venerdì 10 settembre 2021

L'Ufficio Divino Bizantino - 4. Il Vespro

 Ma l'inno vespertino espone questa medesima cosa:
la nostra glorificazione del nostro Creatore
poiché siam giunti al tramonto, cioè alla fine del giorno
e lo poniamo tutto quanto dinnanzi a Dio.

San Simeone di Tessalonica


Il Vespro (greco Ἑσπερινὸς, slavo ecclesiastico Bечернѧ) è la funzione del tramonto, come il nome stesso suggerisce; con essa ha inizio il giorno liturgico, che secondo la tradizione giudaico-romana inizia con la notte. E' una delle preghiere liturgiche quotidiane più antiche, quella "all'accensione della lampada vesperale" ricordata dalla Traditio Apostolica. La lampada vesperale, un costume di origine pre-cristiana, è rimasta simbolicamente in molte tradizioni cristiane, rappresentando la luce di Cristo che non tramonta, in un rituale detto "lucernario", che il rito bizantino conserva, insieme - ad esempio - all'ambrosiano tra gli occidentali.

Il Vespro bizantino si distingue in "Piccolo" o "Grande" a seconda della solennità della festa che si celebra: le feste "con polieleo" (paragonabili alle semidoppie latine) prevedono il Grande Vespro. Le feste "con veglia" (paragonabili alle doppie latine), dacché dovrebbero celebrarsi con una veglia di tutta la notte che inizi col Vespro e prosegua con Mattutino e Liturgia, prevedono un'anomalia che è il canto di un doppio vespro: il Piccolo Vespro alla sera, all'ora consueta, e il Grande Vespro a un'ora più tarda, dopo il pasto, unito al resto delle funzioni. Questa prassi è disusata fuori dai grandi monasteri: il solo Grande Vespro viene celebrato abitualmente in questi casi, sia che sia servito da solo, sia che sia seguito immediatamente dal Mattutino in forma di veglia.

Sebbene, con minimi adattamenti come l'omissione delle litanie, possa essere celebrata da soli laici o lettori come tutte le altre Ore, tuttavia la forma ordinaria del Vespro prevede la presenza del sacerdote e del diacono. Per il Piccolo Vespro il sacerdote indossa l'epitrachilio (stola) sopra l'exoraso (veste nera dalle ampie maniche che si pone sopra la talare; corrisponde idealmente alla cotta) e, nella prassi slava, le soprammaniche; per il Grande Vespro, indossa pure il felonio (casula). Secondo il tipico, esso andrebbe indossato dopo la lettura del salterio, e smesso dopo la litania di supplica, per compiere i restanti riti in stola; tuttavia la prassi consueta, specie nelle veglie di tutta la notte, è di indossare il felonio dall'inizio alla fine. Il diacono è sempre in sticario (facente funzione di camice, anche se esteticamente appare una dalmatica), soprammaniche nell'uso slavo e orario (stola diaconale). Il sacerdote dovrebbe stare a capo coperto per tutta l'officiatura, eccetto quando dice le preghiere segrete all'inizio, all'ingresso e quando compie la litia, ma secondo alcune usanze indossa il copricapo solo per le incensazioni, e sta altrimenti a capo scoperto.

La struttura generale del Vespro, che poi analizzeremo nel dettaglio, è la seguente:

  • Salmo proemiale (103) e preghiere segrete
  • Grande litania
  • Kathisma del salterio e piccola litania
  • Salmi vespertini con incensazione e stichire del giorno
  • Piccolo Ingresso
  • Prochimeno
  • Profezie (nelle grandi feste)
  • Litania ardente
  • Preghiera vesperale
  • Litania di supplica
  • Litia (nelle grandi feste)
  • Stichi vesperali
  • Ode di Simeone
  • Trisagio e Apolytikia
  • Congedo
Salmo proemiale e preghiere segrete

Dopo la benedizione consueta Εὐλογητὸς ὁ Θεὸς ἡμῶν... ("Benedetto il nostro Dio..."), data entro il Santuario con le porte regali aperte se è un Grande Vespro, o davanti alle porte regali chiuse se è un Piccolo Vespro, il lettore dice il triplice Δεῦτε προσκυνήσωμεν... ("Venite adoriamo"), e subito inizia a salmeggiare il salmo 103, che è detto "proemiale" (προοιμιακός). Questo salmo è stato interpretato dai Padri come un'allegoria della Creazione, poiché in essa si loda la potenza di Dio che ha stabilite le creature sulla terra e a loro provvede: e infatti, mistagogicamente, il Vespro essendo la prima ora del giorno liturgico rappresenta proprio la Creazione, di cui analogamente parlano gl'inni del Vespro feriale romano.

E' da notare che il Vespro è l'unica ora in cui mancano le preghiere iniziali (Βασιλεῦ οὐράνιε - "Spirito celeste"), con cui normalmente si aprono tutti i servizi liturgici bizantini; questo perché il Typikon prescrive che il Vespro sia celebrato immediatamente di seguito all'Ora Nona, durante la quale sono già state dette; anche se nella prassi non sempre l'Ora Nona viene premessa, le preghiere iniziali comunque non si recitano. Nell'uso slavo il solo celebrante le dice segretamente mentre incensa l'altare: difatti, quando si celebra una veglia di tutta la notte si compie un'incensazione dell'altare prima dell'inizio della funzione e poi, data la benedizione iniziale al modo dei mattutini (Δόξα τῇ Ἁγίᾳ... - "Gloria alla Santa...") durante questo salmo s'incensano le icone, i fedeli e tutta la chiesa. In questo caso, nella prassi slava, il salmo non è salmeggiato, ma ne sono cantati solo alcuni versetti con una melodia particolarmente ornata.

Durante il salmo, e dopo aver compiuto l'incensazione se prescritta, il sacerdote, stando a capo scoperto davanti alle porte sante chiuse, legge sette preghiere segrete di ringraziamento e supplica al Signore per esser giunti al termine della luce e chiedere protezione nelle tenebre addivenienti. Secondo autorevoli liturgisti, tali preghiere originariamente erano le orazioni segrete che accompagnavano alcune litanie diaconali durante il corso del Vespro che, una volta scomparse dal loro posto proprio, sono state aggregate come preghiere sacerdotali in questo punto. Quando si fa una veglia di tutta la notte, talora alcuni omettono qui le preghiere vesperali, e le uniscono a quelle mattutinali durante l'esapsalmo del Mattutino.

Grande Litania (Εἰρηνικὰ)

Si tratta di una litania diaconale, detta εἰρηνικὰ (cioè "pacifica") dalle sue parole iniziali (Ἐν εἰρήνῃ τοῦ Κυρίου δεηθῶμεν - "In pace preghiamo il Signore") comprendente parecchie invocazioni, con cui si prega per la pace, per la Chiesa, per il vescovo, per la città e la nazione, e per varie necessità. Questa medesima litania è posta all'inizio degli altri due grandi servizi liturgici, il Mattutino e la Divina Liturgia: come detto, però, in questo caso l'esclamazione (ecfonesi) finale del celebrante non è preceduta da un'orazione segreta da dirsi durante le invocazioni diaconali, che è stata spostata durante il salmo proemiale.

Kathisma del salterio e piccola litania

A questo punto, il lettore salmeggia il kathisma, cioè la porzione, del salterio assegnata per il giorno della settimana corrente: come nella quasi totalità dei riti apostolici, l'intero salterio è letto nel corso della settimana a Vespro e Mattutino. La domenica e le grandi feste il catisma del salterio è sempre il primo, cioè i salmi 1-8. Sfortunatamente, nella prassi parrocchiale greca il salterio molto spesso viene omesso, mentre è rigorosamente letto nei monasteri. Nella prassi slava, invece, il salterio domenicale è abbreviato in una raccolta di uno o due versetti da ciascun salmo, cantati con una melodia ornata e accompagnati da numerosi alleluia, in una composizione detta (dalle parole iniziali del salmo 1) Бл҃женъ мꙋжъ ("Beato l'uomo").

Dopo il salterio il diacono canta una piccola litania (Ἔτι καὶ ἔτι ἐν εἰρήνῃ... - "Ancora e ancora in pace..."), conclusa dall'ecfonesi del sacerdote.

Salmi vespertini

A questo punto, si cantano i salmi fissi del Vespro, quelli che accompagnano l'offerta dell'incenso: essi sono i salmi 140, 141, 129 e 116. Sono tutti salmi vespertini secondo la tradizione apostolica, e infatti si ritrovano pure nel cursus vesperale della tradizione occidentale. Il salmo 140, chiamato psalmus lucernalis dalla Traditio Apostolica risulta particolarmente adeguato al momento per il suo secondo versetto: Κατευθυνθήτω ἡ προσευχή μου, ὡς θυμίαμα ἐνώπιόν σου, ἔπαρσις τῶν χειρῶν μου θυσία ἑσπερινὴ ("Sia diretta la mia preghiera come incenso al tuo cospetto, l'elevazione delle mie mani come sacrificio vespertino"). Al canto di questo versetto (che, nella prassi greca, è cantato insieme al primo con una melodia molto ornata detta Κεκραυγάριον), il diacono incensa l'altare dai quattro lati, e poi, mentre con una melodia più rapida vengono cantati i salmi, egli uscendo dalla porta settentrionale incensa le icone, i fedeli e l'intera chiesa.

Durante i salmi, e precisamente negli ultimi dieci versetti (cioè gli ultimi due del salmo 141, e tutti i salmi 129 e 116) si inseriscono le stichire, cioè delle antifone mediamente lunghe, della feria o della festa che si celebra: se in un giorno si celebrano più ricorrenze, le stichire vengono sommate tra loro, fino a un massimo di dieci. Se fossero solo 6 od 8, si inizia a cantarle rispettivamente dagli ultimi sei od otto versetti. In una festa semplice, ad esempio, si cantano 3 stichire del santo e 3 del giorno; in una festa con polieleo, 6 tutte del santo. La domenica, invece, si cantano 4 stichire dell'ottoico (il libro che contiene i servizi per gli otto toni, che si alternano nel ciclo domenicale ordinario) e 4 anatoliche (nome non chiaro: potrebbero chiamarsi così perché composte dal monaco Anatolio, o perché originalmente cantate in un monastero situato nella Siria orientale); se però si commemora anche la festa di un santo semplice, se ne cantano 4 dall'ottoico, 3 anatoliche e 3 del santo, e via così.

Il typikon costantinopolitano revisionato da Violakis nel XIX secolo permette che nelle grandi feste, supponendo che le stichire saranno cantate in modo molto ornato, si possano omettere i versetti dei salmi 140 e 141 durante i quali non vi sono stichire; l'estensione di questa prassi al Vespro quotidiano, benché diffusa, è un abuso.

Dopo i salmi, viene cantato "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo", e una stichira molto lunga del santo del giorno detta doxastico. Quindi "E ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen" e una stichira alla Madre di Dio. In questo momento si aprono le porte regali per l'Ingresso.

Piccolo Ingresso

Durante la stichira della Madre di Dio, il diacono incensa con tre colpi verso l'altare, e un colpo verso la croce astile e l'immagine astile della Madre di Dio poste rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra. Quindi, fatta con il celebrante e gli accoliti coi candelieri reverenza all'altare, escono tutti dalla porta settentrionale e, fatta una breve processione, durante la quale il celebrante dice una preghiera segreta, si dispongono davanti alle porte regali. Il celebrante benedice l'ingresso: Εὐλογημένη ἡ εἴσοδος τῶν ἁγίων σου... - "Benedetto l'ingresso del tuo santuario..."

Quindi il diacono, tracciando un segno di croce col turibolo, canta: Σοφια! Ὀρθοί! ("Sapienza! In piedi!"). Il coro canta allora l'inno del Lucernario: Φῶς ἱλαρόν ("O luce radiosa"). Intanto il celebrante bacia le icone del Cristo e della Madre di Dio, benedice gli accoliti ed entra nel Santuario, accompagnato dal diacono che incensa.

L'inno Φῶς ἱλαρόν, benché chiamato "Poema di Sofronio" e attribuito all'omonimo patriarca gerosolimitano del VII secolo dalle edizioni slave, è in realtà uno degli inni cristiani più antichi conosciuti, risalente addirittura al II secolo. E' quel che resta nel rito bizantino del Lucernario, anche se fisicamente la lampada vesperale non è accesa.

Si deve notare che il Piccolo Vespro, propriamente, non avrebbe l'Ingresso: perciò le porte restano chiuse, e terminata lo stico della Madre di Dio il coro canta immediatamente il Φῶς ἱλαρόν senza cerimonie. In Grecia è tuttavia prassi compiere l'ingresso ogni giorno, anche al Piccolo Vespro. La prassi, parimenti diffusa in Grecia, di leggere il Φῶς ἱλαρόν anziché cantarlo, non trova invece giustificazioni storiche.


Prochimeno

Durante la conclusione dell'inno, il celebrante, fatta riverenza all'altare, va al seggio posto dietro lo stesso sul lato destro, e, voltosi al popolo, lo benedice. Quindi, il diacono intona il prochimeno "della sera", diverso per ogni giorno della settimana. Il prochimeno ha la struttura di un responsorio, con il primo verso ripetuto dal coro a ogni versetto cantato dal diacono; letteralmente προκείμενον significa "assegnato", e sottintende "stico", tuttavia potremmo traslatamente chiamarlo "graduale", poiché la sua funzione è quella di canto interlezionale durante la Divina Liturgia. Anche al Vespro esso è stato introdotto in ragione delle letture profetiche che seguiranno; tuttavia, l'uso ha fatto sì che questo venisse cantato anche nei giorni in cui le letture non sono previste, assumendo un significato a sé.

Letture profetiche

Terminato il prochimeno si chiudono le porte regali. Il lettore, portatosi al centro della chiesa, proclama il titolo della prima profezia, e il diacono annuncia: Πρόσχωμεν! ("Stiamo attenti!"). Le letture veterotestamentarie, in numero di tre, sono previste unicamente nelle grandi feste.

Litania ardente

Il diacono quindi canta la litania ardente (Εἴπωμεν πάντες... - "Diciamo tutti..."), simile a quella che si canta dopo il Vangelo durante la Divina Liturgia. Il coro risponde tre volte Kyrie eleison a ogni invocazione. Nel Piccolo Vespro questa litania è stata spostata per motivi ignoti alla fine della funzione, prima del congedo, forse per rassomigliare alle litanie conclusive della Compieta e del Mesonittico. Poiché questo spostamento è privo di ragione storica, non è sbagliata la prassi di molti sacerdoti di cantarla in questo punto pure nei feriali.

Preghiera vesperale

Segue la preghiera vesperale (Καταξίωσον, Κύριε - "Rendici degni, o Signore"), cantillata dal lettore o cantata dal coro secondo le rispettive prassi greca e slava.

Litania di supplica (Πληρωτικὰ)

Il diacono quindi prosegue con la litania di supplica (Πληρώσωμεν τὴν ἑσπερινὴν δέησιν ἡμῶν τῷ Κυρίῳ - "Completiamo la nostra preghiera della sera al Signore"), in cui si richiedono che la sera passi pacifica e senza peccato, un angelo di pace a guidarci, la remissione dei peccati, il dono della penitenza, una morte cristiana e una valida difesa al tribunale di Cristo. La stessa preghiera viene rivolta al termine del Mattutino e due volte durante la Divina Liturgia (dopo il Grande Ingresso e prima del Padre Nostro), e invocazioni simili contiene la litania gelasiana impiegata nel rito romano arcaico. Al termine di questa, il sacerdote si volge al popolo e lo benedice; il diacono invita quindi a chinare il capo, e il celebrante volto all'altare recita una preghiera segreta sui capi inclinati, concludendola a voce alta.

Litia

La litia è una processione culminante con una benedizione del pane, del grano, dell'olio e del vino, che si compie nelle grandi feste, e tutte le domeniche secondo il Tipico; nella prassi, è omessa nelle domeniche ordinarie. In antico, e ancora così in Grecia, si benedicevano solo cinque pani dolci, a memoria del miracolo della moltiplicazione dei pani; in Russia e in altre terre accanto ai cinque pani s'iniziarono a benedire del vino, dell'olio, del grano o altri prodotti della terra. Questi vengono posti su un tavolino al centro della chiesa, con tre candele accese.

Dopo la litania, il coro inizia a cantare le stichire della Litia: il celebrante esce dalle porte regali, accompagnato dal diacono col turibolo fumigante e da due accoliti coi candelieri. Si fa una processione interna lungo il lato settentrionale della chiesa, e ci si reca nel nartece. Ivi, quando il coro ha cantato il Gloria e le ultime stichire, il diacono canta la preghiera Σῶσον ὁ Θεὸς τὸν λαόν σου... - "Salva o Dio il tuo popolo", in cui si chiede l'intercessione di moltissimi santi; il coro risponde cantando 40 volte Kyrie eleison. Il diacono quindi prosegue con una litania con intercessioni molto lunghe ed elaborate: il coro risponde dapprima con 30 Kyrie eleison, poi 50, e infine 3 alle ultime invocazioni. Il celebrante quindi benedice il popolo, il diacono l'invita a chinare il capo e il celebrante dice una preghiera ad alta voce in cui rinnova la richiesta d'intercessione ai molti santi sopraddetti. Risposto "Amen", il coro prosegue con gli stichi vesperali, mentre il sacerdote attende nel nartece col clero.

Se la Litia non si tiene, dopo la litania di supplica il coro canta subito gli stichi vesperali, e il clero resta in Santuario.

Stichi vesperali

Il coro canta dunque alcune stichire, intervallate da versetti salmici scelti. Durante le domeniche ordinarie, le stichire sono tratte dall'ottoico in un ciclo ininterrotto di 24 (3 per ciascuna delle 8 domeniche del ciclo) in acrostico. Le feste minori non usano stichire proprie: si cantano quelle feriali, oppure dell'Ottava se ne ricorresse una o del tempo liturgico; per le feste con polieleo generalmente si ricorre a un "Comune" (stichire per i confessori, per i martiri, per i vescovi etc.), a differenza delle stichire dei salmi vesperali, che sono proprie di ciascun santo anche per i santi minori. Le grandi feste hanno anche queste stichire proprie.

Ode di Simeone

Subito dopo, si canta l'Ode di Simeone, cioè il Nunc dimittis (Lc II, 29-32): a differenza della prassi romana, essa costituisce il cantico evangelico del Vespro e non della Compieta; bisogna però considerare che nell'uso bizantino sia Benedictus che Magnificat sono cantati al Mattutino. Nella prassi greca il Cantico di Simeone è cantillato dal celebrante, mentre nell'uso slavo è cantato dal coro in tono sesto. Le due prassi diverse derivano dal fatto che, originariamente, l'Ode di Simeone era cantata dal coro in questo punto, e invece cantillata dal celebrante durante le preghiere di ringraziamento dopo la Divina Liturgia; la prassi greca uniformò le due facendole sempre cantare al celebrante, mentre la prassi slava le uniformò in senso opposto, dando anche quella dopo la Liturgia al coro.

Trisagio e Apolytikia

Il lettore cantilla quindi il Trisagio, seguito come sempre dal Gloria al Padre, dalla preghiera Παναγία Τριὰς, ἐλέησον ἡμᾶς... ("Santissima Trinità, abbi misericordia di noi..."), da un triplice Kyrie eleison, un altro Gloria al Padre e il Padre Nostro, concluso dal celebrante con l'ecfonesi Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ βασιλεία... ("Poiché tuo è il regno").

Il coro canta dunque gli apolytikia del giorno: originariamente nati con questa funzione (ἀπόλυσις = conclusione, stanno alla conclusione del Vespro), sono diventati i tratti riconoscibili di ogni giorno liturgico, venendo cantati alla Divina Liturgia dopo il Trisagio e a ogni altra ora liturgica (hanno un carattere identificativo simile alla colletta romana, però non sono né preghiere sacerdotali né impetratorie in senso stretto, seppure alcune si concludano con la richiesta al santo di pregare Iddio per noi). Se si è celebrata la Litia, in questo momento il celebrante procede dal nartece nel mezzo della chiesa, e ivi incensa i pani, girando tre volte attorno a essi e poi, preso un pane e tracciando con esso un segno di croce sugli altri quattro, pronuncia la preghiera di benedizione su di essi.

Se si celebra la veglia di tutta la notte di una domenica, poiché gli apolytikia domenicali saranno dopo poco ripetuti al Mattutino, vengono sostituiti da una triplice Θεοτόκε Παρθένε, χαῖρε ἡ κεχαριτωμένη Μαρία ("Vergine Deipara, Ave Maria, piena di grazia..."), che è la forma bizantina dell'Ave Maria. Se però si commemora anche una grande festa, si cantano due Ave Maria e l'apolytikio della festa.

Congedo

Come spesso accade, i congedi bizantini sono frutto di accavallamenti di diverse tradizioni, cattedrali e monastiche, studite, sabaite e aghiorite. I libri liturgici più antichi non sono affatto chiari nell'indicare le prassi dei congedi vesperali, e solo più recentemente sono stati uniformati.

Il Vespro feriale termina così: dopo la litania ardente (se si è spostata a questo punto; altrimenti subito dopo gli apolytikia) il diacono esclama: Σοφια! ("Sapienza!"), il coro domanda la benedizione, e il celebrante dice Ὁ ὢν εὐλογητὸς... ("Colui che è benedetto..."). Segue un'invocazione del coro per la conservazione della fede dei Cristiani Ortodossi, e quindi la consueta invocazione alla Madre di Dio (Τὴν τιμιωτέραν - "Tu più onorevole"), il Gloria, un triplice Kyrie eleison e la richiesta di benedizione, seguita dal congedo ordinario Χριστὸς ὁ ἀληθινὸς Θεὸς ἡμῶν... - "Cristo vero Dio nostro...".

Al Vespro festivo, invece, il coro canta tre volte, come alla Divina Liturgia, Εἴη τὸ ὅνομα Κυρίου... - "Sia benedetto il nome del Signore...", quindi il salmo 33 per intero, e a seguire il celebrante, voltatosi verso il popolo, lo benedice come alla Divina Liturgia Εὐλογία Κυρίου ἔλθοι ἐφ' ὑμᾶς... - "La benedizione del Signore venga su di voi...", e a seguire il congedo feriale come sopra o, se si celebra una veglia di tutta la notte, direttamente s'inizia il Mattutino. Questa seconda prassi origina dalla Litia: il salmo 33, quello di ringraziamento per eccellenza, si spiega infatti perché in questo momento avviene la distribuzione del pane benedetto durante la medesima (e nei libri liturgici slavi è stampato in rubrica un poemetto rivolto al sacerdote che gli ricorda di osservare i canoni e non benedire una seconda volta gli stessi elementi in occasione di un'altra officiatura); quando la veglia o il Vespro festivo sono celebrati senza Litia, il salmo è spesso omesso e sono cantati solo i tre introduttivi Εἴη τὸ ὅνομα Κυρίου.

Al Vespro quaresimale, la preghiera di S. Efrem s'inserisce subito prima del congedo, e dopo di esso - anche nei feriali - sono salmeggiati i salmi 33 e 144; questi due salmi accompagnano infatti la distribuzione dell'antidoro dopo la celebrazione dei Presantificati, che nei monasteri in Quaresima avviene ogni giorno.

2 commenti:

  1. In particolare cos'è che le fa girar la testa? Di solito è il sistema delle stichire che necessita di un po' per essere capito

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  2. Le letture in età arcaica erano sempre presenti, in epoca medievale sono state tolte dal vespro quotidiano e tenute solo a quello festivo (dal polieleo [~semidoppio] in su). Alcune feste hanno letture proprie, mentre altre usano un comune (dei confessori, dei martiri, dei vescovi etc.). Sono sempre in numero di tre, eccetto al Vespro di Natale (12), dell'Epifania (15) e di Pasqua (15), che però son particolari perché si celebrano insieme alla liturgia di S. Basilio.

    Il catisma fisso delle feste, alla fine, è utilizzato in un numero alquanto ridotto di occasioni, le cosiddette "feste con veglia" (~doppie) che sono mediamente non più di 2 o 3 al mese. L'impatto sul cursus è assai limitato perciò.
    Ci sono pure monasteri dove anche nelle grandi feste si preferisce mantenere il cursus.

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