1. In alcuni formulari della Messa troviamo una dicitura che richiede una breve spiegazione. Per esempio: Statio ad S. Petrum (Stazione a S. Pietro); Statio ad S. Caeciliam (Stazione a S. Cecilia). Queste parole indicano la relativa chiesa in cui, un tempo, nei giorni stabiliti, dopo la processione, il clero e i fedeli facevano sosta e celebravano il Sacrificio eucaristico. Le Stazioni, infatti, costituivano una forma di devozione per cui, nei giorni prestabiliti, il popolo si radunava per celebrazioni particolarmente solenni in chiese prescelte della città di Roma.
L’insieme della celebrazione comprendeva tre fasi: il radunarsi in una chiesa, la processione verso la chiesa della Stazione e la celebrazione della S. Messa. S’incominciava quando il clero e il popolo si erano radunati nella chiesa di partenza, dove il celebrante dava inizio alla celebrazione con il canto dei salmi ed una preghiera. Questa adunanza preparatoria si chiamava Collecta. Di lì ci si avviava, in processione, verso la chiesa della Stazione; il vessillo con la croce precedeva la processione, per via si cantavano salmi e, in vista della chiesa da raggiungere, le litanie dei santi, per cui le stesse processioni ebbero il nome di Litaniae. Di solito nella Chiesa Stazione il Papa pronunciava un’omelia e celebrava il Sacrificio della Messa.
Molto spesso alla devozione delle Stazioni si aggiungevano il digiuno e delle penitenze: ciò avveniva durante l’Avvento, la Quaresima e nei giorni Quatember e di Vigilia. Qui e là anche in particolari occasioni per implorare l’allontanamento di castighi divini e disgrazie; per es., la peste, la fame o la guerra. Altre volte per celebrare un evento gioioso, come quando la ricorrenza cadeva in una domenica o in un giorno di festa, oppure nelle annuali celebrazioni di santi famosi.
Assai spesso si celebrava la Stazione nelle sette principali chiese di Roma le quali, data la presenza delle sacre spoglie di numerosi martiri, erano talmente grandi da poter accogliere un gran numero di fedeli. All’origine le chiese delle Stazioni non erano fissate in anticipo ma, di volta in volta, si annunciava in singoli giorni dove si sarebbe tenuta la Stazione seguente. Gregorio Magno elevò la solennità delle Stazioni, le limitò a determinati giorni e le legò per sempre a certe chiese. Le fece includere nel Sacramentario, dal quale, in seguito passarono nel Messale. L’attuale ordinamento delle Stazioni è, in gran parte, quello da lui stabilito: in seguito, solo poche chiese ottennero la nomina di Stazione dai papi successivi. Dopo il trasferimento della loro residenza in Avignone (1305 ovvero 1309), i papi non parteciparono più alle Stazioni. Tuttavia, ancora ai nostri giorni, le celebrazioni nelle chiese-Stazione sono tenute con grande solennità; in quelle giornate, soprattutto nella Quaresima, i fedeli vi accorrono in gran numero per venerare le reliquie esposte e per lucrare le indulgenze aggiunte alla Stazione. La grande processione penitenziale del giorno di S. Marco (25 aprile), e le piccole processioni attraverso le campagne nei tre giorni che precedono l’Ascensione, sono, verosimilmente, analoghe alle antiche Solennità delle Stazioni. Come Tertulliano presuppone, il vocabolo Statio è passato dal gergo militare in quello ecclesiastico. Le adunanze celebrative, e gli esercizi dei cristiani, come sopra descritti, furono chiamati “Stazioni” perché avevano similitudini col servizio persistente dei combattenti. In quanto “guerrieri di Gesù Cristo”, i fedeli volevano far la guardia nella Casa di Dio, per difenderla contro le insidie e gli attacchi del nemico infernale. Perciò prolungavano quelle sante assemblee con digiuni, preghiere, letture e canto dei salmi fino alle tre del pomeriggio. Celebrando le Stazioni con un simile impegno, i fedeli si fortificavano e aumentavano le loro energie, al fine di non essere sconvolti nelle sofferenze e nelle battaglie della vita, per non divenire vacillanti, ma piuttosto “per poter resistere alle insidie del diavolo, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove”. In questa maniera essi volevano adempiere al grido di battaglia dell’Apostolo, che tutti esorta “a rivestirsi dell’armatura di Dio”, cioè “lo scudo della fede, l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito: cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi” (Ef. 6,11-18).
Introito della festa di S. Enrico martire
2. Mentre l’immutabile forma dell’Introito costituisce l’introduzione generale a tutta la Messa, l’Introito mutabile, invece, apre in particolare la principale parte mutabile della liturgia della Messa. “Quando viene intonato l’Introito, sembra che una voce solenne echeggi per chiamare a raccolta gli uditori, affinché prendano spiritualmente parte al Santo Sacrificio. L’impressione che genera questo canto cambia secondo i momenti e le feste: esso certamente suona sempre come un invito ad unirsi alla celebrazione ricordando la morte del Signore; ma anche l’entrata del Signore in Gerusalemme suscita nuovi sentimenti, e altri ancora il suo attraversamento del torrente Cedron, benché in ambedue gli episodi la meta fosse la stessa” (Marbach, 109). A questo punto non si tocca ancora direttamente il Sacrificio: l’Introito deve, in primo luogo, preparare i presenti alla celebrazione del Sacrificio vero e proprio, suscitando in essi santi pensieri, pie aspettative e buoni propositi, così da renderli degni della celebrazione dei Divini Misteri. In modo conforme a ciò, esso è composto da letture e insegnamenti, da cui la fede viene ravvivata e rinforzata; inoltre, dalla preghiera e dal canto, che risveglia e nutre la devozione: fede e raccoglimento sono necessari soprattutto per una santa celebrazione dei Sacri Misteri. Queste preghiere, canti e letture normalmente mutano, seguendo il progredire e il carattere dell’anno liturgico, perché devono manifestare convenientemente l’idea della liturgia del giorno, o della festa, che è il motivo principale della celebrazione del Santo Sacrificio.
a) In questa sua forma attuale, l’Introito è un canto tratto da un salmo abbreviato al massimo: è composto di un solo verso, unito al Gloria Patri, che (come solitamente i salmi interi) viene iniziato e concluso con un’antifona. L’antifona è presa soprattutto dal Salterio, qualche volta anche dai libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, o, in pochi casi, composta apposta dalla Chiesa stessa. Non sempre, ma di solito, all’antifona segue l’inizio, cioè il primo verso di un salmo. Nel tempo gaudioso Pasquale si aggiungono due, e qui e là, anche tre Alleluia. In quelle Messe dove il salmo Judica manca, si omette anche il Gloria Patri dopo il verso del salmo. Nel Gloria Patri, questa solenne lode della Santissima Trinità, risuona un tono di gioia. Perciò viene esclusa nelle Messe Tempora della Passione e della Settimana Santa, come anche nella Messa Requiem, per significare la dolorosa tristezza e afflizione della Chiesa. La Messa del Sabato Santo, e la Messa principale della Vigilia di Pentecoste, cioè quella preceduta dalle Profezie (con o senza consacrazione dell’acqua battesimale) non hanno l’Introito. In quei giorni, ai canti, alle preghiere e alle letture seguono le Litanie dei Santi; alla conclusione, mentre il coro intona solennemente il Kyrie, si procede dalla sagrestia verso l’altare per celebrare la Messa Solenne, perciò non è necessario cantare ancora l’Introito. In questo caso vale ancora oggi la consuetudine medioevale per cui il canto dell’Introito accompagnava l’entrata in chiesa del celebrante. Da molto tempo, invece, vige la regola che l’Introito sia intonato quando il sacerdote, coi suoi chierichetti, ha raggiunto l’altare e ha dato inizio alle preghiere sugli scalini (“Staffelgebet”). Il Graduale Vaticano (1908) ritorna di nuovo all’uso originale e prescrive d’iniziare con l’Introito mentre il celebrante si dirige verso l’altare.
Il termine “Introitus” ha un significato plurimo nella liturgia.
a) All’origine descriveva l’ingresso solenne del celebrante nella chiesa, poi il tragitto dalla sagrestia all’altare;
b) analogamente, il canto alternato del coro comprendente numerosi versi di salmi, uniti ad un’antifona, veniva cantato durante l’ingresso del celebrante,
c) oppure, talvolta, la sola antifona appartenente al canto corale,
d) e, in senso lato, l’antifona e il verso del salmo assieme al Kyrie, al Gloria e alla Colletta.
Il sacerdote, mentre recita le prime parole dell’Introito, si fa il segno della croce; così come fa sempre all’inizio, indipendentemente dai formulari della Messa, mutevoli secondo i giorni e le feste. Nelle Messe per i defunti egli non si fa il segno di croce ma lo fa sul Messale (super librum quasi aliquem benedicens - Rubr.) mentre implora dal Signore l’eterno riposo e la Luce Eterna per i defunti. Questo segno di croce non è certamente indirizzato al libro, ma alle povere anime, cioè vuole significare che la pienezza della benedizione del Sacrificio possa raggiungerle. L’Introito viene letto sulla parte sinistra dell’altare – cosiddetta dell’Epistola – con le mani giunte sul petto, per voler significare e manifestare il sentimento di preghiera del sacerdote.
b) È superfluo, quindi, spiegare ulteriormente il significato e lo scopo dell’Introito. Poiché esso avvia le feste particolari, o la celebrazione del giorno, appartiene alle parti mobili del rito della Messa, ed è perciò da considerare sotto gli stessi punti di vista del verso del Graduale, dell’Offertorio e della Comunione.
Questi quattro componenti appartengono a quei canti con cui il coro – a nome del popolo – accompagna in forma sublime il dramma divino del Sacrificio Eucaristico. Nella loro forma attuale, non sono che piccoli resti dei grandi canti che abbracciavano interi salmi, ovvero versi di salmi in numero indefinito, cantati mentre il celebrante si avviava all’altare (Introitus), o, dopo la lettura dell’Epistola (Graduale), o mentre i fedeli presentavano le loro offerte (Offertorium), o mentre essi ricevevano la santa comunione (Communio). Nel V secolo questi canti furono introdotti nella Chiesa romana. Ma non furono introdotti tutti nel medesimo tempo; il canto del Graduale è probabilmente il più antico, mentre invece il salmo dell’Introito il più recente. Gregorio Magno aveva già accorciato questi canti corali, come si può evincere dal suo antifonario; più tardi furono semplificati ancora di più, come si constata nei Messali odierni.
Ovviamente, i salmi, o le parti del salmo, non sono stati scelti arbitrariamente o a caso, ma piuttosto inseriti nei singoli formulari della Messa in base ad un preciso criterio. Il motivo principale che ha guidato questo inserimento è stato l’anno liturgico, con le sue feste e periodi da santificare; ossia, l’occasione e il motivo che danno luogo al Sacrificio. La celebrazione del Sacrificio della Messa è intimamente legata e interconnessa con il movimento dell’anno liturgico, ordinato in maniera misteriosa e meravigliosa. Sacrificio e preghiera, Messale e breviario, armonizzano l’uno con l’altro, si completano a vicenda e fanno assieme la piena celebrazione liturgica delle sante feste e dei tempi. Come la preghiera delle ore del sacerdote, così anche il formulario delle Messe ha come scopo quello di dare l’impronta caratteristica della festa, o di esprimere i pensieri base dei giorni festivi e della settimana, e di renderli ovunque comprensibili. Ne consegue che le parti mutevoli dei canti del formulario della Messa devono essere scelte in riferimento alle feste o alla celebrazione del giorno. Ciò è da tener presente come stella guida, per dare ai canti corali – presi dalle Scritture – un rapporto e un senso mistico-liturgico in maniera disinvolta, appropriata, edificante.
Qui bisogna menzionare anche una restrizione facilmente comprensibile. Il contenuto delle parti cantate si accorda alla stagione liturgica, quando questa ha un carattere particolarmente marcato. Ciò vale per l’Avvento, la Passione e il tempo pasquale; meno per la Quaresima. Per quest’ultima – a differenza dell’Avvento – è stata istituita una propria Messa per ogni giorno. Ora, poiché nel Salterio – particolarmente usato per l’Introito di questo tempo – non erano reperibili tutti i testi penitenziali adatti, nella scelta ci si è spesso adattati a canti d’implorazione di ogni tipo. Ne consegue che si incontrano parecchi canti delle Messe quaresimali di nuovo nelle domeniche dopo Pentecoste. Qui si osserva che, fino alla 17° domenica dopo Pentecoste, l’Introito è preso di volta in volta in sequenza ordinata dal salmo che segue il precedente. Per la celebrazione delle feste si può facilmente reperire nella Bibbia testi di canti perfettamente adatti.
Quanto finora detto è da applicarsi in particolare all’Introito. Il suo contenuto è tanto ricco e così vario quanto lo è l’intero anno liturgico della Chiesa: gioia, giubilo, tristezza, dolore, lamento, speranza, nostalgia, timore, glorificazione, ringraziamento, supplica e perdono. In breve: tutti i sentimenti religiosi da cui l’anima, nel corso dell’anno liturgico, dovrebbe essere presa, trovano nell’entrata (Introito) espressione corta e forte. L’Introito sembra essere “la chiave di tutta la Messa: unico nella sua essenza, si unisce a tutte le nostre necessità, sia che noi impetriamo il perdono o che vogliamo dire grazie, se vogliamo chiedere l’allontanamento del male o pregare per una benedizione. Talvolta questo verso d’introduzione ha un tono forte e gioioso - Gaudeamus omnes in Domino; poi profondo e lamentoso - Miserere mihi, Domine, quoniam tribulor; nel periodo Pasquale l’Alleluia risuona ovunque come il gioioso suono delle campane; nel tempo di Passione perfino il Gloria Patri è taciuto, e intervengono malinconia e tristezza; nelle feste dei santi sono menzionate le loro virtù e i loro trionfi; e se è una festa di Nostro Signore, allora si annuncia il mistero da contemplare” (Wieman).
È proprio attraverso l’Introito che spesso si ha – per così dire – la disposizione di spirito per avvicinarsi – il giorno in cui si celebrano – ai singoli avvenimenti della storia della salvezza o a un mistero della fede. L’Introito è il breve riassunto di quanto può nascere in pensieri e sentimenti; esso è ciò che dice: è l’ingresso appropriato e avvincente. Esso non offre luce e pensieri solamente all’intelletto: da esso fluiscono stimoli al sentimento e al cuore. Per questo motivo l’Introito non è in primo luogo materia di lettura, ma un pezzo da canto, è una lode; e per poterlo accogliere con la sua forza animatrice, non dovremmo leggerlo, ma cantarlo o ascoltarlo cantato, oppure, addirittura, pensarlo cantato. Ciò che commuove il cuore è da cantarsi, e viceversa: il canto muove ed esalta il cuore, tocca le corde dell’anima facendole vibrare e risuonare – l’anima si trasforma in un’arpa risonante (Reck).
L’Introito intona, come una “ouverture di colori sgargianti”, il tono del giorno liturgico e della celebrazione della Messa. La corda così toccata poi echeggia ripetutamente tra spazi più ristretti o più ampi, nel canto d’inizio, nell’Offertorio e nel verso della Comunione. Dal momento che anche le preghiere variabili e le letture istruttive armonizzano con questi pezzi cantati, risuona, attraverso tutto il formulario della Messa, un tono uniforme: l’idea della festa o il pensiero del giorno.
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