sabato 31 agosto 2019

Note sul materialismo e il razionalismo nella liturgia

Mi è stata raccontata non molto tempo fa la vicenda di un vescovo italiano che, trovatosi costretto in una parrocchia a celebrare ad orientem per via dell'orientamento non modificabile dell'altare, si è letteralmente messo a sbraitare durante la messa deprecando tale cosa. Al di là del quadretto piuttosto patetico, ciò induce a riflettere particolarmente sul significato della celebrazione versus populum, un significato che contrasta non solo con la prassi ma anche con la dottrina tradizionale cristiana.

Ci sono almeno due ideologie che hanno indotto i novatori cattolici (ma una cosa simile sta avvenendo pure nel mondo ortodosso: cercando su internet si troveranno delle immagini di preti greci che sciaguratamente hanno montato dei tavolini avanti all'iconostasi per celebrarvi coram populo) a compiere una scelta che in tal modo stravolge l'orientamento antico: il comunitarismo e il materialismo. Tali innovazioni chiaramente non si sono manifestate solamente sull'orientamento dell'altare, ma, prima ancora, sulla sua separazione effettiva dall'aula; esattamente un anno fa scrivevo un articolo (QUI) sulla storia della segregazione tra Santuario e navata, distinzione fisica che rispecchia una distinzione sacramentale di origine apostolica. 

La prima ideologia, erede della concezione protestante del sacerdozio universale (o battesimale) [1], secondo la quale il popolo "concelebra" con i sacri ministri l'ufficio liturgico, stravolge il concetto di segregazione tra clero e popolo testé esposto. Significativamente, poi, l'atto liturgico non viene più rivolto a Dio, verso quale tutto il popolo si rivolgeva guidato dal sacerdote, ma racchiuso nell'autocelebrazione della comunità. Queste critiche sono tuttavia molto note, e molto spesso citate non solo negli ambienti più strettamente tradizionali, ma anche in quelli più vagamente conservatori.

Decisamente meno affrontato è il problema del razionalismo, non secondariamente per il fatto che trattasi di un problema scomodo: radici razionaliste nell'impostazione della liturgia si ritrovano ben prima del Concilio Vaticano II, e affondano le proprie radici nel basso Medioevo e nell'epoca tridentina. Si possono individuare in modo abbastanza semplice, perché a un occhio allenato e liturgicamente e dottrinalmente tali elementi alloctoni rispetto alla concezione patristica sulla quale si è strutturato il rito romano nei primi secoli appaiono subito in tutta la loro alterità.
Per spiegarli, dobbiamo fare una promessa filosofica. Al razionalismo si accompagna pressoché sempre il materialismo; i razionalismi spirituali di stampo idealista nascono relativamente tardi e risentono del clima particolare del tardo Settecento e primo Ottocento, e non influiscono in modo prepotente sull'ambiente ecclesiastico come il razionalismo classico e materialista aveva fatto nei secoli passati. Una grande disputa tra materialità e spiritualità la vediamo a Costantinopoli nel XIV secolo: è quella tra Barlaam di Calabria e Gregorio Palamas, nella quale la dottrina delle separazione delle energie dalle essenze divine, sostenuta dal secondo e accettata generalmente nella Chiesa Ortodossa, è invece fortemente avversata dal primo. Le istanze del monaco di Seminara, che non a caso era forte sostenitore della riunione tra le Chiese, erano di fatto quelle della Chiesa latina, ed è significativo che questa fosse una delle prime dottrine che i Pontefici di Roma chiedevano agl'Imperatori di accettare quando questi si presentavano coll'intento (sovente puramente politico, per ottenere aiuti militari dall'Occidente,  anche se non mancavano sovrani seriamente convinti come Giovanni V, del resto figlio di una nobile cattolica) di convertirsi e in tal modo riunire le chiese. Del resto il razionalismo in questa materia contaminò già S. Agostino con la dottrina dell'esclusività delle cause seconde, è visibile nell'Aquinate (che pure cerca di moderarsi, ma non può prescindere troppo dalla tradizione agostiniana) quando si parla della grazia soprannaturale ma creata. Il risultato è che oggi possono esserci preti cattolici (da me personalmente uditi) che in predica affermano con fermezza che non esiste nel modo più assoluto altro mezzo con cui si trasmette la Grazia all'infuori dei Sacramenti, di mezzi materiali. Questa considerazione è abbastanza pericolosa, e ci pone davanti ad alcuni problemi: sicuramente dobbiamo dire che i Sacramenti siano mezzi privilegiati della Grazia, ma possiamo realmente dire che siano gli unici? Risulterebbe allora difficile capire la vita di S. Maria Egiziaca, che in vita sua fece appena due Comunioni e una confessione, ma nella quale oggettivamente la grazia non poté che sovrabbondare nei suoi quarant'anni di peregrinazione nel deserto; nessun eremita, anche se prete, celebrava abitualmente l'Eucaristia fino ai tempi di Pio XII; i fedeli stessi, fino a Pio X almeno, facevano poche volte all'anno la comunione, seguendo una prassi tradizionalmente consolidata. I Sacramenti sono parte importante, cuore taluni dicono, della vita della Chiesa, e devono essere "usati" dal Cristiano, ma non ne possono essere la totalità: una tale accentuata materialità ridurrebbe a zero l'azione dello Spirito [2]. Gli effetti di tale materialismo sacramentale sono evidenti: meglio dire quattro messe basse piuttosto che una messa solenne, meglio fare la Comunione ogni giorno, etc. etc. [3].
La materializzazione della Religione la vediamo anche nella corrispondenza cercata dalla devozione per ogni elemento spirituale con uno materiale: le Stazioni della Via Crucis materializzano la Passione Redentrice; il Sacro Cuore materializza l'amore di Dio, e via così. La spiritualità della Chiesa viene però così annientata da una brama di toccare, di vedere, di considerare con la ragione e non con il cuore.

Dopo questa lunga digressione, torniamo in tema liturgico, soffermandoci sulla brama di vedere poc'anzi menzionata. L'abolizione delle separazioni, così come il voltare l'altare verso il popolo, rispondono a questa brama di vedere. Ma già il Concilio di Trento accontentava questa brama di vedere, ordinando che le iconostasi e i tramezzi che separavano il Santuario dall'aula venissero ridotte a basse balaustre, che mantenevano il significato teologico della segregazione, ma non garantivano l'invisibilità dei Sacri Misteri. Ma i mirabili eventi che avvengono durante la liturgia, e particolarmente durante l'Eucaristia, li percepiamo anzitutto con il cuore, con l'interiorità spirituale, e non con l'intelligibilità razionale. Specialmente nei luoghi dove era trascurata l'adeguata istruzione religiosa, in alcune parti dell'Europa Occidentale, il popolo poteva non capire questo, e l'assenza di segni materiali poteva indurli ad accogliere eresie contro la Presenza Reale; questo fenomeno negativo fu però combattuto in modo sbagliato, non curando l'istruzione spirituale di queste persone, ma cercando di rendere visibile il Mistero, con le elevazioni dopo le parole "della Consacrazione", eseguite con l'esplicita intenzione di ostendere al popolo i Santi Doni [3], oppure con l'Adorazione Eucaristica, che riduce la pienezza salvifica del Mistero alla contemplazione visiva dell'ostia (peraltro separata dal calice) [4].
Come sempre, quando per sanare una situazione critica si viene meno all'esattezza della legge, di fatto si avalla l'errore minore e lo si lascia incautamente proliferare [5]: così nei secoli le pratiche materialiste vennero accettate e finanche sponsorizzate dall'autorità ecclesiastica. Particolarmente interessante è la storia dell'icona della Madonna "di sotto gli organi", opera duecentesca attribuita a Berlinghiero Berlinghieri e custodita nel Duomo di Pisa [a sinistra]; fino alla fine del XVIII secolo essa rimase completamente velata, e tali veli non venivano tolti nemmeno quando l'icona veniva portata in processione per le vie della città. Cionondimeno i pisani, pur non avendo materialmente mai visto il soggetto, le serbavano immutata e viva devozione, cosa che appare a dir poco incomprensibile alle menti di chi si è ormai assuefatto al razionalismo moderno.

La perniciosità di tali ideologie è evidente a chiunque le studi minimamente, e i loro devastanti effetti appariranno tremendamente palesi. Purtroppo, in un modo che sempre più sponsorizza questi errori, del resto già profondamente radicati nella consuetudine, molto difficile appare separarsene, ritornando alla fedeltà alla Tradizione autentica della Chiesa di Cristo.

[1] Bisogna guardarsi da questo errore così come dal suo opposto, il clericalismo; la Chiesa è fatta anche di laici, che hanno il loro ruolo fondamentale nella sua costituzione, e anche nei suoi atti liturgici. Ma, come detto, essi devono restare ben separati (che non vuol dire inferiori!) dai sacerdoti, che sono tali perché hanno una consacrazione che permette di ministrare le cose sacre, i Sacramenti.
[2] Taluni reputano il progressivo sminuire lo Spirito nella Chiesa latina una conseguenza del Filioque, anche se l'interpretazione di ciò non è univoca (si pensi che Barlaam di Calabria, che alcuni teologi ebbero a definire più tomista dell'Aquinate e col suo antienergismo era massime sostenitore di una forma di materialismo, era comunque un monaco ortodosso, che rigettava dunque convintamente il filioquismo).
[3] Molti tradizionalisti criticano il fatto che nel rito moderno il sacerdote, anche quando celebra a Oriente, si debbe voltare al popolo per le due elevazioni. A questa obiezione i sostenitori attenti del rito moderno rispondono che in questo modo si rende meglio la natura dell'atto, che è una ostensione piuttosto che una elevazione. Non hanno tutti i torti: l'unica vera elevazione, antichissima, è quella alla fine del Canone, e che sia una elevazione e non un'ostensione si capisce dal fatto che nelle rubriche tridentine il sacerdote qui eleva i Doni all'altezza dei propri occhi, verso la Croce, e non al cielo per mostrarli. Tuttavia qui vediamo ancora una volta la problematicità sostanziale del rito moderno: anziché rimediare a quegli errori di concezione che si erano diffusi nei secoli attorno al rito tradizionale (che nella forma esprime invece l'ortodossia patristica), li avalla e adatta pure la forma a tali errori. Si tornerà su questo discorso.
[4] Non si vuole qui negare in modo assoluto la possibilità, ad esempio, della Benedizione Eucaristica, che è una prassi molto più antica dell'Adorazione e ha le sue ragioni teologiche; si contestano piuttosto altre prassi come l'Adorazione perpetua, le Quarant'ore, o anche solo l'Adorazione senza nessun altro atto liturgico, che snaturano il Sacramento e lo rendono oggetto appunto di un vedere razionalista.
[5] Stessa cosa avviene a livello morale: si pensi, esempio fra tanti, all'introduzione del divorzio nei paesi di tradizione cattolica. L'istituto viene introdotto per sanare situazioni problematiche (mariti che picchiano le mogli [o viceversa], tradimenti etc.), ma la sua esistenza fa sì che la gente poi vi ricorra senza reale necessità (oggi a migliaia avvengono i divorzi per cause realmente minime e insignificanti). Stesso discorso può farsi per la concessione del secondo matrimonio ai preti, recentemente rilasciato in modo generale dal Fanar. Nella tradizione cristiana, l'atteggiamento di economia è sempre disposto in modo personale, per il caso individuale, e non in modo generale, proprio per evitare questi problemi.

3 commenti:

  1. Questo articolo è un piccolo gioiello; mi permetterei di aggiungere che fino a Innocenzo III in Occidente la sacramentalità non era confinata nei sacramenti, ma permeava tutta la vita cristiana in un equilibrio difficile da mantenere (cfr le lotte tra chiesa e impero), ma molto più proficuo del giuridisno post tridentino (sfociato nel codice di diritto canonico del 1917).
    In quanto all'adorazione eucaristica (lì c'è Gesù) san Tommaso era molto più sensato perchè parlava esclusivamente di 'sacramentum'.

    Grazie.

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  2. Ho ricevuto il commento di un lettore, che qui riporto, e rispondo di seguito:

    L'articolo pone un'antitesi che, per quanto importante, oggi rischia di deviare dalle questioni cruciali. In termini generali, finché non respireremo con entrambi i polmoni, orientale e occidentale, il danno sarà vicendevole. I dissensi cattolico/ortodossi di un tempo vigevano all'interno di una comune visione, di una tradizione ferita ma sostanzialmente indivisa (stando tali divisioni più dal lato espressivo che da quello contenutistico). Oggi la situazione occidentale di secolarismo integrale intacca pure le prospettive autenticamente religiose e questa comune visione è in gran parte persa, per cui si fraintendono gli sviluppi degli uni e degli altri. Quello che non sembra più pensabile non è tanto la materia/carne o lo spirito, ma il loro nesso (manca la componente teandrica, teomateriale come la descriveva Soloviev in oriente o carnale/spirituale come la descriveva Péguy in occidente, manca l'unità articolata, il nesso di alleanza tra - per usare i termini della sacramentaria classica - res & sacramentum, senza il quale tutto si disperde). Così vi è certo l'errore materialista, ma vi è anche l'errore spiritualista, oggi più pernicioso. Ed è proprio nella questione liturgica che questa maggiore pericolosità va ad attingere. Proprio la contestazione del "primato" (inclusivo e non esclusivo) della liturgia (primato ribadito dalla Sacrosactum concilium) nella costituzione dell'identità stessa dei cristiani è di fatto il cavallo di battaglia dei secolaristi, sia quando si appropriano e intestano questo primato, sia quando invece lo escludono dal loro orizzonte. Fino agli anni '50 del secolo scorso, si poteva pensare ad una dialettica liturgia/contemplazione e si pensava che l'enfasi liturgica portasse danno alla spiritualità personale. Ma poco dopo è avvenuta una svolta che ha rovesciato la prospettiva. Affermando lo slogan della non esclusività dei sacramenti, nell'occidente secolarizzato che ha imbevuto di sé gli uomini di chiesa stessi e che essi hanno ben volentieri assunto, si è in un attimo giunti ad affermare la loro facoltatività, quando non la loro inutilità (in quanto espressione farisaica, sacramentalista e ritualista). Le riforme postconciliari hanno sintomaticamente espresso proprio il riguadagno della centralità liturgica, ricostruita a partire dal pregiudizio antiliturgico dell'inutilità della liturgia: quindi sempre più si è instaurata una ritualità spuria, per forme e contenuti (ciò non vuol dire affatto che gli attuali riti cattolici non siano tali, ma solo che possono dar adito e contribuire alla decattolicizzazione del cattolicesimo stesso: parafrasando Paolo Vi, c'è una ritualità non-cattolica dentro i riti cattolici...). Di fronte a ciò, l'articolo inciampa, scambiando per una caduta irreversibile nell'errore, quello che è invece una saggia e provvidenziale via d'uscita.

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    1. Nel risponderle, faccio due premesse. Anzitutto, che trovo la sua analisi, per quanto certamente critica, interessante, presentando un ragionamento con solide e documentate basi, e non sterile polemica come altre persone sogliono fare. In secondo luogo, che è assolutamente vero quanto lei dice circa gli opposti errori di materialismo e spiritualismo. Spesso amo ricordare l'insegnamento di un mio maestro spirituale, che il Cristianesimo ha tra le sue componenti fondamentali l'equilibrio. Spesso nel negare un errore estremo si rischia di cadere in quello opposto: è il caso di pelagianesimo e agostinismo estremo (quello che sfocia nel luteranesimo); di nestorianesimo e monofisismo, ecc. ecc. In questo caso, l'equilibrio tra la materia e lo spirito, equilibrio a cui l'uomo, che è per sé costituito di una parte spirituale e di una carnale, non può sfuggire.

      Il Sacramento è una via per ricevere la grazia. Una via molto importante, ma non è l'unica. La questione liturgica qui non è toccata, perché nella concezione della Chiesa antica la liturgia è una fonte di grazia a prescindere dall'effettiva celebrazione del Sacramento: si può ricevere la grazia assistendo a un Vespero, si può ricevere assistendo a una Divina Liturgia, si può ricevere facendo la Santa Comunione. Sono diversi tipi di grazia, di cui nemmeno potremmo dire con certezza quale sia la maggiore e quale la minore (non avendo -come diceva un amico- il bilancino per pesarla). Dubito che celebrare tre o quattro messe lette porti la stessa grazia che cantare mattutino, messa solenne e vespro; nella mentalità del tradizionalista medio quest'ultima opzione ne porterebbe meno, secondo me e secondo i Padri ne porterebbe incommensurabilmente di più, ma tant'è. E la liturgia è anche contemplazione: San Simeone il Nuovo Teologo aveva le sue maggiori esperienze spirituali durante la liturgia. Nella liturgia agisce lo Spirito.
      Come non si deve negare (mentalità spiritualista) del tutto la sacramentalità della Chiesa, che è un suo aspetto fondamentale, parimenti non la si deve assolutizzare (mentalità materialista). Il Cristianesimo comporta un equilibrio tra le due correnti, non facile da ricercare, che è un po' quella componente teandrica e teomateriale di cui lei parla, che del resto è rappresentata magnificamente nel Salvatore Teantropo, nel Dio fatto uomo. Nel cattolicesimo postconciliare convivono ambedue gli errori, mentre nel cattolicesimo tradizionalista (forse proprio per risposta all'errore spiritualista di molti neocattolici, ma in realtà le radici sono molto profonde) tende a prevalere quello materialista. La tradizione patristica pone con chiarezza una via media, che permette una comprensione e un utilizzo positivo dei mezzi materiali senza dimenticare la presenza e l'importanza dell'azione pneumatica (energia).

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