Quella che presto potrebbe essere una pagina del Messale del 1962 |
In ogni caso, sostanzialmente questi saranno i punti che voglio rilevare:
1. Facoltatività della legge liturgica.
2. Celebrare o no i "nuovi santi"? E come?
3. La lista dei santi intoccabili: impressioni.
4. Nuovi prefazi: arricchimento liturgico?
Si tratta di considerazioni in flusso di coscienza, dunque ben volentieri possono essere oggetto di discussione e di revisione.
Si tratta di considerazioni in flusso di coscienza, dunque ben volentieri possono essere oggetto di discussione e di revisione.
Prima di cominciare occorre fare un'ulteriore premessa: io mi dichiaro, e mi sono sempre dichiarato, assolutamente favorevole, anzi, sostenitore della necessità di una riforma del rito antico, nel senso letterale della parola, per ricondurre cioè il rito alle sue forme più pure, snellendolo dagli interventi non del tutto felici degli ultimi secoli, e ripristinando la varietà rituale tradizionale omologatasi spesso per eccessivo zelo non desiderato certo da Pio V nei decenni immediatamente a lui successivi. Ho sempre parimenti sostenuto che, tuttavia, fare adesso una riforma sarebbe un suicidio: l'evoluzione della mentalità, e l'allontanamento di quest'ultima dallo spirito rituale tradizionale, ha portato alle già citate e deprecate riforme, sino all'introduzione del messale di Paolo VI. La mentalità oggi dominante, non solo nelle dottrinalmente corrotte congregazioni romane, ma anche tra la maggior parte dei "tradizionalisti", è però esattamente la stessa degli anni '50, la stessa cioè su cui Bugnini ha costruito le sue riforme. Semplicemente, se i "modernisti" sono allo stadio avanzato di questa riforma, i "tradizionalisti" sono ancora a quello precedente. Ma non dimentichiamo che il libro scritto dal succitato monsignore-novatore s'intitola La riforma liturgica (1948-1975). Una sola e unica riforma liturgica, seppur in varie fasi, nello stesso spirito modernista, razionalista e distruttore, iniziata prima degli anni '50 e condotta fino alla cena di Paolo VI. I decreti con cui ci confrontiamo oggi, seppur non così negativi, sicuramente non ci fanno troppo ben sperare.
1. Facoltatività della legge liturgica
Questo è sicuramente un principio strano con cui confrontarsi. Sembra che, per timore delle reazioni, si sia voluto procedere in modo vellutato, facendo delle riforme del tutto facoltative. Se questo è sicuramente positivo da un punto di vista pratico, perché permetterà a chiunque nutra dubbi legittimi sulla bontà di queste riforme di astenersene dall'applicazione senza scrupoli di coscienza, da un punto di vista teorico è problematico. Di che legge liturgica si può parlare se non ha valore di legge, ma semplicemente crea delle possibilità? Soprattutto, un conto è la facoltatività quando si parla di santi (la nota accompagnatrice del decreto Cum sanctissima giustamente cita l'antica presenza delle feste ad libitum nel Messale Romano, cui accenneremo al punto successivo), ma diventa molto più imbarazzante quando si parla di prefazi. E diventerà ancora più imbarazzante se e quando si estenderà ad altri punti. Uno dei molti e grandi difetti dei libri liturgici moderni è l'esistenza prevista di molteplici possibilità: l'unità, intesa come coerenza strutturale e univoca del rito, viene pian piano a cadere. C'è un'unica, validissima ragione per "differenziarsi" dalle leggi liturgiche, ovvero sfruttare una possibilità concessa: quella di richiamarsi a una consuetudine locale antica. Il Caeremoniale Episcoporum fa continuo riferimento alle usanze dei luoghi, permettendole e anche incoraggiandole, in osservanza al buon principio sancito dalla Sacra Congregazione dei Riti col decreto n. 46 del 15 ottobre 1593: Consuetudo quae sacris canonibus non repugnare videtur, probatur. Ma una facoltatività modernamente imposta su quali basi poggia? Già sarebbe difficile parlare di facoltatività nel reintrodurre elementi antichi oramai caduti universalmente in disuso (prendiamo il caso di un decreto che dicesse che facoltativamente si può inserire la deprecatio gelasiana prima delle letture: è sicuramente un uso antico, ma sulla base di cosa la si inserisce o meno? In nessun luogo v'è un'usanza continuativa che la giustifichi, e dunque si lascerebbe al puro arbitrio del celebrante?), figurarsi quando parliamo di elementi completamente nuovi.
E' vero, tuttavia e purtroppo, che come tutte le introduzioni facoltative non giustificate da nessun precedente storico o di consuetudine (la Comunione sulla mano, i Misteri luminosi del Rosario...), tutto ciò è destinato in breve tempo a diventare deleteria legge.
2. Celebrare o no i "nuovi santi"? E come?
Il decreto Cum sanctissima permette la celebrazione di messe in onore dei "nuovi santi" canonizzati dopo il 1960. Se il decreto riguardasse unicamente la possibilità di celebrare messe votive in onore di questi nuovi santi, a livello liturgico nulla si potrebbe obiettare: molto si potrebbe discutere della santità di alcuni "nuovi santi", ma nulla eccepirebbe la norma liturgica. Il problema è che il decreto promuove ed estende una rubrica poco conosciuta del 1960: la n. 302, che esplicita la categoria delle missae festivae latiore sensu. Ossia, si permette di celebrare la messa in onore di un qualsiasi santo iscritto nel martirologio nel suo giorno proprio, non come messa votiva, ma con tutti i privilegi della messa festiva (vale a dire, il Gloria etc.); oppure, di commemorare detto santo all'interno di un'altra messa. La rubrica giovannea permette di far ciò solo nei giorni liturgici di IV classe, cioè in buona sostanza nelle ferie; la modifica apportata dal decreto consente però di farlo anche nella maggior parte dei giorni liturgici di III classe [2]. Fortunatamente, la facoltatività consente di evitare l'inondazione dei nuovi santi nel calendario; e tuttavia apre uno spiraglio all'ulteriore aumento a dismisura del numero delle feste. Anticamente, l'esistenza di feste ad libitum era dovuta al fatto che molti ordini religiosi insistevano (e pagavano) per avere iscritti i propri santi nel Calendario generale. Per evitare di appesantirlo, tuttavia, inizialmente si prese a concedere queste feste ad libitum; la clausola iniziò pian piano a declinare, e in breve tempo si giunse alla moltiplicazione e alla duplicazione selvaggia delle feste, ingolfando il calendario con quelli che un mio conoscente americano chiama "gli sconosciuti confessori italiani" [3], e in tal modo spesso andando ad obliare le feste degli antichi martiri, il cui culto rimonta alle origini della Chiesa.
Come nota en passant, al numero 8 il decreto di fatto crea la possibilità di dire nelle ferie di Quaresima la messa della festa eventualmente occorrente con commemorazione della feria. Nel 1962 era possibile solo la messa della feria con commemorazione della festa, mentre nelle edizioni più antiche la via ordinaria (seguita dall'Ufficio) era la priorità della festa semidoppia o doppia, con concessione di dire la messa privata della feria con commemorazione della festa. Secondo la mia personale opinione, la questione delle feste in Quaresima dovrebbe essere oggetto di attentissime riflessioni circa la precedenza: soprattutto nell'ufficio, un gran numero di feste rischia di far perdere gran parte dei caratteri strettamente penitenziali delle ferie di questo periodo. Tuttavia, guardando solo alla messa, la possibilità di scegliere tra quella del santo e quella della feria resta la cosa migliore, per evitare che feste di santi molto importanti (i Quaranta Martiri, S. Patrizio, S. Giovanni Damasceno, l'Aquinate...) siano perennemente obliate; altre (come S. Giovanni di Dio, S. Francesca Romana, etc.) si potrebbero tranquillamente ridurre a semplici o espungere, con gran vantaggio della ricchezza liturgica quaresimale.
3. La lista dei santi intoccabili: impressioni
La lista dei circa settanta santi intoccabili, cioè in cui non è possibile celebrare la messa festiva latiore sensu, ha dei punti interessanti e dei punti decisamente meno. Anzitutto, la sua stessa esistenza è dovuta alla povertà (non semplicità) classificatoria delle rubriche del 1962: la confluenza di semidoppio, doppio e (qualche) doppio maggiore nell'unica III classe, se era preannunciata dall'abolizione dell'antichissimo costume di non duplicare le antifone se non nelle feste maggiori, crea dei problemi nell'interclassificazione delle feste (problemi già ampiamente creati dalla summenzionata duplicazione selvaggia). Giocando con la fantasia, si potrebbe prendere ispirazione dalla nuova lista per stilare l'elenco delle feste "nuove doppie", a fronte di una riduzione a semidoppie delle altre; peccato che 70 sia un numero fin troppo alto di doppie. Senza contare i criteri di scelta: nella nota accompagnatoria ne vengono elencati alcuni molto fumosi. Di essi, taluni sono meritori (l'importanza nell'economia salvifica, il culto antico a Roma, e.g.), altri pericolosi (la devozione [4], e.g.). Scorrendo l'elenco, questi sono i nomi che mi lasciano più perplesso: S. Francesco di Sales, S. Giovanni Bosco, S. Francesca Romana, S. Gregorio VII, S. Luigi Gonzaga, S. Bonaventura, S. Vincenzo di Paola, Alfonso de Liguori, Giovanni Maria Vianney, S. Teresa di Lisieux, S. Teresa d'Avila, S. Josaphat, S. Giovanni della Croce, S. Francesco Saverio. Soprattutto di alcuni di loro, cosa giustifica l'inamovibilità del calendario? Non ho mai conosciuto nessun devoto di Gregorio VII o di S. Josaphat; degli altri non sempre la devozione popolare si accompagna a un'effettiva rilevanza. Resto dubbioso su altri nomi come S. Caterina e S. Chiara, che potrebbero essere validi solo per l'Italia. S. Pio X è un contentino al tradizionalista, il cui problema non mi sono mai posto, dacché non compare in nessun libro liturgico in mio possesso (quis habet aures audiendi, audiat).
4. Nuovi prefazi: arricchimento liturgico?
Partiamo dal fatto che in teoria lo scrivente è favorevole agli arricchimenti testuali, che la varietà di prefazi è una caratteristica dei riti occidentali (si pensi all'ambrosiano, in cui il prefazio fa parte del proprio del giorno, e viceversa al prefazio fisso delle anafore orientali), e che in Roma anticamente esistevano molti più prefazi. A tal proposito, scrive lo Jungmann: "La Liturgia romana antica, prima di Gregorio Magno, aveva moltissimi prefazi...anzi l'abitudine di assegnare ad ogni messa il suo prefazio si stabilì in quel tempo; ma questo principio comportava il pericolo di vedere un tema periferico, per esempio le sofferenze di un martire, prevalere su quello centrale, oppure l'azione di grazie sostituita con una supplica, come nel prefazio degli Apostoli, o con una professione di fede, come nel prefazio della SS. Trinità. Questo eccessi provocarono una forte reazione: verso il VI secolo si abolì la maggior parte dei prefazi marginali per conservarne solo nove o dieci; e la nostra Praefatio Communis, che nei tempi antichi non fu mai considerata come un prefazio autonomo, ma piuttosto come una inquadratura dei diversi prefazi particolari, è diventata la forma comune della preghiera di ringraziamento [5], e fu meglio così, senza dubbio; molto meglio della moltitudine di prefazi del VI secolo".... "In antico vi era un gran numero di prefazi domenicali, e osiamo sperare che alcuni di essi ritornino presto nella nostra liturgia. Anche nella Praefatio Communis avvertiamo la povertà della nostra preghiera di ringraziamento; ma pure nella sua forma così concisa essa ha qualcosa di grandioso, di nobile. Vi si suppone, per così dire, che il cristiano sappia già di che cosa deve ringraziare, ch'egli abbia la coscienza dei benefici di Dio, dei benefici di ordine naturale, ma più ancora di quelli dell'ordine soprannaturale. Perciò vi si dice che dobbiamo rendere grazie sempre e dovunque...e possiamo farlo per Cristo nostro Signore. In questa sola espressione è detta la cosa più sublime". (J. JUNGMANN, La grande Preghiera Eucaristica, Brescia, Morcelliana, 1959, pp. 17-18). Non sempre dunque la molteplicità di testi è un arricchimento, anzi potrebbe addirittura essere un appesantimento. E' vero che anticamente gli ordini religiosi chiedevano e ottenevano prefazi propri per i loro santi patroni o fondatori, e già questa prassi sarebbe discutibile, quantunque la limitazione ai testi propri dell'ordine permetta che non ottengano eccessiva diffusione. Vogliamo trovarci come accade alla messa nuova, con quattro prefazi a scelta diversi per ogni domenica, per poi indulgere alla pigrizia del celebrante e dire sempre lo stesso comune?
Dei sette nuovi prefazi, inoltre, si può discutere la scelta. Tre sono tratti dai messali neo-gallicani, provenienti dall'uso parigino: quello della Dedicazione della Chiesa, dei Santi Patroni, e del Santissimo Sacramento. Di fatto questa è l'estensione di un costume ampiamente praticato dai tradizionalisti, visto il francesismo imperante negli istituti, poi trasmesso a molti anche fuor d'essi: nelle ristampe del messale curate dalla FSSP, per esempio, questi prefazi sono inclusi nel novero. I prefazi neo-gallicani, presenti anticamente nelle edizioni francesi come propria pro aliquibus, sono in realtà quattro: è tralasciato qui quello d'Avvento, forse quello meglio composto e linguisticamente e musicalmente, nonostante una barocca prolissità tipicamente francese. Quest'ultimo avrebbe supplito al costume non molto congeniale di usare il prefazio della Trinità nelle domeniche di Avvento (cfr. nota 5), alle quali meglio si addiceva il comune. Il prefazio del Santissimo Sacramento fungerà da toppa, per nascondere l'orrida soppressione del prefazio della Natività che la Tradizione voleva si dicesse in quella festa che fa memoria in modo particolare dell'Incarnazione del Signore.
Gli altri quattro, di cui non è ancora fornito il testo, saranno tratti dal messale di Paolo VI. Questo è molto grave a livello teorico, perché apre all'influenza dei testi liturgici moderni su quelli antichi; inoltre, visto che a Roma in antichità vi era gran copia di prefazi, riportati dagli Ordines, perché non riesumarne qualcuno di antico, piuttosto che usare quelli del nuovo messale, ampiamente modificati e con scelte linguistiche talora affatto discutibili? Veniamo poi alla scelta dei quattro. Il Prefazio degli Angeli è abbastanza inutile, dacché tutti i Prefazi fanno memoria, in modo più o meno ampio, alla schiera celeste; il Prefazio del Battista è interessante come scelta, e ricordo di aver visto un Messale settecentesco che ne possedeva uno nel Proprio del luogo, ma non riesco a rammentare di quale luogo; il prefazio dei Martiri potrebbe in sé non essere così pessimo (anche se certamente non se ne sentiva il bisogno) [6]; quello per la messa nuziale è francamente discutibile nei suoi stessi intenti, ma del resto s'inserisce in una corrente che tende progressivamente ad esaltare la messa nuziale, atto complementare ma nient'affatto necessario al Sacramento (ricordiamo che nelle rubriche antiche la messa degli sposi è una votiva privata, seppur privilegiata quanto ai giorni in cui si possa dire, e dunque non ha né Gloria, né Credo, e vuole il tono feriale; nel '62 tutto le è concesso, a parte il Credo, e in essa vengono neutralizzate gran parte delle commemorazioni).
In definitiva, che giudizio possiamo emettere su questi decreti? Sicuramente, non rispondono in nessun modo alla vera necessità di riforma, cioè al ritorno in modo integrale (con degli aggiustamenti nel grado delle feste, e al massimo nella loro precedenza) ai libri liturgici anteriori le riforme del XX secolo.
E' vero, tuttavia e purtroppo, che come tutte le introduzioni facoltative non giustificate da nessun precedente storico o di consuetudine (la Comunione sulla mano, i Misteri luminosi del Rosario...), tutto ciò è destinato in breve tempo a diventare deleteria legge.
2. Celebrare o no i "nuovi santi"? E come?
Il decreto Cum sanctissima permette la celebrazione di messe in onore dei "nuovi santi" canonizzati dopo il 1960. Se il decreto riguardasse unicamente la possibilità di celebrare messe votive in onore di questi nuovi santi, a livello liturgico nulla si potrebbe obiettare: molto si potrebbe discutere della santità di alcuni "nuovi santi", ma nulla eccepirebbe la norma liturgica. Il problema è che il decreto promuove ed estende una rubrica poco conosciuta del 1960: la n. 302, che esplicita la categoria delle missae festivae latiore sensu. Ossia, si permette di celebrare la messa in onore di un qualsiasi santo iscritto nel martirologio nel suo giorno proprio, non come messa votiva, ma con tutti i privilegi della messa festiva (vale a dire, il Gloria etc.); oppure, di commemorare detto santo all'interno di un'altra messa. La rubrica giovannea permette di far ciò solo nei giorni liturgici di IV classe, cioè in buona sostanza nelle ferie; la modifica apportata dal decreto consente però di farlo anche nella maggior parte dei giorni liturgici di III classe [2]. Fortunatamente, la facoltatività consente di evitare l'inondazione dei nuovi santi nel calendario; e tuttavia apre uno spiraglio all'ulteriore aumento a dismisura del numero delle feste. Anticamente, l'esistenza di feste ad libitum era dovuta al fatto che molti ordini religiosi insistevano (e pagavano) per avere iscritti i propri santi nel Calendario generale. Per evitare di appesantirlo, tuttavia, inizialmente si prese a concedere queste feste ad libitum; la clausola iniziò pian piano a declinare, e in breve tempo si giunse alla moltiplicazione e alla duplicazione selvaggia delle feste, ingolfando il calendario con quelli che un mio conoscente americano chiama "gli sconosciuti confessori italiani" [3], e in tal modo spesso andando ad obliare le feste degli antichi martiri, il cui culto rimonta alle origini della Chiesa.
Come nota en passant, al numero 8 il decreto di fatto crea la possibilità di dire nelle ferie di Quaresima la messa della festa eventualmente occorrente con commemorazione della feria. Nel 1962 era possibile solo la messa della feria con commemorazione della festa, mentre nelle edizioni più antiche la via ordinaria (seguita dall'Ufficio) era la priorità della festa semidoppia o doppia, con concessione di dire la messa privata della feria con commemorazione della festa. Secondo la mia personale opinione, la questione delle feste in Quaresima dovrebbe essere oggetto di attentissime riflessioni circa la precedenza: soprattutto nell'ufficio, un gran numero di feste rischia di far perdere gran parte dei caratteri strettamente penitenziali delle ferie di questo periodo. Tuttavia, guardando solo alla messa, la possibilità di scegliere tra quella del santo e quella della feria resta la cosa migliore, per evitare che feste di santi molto importanti (i Quaranta Martiri, S. Patrizio, S. Giovanni Damasceno, l'Aquinate...) siano perennemente obliate; altre (come S. Giovanni di Dio, S. Francesca Romana, etc.) si potrebbero tranquillamente ridurre a semplici o espungere, con gran vantaggio della ricchezza liturgica quaresimale.
3. La lista dei santi intoccabili: impressioni
La lista dei circa settanta santi intoccabili, cioè in cui non è possibile celebrare la messa festiva latiore sensu, ha dei punti interessanti e dei punti decisamente meno. Anzitutto, la sua stessa esistenza è dovuta alla povertà (non semplicità) classificatoria delle rubriche del 1962: la confluenza di semidoppio, doppio e (qualche) doppio maggiore nell'unica III classe, se era preannunciata dall'abolizione dell'antichissimo costume di non duplicare le antifone se non nelle feste maggiori, crea dei problemi nell'interclassificazione delle feste (problemi già ampiamente creati dalla summenzionata duplicazione selvaggia). Giocando con la fantasia, si potrebbe prendere ispirazione dalla nuova lista per stilare l'elenco delle feste "nuove doppie", a fronte di una riduzione a semidoppie delle altre; peccato che 70 sia un numero fin troppo alto di doppie. Senza contare i criteri di scelta: nella nota accompagnatoria ne vengono elencati alcuni molto fumosi. Di essi, taluni sono meritori (l'importanza nell'economia salvifica, il culto antico a Roma, e.g.), altri pericolosi (la devozione [4], e.g.). Scorrendo l'elenco, questi sono i nomi che mi lasciano più perplesso: S. Francesco di Sales, S. Giovanni Bosco, S. Francesca Romana, S. Gregorio VII, S. Luigi Gonzaga, S. Bonaventura, S. Vincenzo di Paola, Alfonso de Liguori, Giovanni Maria Vianney, S. Teresa di Lisieux, S. Teresa d'Avila, S. Josaphat, S. Giovanni della Croce, S. Francesco Saverio. Soprattutto di alcuni di loro, cosa giustifica l'inamovibilità del calendario? Non ho mai conosciuto nessun devoto di Gregorio VII o di S. Josaphat; degli altri non sempre la devozione popolare si accompagna a un'effettiva rilevanza. Resto dubbioso su altri nomi come S. Caterina e S. Chiara, che potrebbero essere validi solo per l'Italia. S. Pio X è un contentino al tradizionalista, il cui problema non mi sono mai posto, dacché non compare in nessun libro liturgico in mio possesso (quis habet aures audiendi, audiat).
4. Nuovi prefazi: arricchimento liturgico?
Partiamo dal fatto che in teoria lo scrivente è favorevole agli arricchimenti testuali, che la varietà di prefazi è una caratteristica dei riti occidentali (si pensi all'ambrosiano, in cui il prefazio fa parte del proprio del giorno, e viceversa al prefazio fisso delle anafore orientali), e che in Roma anticamente esistevano molti più prefazi. A tal proposito, scrive lo Jungmann: "La Liturgia romana antica, prima di Gregorio Magno, aveva moltissimi prefazi...anzi l'abitudine di assegnare ad ogni messa il suo prefazio si stabilì in quel tempo; ma questo principio comportava il pericolo di vedere un tema periferico, per esempio le sofferenze di un martire, prevalere su quello centrale, oppure l'azione di grazie sostituita con una supplica, come nel prefazio degli Apostoli, o con una professione di fede, come nel prefazio della SS. Trinità. Questo eccessi provocarono una forte reazione: verso il VI secolo si abolì la maggior parte dei prefazi marginali per conservarne solo nove o dieci; e la nostra Praefatio Communis, che nei tempi antichi non fu mai considerata come un prefazio autonomo, ma piuttosto come una inquadratura dei diversi prefazi particolari, è diventata la forma comune della preghiera di ringraziamento [5], e fu meglio così, senza dubbio; molto meglio della moltitudine di prefazi del VI secolo".... "In antico vi era un gran numero di prefazi domenicali, e osiamo sperare che alcuni di essi ritornino presto nella nostra liturgia. Anche nella Praefatio Communis avvertiamo la povertà della nostra preghiera di ringraziamento; ma pure nella sua forma così concisa essa ha qualcosa di grandioso, di nobile. Vi si suppone, per così dire, che il cristiano sappia già di che cosa deve ringraziare, ch'egli abbia la coscienza dei benefici di Dio, dei benefici di ordine naturale, ma più ancora di quelli dell'ordine soprannaturale. Perciò vi si dice che dobbiamo rendere grazie sempre e dovunque...e possiamo farlo per Cristo nostro Signore. In questa sola espressione è detta la cosa più sublime". (J. JUNGMANN, La grande Preghiera Eucaristica, Brescia, Morcelliana, 1959, pp. 17-18). Non sempre dunque la molteplicità di testi è un arricchimento, anzi potrebbe addirittura essere un appesantimento. E' vero che anticamente gli ordini religiosi chiedevano e ottenevano prefazi propri per i loro santi patroni o fondatori, e già questa prassi sarebbe discutibile, quantunque la limitazione ai testi propri dell'ordine permetta che non ottengano eccessiva diffusione. Vogliamo trovarci come accade alla messa nuova, con quattro prefazi a scelta diversi per ogni domenica, per poi indulgere alla pigrizia del celebrante e dire sempre lo stesso comune?
Dei sette nuovi prefazi, inoltre, si può discutere la scelta. Tre sono tratti dai messali neo-gallicani, provenienti dall'uso parigino: quello della Dedicazione della Chiesa, dei Santi Patroni, e del Santissimo Sacramento. Di fatto questa è l'estensione di un costume ampiamente praticato dai tradizionalisti, visto il francesismo imperante negli istituti, poi trasmesso a molti anche fuor d'essi: nelle ristampe del messale curate dalla FSSP, per esempio, questi prefazi sono inclusi nel novero. I prefazi neo-gallicani, presenti anticamente nelle edizioni francesi come propria pro aliquibus, sono in realtà quattro: è tralasciato qui quello d'Avvento, forse quello meglio composto e linguisticamente e musicalmente, nonostante una barocca prolissità tipicamente francese. Quest'ultimo avrebbe supplito al costume non molto congeniale di usare il prefazio della Trinità nelle domeniche di Avvento (cfr. nota 5), alle quali meglio si addiceva il comune. Il prefazio del Santissimo Sacramento fungerà da toppa, per nascondere l'orrida soppressione del prefazio della Natività che la Tradizione voleva si dicesse in quella festa che fa memoria in modo particolare dell'Incarnazione del Signore.
Gli altri quattro, di cui non è ancora fornito il testo, saranno tratti dal messale di Paolo VI. Questo è molto grave a livello teorico, perché apre all'influenza dei testi liturgici moderni su quelli antichi; inoltre, visto che a Roma in antichità vi era gran copia di prefazi, riportati dagli Ordines, perché non riesumarne qualcuno di antico, piuttosto che usare quelli del nuovo messale, ampiamente modificati e con scelte linguistiche talora affatto discutibili? Veniamo poi alla scelta dei quattro. Il Prefazio degli Angeli è abbastanza inutile, dacché tutti i Prefazi fanno memoria, in modo più o meno ampio, alla schiera celeste; il Prefazio del Battista è interessante come scelta, e ricordo di aver visto un Messale settecentesco che ne possedeva uno nel Proprio del luogo, ma non riesco a rammentare di quale luogo; il prefazio dei Martiri potrebbe in sé non essere così pessimo (anche se certamente non se ne sentiva il bisogno) [6]; quello per la messa nuziale è francamente discutibile nei suoi stessi intenti, ma del resto s'inserisce in una corrente che tende progressivamente ad esaltare la messa nuziale, atto complementare ma nient'affatto necessario al Sacramento (ricordiamo che nelle rubriche antiche la messa degli sposi è una votiva privata, seppur privilegiata quanto ai giorni in cui si possa dire, e dunque non ha né Gloria, né Credo, e vuole il tono feriale; nel '62 tutto le è concesso, a parte il Credo, e in essa vengono neutralizzate gran parte delle commemorazioni).
In definitiva, che giudizio possiamo emettere su questi decreti? Sicuramente, non rispondono in nessun modo alla vera necessità di riforma, cioè al ritorno in modo integrale (con degli aggiustamenti nel grado delle feste, e al massimo nella loro precedenza) ai libri liturgici anteriori le riforme del XX secolo.
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NOTE
[1] Vale a dire, con tutto il rispetto e l'ammirazione per l'opera di mons. Lefebvre, ma non certo con stima degli esiti liturgici della Fraternità per molte altre cose benemerita, il Messale del '62 come base con elementi precedenti ed elementi del '65 inseriti passim.
[2] Ovviamente, per chi non segue il rito del '62 ma quello romano autentico, occorrerebbe iniziare una serie di distinzioni sul grado che otterrebbero queste feste latiore sensu. A logica non si potrebbe assegnare loro più di un simplex ad libitum; verosimilmente, se assegnassimo questo compito a qualche liturgista del'Ottocento o del Novecento, le renderebbe doppie. Oppure si potrebbero più banalmente continuare a considerare messe votive, permesse dunque anche nei semidoppi, ma senza Gloria e con Benedicamus Domino in fine.
[3] Altra locuzione che sovente questo mio conoscente impiega è "the Iste Confessor season", lamentando la presenza massiccia, quasi nauseante, dell'inno dei confessori nel Breviario. Un inno peraltro composto per S. Martino (con riferimenti piuttosto espliciti alla vita del vescovo di Tours), la cui estensione a tutti i confessori vescovi e non vescovi Huysmans lamenta molto bene ne L'Oblato.
[4] Senza contare che, essendoci facoltatività di scelta, a fronte della festa di un santo oggetto di gran devozione popolare, ben pochi si sognerebbero di obliarlo.
[5] Ricordiamo che, prima di Benedetto XIII, anche nelle domeniche infra l'anno e di avvento era detto il prefazio comune, e non quello della Trinità, riservato alla sua festa (ndr).
[6] Sono già fioccati gl'interrogativi se si possa dirlo o meno nella festa di S. Stefano, e la risposta è ovviamente no, dovendosi dire quello dell'Ottava di Natale per legarlo al Communicantes proprio, come è evidente dal paragone con la festa di S. Giovanni Evangelista. Questo en passant.
[2] Ovviamente, per chi non segue il rito del '62 ma quello romano autentico, occorrerebbe iniziare una serie di distinzioni sul grado che otterrebbero queste feste latiore sensu. A logica non si potrebbe assegnare loro più di un simplex ad libitum; verosimilmente, se assegnassimo questo compito a qualche liturgista del'Ottocento o del Novecento, le renderebbe doppie. Oppure si potrebbero più banalmente continuare a considerare messe votive, permesse dunque anche nei semidoppi, ma senza Gloria e con Benedicamus Domino in fine.
[3] Altra locuzione che sovente questo mio conoscente impiega è "the Iste Confessor season", lamentando la presenza massiccia, quasi nauseante, dell'inno dei confessori nel Breviario. Un inno peraltro composto per S. Martino (con riferimenti piuttosto espliciti alla vita del vescovo di Tours), la cui estensione a tutti i confessori vescovi e non vescovi Huysmans lamenta molto bene ne L'Oblato.
[4] Senza contare che, essendoci facoltatività di scelta, a fronte della festa di un santo oggetto di gran devozione popolare, ben pochi si sognerebbero di obliarlo.
[5] Ricordiamo che, prima di Benedetto XIII, anche nelle domeniche infra l'anno e di avvento era detto il prefazio comune, e non quello della Trinità, riservato alla sua festa (ndr).
[6] Sono già fioccati gl'interrogativi se si possa dirlo o meno nella festa di S. Stefano, e la risposta è ovviamente no, dovendosi dire quello dell'Ottava di Natale per legarlo al Communicantes proprio, come è evidente dal paragone con la festa di S. Giovanni Evangelista. Questo en passant.
"Prima la Commissione Ecclesia Dei, temporibus illis, e poi, nell’ultimo anno, una Sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede hanno speso tempo, energie, soldi, hanno convocato “esperti”, fatto riunioni, sondato terreni, oliato ingranaggi, per poter arrivare a – udite udite! – modificare quel Messale che papa Giovanni XXIII aveva approvato nel 1962, come “strumento provvisorio” in attesa del Concilio e della Riforma Liturgica".
RispondiEliminaQueste parole, scritte da uno dei più grandi avversari della Tradizione, Andrea Grillo, al netyo dell'astio che ne trapela, sono disarmanti nella loro sincerità. Che senso ha continuare a lavorare su un messale "morto", perchè né tradizionale né moderno, ma tappa verso il ritus modernus del '69? Magari i tradizionalisti lo capissero e si tornasse in blocco alle edizioni precedenti, a un messale compiutamente tradizionale e "vivo", perchè esistente in se stesso nella sua apostolicità e non come strumento di passaggio verso fasi di riforma più avanzate.
Caro Unam Sanctam,
RispondiEliminami permetta di ringraziarLa per questo testo. Essendo allontanato dal mondo tradizionalista da anni, questi dibattiti mi riportano ai problemi che già allora mi parevano urgentissimi. Sembra infatti che nessuno, sia all'interno che all'esterno di quella galassia, abbia in mente ripristinare la vera tradizione liturgica romana. È così triste.
I brani dello Jungmann da Lei riportati mi fanno venire in mente la situazione della liturgia spagnola (chiamarla "mozarabica" è un insulto contro di essa), in cui ogni giorno ha una preghiera eucaristica diversa (perché, tranne il racconto dell'istituzione, quella è interamente variabile). Alcuni di quelli testi sono antichissimi e testimoniano la antica pietà tradizionale; altri però sembrano degli esercizi di uno studente di oratoria. E certamente la riforma di questo rito, più devastatrice di quella che subì la liturgia romana, non volle correggere questo punto.
Mi permetta di augurarLe una santa e ascetica Quaresima, per quanto sia possibile. I nostri paesi sono ora affratellati da questo morbo venuto dalla Cina...
i testi meno antichi delle anafore del Messale ispanico sono introduzioni della 'riforma' di Cisneros o sono più arcaici?
Eliminanella mia profonda ignoranza le chiedo cosa la liturgia ispanica postconciliare cosa ha mutato profondamente e negativamente del rito: guardando i testi mi è saltato per esempio all'occhio il ciclo biennale delle letture, che penso sia nuovo (e che stona con il ciclo annuale della anafore
Caro gsimy,
Eliminail corpus eucologico spagnolo venne fissato circa l’anno 700, prima dell’invasione araba (si veda il Liber mozarabicus sacramentorum, accessibile su internet. Quindi di questi problemi non sono risponsabili né Cisneros né il canonico Ortiz, che semplicemente tentarono di salvare quanto restava di un rito che nessuno capiva più. Il problema con la proliferazione di preghiere (perfino eucaristiche) non è dottrinale (seppure ci siano qualche filioquismo e qualche agostinismo estremo qua e là), ma piuttosto letterario: alcune preghiere sono perorazioni lunghissime, che sembrano esercizi di retorica (d’altronde alquanto devozionalistica) più che orazioni vere e proprie. Inoltre la focalizzazione sulle singole feste mette spesso in secondo piano la celebrazione dell’azione salvifica di Dio in quanto tale. Sono quindi problemi che non affettano il rito nel suo complesso, e che si potrebbero risolvere semplicemente riducendo la variabilità delle preghiere.
La seconda domanda da Lei posta è più complessa. A mo’ di riassunto si potrebbe dire che il rito spagnolo “rinnovato” è molto più simile al rito romano odierno di quanto quello vecchio si rassomigliasse al rito rimano fino al 62/65. Ed è proprio questo il punto più paradossale di una riforma che, ci si disse, voleva espurgare la liturgia spagnola di “romanismi”. Si direbbe che, sotto voce, i nostri liturgisti volevano proprio l’opposto!
(segue)
Le faccio un esempio. Il rito spagnolo ha un elemnto che lo accommuna a quello bizantino ed altri orientali: possiede una preparazione dei doni prima della Messa, simile alla προσκομιδή bizantina seppur molto più breve e semplice. Sotto l’influsso romano (più precisamente: quello della “Messa letta” romana) questo rito venne incrustato nella liturgia stessa, fra l’accesso all’altare e il Gloria, e situato sull’altare. L’antica processione dei doni (simile al Grande Ingresso bizantino) venne poi trasformata in una processione offertoriale dei fedeli fatta dopo le preghiere dell’offertorio (queste sì di origine probabilmente romana). Invece di riportare la preparazione dei doni al suo posto prima della Messa e di restaurare pure la processione dei doni già preparati, hanno soppresso quella, sostituito le preghiere offertoriale per qualcosa di simile alla benedizione gudaizante oggi usata nel rito romano, e spostata quest’ultima dopo la (più recente) processione dei fedeli, assimilata pure a quella neo-romana. Quindi l’ordo missae spagnolo odierno, tranne per le orazioni proprie e la recita dei dittici assieme al segno di pace prima dell’anafora, è identico a quello romano riformato.
EliminaQualcosa di normale però quando i liturgisti spagnoli ignorano del tutto le liturgie orientali e credono ancora che la nostra liturgia derivi da quella romana...
Spero di esserLe stato utile.
Aggiungo solo una cosa. La questione della posizione degli offertori è uno dei problemi storici maggiori nell'economia liturgica. Nella liturgia bizantina la proscomidia era originariamente dopo il Vangelo, ma già in età giustinianea era stata portata all'inizio della liturgia. Tracce dell'antica collocazione restano nel rito pontificale, dove l'ultima parte della proscomidia è officiata dal Vescovo subito prima del Grande Ingresso.
EliminaNon poche liturgie avevano avuto uno sviluppo simile, anche occidentali (si pensi al rito domenicano), per ragioni pratiche poi corroborate da un buon impianto simbolico-rituale. Il rito romano non operò mai questa variazione, perché il suo offertorio era brevissimo e silenzioso: le preghiere offertoriali del rito romano provengono dalla tradizione latina germanica, portate a Roma attorno all'VIII-IX secolo.
La liturgia mozarabica, poi, come giustamente ricordava Ἰουστινιανός, non ha alcuna derivazione da quella romana, ma discende per linea diretta da quella gerosolimitana, con dei notevoli elementi costantinopolitani portati con la breve conquista bizantina della Spagna sotto Giustiniano. Anzi, da parti del rito mozarabico possiamo capire alcuni elementi del rito costantinopolitano di S. Sofia prima dell'imposizione del tipico monastico nel IX secolo.
In ogni caso, pensare dopo quasi 1500 anni di modificare del tutto un'economia rituale coerentemente consolidatasi, è follia pura. Tra i vescovi fanarioti, in un recente passato, c'era qualcuno che voleva farlo, ma grazie a Dio non ne hanno avuto il coraggio.
EliminaProprio una questione di economia rituale consolidata è quello che mi porta a dubitare della molteplicità dei prefazi. Dal VI secolo almeno, nel rito romano il prefazio fa parte dell'Ordinario piuttosto che del Proprio (cosa che invece è, ad esempio, nella liturgia milanese). Semplicemente può variare in relazione a grandi feste, ma come del resto il Communicantes.
Il rito romano fino all'Ottocento conservava 10 prefazi (più il comune che è uno schema). Quello della Trinità era una reliquia dottrinale molto antica, fino al Settecento si diceva una sola domenica all'anno, poi fu esteso (un po' infelicemente per l'Avvento a mio avviso).
Aggiungere prefazi è una smania che ha qualche decennio. Quello di S. Giuseppe fu aggiunto nell'Ottocento, quando iniziarono le menzioni massicce (di stampo devozionistico) dello sposo della Vergine nella liturgia (il nome nel canone è solo l'ultima goccia: iniziarono dai suffragi e dalle orazioni del tempo...) ed è linguisticamente poco sopportabile. Pio XI fece aggiungere dei prefazi (che non amo per nulla) per il Sacro Cuore e Cristo Re (quest'ultimo detto un solo giorno all'anno!), marcando il principio che una festa per essere importante deve avere il Prefazio proprio: cosa affatto falsa per la già citata struttura rituale romana!
Giustamente, poi, in una discussione su un altro sito, gsimy evidenziava che la "facoltatività", al di là del fatto che sia stata usata -secondo me- per non causare troppo scompiglio, introduce il principio anomalo della scelta dei formulari, che potrebbe essere foriero di cambi di mentalità ben più gravi.
Eliminaposso porle un'ultima domanda: il rito mozarabico pre-conciliare è ancora celebrato o è stato completamente sostituito?
EliminaNo per quanto io sappia. D’altronde il rito era praticamente morto nel Novecento, e solo si celebrava in date speciali (ad esempio nel 1944 a Burgos oppure nel 1969 a León). L’ordo missae previo alla riforma è molto caotico e l’assenza di un aparato rubricale adatto ne rendeva assai difficile la celebrazione. A questo si deve aggiungere che queanto ci resta nei libri del Cisneros serve solo alla Messa letta. Nel 1975 si tentó di comporre un rito pontificale ad experimentum, ancora abbastanza rispettoso con il testo precedente, ma per servire soltanto di prima tappa per la riforma posteriore.
EliminaPoi i sacerdoti spagnoli non vogliono sapere niente questa liturgia, e ancora meno quei detti “tradizionalisti” (forse perchè avere una liturgia propria sarebbe poco “cattolico” per loro?), e soltanto alcuni fedeli ci s’interessano. Ma, da mie conversazioni con alcuni di loro, non mi pare che habbiano capito niente sul senso profondo e la tradizione di questo rito...
Poi sono lietissimo di trovare persone interessate alla liturgia spagnola anche al di fuori del mio paese! Spero soltanto di non causare disagio a Unam Sanctam, che ci permette così gentilmente discutere questo argomento sul suo sito.
EliminaNessun disagio, anzi!
EliminaSo che qualche anno fa la Schola Sainte Cécile di Parigi organizzò una celebrazione in rito mozarabico, di cui preparò un libretto (molto ben fatto, come sempre) che si reperisce sul web, ma non so onde abbiano desunto le loro informazioni rituali, né come e perché tale celebrazione fu effettuata.
Se Ἰουστινιανός volesse scrivere un pezzo sul rito mozarabico, sia da un punto di vista storico che rituale, sarei onorato di potere pubblicare l'intervento.
Grazie tanto per l'invito! A questo momento non mi è possibile per ragione di altri impegni, ma è qualcosa che vorrei fare in un futuro prossimo. Comunque non credo di essere proprio esperto sulla materia, soltanto qualcuno che ha letto il rito della messa parecchie volte.
EliminaL'ordo utilizzato dalla Schola Sainte Cécile è quello riformato, seppure abbiano utilizzato anche le partiture di canto antiche. Sul loro sito ho trovato alcune riflessioni interessanti sulla storia del rito e la sua riforma. Non concordo con il parere che questa sia stata fatta meglio di quella che subì il rito romano.
sul perchè molti tradizionalisti diffidino delle liturgie locali mi fa pensare a ciò che è scritto in un libro edito dalla FSSPX italiana (neanche fatto male, ma in certi punti veramente poco approfondito) 'Conferenze sulla Santa Messa' in cui plaude all'abolizione del rito ispanico nel XI secolo, accusandolo della presenza di non so quali elementi ereticali, in favore del rito romano, questo si l'unico rito corretto in grado di esprimere la verità della Messa...
EliminaPiù che ad un influsso diretto da Costantinopoli, io penserei a un'evoluzione parallela (certo accellerata dalla presenza bizantina nel sud). Lo stesso schema pare che si ritrovasse nella Gallia precaroligia, e la προσκομιδή domenicana deriva forse dal sustrato di questo rito. La storia dei riti offertoriali è infatti veramente interessante, e la loro soppressione da parte dei riformatori permette di farsi un'idea della qualità pastorale di essi.
RispondiEliminaPosso chiedere chi fosse il vescovo/patriarca che voleva manomettere il rito bizantino? Sapevo di qualche iniziativa, ma non da quelle instanze.
Da quanto da Lei esposto capisco che, inoltre a questa strana facoltatività (mai vista prima nelle liturgie tradizionali), si apre la porta a continuare l'ipertrofia del prefazio a seconda delle mode devozionalistiche iniziate già qualche secolo fa, attualizzate ed aumentate. Mi chiedo se ci sarà qualche opposizione reale...
Sì, certamente il rito mozarabico è del tutto indipendente. Elementi bizantini erano appunto presenti nella cosiddetta "tradizione B" (quella del Sud), e alcuni di questi poi passano nella redazione finale. Non parlavo tanto dell'offertorio, quanto di altri elementi. Come Lei ben dice i riti gallicani più antichi avevano l'offertorio all'inizio, e non certo per contatto con Costantinopoli.
EliminaDi tentativi di modifica della liturgia bizantina ce ne sono stati tanti negli ultimi anni, alcuni dei quali addirittura passati (seppur sotto silenzio), come l'uso del vernacolo, l'omissione di alcune parti "ripetitive"... su youtube c'è un bell'intervento di p. Theodoros Zisis in materia.
L'idea di apportare però modifiche molto pesanti in senso archeologista (proscomidia all'inizio, e.g.) è circolata per diversi anni alla scuola teologica di Tessalonica, e ha avuto l'alto patrocinio di Zizioulas (personaggio le cui tesi "innovative" sono ben note...).
Grazie tanto per le segnalazioni! Conoscevo ormai il carattere modernistico della teologia di Zizioulas, ma non che le sue tesi si estessero pure alla liturgia...
EliminaNon avevo mai messo attenzione sui prestiti bizantini nel rito spagnolo, ma quanto Lei afferma è interessante. Quando abbia un po' di tempo darò un'altra occhiata ai testi.
l'articolo di Bradshaw 'Gregory Dix and the offertory procession' fa una breve panoramica sulla diversità degli usi e della collacazione degli 'offertori' nella Chiesa antica e perchè la processione offertoriale si è diffusa dappertutto nei riti post-conciliari
Elimina'alla domanda se la molteplicità dei prefazi sia da ritenere un bene o un male, si deve rispondere che essa è vantaggiosa nella misura in cui la loro motivazione anamnetico-celebrativa è improntata a precisi criteri di teologia cristologico - trinitaria [...] Lo studioso della preghiera eucaristica avverte un disagio non indifferente allorchè si trova di fronte a una motivazione anamnetico-celebrativa un po' troppo intesa a tessere l'elogio del santo del giorno, oppure un po' troppo palesemente programmata per sensibilizzare i fedeli, ad esempio, sull'importanza del digiuno quaresimale'
RispondiEliminaCesare Giraudo SJ, In unum corpus, pag 386
scrutando il testi ufficiali dei nuovi prefazi https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-03/testo-nuovi-prefazi-messale-romano-1962-dottrina-fede.html che il prefazio dei martiri concede la possibilità di menzionare il nome del martire (o dei martiri) in esso, cosa che non si è mai vista prima nel Rito Romano Tradizionale.
le preoccupazioni di Giraudo, riferite al NOM, rischiano di applicarsi gravemente anche al VO.
già la menzione di San Giuseppe nel Canone fu un grave vulnus, ora la possibilità di inserire un nome variabile (o più nomi) nella preghiera eucaristica rischia di aprire gravi porte verso la variabilità a piacere (che degraderà nella scelta automatica della soluzione peggiore), oltre a spostare l'accento dell'anafora dalla celebrazione sacramentale di Cristo e della sua opera redentrice all'elogio del martire festeggiato.
si è già vista questa cosa con il Prefazio dei Santi I (uno dei prefazio più usati durante la settimana proprio per la possibilità di nominare il santo festeggiato)
Gradirei sapere dall'estensore dell'articolo quale ritiene essere la versione del messale "romana autentica" e perché. Forse intende quella precedente alla riforma dei riti della Settimana Santa del 1955?
RispondiEliminaPiù che di "messale romano autentico", parlo di "tradizione romana autentica". E' inevitabile che anche nelle edizioni più datate ci siano stati dei cambiamenti più o meno pesanti (penso alla processione delle ceneri, tipicamente romana, caduta in disuso durante la cattività avignonese).
EliminaTuttavia, possiamo porci dei termini di ragionamento per individuare una versione migliore, ancorché non perfetta. Lei dice giustamente la Settimana Santa ereditata da secoli di tradizione e non costruita a tavolino da Bugnini. Ma possiamo aggiungere altro. Nelle immagini delle catacombe si vedono i diaconi usare le poenulae piegate: in quale messale si usano le pianete piegate? Nell'antichissimo Hanc Igitur di Pentecoste si fa riferimento a dei riti battesimali: in quale messale si trova la veglia battesimale di Pentecoste? In tutti i riti cristiani antichi, per tradizione rimontante alla sinagoga, al mattino si loda Iddio con il canto dei tre salmi laudativi 148-149-150: in quale breviario questo è ancora presente?
E così via.
Mi scusi, non conoscendo molto di liturgia non capisco il valore delle sue domande retoriche. Devo dedurre che non vi siano più copie di messali contenenti gli elementi da lei enumerati? Per quanto riguarda i tre salmi laudativi, mi sembra che nella regola di san benedetto non siano specificamente contemplati. Forse la traditio romana era diversa.
EliminaRegola di S. Benedetto, XII: "In matutinis dominico die, in primis dicatur sexagesimus sextus psalmus, sine antiphona, in directum. Post quem dicatur quinquagesimus cum alleluia. Post quem dicatur centesimus septimus decimus et sexagesimus secundus. Inde Benedictiones et Laudes, lectionem de Apocalypsis unam ex corde, et responsorium, ambrosianum, versum, canticum de Evangelia, litaniam, et completum est.".
EliminaCome si vede, dopo le "Benedictiones" (cioè il Cantico dei Tre fanciulli), sono menzionate le "Laudes", cioè appunto i salmi 148-149-150. Il fatto di estendere il nome "Lodi" a tutta l'ora canonica è cosa relativamente moderna: nella tradizione sinagogale e cristiana primitiva questo termine indica solo i tre salmi, che appunto stavano alla fine del Mattutino (il cap. XII della regola s'intitola "Quomodo matutinorum sollemnitas agatur", ma ho notato che, falsamente, i traduttori italiani spesso rendono "Le lodi".
La tradizione romana non è sempre identica al tipico di S. Benedetto, che è monastico, anche se i principi di base (recita settimanale del Salterio) sono comuni, come del resto a tutta la tradizione cristiana, e ci sono delle ovvie reciproche influenze molto forti.
La parte conclusiva dei mattutini nella tradizione romana ha il seguente schema: 92, 99, 66, 62, Cantico dei tre fanciulli, 148-149-150. Risale all'età gregoriana: precedentemente l'ordine, usato poi come formulario quaresimale, era 50, 117, 66, 62, Cantico dei tre fanciulli, 148-149-150. Cioè lo stesso benedettino, seppur con ordine e modo diverso; ma del resto questi stessi salmi si trovano nei Mattutini di molti altri riti, le Lodi di tutte le tradizioni rituali conosciute.
La triade laudativa fu eliminata dal rito romano con la riforma di Pio X nel 1911.
EliminaLa veglia battesimale di Pentecoste fu soppressa interamente nel 1956 sotto Pio XII (cfr. OHS, p. vi, nt. 16).
Le pianete piegate, così come lo stolone (cioè la poenula traversa) sono aboliti dalla riforma di Giovanni XXIII nel 1962 (Rubr. Gen. XIX, 137).
Quindi, per trovare già due di questi elementi non è nemmeno necessario andare a prendere un messale troppo datato, basta la VI dopo la tipica, del '52. Questa naturalmente ha anch'essa dei problemi, ma come vede già due punti importanti sono risolti.
E questi naturalmente sono solo alcuni esempi...
Grazie. Da profano, mi piacerebbe che qualcuno scrivesse un libro su questi argomenti, semplice, didascalico e chiaro. Non tutti hanno conoscenze e possibilità di accedere a volumi ponderosi e, ormai, (purtroppo) polverosi.
EliminaUna decinna di anni fa vennero pubblicati due articoli su una rivista ormai estinta (Usus antiquior), in cui si esaminava molto criticamente la riforma del Psalterio di Pio X e pure si spiegaba abbastanza bene la struttura dell'Ufficio romano tradizionale.
EliminaLo stesso autore, curatore dell'Ordo recitandi della Saint Lawrence Press, prende come riferimento per il messale l'edizione del 1939. Infatti Pio XII cominiciò a manometterlo fin dal 1940.
I am sorry to write in English ! The author mentioned above who also edits the (Latin) Ordo published by the St Lawrence Press has two excellent blogs: St Lawrence Press Blogspot and The Tridentine Rite (the latter follows the complete Tridentine practice and the Old Julian Kalendar)
RispondiEliminaPotrei sapere il nome di tale autore?
RispondiEliminaSolitamente egli si firma "Rubricarius". Non so se egli avesse firmato gli articoli di cui parla Ἰουστινιανός col nome proprio o con questo pseudonimo; io conosco il suo nome ma non mi sento autorizzato a dirlo senza un suo permesso.
EliminaChiedo scuse per il ritardo.
EliminaNeanch’io darò il suo nome. Gli articoli sono stati ritirati da molti anni, quindi nemmeno io vi ho più accesso. D’altra parte i riferimenti apportati sopra dall’utente Shaun Davies sono sufficienti per capire la portata del suo lavoro. Credo di non sbagliarmi si dico che Rubricarius è uno dei migliori conoscitori del rito romano post-tridentino a livello mondiale.