[Nota di Traditio Marciana: nella festa di S. Tommaso d'Aquino, pubblichiamo questo interessantissimo contributo del prof. Marcus Plested, tradotto e fattoci avere per cortesia di Roberto de Albentiis]
di Marcus Plested, traduzione dall’inglese da QUI
Traduzione di Roberto De Albentiis, 28 febbraio 2019
Traduzione di Roberto De Albentiis, 28 febbraio 2019
Conferenza tenuta presso l’Università di San Tommaso
del Minnesota il 2 ottobre 2014
Vi porterò ora indietro nel tempo al 12 dicembre
1452, a Costantinopoli, e nella grande Chiesa della Divina Sapienza, Haghia
Sophia, nella Città di Costantinopoli. Erano giorni oscuri per l’Impero
Bizantino. Poco rimaneva dell’Impero Bizantino a parte la Città di
Costantinopoli stessa, tenuta in un abbraccio mortale dai Turchi. Sembrava
inevitabile che la città sarebbe caduta, prima o poi, nonostante le sue grandi
Mura. Per una ragione, i Bizantini mancavano di uomini da schierare sulle Mura,
e, nella disperazione, l’Imperatore, l’ultimo Imperatore di Roma – (i Bizantini
mai si chiamarono Bizantini, lo sapete; loro erano sempre Romani che vivevano
nella “Nuova Roma”, che era Costantinopoli) – i Bizantini erano in disperata
ricerca di aiuto, disperanti di aiuto anche dal malvagio Occidente con tutti i
suoi errori teologici, e in una sorta di ultimo disperato tentativo, il 12
dicembre 1452 proclamarono formalmente l’unione che era stata stabilita, in un
ultimo e formale livello, tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica al
Concilio di Ferrara-Firenze (1438-1439). Questa era stata ratificata
ufficialmente. A quel tempo era stata solamente proclamata a Costantinopoli
fino alla fine del 1452.
Il 12 dicembre, ci fu una grande concelebrazione
nella grande Chiesa della Divina Sapienza. C’erano grandi parti della
popolazione che guardarono a ciò come una codarda capitolazione a Roma basata
sulla esile speranza di avere qualche aiuto militare per contrastare i Turchi,
per contrastare almeno l’inevitabile conquista della Città. Bisogna ricordare
che a Bisanzio c’erano ancora vasti motivi di sfiducia nei confronti dei
Latini. L’occupazione Latina di Costantinopoli tra il 1204 e il 1261 era ancora
una vivida e vivente memoria, così come lo era la forzata politica unionista
dell’Imperatore Michele VIII, l’Imperatore che aveva riconquistato Costantinopoli
dai Latini. I Latini avevano stretto alla gola il commercio di un di molto
sotto-ridimensionato Impero, e non erano visti, dalla maggioranza, come
particolarmente desiderabili persone. Così, la vista di un prete Latino che
preparava e consacrava l’Eucaristia senza pane lievitato, utilizzando un’ostia,
era orripilante per la maggioranza della popolazione. E l’utilizzare l’acqua
fredda nel calice, questo era terribile[1].
Scioccata dalla vista dell’ostia sull’altare della
grande Chiesa della Divina Sapienza, Haghia Sophia, una gran parte della
popolazione giunse dal capo riconosciuto della fazione anti-unionista, la
fazione che era insorta contro ogni compromesso col malvagio Occidente, e
contro ogni sorta di concelebrazione, anche se questa avesse portato qualche aiuto
militare per la Città sotto attacco. Bussarono alla porta di un monaco,
Gennadio Scolario, il quale, piuttosto timoroso della folla, si rinchiuse
barricandosi nella sua cella. Si limitò solamente a porre un avviso sulla
porta, e questo avviso sulla porta recitava, “Oh infelici Romani (cioè,
Bizantini). Oh infelici Romani. Perché avete abbandonato la verità (lo sapete,
questa formale concelebrazione, questa formale dichiarazione di unione tra le
Chiese Cattolica Romana e Ortodossa)? Perché avete abbandonato la verità?
Perché non riponete fiducia in Dio anziché negli Italiani (gli odiati italiani:
i Genovesi, Veneziani, etc.)?[2] Perdendo
la vostra fede (attraverso l’accettazione dell’unione con Roma), perdendo la
vostra fede, voi perderete la vostra Città.” Alla fine, questa infelice
predizione si rivelò presciente, e la Città alla fine cadde il 29 maggio 1453,
un martedì. Il Martedì da allora è sempre stato considerato un giorno veramente
cattivo e sfortunato per fare qualsiasi cosa nella moderna Grecia, anche oggi,
così sono felice di essere qui di lunedì anziché di martedì.
Ci furono alcuni aiuti imminenti dall’Occidente ma
erano insufficienti per respingere le forza del Sultano Mehmed II. E la Città,
come ho detto, cadde. La capitolazione a Roma non portò niente come Gennadio
aveva profetizzato, e grande caos ne seguì. La Città venne saccheggiata e
depredata per tre giorni. Gennadio stesso venne catturato e imprigionato. Dovette
soffrire periodi tremendamente difficili, vagando per ogni dove, in un reale
stato di servitù. La sua profezia si dimostrò essere reale. Nessun aiuto era
arrivato, nessun aiuto che poteva sconfiggere i Turchi. Ma nella sua partenza
dalla Città e nella sua seguente servitù presso i Turchi – in questo periodo di
caos, desolazione, sì, era alla guida della fazione anti-unionista ma l’Impero
era tutto caduto attorno a lui – nel suo bagaglio, com’era, portava con lui le
poche cose che aveva potuto salvare e portare con lui, e tra queste una
versione ridotta delle opere di Tommaso d’Aquino. Tu sei il capo della fazione
anti-unionista di Bisanzio e la cosa più preziosa che hai nel tuo bagaglio è la
versione ridotta di alcune delle opere di Tommaso d’Aquino!
Per via di tutte le sue credenziali anti-unioniste e
la sua insistenza sul fatto che non potesse esserci riappacificazione tra le
Chiese Cattolica Romana e Ortodossa, nessuna riappacificazione che potesse
comportare ogni sorta di compromesso in nessuna maniera, niente tuttavia gli
impedì di essere il più grande ammiratore di Tommaso d’Aquino. Dico il più
grande ammiratore dalle sue stesse parole. Gennadio Scolario disse di sé stesso
di essere il più grande e il capo dei discepoli di Tommaso d’Aquino. “Io non penso”
diceva “che alcuno dei suoi seguaci abbia onorato Tommaso d’Aquino più di
quanto abbia fatto io. Né chiunque desideri diventare suo discepolo ha bisogno
di altra musa”. Non riteneva, ovviamente, Tommaso infallibile. Da capo della
fazione anti-unionista in Bisanzio, poteva ben poco accondiscendere alla
posizione di Tommaso sul papato, sul filioque
(processione dal Padre e dal Figlio), e tutte le distinzioni tra le essenze
divine e le energie divine (Dio come Egli E’ e Dio come Egli agisce) associate
alle teologia di San Gregorio Palamas, che da questo tempo è la posizione
teologica ufficiale della Chiesa Ortodossa. A suo riguardo della posizione di
Tommaso su queste questioni, essenzialmente le ritiene un’aberrazione, un
accidente dipeso dalla sua nascita in Occidente. Nelle note a margine di una di
queste versioni ridotte di Tommaso che portava con sé, anche nelle circostanze
più difficili, Gennadio scrisse, “Se solo il più che eccellente Tommaso” (e
questa è una versione ridotta di Prima
secundae) “Se solo il più che eccellente Tommaso non fosse nato in
Occidente, allora non sarebbe stato obbligato a giustificare gli errori di
quella Chiesa, concernenti ad esempio la processione dello Spirito e la
distinzione tra l’essenza divina e l’energia o l’operazione divina. Allora
sarebbe potuto essere infallibile nelle materie teologiche così come lo è in questo
trattato sull’etica.” (come ho detto, sta parlando a proposito della Prima secundae qui).
Ma per capire come Tommaso abbia potuto essere sia
così ammirato e sia anche così opposto nell’ambito delle difficili questioni
che separarono Oriente e Occidente, dobbiamo andare indietro di altri 100 anni,
o più precisamente di 99 anni, al 1354. Dal 1453, la caduta dell’Impero, al
1354.
Il 1354 fu un anno veramente terribile per ciò che
rimaneva dell’Impero Bizantino. Vi ho condotto in quel periodo perché ci fu un
grande terremoto in quell’anno, il marzo di quell’anno, 2 marzo, che distrusse
la città di Gallipoli, e gli abitanti di Gallipoli fuggirono. Vi potete
immaginare Gallipoli, credo, nei Dardanelli, come un vero nodo strategico tra
Asia ed Europa. Per certi versi se voi controllavate Gallipoli, potevate
controllare i Dardanelli, e quindi il commercio tra il Mar Nero e il
Mediterraneo – un posto veramente strategico. Così Gallipoli venne distrutta da
un terremoto e gli abitanti dell’Impero dovettero fuggire. Avevano appena raccolto
le loro cose e quasi immediatamente un gruppo di Turchi attraversò l’Ellesponto
e si sistemò a Gallipoli, sistemando quindi il primo insediamento Turco
permanente su suolo Europeo, stabilendo facilmente il fato dell’imbattuto Impero,
poiché sarà proprio da Gallipoli che i traffici Turchi stabiliranno una morsa
alla gola della Città di Costantinopoli. Fu veramente un anno cattivo in
termini geopolitici. Il fatto che i Turchi fossero stati abili nel trarre
vantaggio da questo evento è enormemente dovuto alle politiche di Bisanzio
stessa. Si verificarono una serie di rovinose guerre civili nelle quali
entrambe le fazioni utilizzavano mercenari Turchi. Così i Turchi divennero
abili nell’esplorare alcune di quelle terre che presto reclamarono come loro
territorio.
Ma qualcos’altro ancora accadde nel 1354.
L’Imperatore che perse Gallipoli, e in parte a causa della perdita di
Gallipoli, è Giovanni VI. Giovanni VI fu l'Imperatore che supportò San Gregorio
Palamas e la distinzione tra la Divina essenza e la Divina operazione o Divine
energie. Fu inoltre Giovanni VI a presiedere il Concilio del 1351 che
formalmente adottò la teologia Palamita quale dottrina ufficiale della Chiesa
Ortodossa. In una strana sorta di scherzo del destino Giovanni VI non fu
succeduto come voi potete aspettarvi da Giovanni VII ma da Giovanni V, poiché
sopravvisse a suo nipote per un periodo. Questo è uno dei pochi casi della
storia in cui la successione non avviene secondo il piano. Così Giovanni V
venne dopo Giovanni VI. E’ come se quando state facendo il conteggio di data
all’indietro tra Avanti Cristo e Dopo Cristo, torniate indietro a questo punto.
Giovanni VI decadde dal potere, parzialmente a causa
della perdita di Gallipoli. Divenne un monaco e questa fu la sua strada per
portare avanti le sue opere teologiche – aveva grandi interessi teologici –
senza che minacciasse la successione di suo nipote quale Giovanni V.
Il Primo Ministro di Giovanni VI, il suo ministro
capo, fu una straordinaria persona di nome Demetrio Cidone. Demetrio Cidone era
un nativo di Tessalonica. L’intento principale di Cidone fu la
riappacificazione con i Latini con l’intento di ottenere aiuto dai Latini per
rafforzare l’Impero contro la più ovvia minaccia del nascente potere Ottomano.
Poiché era estremamente impegnato nella diplomazia con i potentati Latini,
Demetrio Cidone si cimentò egli stesso nell’imparare il Latino. Dalla sua
stessa testimonianza ricaviamo come fosse scontento dei traduttori sui quali
faceva affidamento, così decise di imparare lui stesso il Latino. Trovò un
maestro; trovò un maestro Domenicano. I Domenicani avevano una base a
Costantinopoli. Beh, specificatamente, era situata a Galata, Para, giusto
sull’altro lato del Corno d’Oro, distante dalla Costantinopoli vera e propria.
Quell’assai arguto maestro insegnò in un’assai arguta maniera a Demetrio,
l’effettivo Primo Ministro dell’Impero Bizantino, il Latino sulle basi
dell’Aquinate. Gli mandò l’Aquinate da tradurre. Demetrio Cidone fu fulminato.
Fu conquistato da questa cosa. Quello era materiale veramente bello. “Dopo aver
assaggiato il loto”, disse, “non potrò fermarmi fino a quando non avrò fatto
conoscere queste opere ai miei compagni.”
Così Demetrio si assunse il compito di tradurre
l’Aquinate in Greco. E fu in realtà abile nel dare il tocco finale alla sua
traduzione quando seguì il suo maestro imperiale, Giovanni VI, nel ritiro
monastico per un certo tempo, nel monastero di San Giorgio del Mengana. Nei
fatti, il suo manoscritto ci fornisce il 24 dicembre del 1354 quale precisa
data in cui finì la sua tradizione della Summa
contra gentiles. Così in una certa maniera, la caduta dal potere gli diede
un certo tempo per finire il suo lavoro di traduzione. Se ci pensate sono entrato
abbastanza nel dettaglio nel fornirvi la data, difatti, erano le 3 del primo
pomeriggio. Sorprendentemente scrisse ciò in Latino, usando il sistema di
datazione dell’Anno Domini, che era inusuale nella Bisanzio di quel periodo.[3]
Così questo è il 1354. Abbiamo una completa
traduzione di una delle maggiori opere dell’Aquinate, la Summa contra gentiles, tradotta in Greco come “Kata Elenon”[4], come
avrebbe potuto essere letteralmente tradotta, ma sarebbe stata una mala
interpretazione quale “Contro i Greci” perché Kata Elenon significa “Contro i pagani”, nel modo di riferirsi ai
gentili quali pagani. I Bizantini per la maggior parte, per di più, non si
riferivano a loro stessi nei termini di Bizantini, così come per la maggior
parte non si ritenevano Ellenici o Greci. Così tradotto come Kata Elenon, non sarebbe stato preso
necessariamente come una frecciata contro i Greci.
Scrivendo ad uno dei suoi discepoli, Demetrio espose
le sue ragioni per ammirare l’Aquinate. “Per il tesoro delle divine idee in
quest’uomo, che è veramente grande”, disse, “e tu non troveresti nessuna
domanda difficile nei dogmi della fede che egli, nei suoi trattati, non
investiga da sé stesso o dimostra in altre sue domande e risposte.” E questo,
nel suo metodo teologico, sembra essere così affascinante dell’Aquinate per
Demetrio. In maniera più articolata, Demetrio Cidone trova strabiliante che
Tommaso dia gli argomenti opposti alla domanda così come se essi venissero
esposti da un oppositore. “E dopo aver risolto questi argomenti in una via non
ordinaria”, dice, “così che non abbiano più effettività residua, e infine fissa
velocemente gli oggetti della ricerca con prove da tutti i lati, usando
l’evidenza dalla Scrittura che ha la preminenza in tutte le sue opere e pure usando
l’evidenza dal ragionare e dalla filosofia, nella considerazione che tutto ciò
possa rafforzare le evidenze della fede.”
Io penso che Cidone certamente apprezza il valore
dell’Aquinate nel contesto della resistenza alle forze dell’Ilsma, e questo è forse
il motivo per cui sceglie la Summa contra
gentiles quale primo lavoro da tradurre. Si dedicò a tradurre molto della Summa theologica (assistito in alcuni
frangenti da suoi fratello, Procoro Cidone, del quale sentiremo ancora
parlare), così come altre opere dell’Aquinate e di altri autori Latini.
Cidone non mostra molto interesse specifico nel
lavoro filosofico dell’Aquinate. Ancora, non ha nessun dubbio in generale sulla
superiorità della teologia sulla filosofia. Cidone ritiene che fosse evidente
come se l’Aquinate avesse dovuto dibattere con Aristotele e Platone, egli li
avrebbe probabilmente persuasi a lasciare l’Accademia e unirsi alla Chiesa.
Le sue traduzioni sono molto affascinanti di per sé.
Sono fatte con grande riguardo all’impegno e alla scienza. Mostrano inoltre uno
sviluppo e un miglioramento dell’originale, perché Cidone disponeva di
Aristotele nell’originario Greco, cosa che l’Aquinate per la maggior parte non
aveva. Così in un certo senso il suo è un arricchimento della traduzione nella
misura in cui il riferimento ad Aristotele è più accurato. Si noti che a
Bisanzio, non ci fu mai alcun tipo di perdita della cultura classica o perdita
di Aristotele o Platone. Non ci fu alcuna necessità di provare a recuperarli
così come li abbiamo – al contrario, vi era una ininterrotta tradizione di
scuola Aristotelica, della quale Demetrio Cidone era una parte.
Nei termini della teologia, Cidone trova poco da
criticare in Tommaso, anche sulle materie del filioque, delle pretese papali, e di altre. Difatti, Cidone stesso
fu successivamente ricevuto nella Chiesa Cattolica Romana. Ovviamente, Cidone
fu deluso nelle sue speranze che la ricucitura con l’Occidente avrebbe aiutato
a salvare l’Impero e ricevette numerose opposizione a proposito della sua
politica pro-Latina. Demetrio piuttosto profondamente deluso chiese
retoricamente, “Quali alleati più vicini hanno i Romani, se non i Romani?” –
Quali alleati più vicini hanno i Romani (Bizantini), se non i Romani (Cattolici
Romani); ma erano molto pochi, in Bisanzio, quelli preparati ad ascoltare quel
pianto deluso.
Nel mondo come diplomatico Demetrio Cidone ebbe un
ben scarso successo, e, in effetti, la sua stessa conversione, io penso, fu qualcosa
di difficile, e fu in qualche modo perturbata dallo scisma che si ebbe in
Occidente nell’ultima parte del 14esimo secolo, ma le traduzioni che fece
diedero origine ad un grande, grande potere nel mondo Bizantino. Io penso che
ognuno possa dire che le cose non furono mai più le stesse di nuovo.
Ora è il 1354. Siamo ancora nel 1354. Saremo
leggermente più vicini al giorno presente, ma il 1354, con la perdita di
Gallipoli e con la traduzione dell’Aquinate, è un anno veramente importante,
Difatti, il 1354 è stato considerato come un vero Anno Zero da un filosofo e
teologo Greco contemporaneo, Christos Yannaras, quale periodo in cui ogni cosa
andò storta per il mondo Greco e Ortodosso. “Il grande ciclo storico”, ha
scritto Yannaras, “che era iniziato in atto nel 1354 con Demetrio Cidone quale
segno distintivo simbolico sembrava giungere a conclusione nella via di un
assorbimento della Grecia da parte dell’Europa – il trionfo finale dei
pro-Unionisti.” Così nel 1354 ogni cosa iniziò ad andare male.
È precisamente l’ingresso di questa visione del
mondo scolastica Occidentale nel mondo Greco che Yannaras vede come
problematica. Per Yannaras, l’intera tradizione scolastica è vista come
straniera nel mondo Ortodosso. L’intera tradizione scolastica riguarda l’uomo
alle prese con il suo intelletto individualistico dedito a dominare la realtà
del mondo fisico. Questo atteggiamento forma realmente la fondazione
dell’intero fenomeno della moderna tecnologia, e la moderna tecnologia non è
una cosa buona in questo aspetto. Vi è una sorta di separazione tra Dio e il
mondo e una sorta di desiderio dal lato umano di padroneggiare la Creazione che
ha portato a tutte le negatività che abbiamo oggigiorno. E non è la sola
persona a portare avanti una simile linea di narrativa. Si possono rilevare
elementi simili a ciò in Zissimos Lorentzatos, Philip Sherrard, e altri
pensatori della scena intellettuale Greca.
Ma sono sempre stato sollecitato dal fatto che un
altro pensatore Greco della moderna Grecia, Stelios Ramphos, sia giunto a
conclusioni esattamente opposte a proposito di quanto andò storto negli anni
1350. Per lui, non è il 1354 il punto in cui tutto andò storto per la Grecia.
In verità è il 1351. È nel 1351 che abbiamo il definitivo Concilio che
canonizza la teologia di San Gregorio Palamas, marcando la differenza tra la
Divina essenza e la Divina energia. Per Ramphos, questa adozione della teologia
esicastica, della teologia monastica, di distinzione tra la Divina essenza e la
Divina energia, è un disastro. Rappresenta un trionfo della negazione del
mondo, una forma di negazione del corpo Cristiana, e una forma anti-razionale
di Cristianità, una forma di Aristotelismo Cristiano piuttosto che una
neo-Platonica forma di Cristianità, essenzialmente facendo a pezzi il regno
della teologia rispetto al regno della ragione. Così nell’Atto del 1351,
l’Ortodossia ha rigettato la maggior parte delle tradizioni dell’affermazione
del mondo, del corpo, della ragione proprie della Cristianità Occidentale così
come riassunta tutta dall’Aquinate. Ramphos arriva a vedere tutti i problemi
dei sacerdoti nel 1453 come risalenti a questo Concilio del 1351, così come
alla caduta della Città per mano dei Turchi, contribuì una certa fatalistica
accettazione del governo del Sultano al posto di ogni tipo di accordo con
l’Occidente, i colpi dell’estremismo e della negazione della realtà quotidiana.
Ha inoltre scritto nella maggioranza dei giornali Greci, ad esempio, in
risposta alle ribellioni esplose dopo il fall-out della crisi finanziaria dal
2008 in avanti, attribuendo questo tipo di disturbo sociale a questa frattura
nell’anima Greca – la negazione del mondo, la negazione del corpo, la negazione
della ragione -, che attribuisce al 1351.
Come ho detto, mi stimola realmente il fatto che
abbiamo due dei maggiori pensatori Greci qui, ognuno che assume una data negli
anni 1350 quale inizio di tutto ciò che ha cominciato ad andare ai cani. Io
invito spesso le persone ad accogliere un’altra data negli anni 1350 quale
inizio di tutto ciò che è andato storto. La risposta su di una cartolina, per
favore. Voi vedete in Yannaras che il problema della Grecia è che è troppo
Occidentale. Per Ramphos, il problema della Grecia è che è troppo Orientale. Ma
in entrambi i casi, la scolastica medievale Occidentale quale semplificata
dall’Aquinate assurge a simbolo di ciò che la Grecia o abbisogna in maniera
disperata o deve assolutamente, categoricamente rigettare. Questa tendenza ad
abbracciare la scolastica medievale Occidentale in generale e l’Aquinate in
particolare agisce quasi fosse un archetipico fondale di differenze tra
l’Oriente Greco e l’Occidente Latino, e questo è stato eluso dall’introduzione
del Professor Gavrilyuk.
Abbracciare l’Aquinate e la scolastica quale
l’archetipo di questo scolasticismo Occidentale del quale la Grecia ha bisogno
o deve rinunciare in toto, questo mi ricorda la teologia della diaspora Russa
dopo la Rivoluzione Russa del 1917. E giusto per essere chiaro, basicamente,
nella teologia della diaspora Russa, l’Aquinate è veramente mal considerato,
simboleggiante tutto ciò che è sbagliato nell’Occidente. Per esempio, Sergius
Bulgakov è certamente il più grande e più creativo teologo Ortodosso del
20esimo secolo – avendo detto questo, dovete comprendere come essere creativo
non è necessariamente una buona cosa nei circoli Ortodossi – ma è anche
certamente uno dei più speculativi, riflessivi, creativi pensatori Ortodossi
del 20esimo secolo. Sergius Bulgakov è associato con la sofiologia[5],
la visione di Dio nel mondo e del mondo in Dio, centrata su di una primordiale dualità
tra Dio e materia, sulla co-inerenza di Dio e sulla creazione, e ancora e
ancora, una vera visione inebriante. Egli trovava la teologia Occidentale, come
riassunta per lui nella dottrina della transustanziazione elaborata
dall’Aquinate, come una sentina di tutto quanto non andasse nell’Occidente, in
particolare il trionfo della ragione sulla teologia, della ragione sulla
rivelazione. La Transustanziazione, diceva, è “razionalista, priva di
fondamento”. Contiene in sé stessa “il razionalismo che iniziò già a sorgere nella
sua mente e che avrebbe condotto al Rinascimento umanistico.” Ancora, il
Rinascimento non è normalmente visto come una cosa buona nei circoli Ortodossi[6]. La sola strada percorribile per uscire da
questo razionalismo materialista è il ritorno ai Padri, i Padri della Chiesa.
“Facendo affidamento sulla dottrina patristica”, Bulgakov scrive, “possiamo
uscire dal labirinto scolastico e uscire all’aria aperta.” Lo scolasticismo
tende ad essere una sorta di brutta parola nei circoli Ortodossi. È
inevitabilmente una brutta cosa. Una delle molte cose che provai a fare in
questo libro fu di dimostrare il radicamento dello scolasticismo nell’Oriente
Bizantino e di dimostrare che è esattamente conforme alla teologia Ortodossa.
Ma vi è una anti-scolastica, anti-Tomistica narrativa in Bulgakov.
Esiste pure un’anti-scolastica, anti-Tomistica
narrativa in Vladimir Lossky, un’altra davvero grande figura nel 20esimo
secolo, conosciuto specialmente per essere la nemesi di Bulgakov. È stato
autore di molte delle opere che sono state usante nei giudizi fatti contro
Bulgakov, opponendo la sua sofiologia vista come una forma di Gnosticismo. Ma per
Lossky, nonostante fosse grandemente avverso a Bulgakov in proposito della
questione della Sophia, questione
della Sapienza, ne condivideva lo stesso animo anti-Occidentale. Per Lossky,
non è tanto la transustanziazione quanto il filioque
– le temute parole “e dal Figlio” aggiunte al Credo. È il filioque che rappresenta ogni cosa sbagliata dell’Occidente; il suo
razionalismo in particolare e ancora è l’Aquinate che ricopre il ruolo di
antagonista principale dell’opera. Il filioque,
per Lossky, è una “razionalizzazione del mistero della Trinità e una sua
razionalizzazione che ha condotto inesorabilmente al secolarismo.”
Per Lossky, la teologia Ortodossa è tutta incentrata
sull’esperienza mistica. Dall’altro lato, e assai differentemente, lo
scolasticismo Occidentale è tutto incentrato sulla ragione. È incentrato
sull’elevazione della ragione sopra ogni altra cosa. Non esiste una vera e
propria teologia apofatica nell’Occidente – nessun reale senso di
partecipazione o teosi, divinizzazione[7] ;
nessun reale senso del mistero nel cuore della teologia nella teologia
Occidentale. L’Aquinate è il principale esponente e rappresentante di tutto ciò
che è mancante nell’Occidente. Ancora, Lossky dubita che tra l’approccio
positivo razionalizzante dell’Occidente e l’approccio negativo apofatico
mistico dell’Oriente, ci possa essere un terreno d’incontro. Voi troverete
simili sentimenti in John Meyendoff, che dubitava addirittura della possibilità
di applicare lo stesso termine “teologia” ai rispettivi campi dell’Oriente e
dell’Occidente.
Come per Lossky, e anche per Bulgakov, è solo con un
creativo ritorno ai Padri che si potrà porre fine a questa spiacevole saga
Occidentale di declino e caduta. Questa posizione è divenuta pressoché comune
nella moderna teologia Ortodossa, anche fino ai più recenti ultimi anni, e
l’Aquinate è invariabilmente al centro di quelle presentazioni di tutto ciò che
è sbagliato nell’Occidente – l’archetipo Occidentale e il primo campione del
metodo scolastico. Il rovescio della medaglia, divenuto comune nella teologia
Ortodossa – di elevare San Gregorio Palamas, con le sue distinzioni tra
essenza/energie, con la sua teologia della deificazione basata sull’esperienza
– di elevare Palamas ad oppositore tipico dell’Aquinate, come la nostra
risposta a Tommaso, come un archetipico Orientale da contrapporre ad un
archetipico Occidentale. Quindi, non c’è dubbio, in altre parole, sulla
prevalente narrativa nel pensiero Ortodosso di porre in opposizione al
razionalistico Occidente rappresentato dall’Aquinate, il mistico Oriente
rappresentato dal Palamas. Io simpatizzo per alcuni versi ma penso anche che vi
sia un’essenziale verità nell’esistenza stessa di questa narrativa prevalente.
Ma l’intero quadro di riferimento è molto più
complesso, molto più sottile. Quando guardiamo alla reazione Bizantina
all’Aquinate in particolare e nella prima istanza, l’idea che vi sia una sorta
di necessario antagonismo o anche sola opposizione tra gli approcci Orientale e
Occidentale alla teologia va seriamente riconsiderata. Quando guardiamo più da
vicino ai fatti, possiamo trovare ammiratori dell’Aquinate anche in luoghi
sorprendenti. Vi ho fornito l’incredibile esempio di Gennadio Scolario del
quale parlerò di più subito. Ma possiamo trovare questi ammiratori
dell’Aquinate tra gli anti-Unionisti, come Scolario, in sostegno a San Gregorio
Palamas, e tra oppositori di San Gregorio Palamas. Questa questione veramente
complessa della recezione Bizantina dell’Aquinate può far nascere in noi la
seria domanda a proposito dell’idea dell’alterità teologica tra Oriente e
Occidente. Prima di dire qualcosa in più in proposito, lasciatemi dire ancora
altre cose a proposito dell’Aquinate stesso e del suo radicamento nella
tradizione patristica Greca.
Alcuni di voi sapranno che l’Aquinate fu
estremamente devoto ai Padri Greci. Disse che preferiva avere una singola copia
del Commento su San Matteo del
Crisostomo all’intera città di Parigi. Ora poiché nessuno voleva offrirgli
realmente la città di Parigi questa è una questione dibattuta. Io non penso che
fu simile a Enrico di Navarra che, quando gli fu offerto il trono di Francia
qualora fosse divenuto Cattolico durante le Guerre Francesi di Religione quando
entrò nella città è dichiarò che valeva una
Messa. Il riguardo di Tommaso e il suo essere radicato nella tradizione
patristica, penso, è molto ben evidente nella sua Catena Aurea, una raccolta di commentari patristici sulla
scrittura. Il Crisostomo è il più citato autore in quella collezione,
sorpassando perfino Agostino. Ma la più strabiliante caratteristica della Catena Aurea è la preminenza data ad un
contemporaneo autore Bizantino, Teofilatto di Ocrida. È proprio Tommaso che
rende Teofilatto, un autore dell’11esimo secolo, conosciuto nell’Occidente
dalla commissione di traduzioni e rendendolo parte del suo patrimonio
commentario biblico. Questo riguardo che Tommaso ha per Teofilatto, un
contemporaneo Bizantino, un contemporaneo autore Bizantino, parla in quantità
di volumi a proposito dell’attitudine irenica verso i Greci propria del suo
periodo.
Negli anni intorno al 1260, Tommaso
iniziò ad usare in maniera estensiva gli Atti
dei Concili Ecumenici, compresi gli ultimi Concili Ecumenici. Utilizza il
Concilio di Costantinopoli II (553) negli anni intorno al 1260, e pure il
Concilio di Costantinopoli III (681) nelle opere degli anni intorno al 1270.
Questo uso dei documenti conciliari andò mano nella mano con quanto vedo, cioè
un crescente impegno con la tradizione patristica Greca. Abbiamo conosciuto da
tempo il suo amore e riguardo per Dionigi l’Areopagita, ma dobbiamo parimenti
riconoscere la centralità di Giovanni Damasceno nel suo sistema, e attraverso
Giovanni Damasceno egli ha l’interezza della tradizione patristica condensata,
come fu. Io penso che la devozione di Tommaso ai Padri Greci certamente
influenzò la sua reazione, la sua risposta, e i suoi pensieri sui Greci del suo
periodo. Notate che egli mai chiamò i Greci eretici; alcuni dei suoi
contemporanei, invece, non ebbero alcuna remora nel chiamare i Greci eretici.
Ma io penso che il radicamento di
Tommaso nei Padri Greci, nei documenti conciliari e in altre cose ancora, sia
riconosciuto dai Bizantini. Essi ammirano in particolare la sua conoscenza di
Aristotele. I Bizantini non sono disponibili a riconoscere qualcosa di nuovo e
di estraneo, ma riconoscono Tommaso, io penso, come “uno di noi”. Non stanno
semplicemente omaggiando una cultura superiore. Al contrario, i Bizantini erano
stupiti che i Latini potessero produrre qualcosa di così buono. Essi tendevano
a guardare dall’alto in basso i Latini come mercanti, mercenari, e così via.
Essi rimasero stupiti dall’apprendimento di Tommaso, ma non come un prodotto di
importazione, ma come uno di noi per via del suo radicamento nella patristica
Greca e nella tradizione filosofica Greca. Uno di noi. Questo è quanto di più
grande ho appreso o teorizzato, in proposito dell’Aquinate Bizantino, guardando
all’Aquinate dalla prospettiva dell’Oriente Bizantino e riconoscendo e
scoprendo pienamente il suo radicamento nell’Oriente Greco.
Lasciatemi tornare per un momento a
San Gregorio Palamas. Voi ricordate che spesso è presentato come un oppositore
dell’Aquinate, come un archetipico Orientale da presentare contro un altro
archetipico Occidentale. Io spero che quanto ho detto a proposito dell’Aquinate
vi spinga a considerare forse come queste dicotomie “Oriente/Occidente” in
realtà non portino acqua a nessun mulino se voi guardate più lontano, anche a
questi supposti archetipi.
Nei fatti, noi troviamo Palamas, ad
esempio, che fa un buon uso di Agostino, ammirando Agostino nella traduzione di
Planoudes fatta alla fine del 13esimo secolo, e anche descrivendo immagini
quali lo Spirito come il legame d’amore tra il Padre e il Figlio nel contesto
dei suoi scritti contro il Latino filioque.
Palamas fu erede di una lunga tradizione di scolasticismo Bizantino. Ad un
certo punto se ne esce con l’osservazione notevole che nessuno dovrebbe
criticare i Latini per il loro uso dei sillogismi in teologia. Al contrario,
dice Palamas, noi abbiamo appreso l’uso dei sillogismi in teologia dai Padri. È
fortemente ironico, io penso, da parte della teologia Ortodossa, che una sorta
di elemento anti-razionale sia francamente associato non con Palamas, che
“vinse” la battaglia tra gli anni 1340 e 1350, ma con i suoi oppositori, in
particolare Barlaam di Calabria, Gregorio Acindino e Niceforo Gregoro. Tutti
loro utilizzarono alcuni discorsi anti-razionali, disconoscendo la possibilità
di ogni sorta di unione feconda tra filosofia e teologia. Non c’è niente di
anti-razionale, anti-Occidentale o anti-Latino a proposito della teologia di
Gregorio Palamas. A dirla tutta, mantenne stretti contatti e legami di amicizia
con i Latini del suo tempo. Mandò le sue opere al Gran Maestro dei Cavalieri di
Rodi e ai Latini di Para. Per la verità, la sua sorta di simpatie o le sue
relazioni amicali con i Latini furono utilizzate a volte contro di lui dai suoi
nemici. Tutti i nemici del Palamas erano anti-Latini, anti-Occidentali e
anti-razionali, e il Palamas non appartiene a nessuna di queste categorie.
Così, se riconosciamo l’Aquinate
come allievo formato dai Padri Greci, dalle tradizioni filosofiche Greche, e
come a casa tra i Bizantini (“l’Aquinate Bizantino”), e noi riconosciamo l’alto
rispetto del Palamas per la teologia Latina e per le buone relazioni con i
Latini, allora saremo meglio disposti a comprendere come molti Bizantini,
inclusi anti-Unionisti e pro-Palamiti, potessero essere così entusiasti a
proposito dell’Aquinate. Ho menzionato Cidone, che alla fine si convertì al
Cattolicesimo Romano, e questa è una storia particolare. Ma ciò che mi
interessa particolarmente è il fenomeno degli anti-Unionisti e dei pro-Palamiti
ammiratori dell’Aquinate in Bisanzio – precisamente i posti dove, se venite
condotti negli standard narrativi della dicotomia Oriente/Occidente, potreste
non aspettarvi di trovare alcun apprezzamento verso l’Aquinate. Vi aspettereste
che dicessero, “Ah, questo è razionalismo occidentale. Non lo apprezziamo.” Ma
ciò è assai distante dalla verità.
Parliamo adesso nella mia
narrazione del primo ammiratore dell’Aquinate anti-Unionista e pro-Palamita.
Questi è Nilo Kabasilas, morto nel 1363. Nilo Kabasilas fu un fedele laico per
la maggior parte della sua vita. Venne eletto Arcivescovo di Tessalonica nel
1361, succedendo a San Gregorio Palamas. Non scrisse molto sulla teologia
esicastica, ma fu un sostenitore del Palamas. Le sue opere principali erano
dirette contro i Latini, specialmente nel suo trattato, Sulla Processione dello Spirito Santo. Attaccò l’Aquinate sulla sua
posizione a proposito del filioque,
ma pure cercò di attingere dall’Aquinate stesso contro il filioque. Ora, non mi addentrerò dentro tutti i dettagli di come
fece ciò, ma ciò fu un tentativo veramente intrigante, non di successo, ma intrigante
tentativo di far deviare Tommaso dalle sue stesse conclusioni in supporto della
posizione Greca sul Filioque. Così,
Tommaso finì per essere visto come un oppositore del filioque nonostante la sua sensibile accettazione del filioque stesso. Come ho detto, non
necessariamente un tipo di tentativo di manipolazione di Tommaso con successo,
ma certamente interessante. La cosa interessante è che egli provò a fare ciò
fin da subito. Provò in qualche modo ad ascrivere l’Aquinate alla causa
Ortodossa nonostante il problema del filioque.
Fu un fenomeno estremamente interessante. Tommaso divenne una sorta di quinta
colonna dell’accampamento Latino sulla questione del filioque. Nilo fece uso delle traduzioni fatte da Demetrio Cidone e
da suo fratello, Procoro, della Summa
contra gentiles, Summa theologicae,
e De potentia. Ammirava la
metodologia teologica di Tommaso e ne faceva uso in alcuni contesti. Chiamava
Tommaso l’“interprete dei teologi” – l’interprete dei teologi – parlando
strettamente a proposito di alcuni interpretazioni di Tommaso su alcune
questioni di materia Cristologica del V secolo. Ammirava il modo in cui Tommaso
era abile nell’amplificare e chiarificare la testimonianza patristica. Tommaso
viene visto come la voce dei Padri in questo rispetto. Vi era, come dico, una
grande dose di criticismo, ma, anche, allo stesso tempo, il complessivo credito
è parte di un “prudente entusiasmo”.
Un’altra figura che possiamo
menzionare, un altro convinto Palamita che è allo stesso tempo profondamente
entusiasta al riguardo dell’Aquinate, è qualcuno che ho già menzionato
precedentemente, l’Imperatore Giovanni VI Cantacuzeno. Fu uno strenuo
sostenitore del progetto di traduzione del suo Primo Ministro. Pagò affinché
varie copie venissero prodotte. Espose la sua opinione che ci fosse molto di
buono nell’Aquinate che avrebbe potuto essere diffuso per il bene del
Commonwealth Greco. Il suo supporto alla teologia Palamita in nessun modo
diminuì la sua ammirazione per l’Aquinate. Giovanni VI fu coinvolto in una
vicenda che aveva al centro il fratello più giovane di Demetrio Cidone, Procoro
Cidone, un monaco del Monte Athos, che tra gli anni 1350 e 1360 cominciò a
parlare contro la teologia Palamita, dicendo, tra le altre cose, che la luce
del Tabor, la luce della Trasfigurazione, dovesse essere vista come meramente
creata e non increata. I Palamiti dicevano che la luce del Tabor, quale
espressione dell’auto-rivelazione e cooperazione di Dio, e poiché questa è
l’auto-rivelazione stessa di Dio, era evidententemente increata; è Dio Stesso,
non un atto creato. Giovanni VI si espose per sconfiggere Procoro Cidone.
Procoro aveva prodotto una sorta di compendio di materiali tratti dall’Aquinate
in supporto della sua posizione sul carattere creato/increato della luce del
Tabor. Scrisse sei libri: i primi cinque libri sono basicamente solo letture di
Tommaso, ma il sesto è una sua esposizione stessa del carattere della luce del
Tabor.
Per tagliare corto su di una storia
assai lunga, Giovanni VI non attaccò i primi cinque libri in questione, che
erano Tommaso allo stato pure. Io penso che fu strettamente legato al lavoro di
traduzione, sapeva che si trattasse dell’Aquinate. Ma attaccò il sesto libro,
che era basicamente il lavoro di Procoro stesso, una sua sorta di riflessione
personale su alcuni argomenti tratti dall’Aquinate ma essenzialmente lontana
dall’essere una fedele riflessione di ciò che l’Aquinate attualmente aveva da
dire in proposito alla Trasfigurazione, per esempio, la Summa theologiae III, domanda 45. Giovanni VI adottò la
straordinaria strategia di schierare l’Aquinate contro Procoro. Ancora, non
posso andare dentro tutti i dettagli al riguardo in questa sede. È un assai complesso
argomento, ma portò Tommaso a sostenere lui stesso, di nome, contro Procoro,
più precisamente riconoscendo che Procoro stesse ricorrendo ad un certo
supporto dell’Angelico Dottore in quella sede. “Ho portato prima di te la
testimonianza di Tommaso”, disse, “maestro tra i Latini, che respira il
sillogismo come fosse aria, e contro il quale non hai alcun diritto di
obiettare.” E Tommaso è citato con evidente approvazione qui con un lungo
estratto dalla Summa contra gentiles 1,9,
e quanto segue: abbiamo il passaggio sulla duplice verità delle cose divine,
una che la ragione può investigare, l’altra che scappa tutte le interpretazioni
umane. La precedente pertinenza al riguardo di queste cose quali l’esistenza di
Dio può essere utilizzata per dimostrare l’ultima. Alcune cose come la natura
triuna di Dio non può essere dimostrata; esse trascendono la dimostrazione
razionale.
Come ho detto, senza andare
all’interno di tutti i dettagli, che diverrebbero assai complessi, ciò che
Giovanni VI fece non fu criticare Procoro per aver utilizzato l’Aquinate, come
qualcuno ha male interpretato nella più recente letteratura, ma criticò Procoro
per non essere stato sufficientemente Tomista, per non aver seguito Tommaso. In
nessuna maniera la condanna di Procoro significò una condanna della teologia
Occidentale in generale? In generale, l’intera controversia Palamita con
l’eccezione di questa nota a pie’ pagina verso la fine (la vicenda di Procoro)
fu una vicenda anti-Palamita. Anche quando la teologia Occidentale vi entra,
non vi è condanna della teologia Occidentale con la condanna di Procoro Cidone
nel 1358.
Un’altra figura che io potrei
menzionare brevemente è Teofane di Nicea. Teofane pure scrisse contro Procoro e
il suo carattere della luce del Tabor, ancora prendendo molto a prestito da
Tommaso d’Aquino: la triplice divisione di conoscenza, creazione attraverso i
sensi, fede basata sulla rivelazione, e diretta conoscenza di Dio come Egli è
(1 Gv 3:2) è strettamente similare al modello che troviamo nella Summa contra gentiles IV.1 nella
citazione di 1 Gv. Rinveniamo inoltre in Teofane un progetto sulle basi della
Divina semplicità; l’identità dell’essenza di Dio con il Suo intelletto,
attività intellettuale, e auto-esistenza quale Sapienza. Ora, questa è una
raffigurazione Palamita usata per esporre i principi che sono normalmente visti
quali stranieri alla teologia Palamita e basati sull’autorità dell’Aquinate.
Sì, questo introduce alcune incoerenze nell’intero sistema della teologia
Palamita, ma la cosa interessante per il nostro proposito è il suo uso
dell’Aquinate per rinforzare la teologia Palamita.
Abbiamo altre figure anti-Unioniste
come Giuseppe Briennio e Macario Makres, che presero più o meno entrambi
liberamente, direttamente, e senza conoscenza dall’Aquinate, per esempio, i
suoi argomenti in supporto del celibato e i suoi argomenti contro l’Islam,
presi su larga scala dall’Aquinate e, in certi casi, non citati o attribuiti.
Affinchè io non vi dia
l’impressione che chiunque in Bisanzio pensasse che l’Aquinate fosse
meraviglioso, vi dico che ci sono molteplici voci che non apprezzarono molto l’Aquinate,
in verità. La voce dominante qui è quella di un certo Kallistos Angelikoudes,
che è uno degli autori rinvenuti nella Philokalia.
Kallistos scrisse una sistematica confutazione della Summa contra gentiles in un periodo compreso tra il tardo 14esimo
secolo o la prima metà del 15esimo secolo. È un enorme lavoro e in esso
annuncia il suo proposito in termini crudi, “Contro tutto ciò che Tommaso il
Latino scrisse in modo eretico ed esterno al coro della Santa Chiesa, un chiaro
rifiuto del suo arrogante rifiuto per la sacra scrittura.” Il più grande
peccato di Tommaso è il suo affidamento sulla filosofia. Kallistos trova ciò
estremamente sospetto, ovvero che l’Aquinate si rivolga ad Aristotele come al
“filosofo” per eccellenza. “Nel suo arbitrario uso della ragione” – notate qui
che siamo coinvolti in uno dei discorsi anti-razionali associati agli
oppositori del Palamas nel 14esimo secolo e anche alla moderna teologia
Ortodossa. È il suo uso della ragione e il suo affidamento alla filosofia il
reale problema. – “Tommaso è caduto negli errori di Ario e Maometto”, dice
Kalistos Angelikoudes. Non risparmia nulla nella sua critica. Angelikoudes vede
la Summa contra gentiles o Kata Eleon come una frecciata contro i
Greci. È “così pieno di bugie e falsità, obbligato dalla vuota sapienza profana
che dovrebbe essere riconosciuto come diretto non contro i pagani ma contro la
santa Chiesa di Dio.” Un apprendimento esterno, totalmente futile; apprendere
esternamente ha un carattere demoniaco. “Nel suo amore per la filosofia,
Tommaso è caduto prono ai demoni.”
Non è un’opera edificante, secondo
la mia opinione, ma serve a rimarcare una profonda avversione presente nella
società Bizantina contro i Latini in generale, e contro la teologia Latina in
particolare[8].
Ma io
penso che squalifica realmente sé stesso nei suoi falliti intenti di prendere
Tommaso seriamente. Questo non fu l’approccio di Gregorio Palamas, Filoteo
Kokkinos, il Patriarca di Costantinopoli e figura Palamita, Nilo Kabasilas, che
abbiamo osservato precedentemente, Teofane di Nicea, o lo stesso Marco Eugenico
di Efeso, il capo della fazione anti-Unionista al Concilio di Ferrara-Firenze.
Tutti loro sono disposti verso l’Aquinate, al di là di certi limiti ed
eccezioni, e certamente in nessuna maniera nessuna di queste figure avrebbe
condannato l’uso della ragione nei propri sforzi teologici. Così, non è un
lavoro bilanciato ed onesto, questo lavoro di Kallistos Angelikoudes, e non
dobbiamo dolerci troppo del fatto che è rimasto così a lungo nella totale
oscurità. Ma questa sorta di istintiva antipatia verso il metodo scolastico è
rara in Bisanzio, ma è divenuta abbastanza comune nella recente moderna
teologia Ortodossa.
Ora lasciatemi pronunciare alcune
parole a proposito di Gennadio Scolario, ancora, e ci avvieremo verso la
conclusione. Gennadio Scolario considerava sé stesso, come ho detto, come il
più grande discepolo di Tommaso. Era consapevole che l’autorità di Tommaso
fosse stata a volte messa in discussione in Occidente[9],
e che ebbe dei rivali, in particolar modo tra i Francescani, e che Duns Scoto
venne identificato quale suo rivale. Ritenne l’Aquinate non avere avuto
l’approvazione della Chiesa, la Chiesa Romana, mentre i Francescani ebbero
l’approvazione. Amò Tommaso per il suo uso di Aristotele. Gennadio fu un devoto
studente della filosofia Aristotelica fin dalla più giovane età. Apprese
inoltre il Latino in gioventù. Tradusse e commentò le opere filosofiche dell’Aquinate e le sue
opere teologiche.
Ebbe sempre a sminuire le sue
simpatie Latine anche durante il periodo in cui fu a capo della fazione opposta
all’unione con l’Occidente. Ma non si distaccò mai dalla sua attitudine di base
di entusiasmo per Tommaso, se non con alcune eccezioni. “Questo Tommaso”,
osservava, “nonostante fosse Latino per popolo e dottrina e differisca
parecchio da noi in quelle cose in cui la Chiesa Romana ha introdotto
recentemente indebite innovazioni, in altri aspetti, è sapiente e apportatore
di ricchezza spirituale in quelli che lo leggono.” Nell’esegesi di Tommaso, i
suoi lavori filosofici, e molta delle sua teologia, è completamente positivo.
Quando Tommaso differisce dalla fede ancestrale, deve essere, ovviamente, non
seguito. Ma Tommaso rimane una figura di enorme valore; uno che testimonia
l’universale tradizione patristica di Asia ed Europa, dell’Oriente e
dell’Occidente, dei Padri Greci e Latini – la comune eredità dei Cristiani.
Come Demetrio Cidone prima di lui, Scolario non fu aperto nell’importazione di
idee straniere, ma lo riconobbe come “uno di noi”, sebbene con un non familiare
abito Latino e con pochi deplorevoli errori. Nonostante le sue sfortunate
aberrazioni, diceva Scolario, “noi amiamo questo divinamente ispirato e
sapiente uomo.”
Scolario non fu certo un acritico
lettore dell’Aquinate. Fu in disaccordo con lui. Lo tenne in considerazione,
non solo sui punti di allontanamento dagli insegnamenti della Chiesa Ortodossa,
ma in varie maniere. Ma Tommaso è visto con enorme valore e dobbiamo
semplicemente perdonare le sue sfortunate deviazioni, nelle quali Tommaso cadde
a causa della sua accidentale nascita in Occidente.
Volgiamoci ora alle conclusioni.
L’idea che vi sia un’insormontabile distanza tra Oriente e Occidente, tra
scolasticismo e Ortodossia, realmente, non si regge in piedi. Non vi erano
predefinite antipatie verso Tommaso tra i Palamiti o gli anti-Unionisti.
L’Aquinate, come abbiamo potuto brevemente vedere, trovò ammiratori tra gli
anti-Unionisti come tra gli Unionisti, tra i Palamiti così come gli
anti-Palamiti. I Bizantini stessi diedero il benvenuto a Tommaso, lo accolsero
come “uno di noi”, ma accogliendolo in modo critico. Furono capaci di letture
sofisticate che non coinvolgessero compromessi dottrinali ma lo ammirarono come
eccezionalmente abile esponente dell’universalmente diffusa tradizione
Cristiana e come un esponente del tradizionale Ellenismo Cristiano piantato
nelle scritture e nei Padri.
Per terminare una lunga storia
corta, la recezione Bizantina dell’Aquinate deve spingerci a rivedere l’intera
questione dell’alterità teologica tra Oriente e Occidente. I Bizantini hanno
riconosciuto che fu possibile essere allo stesso tempo Orientali e Occidentali,
e forse è di questo tipo di approccio profondamente Ellenistico e profondamente
Cattolico che la Chiesa ha bisogno oggi. Noi possiamo forse riassumere tutto
ciò in un’esortazione – diretta agli ortodossi: per gli Ortodossi di diventare
più Occidentali per diventare Ortodossi; e ai Cattolici: per i Cattolici di
diventare più Orientali per diventare più Cattolici.
Grazie a tutti.
[1] Nei riti orientali – tranne che
in quello armeno – a differenza dei riti occidentali si utilizza il pane al
posto dell’ostia, e l’acqua da mettere nel calice deve essere bollita anziché
fredda/a temperatura ambiente
[2] Si tenga
presente che i Genovesi dominavano i commerci con Costantinopoli, in una
maniera sfavorevole per la capitale imperiale, e i Veneziani, oltretutto, erano
coloro che avevano invaso e saccheggiato Costantinopoli nel 1204; però saranno
proprio Genovesi e Veneziani, duecento anni dopo, a correre in aiuto di
Costantinopoli nel 1453
[3] Si utilizzava come sistema
quello dell’Indizione, ovvero il calcolo dalla Creazione del Mondo, ancora oggi
formalmente in uso presso la Chiesa Ortodossa, che fa iniziare il suo anno
liturgico il 1° settembre
[4] Kata Elenon non è la pronuncia greca per “Contro i Greci”, bensì la
pronuncia del titolo basata sulle dubbie ricostruzioni pseudo-filologiche di
Erasmo da Rotterdam, impiegate tuttavia nello studio del greco nell’Occidente
moderno.
[5] O
sofianismo, corrente teologica mistica sviluppatasi in Russia nei primi anni
del XX secolo che riprese elementi non solo patristici ma pure gnostici e
neoplatonici, della quale Bulgakov fu il capostipite e che vide pure un
coinvolgimento di Pavel Florenskij, ma che fu condannata, tra gli altri, da un
altro importante teologo, Vladimir Lossky
[6] Se è
concessa una digressione personale, è in effetti uno degli ambiti critici da
rivalutare e riscrivere, al netto degli indubbi meriti artistici e culturali,
specie se paragonati al vuoto pneumatico odierno, e non si può non concordare
almeno in parte con la visione ortodossa esposta
[7] Concetto
da ben intendere e interpretare, proprio della teologia patristica orientale
[8] A onor del vero, le guerre
condotte tra regni e repubbliche europee occidentali e Impero di
Costantinopoli, e soprattutto il Sacco di Costantinopoli e del Monte Athos avvenuto
durante la Quarta Crociata, contribuirono ad acuire questo odio; fu l’Assedio
di Costantinopoli del 1204 a provocare la vera rottura tra Roma e
Costantinopoli, più che lo scisma del 1054, e nonostante, peraltro, che Papa
Innocenzo III rimase esterrefatto dalla deviazione crociata latina e,
inorridito, inviò lettere e comminò punizioni contro i colpevoli.
[9] L’autorità ufficiale di San
Tommaso d’Aquino venne solennemente dichiarata da San Pio V nel 1567, con la
sua proclamazione a Dottore della Chiesa, e da Papa Leone XIII, che con
l’enciclica Aeterni Patris ne
rilanciò l’ufficialità e supportò lo studio moderno; siamo ovviamente ben
lontani dall’epoca di Gennadio Scolario, che morì nel 1473
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