martedì 3 luglio 2018

Alle origini della crisi: "papolatria" liturgica

Ho recentemente postato un commento all'ultimo (e come sempre assai interessante) articolo pubblicato da don Elia sul suo blog.
In tale commento, mi soffermavo ad analizzare brevemente l'esecrando fenomeno della "papolatria", e i suoi due principali e contrapposti effetti negativi nella Chiesa dei nostri giorni (da una parte, l'idolatria delle sparate rasenti l'eresia di quegli che siede sul Soglio; dall'altra, sconcerto e confusione in quella parte di Chiesa che vuole rimanere fedele al Cristianesimo autentico, ma è legata in modo meccanico a una concezione "verticistica", per cui è un problema pressoché irrisolvibile la presenza di un nemico al vertice).

Nella estremamente succinta cronistoria della papolatria con cui apro l'intervento, accenno ai fatti che secondo me più di tutti hanno contribuito allo sviluppo di questa vera e propria piaga, che sovverte la concezione ecclesiologica e teologica ortodossa, insinuandone (seppur non definendone apertamente, al solito) una nuova molto più umanizzata e "feudale". In fondo la papolatria è una delle primarie espressioni del modernismo di stampo massonico (in molti protocolli, dei quali parecchi oramai divulgati, si dice chiaramente che lo scopo della massoneria per impossessarsi di tutta la Chiesa è rafforzare e "divinizzare" la figura del Pontefice, in modo che una volta posto sul Trono un Papa favorevole alla libera muratoria, essa avrebbe avuto le porte aperte per la distruzione del Cattolicesimo: una struttura verticistica è molto più facile da sovvertire rispetto alla struttura più "libera" su cui si fondava la Chiesa: anche nei tempi migliori quando il Papa era Re, forse complice il fatto che, grazie all'arretratezza tecnica, non si diffondeva certo in tutto il mondo in tempo reale l'Angelus o la Benedizione del Papa, cosa che invece iniziò a fare Pio XII, segnando un'altra tappa della nostra discesa. Ora, molti tradizionalisti benpensanti leggendo questo articolo s'indigneranno, poiché attribuirò azioni di favoreggiamento del modernismo nella Chiesa a Pontefici che essi viceversa esaltano come difensori della Tradizione contro il modernismo. Purtroppo, dovrò dare loro questa delusione.

Piccola parentesi: ho letto alcuni degl'interventi del convegno romano della Fondazione Lepanto su Vecchio e nuovo modernismo: non mi ha purtroppo stupito (anche se dovrebbe, ma ormai vi sono abituato) una certa volontaria cecità storica nell'analizzare l'ingresso del modernismo nella Chiesa. Si potrebbe dire, non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. La continua pretesa di molti analisti "tradizionalisti"  di porre l'inizio del modernismo nella Chiesa nel Concilio Vaticano II, o -bontà loro- nell'elezione di Giovanni XXIII, è negare un'evidenza forse scomoda, ma necessaria: il modernismo nella Chiesa è presente da secoli in incubazione, anche se inizia a sfociare nei suoi più devastanti effetti col Concilio, che però è primo effetto, e non già causa, di questo modernismo. Già a partire da secoli prima, con estrema lentezza certamente, possiamo vedere le prime insinuazioni di questa mentalità contraria alla tradizione, che tra Ottocento e Novecento è compiutamente presente nella Chiesa, e non solo nelle velleitarie idee di qualche prelato mitteleuropeo, ma spesso negli stessi palazzi apostolici, spesso contagiando l'ignaro Pontefice regnante. La crisi della Chiesa, in tutti i campi, è una decadenza, estremamente visibile nel XX secolo anche se iniziata precedentemente, che negli ultimi cinquant'anni (quelli che possiamo chiamare "della Chiesa conciliare") ha solo l'apice provvisorio dei suoi effetti, che si manifestano già da decenni prima. Una testimonianza di Paul Claudel recentemente rilanciata da Riscossa Cristiana, su usi modernisti nella liturgia (e non cosa da poco, parliamo di celebrare coram populo...) ampiamente diffusi già negli anni '50, dovrebbe far riflettere... specie perché le idee conciliari e bugniniane che più di tutte nuocciono alla concezione di liturgia nella modernità, erano propugnate da decenni e decenni dal cosiddetto "Movimento Liturgico" (tra le moltissime, cito solo l'actuosa partecipatio, quella formula che, per alcuni, se la dice Bugnini sembra demoniaca, ma se la dice Pacelli pare angelica: è dannosa e antitradizionale in ogni caso, contrapponendosi per definizione alla spiritalis partecipatio di venerata usanza, la qual cosa è evidente a chi non voglia fare puro ideologismo). Questo è purtroppo il problema di fondo di molti gruppi tradizionalisti (e ci metto pure la FSSPX, che pare quella che più di tutti difende a spada tratta il rito del '62 e altre cose pseudotradizionali), che ne compromette completamente la missione a favore della Tradizione: come scriveva un caro amico sul suo blog anni fa, non basta portare l'orologio indietro al giorno prima del disastro del Vajont per salvare la vallata: la diga crollerà comunque, a meno che non si ricostruisca tutto dalle basi.

Se vogliamo cercare l'origine teorica della papolatria, è presto detto: il Concilio Vaticano I, con il suo dogma sull'Infallibilità papale, formulato in un modo pericolosamente ambiguo. Non voglio ovviamente qui mettermi a dire che non sia di fede l'infallibilità papale, né intendo parlarne nel presente articolo, ma sto studiando alcune fonti preoccupanti circa la sua proclamazione dommatica, e non mancherò di pubblicarne qualche riflessione, dopo che avrò verificato queste fonti con un grande storico di autentica fede cattolica, il quale peraltro mi ha indicato questa pista.

Tornando a noi, dopo questa fin troppo lunga premessa: in questo post voglio piuttosto occuparmi di un intervento liturgico occorso sotto Pio XII che di fatto dà un grande incremento alla papolatria, presumendo in un certo senso di inserirla nell'atto più importante della Chiesa, che è la liturgia. Lato sensu, possiamo dire che le aberrazioni odierne di stampo papolatrico nella liturgia (del tipo, la venerazione di una statua di Papa Francesco, che mi pare sia avvenuta da qualche parte in Sudamerica alcuni molti mesi fa e abbia avuto anche una qualche risonanza; ma molto più semplicemente anche il citare il Papa regnante ogni due per tre nelle prediche) abbiano inizio così.


Si tratta dell'introduzione di una nuova Messa nel Comune dei Santi, la cosiddetta Missa unius aut plurium summorum pontificum, un'introduzione del tutto estranea alla liturgia tradizionale, con l'introito tratto dal famoso Si diligis me, il Vangelo contenente il noto Tu es Petre etc. insomma, un formulario volto a evidenziare in modo quasi pedantesco l'identificazione tra il Sommo Pontefice e il Principe degli Apostoli. Ciò che però, al di là della natura avulsa dalla tradizione liturgica di questo formulario di Messa, maggiormente risulta negativo, è l'impressione che si vuole dare con questa Messa. Confronto, ad esempio, le istruzioni del Messale Romano del 1952 (ed. VI post typicam, che però contiene questa innovazione) con quelle della sua editio typica del 1921, guardando due feste che cadranno di qui a pochi giorni: Sant'Anacleto e San Pio I, ambedue Papi e Martiri. L'edizione aggiornata indica per ambedue Missa "Si diligis me", praefatio apostolorum; la tipica in un caso riporta Missa "Justus", praefatio communis, nell'altro Missa "Sacerdotes Dei", praefatio communis.
Come si può notare, anticamente i Sommi Pontefici esaltati alla gloria della santità avevano la Messa tratta dal Comune dei Vescovi Martiri (o, qualora non fossero stati martiri, dal Comune dei Vescovi Confessori), una delle varie presenti, secondo l'uso tradito. Si vuole forse far passare che il Papa sia qualcosa di diverso da un Vescovo? Il Papa, anche se capo infallibile del Collegio dei Vescovi, è sempre un vescovo, il Vescovo di Roma, il Patriarca dell'Occidente, l'Arcivescovo Metropolita della Provincia Romana. L'Episcopato, difatti, è la pienezza del Sacerdozio, come testimonia l'uso contemporaneo di tonacella, dalmatica e pianeta durante il Pontificale; al di sopra dell'ordine episcopale, esistono gradi gerarchici (arcivescovo, metropolita, patriarca, etc. fino ad arrivare al Sommo Pontefice), ma si tratta di gerarchia, di un aspetto canonico e giuridico, non sacramentale. A livello sacramentale, il Sommo Pontefice è e resta Vescovo. Nella liturgia, le distinzioni tra i Santi si fanno a) per il modo in cui hanno testimoniato la Fede (col martirio, colla confessione, colla verginità, etc.) b) per aver ricevuto o meno il sacramento dell'ordine nel suo massimo grado (Confessori vescovi e non vescovi; martiri vescovi e non vescovi, etc.); i santi cardinali, arcivescovi, metropoliti, etc. non esistono, o meglio non è rilevante questa loro carica canonica ai fini liturgici. L'uso di questa Messa pare però suggerire allora che il Papa sia sacramentalmente qualcosa di più che un Vescovo, ma questo non è vero.
Ma veniamo al fatto ancora più grave, sempre in questa direzione: l'impiego del Prefazio degli Apostoli, mentre per tutti gli altri Vescovi si usa il Prefazio Comune. Forse che il Vescovo di Gerusalemme non è successore di San Giacomo, così come quello di Roma è successore di San Pietro; o meglio, forse che non tutti i Vescovi sono i successori degli Apostoli? E allora, perché solo quello di Roma, al di là delle prerogative di governo della Chiesa che gli sono affidate dai tempi di Clemente I, deve essere paragonato liturgicamente agli apostoli? C'è forse un fine nel far ciò? Notare che anche la posizione in cui viene posizionata questa Messa spinge in tal senso, perché viene posta subito dopo il Comune degli Evangelisti (notare che l'ordine dei Comuni nel Messale non è tanto "gerarchico" quanto storico, ossia presenta le categorie dei Santi nell'ordine in cui iniziarono a essere venerate: prima gli Apostoli e gli Evangelisti, poi i Martiri, indi i Confessori etc.). Ci sono dei precisi motivi per cui la Tradizione ha disposto in un dato modo la celebrazione delle feste dei Santi Pontefici, e sovvertire questa modalità con l'introduzione di una completamente nuova e inedita, con sì tante problematiche liturgiche sottese, non è forse un atto di modernismo liturgico?

Invito a riflettere su questo argomento: mi pare che ci sia abbastanza materiale da commentare. Mi riservo di pubblicare prossimamente qualcosa per spiegare gli altri punti della cronistoria della papolatria, e, perché no, alcune altre innovazioni premoderniste nella Chiesa dei secoli scorsi, dimenticate dalla maggior parte degli analisti.

Ad majorem Dei gloriam!

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