E' abbondantemente diffusa in Occidente ai nostri giorni, ormai da quasi un secolo, la pratica di accostarsi alla Santa Comunione quotidianamente o comunque tutte le volte che si assiste alla Santa Messa. Addirittura, il codice di diritto canonico riformato, seguendo istanze di chiara matrice protestante, ammette come norma una seconda e come eccezione una terza Comunione quotidiana, quando era considerato anticamente peccato grave fare più di una Comunione in un giorno. Tutto ciò sembra che rientri in una mentalità per cui conta il numero di Comunioni fatte, che sia il più alto possibile, e che bisogni quasi per forza comunicarsi ogni volta che si va a Messa. In Oriente, come ben sappiamo, la situazione è molto diversa, e le Comunioni sono molto più rare (una norma non scritta dell'Ortodossia Russa, per esempio, ne prevede 4 all'anno). Questo mi induce all'urgenza di fare una breve trattazione sulla frequenza e sulle condizioni della Santa Comunione.
L'uso della comunione quotidiana venne incoraggiato soprattutto da San Pio X, e iniziò a diffondersi veramente e completamente solo negli anni '40. Non che fosse mai stato ufficialmente vietato, ma vi erano certo delle date limitazioni. Partiamo dal fatto che la liturgia anticamente era solo domenicale e dunque, se nei primissimi secoli l'intero popolo accedeva alla Sacra Mensa ad ogni Messa, non praticava comunque più di una Comunione settimanale; già però il Crisostomo, S. Ambrogio, S. Agostino e S. Girolamo ci attestano dello scemare della frequenza della S. Comunione, gli ultimi due non senza una nota di approvazione. La Santa Chiesa cercò tuttavia di evitare che questo scemare diventasse un'astensione troppo lunga dal quella sorgente di vita che è il Corpo di Cristo, e perciò col Concilio Lateranense IV (1215) stabilì il precetto della Comunione Pasquale, riprendendo le decisioni di alcuni sinodi locali precedenti, primo tra tutti quello di Agde del 506 (che prevedeva l'obbligo della Comunione anche a Natale e Pentecoste). L'idea che sta alla base della rarefazione delle Comunioni è sostanzialmente il riconoscimento dell'abisso che separa Iddio e gli uomini, del mysterium tremendum che è la Transustanziazione, della nostra condizione caduta ed indegna; un assioma medievale insegna che una Comunione frequente è segno di mancanza di rispetto, una Comunione rara è segno di grande riverenza nei confronti del Sacramento (cfr. Pietro di Blois): in quell'epoca infatti si diffusero pratiche devozionali preparatorie alla ricezione del Sacramento molto rigide (per esempio, mangiare di magro per tre giorni, uso ancor oggi praticato officiosamente dai romeni). A Cluny, per esempio, le Consuetudines prescrivevano che alla Messa domenicale si consacrassero appena cinque ostie, in modo che quelli che lo volevano potessero comunicarsi. Quindi il numero di coloro che si comunicavano era molto basso.
Il tutto viene teologicamente spiegato da San Tommaso nella sua Summa Theologica [III, q. 80]. Alla domanda "E' bene comunicare ogni giorno?" risponde con una formola che porta a sconsigliare la Comunione: "La Comunione quotidiana è lodevole quando serve a nutrire il fervore senza venir meno al rispetto, ma, dacché spesse volte nella maggioranza degli uomini vi sono molti impedimenti a questa devozione, non è utile per tutti gli uomini di accostarsi quotidianamente al Sacramento".
Veniamo ora alle voci apparentemente contrarie, ossia i decreti del Concilio di Trento. Frequenter suscipere possint recita un documento della XIII sessione, riferendosi alla ricezione della Santa Comunione; nella XXII rimarca che "desidererebbe certo, il Sacrosanto Sinodo, che in ogni Messa i fedeli che sono presenti si comunicassero non solo con l’affetto del cuore, ma anche col ricevere sacramentalmente l’Eucaristia". Ora, queste indicazioni, piuttosto che consigliare indiscriminatamente la Comunione quotidiana, vorrebbero evitare alcune pratiche opposte che si erano diffuse per una generalizzazione ed esagerazione del rispetto reverenziale per la Santa Comunione, che aveva portato, exempli gratia, al distribuire la Comunione solo il giorno di Pasqua (cfr. alcuni scritti della beata Camilla da Varano, XV secolo), o a dover a richiedere uno speciale permesso per una Comunione "frequente" (intendendo con ciò quindicinale o settimanale tutt'al più), come accadde a Santa Teresa e a San Luigi Gonzaga.
Viceversa, al di là di questo rigorismo eccessivo che caratterizza i secoli XV-XVI e che sia San Bernardino da Siena che l'autore dell'Imitatio Christi cercano di smorzare, alla fine del Settecento (soprattutto in opposizione ai Giansenisti, i quali pur nella loro terribile eresia avevano un gran rispetto per il Sacramento), i Gesuiti iniziarono a diffondere, soprattutto in Francia, la pratica di una Comunione quantomai frequente. Questo fu, come moltissime iniziative antispirituali di cui si rese protagonista la Compagnia di Gesù tra XVII e XVIII secolo: si racconta che un prete romano, giunto a Parigi e avendo visto che la Comunione veniva distribuita pressoché ad ogni Messa, tornato nell'Urbe riferì che in Francia "si era persa la Fede".
Può dirsi dunque che il primo documento ufficiale che veramente propugna la Comunione quotidiana è il decreto di Papa San Pio X Sacra Tridentina Synodus del 20 dicembre 1905, che recita: "Sua Santità, nella sollecitudine e zelo da cui è animato, avendo grandemente a cuore che il popolo cristiano sia attratto moltissimo al Sacro Banchetto, con molta frequenza ed anche tutti i giorni [...] La Comunione frequente e quotidiana, essendo sommamente desiderata da Cristo Signore e dalla Chiesa cattolica, sia resa accessibile a tutti i fedeli, di ogni ordine e condizione". Queste indicazioni saranno poi riportate dallo stesso Pontefice nel Catechismo che porta il suo nome.
Dopo aver fornito questo accurato quadro storico, veniamo a trarre qualche conclusione. Non vogliamo certo scadere nelle esagerazioni che talvolta comparvero nella nostra storia, argomentando che sia cosa malvagia di fare soventi Comunioni. Semplicemente, vogliamo far presente di come sia molto difficile, quasi impossibile per riprendere S. Tommaso, almeno per chi vive nel secolo, di avere quotidianamente soddisfatte le condizioni per fare una fruttuosa Comunione. Dunque, conviene piuttosto di farne un numero minore (la Comunione settimanale è un traguardo comunque alto, a modesto avviso, per un laico).
Ora, per accostarsi al Divin Sacramento vi sono tre condizioni dette "necessarie", che sono riportate nel Catechismo e sono:
1) Essere in stato di grazia (ovverosia non avere peccati mortali non confessati);
2) Essere completamente digiuni dalla mezzanotte;
3) Aver consapevolezza di Chi si va a ricevere.
In assenza di una di queste condizioni, la Comunione si dice sacrilega, reca gravissima offesa a Iddio ed è peccato mortale per chi l'ha compiuta.
Vi sono poi delle altre condizioni, le quali strettamente non sono necessarie per la Comunione. Esse sono, ad esempio, essersi confessato de' propri peccati veniali, aver detto delle preghiere preparatorie alla ricezione del Sacramento, fare il doveroso ringraziamento dopo averlo ricevuto... Chi facesse la Santa Comunione senza aver adempiuto a queste condizioni non commetterebbe assolutamente peccato mortale, ma sicuramente sarebbe assai inferiore il beneficio spirituale che si ricaverebbe dalla Comunione, nonché in taluni casi vi sarebbe una modesta offesa al Signore (non eccedendo certamente il peccato veniale, trattandosi più frequentemente di semplice imperfezione), specialmente per la noncuranza cui l'abitudine può portare colui che suole comunicarsi frequentemente senza un'adeguata preparazione spirituale.
Per quanto riguarda i peccati veniali sulla propria coscienza, vero è che la Comunione è un viatico che cancella i peccati veniali; tuttavia, San Simeone il Metafraste (monaco e innografo bizantino del X secolo) paragona l'Eucaristia a un fuoco che brucia i lievi peccati dell'anima, la quale tuttavia rischia di essere bruciata quando questi sieno troppo numerosi.
Infine, sul digiuno: bisogna essere assai cauti ad indulgere alla riduzione pacelliana del digiuno eucaristico a tre ore. Questa fu infatti pensata essenzialmente per quegli che debba comunicarsi durante una celebrazione serale (cosa che la tradizione aborre); in generale, a meno che delle circostanze gravi non lo rendano necessario, sarebbe opportuno di comunicarsi la mattina e rispettando la normativa prescritta dalla Tradizione. Taluni solgono praticare l'astinenza almeno il giorno prima della Santa Comunione: imperocché il giorno maggiormente indicato per accostarsi al Sacro Banchetto è la domenica, e il Sabato è un giorno di astinenza a norma di diritto canonico, non dovrebbe risultare ostico al fedele di prepararsi adeguatamente con pie rinunzie all'importante incontro spirituale con Cristo vivo nell'Eucaristia.
Esortiamo pertanto tutti a riconsiderare il proprio modo di accostarsi alla Santa Comunione: non già si cerchi una riduzione forzosa della frequenza (beato quegli che è in grado di aver frequentemente tutte le disposizione, necessarie e consigliate, per accostarsi alla Mensa del Signore), ma una sempre maggiore preparazione fisica e spirituale alla ricezione del Corpo di Cristo, uno dei momenti più rimarchevole della vita di fede del Cristiano.
Ad majorem Dei gloriam!
Ho ricevuto via mail un commento di un assiduo lettore e amico, che riporto volentieri qui.
RispondiElimina"Interessante
dal punto di vista storico e spirituale; tuttavia sarebbe opportuno
precisare che l'attuale diritto canonico impone solo un'ora di digiuno
(al di là che sia troppo poco). Dunque il digiuno dalla mezzanotte è
sicuramente una pratica di mortificazione ammirabile ma non più
obbligatoria, e forse per questo più meritoria.
Sicuramente la situazione attuale, la leggerezza e il lassismo nei
confronti dell'Eucarestia sono inaccettabili.
Tuttavia non penso che per i laici sia impossibile con le dovute
disposizioni, preparazione e ringraziamento adeguato comunicarsi anche
tutti i giorni (certo con la guida di un padre spirituale). Ad esempio
il Beato Piergiorgio Frassati a inizio '900 si alzava tutti i giorni
alle 4 del mattino, camminava per 3 ore recitando il Rosario e
assisteva alla S.Messa al santuario di Oropa comunicandosi
quotidianamente; poi faceva una vita ordinaria di studente
universitario. Probabilmente se i santi antichi che per le regole
dell'epoca erano tenuti a comunicarsi ogni 2 settimane fossero vissuti
ai nostri giorni si sarebbero comportati analogamente comunicandosi
quotidianamente, cioè agendo per quanto possibile "ad majorem Dei
gloriam".
Calvin advocated weekly celebration of the Lord's Supper, insisting that infrequent communion was an "invention of the devil." However, the Genevan magistrates voted against him on this issue. They argued that weekly celebration of the sacrament was too Roman Catholic.
RispondiEliminahttps://www.reformedworship.org/article/september-1988/calvin-liturgist-how-calvinist-your-churchs-liturgy
comunque SiSiNoNo aveva spiegato in un lungo articolo quali erano le condizioni ideali per la comunione quotidiana, ovvero (riassumendo) l'approvazione del padre spirituale e la lotta contro i peccati veniali
L'articolo citato mi pare si riferisca alla celebrazione del Sacramento, piuttosto che alla sua ricezione.
RispondiEliminaNon nego che si possa trar beneficio dalla comunione quotidiana, anzi. Ma bisogna avere le disposizioni adatte: io personalmente non transigo sul digiuno dalla mezzanotte, sul canone preparatorio e la confessione nei giorni precedenti.
A beneficio di quanti non hanno molto tempo a disposizione, indico qui di seguito gli indirizzi web dove ho trovato il testo completo (imperdibile, a mio avviso) del decreto Sancta Tridentina Synodus:
RispondiEliminain latino: ASS 38 1905.6 (pagine 400 ... 406)
in italiano: floscarmeli.net/Sacra-Tridentina-Synodus
In più, rispetto a ciò che dice l'articolo, nel decreto si trova quanto segue (testuali parole) :
1) nessuno, purché sia in stato di grazia e si accosti alla santa Mensa CON RETTA E DEVOTA INTENZIONE, possa esserne impedito
2) la RETTA INTENZIONE consiste nell'accostarsi alla santa Mensa non per abitudine, o per vanità, o per motivi umani, ma per soddisfare alla volontà di Dio, unirsi a Lui più intimamente per mezzo della carità e, mercé questo divino farmaco, GUARIRE DALLE PROPRIE INFERMITA' E DIFETTI.
Leggere queste parole è stato per me un vero balsamo, in quanto arrovellandomi solo sull'aspetto legalistico - come ho fatto per anni - una voce interiore mi diceva che mancava qualcosa di essenziale : il riconoscimento, cioè, che non si è mai "a posto" davanti a Dio e che proprio per questo dobbiamo accettare di ricevere l'aiuto che Lui ci offre donandoci tutto Sè stesso.