venerdì 8 giugno 2018

Sui rischi della devozione al Sacro Cuore

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Pompeo Batoni, Sacro Cuore
Questo breve articolo mira a ricordare come una delle devozioni cattoliche maggiormente diffuse nell'età moderna, ossia quella al Sacro Cuore di Gesù, sia in realtà potenzialmente assai pericolosa e nasconda notevoli rischi antispirituali. Non che sia una devozione in sé anticattolica, e anzi le si deve moltissima gratitudine essendo assurta a simbolo del legittimismo tradizionalista contro la società post-giacobina, soprattutto in Francia. Tuttavia, qualora questa devozione non venga adeguatamente conosciuta dal punto di vista teologico e rettamente interpretata, nasconde velenosissime insidie.

Il problema centrale è il sentimentalismo in cui può scadere questa devozione. Essenzialmente, la devozione al Sacro Cuore è un modo particolare di venerare la Passione Redentrice di Nostro Signore. Ora, noi sappiamo che già la semplice devozione alla Passione, a partire dal francescanesimo e dal Tardo Medioevo, ha subito nel mondo latino una pericolosa deviazione sentimentale; nella devozione al Sacro Cuore si aggiunge il rischio di venerare il Sacro Cuore come "oggetto", come parte del corpo di Cristo, come "cuore di carne": questa cardiolatria potrebbe veramente definirsi nestoriana, in quanto seiunge irrimediabilmente la natura umana (il cuore, se nella Scrittura esprime la volontà, nell'immaginario dal XVII secolo in poi rappresenta piuttosto la sede del sentimento, che è emblema di umanità finita) da quella divina di Nostro Signore.

Scrive infatti S. Atanasio: Noi non adoriamo una creatura, ma il Creatore d'ogni cosa, il Verbo Incarnato, e anche se la carne è, presa separatamente, parte delle cose create, quella assunta da Dio è stata resa Dio stesso. Noi non adoriamo il Corpo separato dal Verbo, così come allo stesso modo non separiamo il Verbo dal corpo quando lo veneriamo. Noi riconosciamo il Logos in carne e ossa quale Dio. (Ep. ad adelph., 3)

In questo scritto, ci limiteremo a fare qualche semplice considerazione sulla genesi della devozione al Sacro Cuore, lasciando al lettore di trarre le conclusioni che più riterrà opportune.

La devozione al Sacro Cuore compare nella fine del 1600 negli ambienti dei Gesuiti, i quali hanno sempre teso ad enfatizzare l'umanità di Cristo. Questa nuova devozione faceva parte del progetto gesuitico di rendere più semplice e accessibile la religione ai fedeli, per andare a costruire quello che essi stessi chiamavano il Cristianesimo minimale. I Gesuiti si erano già resi protagonisti dell'introduzione di altre tendenze antispirituali: per esempio, oltre alle questioni sulla ricezione dell'Eucaristia già citate in questo blog, insistevano sulla sufficienza del pentimento in punto di morte (la qual cosa è assolutamente vera dal punto di vista teologico, ma forse risulta inopportuno propugnarla come fonte migliore di salvezza, come soleva opportunisticamente fare qualcuno...), oppure alla casuistica, sistema morale lassista che riconduceva le singole azioni peccaminose a un complesso predeterminato e precodificato di casi, le classificava e le valutava in modo tale da ridurre la colpa e la conseguente pena del peccatore. Tale sistema, denunciato da Pascal nelle sue Lettere provinciali (le quali, benché all'Indice, furono accuratamente lette e impiegate in funzione antigesuitica da diversi Papi), fu ripetutamente condannato dal Sant'Uffizio e dai Pontefici (1665, 1679, etc.)

Il primo a parlare di questo culto fu il gesuita La Colombiere (+ 1682) il quale fu il confessore di S. Maria Margherita Alacoque (+ 1690). Come conferma lui stesso, il confessore diffuse solamente delle rivelazioni private che suor Alacoque riceveva nella sua cella nei momenti di solitudine. Le narrazioni di suor Maria furono poi raccolte e pubblicate dal vescovo Languet, un gesuita, nella città di Soissons. Nonostante il clero diocesano, leggendo il libro, fosse disgustato, ormai era stato dato alle stampe ed era impossibile fermare la diffusione che pareva inarrestabile. Papa Clemente XIV nel 1772 comunque condannò fermamente il libro e la devozione.

Maria Alacoque aveva raccontato di aver ricevuto la rivelazione sul Sacro Cuore nel modo seguente.
Mentre si preparava per la venerazione del Santissimo, Gesù le era apparso e le aveva confidato che voleva che la Chiesa fondasse una nuova festività, dopo il Venerdì dopo il Corpus Domini, "se davvero l'amava". Gesù le avrebbe chiesto di avvicinare Le Colombiere e convincerlo a diffondere la devozione, "per far godere il mio cuore" le avrebbe detto. Suor Maria avrebbe riferito la visione al confessore, aggiungendo anche: "Il Cristo ha grandi prospettive per il vostro Ordine (Gesuiti)". Maria spendeva intere notti in colloqui col suo Gesù mentre l'interesse per questo piccolo officio cresceva ovunque. Suor Maria donò il proprio cuore a Gesù con un documento scritto, firmato col sangue. Un giorno Cristo le disse, secondo i suoi racconti, che Maria era divenuta erede del Suo cuore nei secoli. Un giorno, Dio le avrebbe permesso di appoggiare la testa sul Suo petto, per poi appoggiare la Sua sul petto di lei. Un altro giorno ancora, suor Maria prese un coltello e incise sul proprio seno, a grandi lettere, il Nome di Gesù. Il clero era scandalizzato, ma il popolino era invece colpito da questo strano rapporto, che non si esita a definire sentimentale.
Il Vescovo Languet riferisce anche di "promesse matrimoniali" tra Gesù e suor Maria, culminate con un fidanzamento e un matrimonio "reali". Languet concesse la pubblica recita delle orazioni al Sacro Cuore i primi venerdì del mese.
I Gesuiti sfruttarono grandemente la devozione al Sacro Cuore per portare la loro teologia nelle masse, ma, nonostante, le pressioni della Compagnia del Gesù, la richiesta di creare una Festa del Sacro Cuore fu rigettata dalla Congregazione dei Riti nel 1697. Per trent'anni l'Ordine diffuse con immagini, medagliette, libretti questa nuova devozione pietistica. Nel 1729 il card. Prospero Lambertini, responsabile per la Congregazione dei Riti, uomo di grande cultura, rifiutò ancora una volta l'istituzione della festa commentando: " E perché allora non la Festa degli Occhi di Cristo? O del Cuore di Maria, magari?" l'ingenuo futuro papa Benedetto XIV non poteva sapere che si sarebbe davvero istituita una devozione anche per il cuore di Maria.
Papa Clemente XIII, amico dei Gesuiti, tentò invece di proporre questa devozione a Roma: pare invece che l'ambiente curiale fosse tutt'altro che favorevole. Nel 1765 Clemente permette una Festa al Cuore di Cristo, a livello locale, ma non inteso "fisicamente", ma come "espressione dell'Amore per l'umanità che mosse Dio a prendere carne". Tant'è vero che vietò assolutamente la raffigurazione di immagini sacre con il solo Cuore di Cristo, esortando piuttosto a compiere queste devozioni davanti a immagini della Passione. Tali indicazioni furono naturalmente da subito disattese, e soprattutto grazie alla gran copia di stampe e santini raffiguranti Cristo che offre il proprio cuore, in modo veramente molto carnale, la gente iniziò a interpretare in modo sentimentale e rischioso questa devozione.

La devozione, che Clemente XIV cercò ovviamente ma invano di fermare, ottenne un qualche rilievo all'interno mondo cattolico negli anni successivi, quando iniziò ad essere usata dai gruppi politici fedeli alla Tradizione Cattolica e monarchica in contrasto con il giacobinismo (Pio VI e Pio VII l'incoraggiarono privatamente), e quando essa assunse il suo massimo significato in questo contesto anzitutto politico, Pio IX poté elevarla ai massimi onori all'interno del culto cattolico, esaltando anche agli onori della santità Maria Margherita Alacocque.

Infine, una nota liturgica. Uno degli strumenti che più di tutti contribuirono alla trasformazione della devozione al Sacro Cuore in un culto sentimentale e carnale, fu la riforma dei testi dell'Ufficio Divino della festa, occorsa per volontà di Pio XI. Gl'inni, le letture, le omelie patristiche, le antifone... tutto fu cambiato: tutti i testi che si riferivano alla Passione di Cristo furono sostituiti da altri creati appositamente, inediti, ambigui. Un esempio tra tutti, il primo che s'incontra leggendo il Breviario, ossia l'antifona dell'Invitatorio del Mattutino
Forma "tradizionale": Christum pro nobis passum, venite adoremus (Venite, adoriamo Cristo, che patì per noi).
Forma di Pio XI: Cor Jesu amóre nostri vulnerátum veníte, adorémus (Venite, adoriamo il Cuore di Gesù, ferito per amore nostro).
Una forma esprime la devozione a Cristo Uomo-Dio nella sua interezza, e della sua Passione nella totalità; l'altra può essere pericolosamente interpretata come l'adorazione di un membro singolo del Corpo di Cristo, per di più accompagnata dal termine amor (che quasi mai s'incontra nei testi scritturali e liturgici, ove si preferisce il termine caritas per indicare l'amore di Dio) che apre a rischiose prospettive sentimentaliste...

4 commenti:

  1. I ricordi legati alla mia ormai lontana giovinezza anagrafica confermano puntualmente la diffusione delle deviazioni sentimentalistiche della devozione al Sacro Cuore.
    Quelli legati invece alla mia nuova vita in Cristo, iniziata solo pochi decenni or sono, mi portano a valutare questa stessa devozione con i criteri esposti nella Enciclica Haurietis Aquas e, ancor più, nelle meditazioni di don Divo Barsotti raccolte nel 1962 sotto il titolo "Il Sacro Cuore e la riparazione" e ristampate nel 2002 per le edizioni Parva con il titolo "La mistica della riparazione".
    Per completezza, segnalo che l'Enciclica Haurietis Aquas può essere agevolmente trovata in rete, ad uno dei due seguenti indirizzi:
    1) w2.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_15051956_haurietis-aquas
    2)www.invicchio.it/dimorarivotorto/files/Haurietis-Aquas.pdf

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  2. Salve, grazie N.G. per l'articolo e grazie A.B. per aver suggerito questa magnifica enciclica del Venerabile Pio XII che chiarisce e spiega tutto riguardo a questa devozione.

    Per Pio XII: "...la Chiesa ha sempre tenuto in alta considerazione il culto al Cuore Sacratissimo di Gesù, così da favorirne in ogni modo il sorgere e il propagarsi in mezzo al popolo cristiano, non mancando altresì di difenderlo apertamente contro le accuse di Naturalismo e di Sentimentalismo..".

    Se ci sono derive sentimentaliste o naturaliste sono uno sbaglio del fedele, non della devozione in sé, né dei santi o papi che l'hanno promossa (che poi il Signore non mancherà di illuminare e guidare chi in buona fede sbaglia nell'elevare a Lui la preghiera). Se poi nella storia questa devozione si è affermata nonostante molte contrarietà può essere un indizio della Divina Volontà e Provvidenza.
    Quanto bene ha portato la devozione al SS. Cuore di Gesù, quanti peccatori resi pentiti, quanti giusti resi fervorosi, quanti santi infiammati con la Sua Carità… lo sapremo solo in Cielo.

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  3. Una piccola postilla al mio commento di ieri.
    Quanto accaduto durante il pontificato di Pio XI dimostra che anche nel campo della cura delle anime (come in quello della cura dei corpi)la specializzazione è talvolta fonte di pasticci. Nel caso specifico, infatti, i liturgisti incaricati di preparare i testi degli otto Uffici Divini occorrenti per i giorni della ottava di nuova istituzione, VOLUTA DAL PONTEFICE, hanno assolto il mandato lasciandosi guidare dalle loro inclinazioni sentimentalistiche, mentre avrebbero dovuto fare scelte coerenti con le precisazioni teologiche esposte da Pio XI nella sua Enciclica Miserentissimus Redemptor (AAS 20 - 1928, pp 177 ss).
    Purtroppo, come ben sappiamo, l'umiltà non abbonda certo tra gli specialisti di qualsiasi risma (e nemmeno, dunque, tra i liturgisti "duri e puri").

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  4. Cito dal testo: "noi sappiamo che già la semplice devozione alla Passione, a partire dal francescanesimo e dal Tardo Medioevo, ha subito nel mondo latino una pericolosa deviazione sentimentale." Quali deviazioni? Perché pericolose? La mia devozione al Sacro Cuore, per fare un esempio, è nata completamente in maniera personale, ma non ho mai inteso amare il Cuore più delle stigmate, o del Santissimo Sacramento!

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