinforzato dal generale bizantino Niceforo Foca il Vecchio (830 ca. - 896 ca.), che liberò la Puglia e la Calabria dai saraceni. Non è quindi un caso che in provincia di Lecce troviamo San Foca, frazione di Melendugno, località in cui si parla il griko [4]; è ancor più sentito nella località calabrese di Francavilla Angitola, in provincia di Vibo Valentia.

In detto paese, molti uomini vengono ancora battezzati con questo nome e la devozione popolare ha prodotto un poemetto in dialetto noto come A raziuoni, di cui riportiamo qualche verso e la traduzione.

Santu Foca quandu era l’infidili
ed era de la curti bon sardatu,
venia nu juornu e pensau a la fidi
e de nuostru Signuri fu toccatu.
Pua dassau l’armi e cuminciau a patira
a chiju puntu votta vattijatu;
de pua se vozzafara nu giardinu
e tutti l’alimenti avia chiantatu,
avia chiantatu fuogghi e petrusinu
paria lu Paradisu rigistratu.

[…]

De pua spediru triccientu persuni
pe chiji vosca mu ajjhunu anumali
e hannu trovatu vipari e scurpiuni
serpenti ed ogni sorta d’animali.
De pua pigghiaru morteja e picuni
na scura foassa vozzaru scavara.
Pua pigghiaru a nostru Protetturi
nta chija scura fossa lu calaru.
Tutti chiji animali s’appartaru
e d’unu chi ndavia lu cchjù maggiuri.
E d’un chi ndavia lu cchju maggiuri
si lu tenia impugnatu nta li mani.
Cu la testuzza si venia nchinara
cu la lingua nci liccava li suduri.
All’uottu juorni li sordati jiru
mu vidanu s’è muortu o s’era vivo.
Quandu chija scura fossa l’apriru
vittaru splendori e jiornu chiaru.

[…]

O Francavija felice e biata
mo chi l’aviti stu Santu abbucatu
potiti caminara vosca e strati
pegura de nimali non teniti.
De pesta e terramota liberati
particulari li vuostri divuoti.
Calici d’uoru e calici d’argientu
o Santu Foca mio vi l’appresientu.
Si non vi dassu quantu v’ammeritati
o Santu Foca mio mi perdunati.
Mi perdonati cuomo peccaturi
Cuomo perduna a vui nuostri Signori.
Si fina la raziuoni e non va cchiù
o Santu Foca mio vi la dissamu a vui.

Traduzione: San Foca, quando era infedele ed era della corte un buon soldato, giunse un giorno al pensiero della fede e da Nostro Signore fu toccato. Lasciò le armi e iniziò a patire e a quel punto fu battezzato. Di sua volontà fece un giardino, e tutti gli ortaggi ci ha piantato: aveva piantato funghi e prezzemolo e sembrava il paradiso ordinato. […]. Di là [la corte in cui viene processato] spedirono trecento persone perché trovino alcuni animali e hanno trovato vipere, scorpioni, serpenti ed ogni sorta di animali. Poi hanno preso martello, piccone e una scure e scavarono una fossa; poi presero il nostro Protettore e lo hanno fatto scendere in quella fossa. Tutti quegli animali si misero da parte e il più grande era tenuto tra le mani [di Foca]. Con la testa gli si inchinava e con la lingua leccava il suo sudore. Dopo otto giorni i soldati andarono pensando di trovarlo morto ma invece era vivo. Quando quella scura fossa fu aperta videro lo splendore del giorno chiaro. […] O Francavilla felice e beata, ora che avete questo Santo avvocato potete camminare nella vasca e starci e non dovete temere gli animali. Dalla peste e dai terremoti liberateci, specialmente noi, vostri devoti. Calici d’oro e d’argento, San Foca mio, vi presento; se non vi do quanto meritate o San Foca mio, perdonatemi. Mi perdonate in quanto peccatore come perdonò a voi Nostro Signore. Se è finita l’orazione e non continua più, o San Foca mio lo lasciamo voi.

Secondo il testo, quindi, Foca abbandona la milizia dell’imperatore Traiano e si dedica alla coltivazione di un bellissimo giardino; la sua diserzione è punita con la damnatio ad bestias, da cui esce illeso in maniera miracolosa (sul modello di Daniele nella fossa dei leoni). Eletto a patrono della città di Francavilla, i suoi devoti gli offrono calici preziosi, a prova della loro devozione contro una certa vulgata pauperistica con cui è rappresentato il popolo.

Inoltre, secondo la tradizione (non integralmente riportata in questo poemetto), egli è nativo di Antiochia e costruì il giardino nei pressi del fiume Oronte. Durante il processo si rifiutò di adorare gli idoli e di riconoscere la natura divina dell’imperatore. Essendo stato vano il primo tentativo di ucciderlo, fu decapitato; il suo corpo fu poi mandato a Roma, dove venne accolto da Papa Sisto I.

I testi sono tratti da San Foca Martire Patrono di Francavilla Angitola, a cura di Foca Accetta e Franco Torchia, Vibo Valentia, 1985. Si ringrazia la sig.na Giorgia Niesi per aver fornito testo e traduzione.

__________________________

NOTE:

[1] A seguito della riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II furono rimosse (o ridotte al grado di memoria facoltativa o inseriti solamente nei propri locali) dal calendario romano generale feste ivi presenti ab immemorabili come i Ss. Faustino e Giovita, S. Dorotea o S. Valentino.

[2] Del resto, secondo una prassi frequente nell’uso russo, i Santi con lo stesso nome sono ricordati nel medesimo giorno: per esempio S. Procopio grande martire di Cesarea di Palestina è festeggiato lo stesso giorno dell’omonimo jurodivyj di Ustjug.

[3] Nelle "Notizie storiche" del volume di F. Accetta e F. Torchia sopraccitato, il verso è riportato in questo modo: "Ternos habet martyr meritorium nomine Phocas", ametrico (cretico al quarto piede) e difettoso quanto a senso. Gli autori affermano di citare da O. Simonetti, Cenno biografico sovra l'Antiocheno Martire S. Foca, Monteleone, Raho, 1892, il quale erudito ecclesiastico, se non ha errato di suo, ha probabilmente trascritto da un codice alquanto corrotto del Martirologio metrico del Wandelberto. Confrontando con il testo del Martyrologium contenuto nel cod. Lat. 5251 della BNF, pur esso presentante a mio avviso una corruzione, propongo gli emendamenti che risultano nella forma citata in corpo di testo, in grafia normalizzata. E' da notarsi che il Wandelberto pone la festa al 5 marzo, che risulta una delle fin troppo numerose diverse date in cui il santo pare aver avuto culto nei diversi luoghi. (N. Ghigi)

[4] è il dialetto greco tipico della provincia di Lecce, costituente la Grecìa salentina.

Nessun commento:

Posta un commento