Ἀδὰμ τοῦ Παραδείσου διώκεται, τροφῆς
μεταλαβὼν ὡς παρήκοος, Μωσῆς θεόπτης
ἐχρημάτισε, νηστείᾳ τὰ ὄμματα, τῆς ψυχῆς
καθηράμενος. Διὸ τοῦ Παραδείσου οἰκήτορες
γενέσθαι ἐπιποθοῦντες, ἀπαλλαγῶμεν τῆς
ἀλυσιτελοῦς τροφῆς, καὶ Θεὸν καθορᾷν
ἐφιέμενοι, Μωσαϊκῶς τὴν τετράδα, τῆς
δεκάδος νηστεύσωμεν, προσευχῇ καὶ τῇ
δεήσει, εἰλικρινῶς προσκαρτεροῦντες,
κατευνάσωμεν τῆς ψυχῆς τὰ παθήματα,
ἀποσοβήσωμεν τῆς σαρκὸς τὰ οἰδήματα,
κοῦφοι πρὸς τὴν ἄνω πορείαν μετίωμεν, ὅπου
αἱ τῶν Ἀγγέλων χορεῖαι, ἀσιγήτοις φωναῖς,
τὴν ἀδιαίρετον ἀνυμνοῦσι Τριάδα, καθορᾷν τὸ
ἀμήχανον κάλλος, καὶ δεσποτικόν. Ἐκεῖ
ἀξίωσον ἡμᾶς, Υἱὲ Θεοῦ ζωοδότα, τούς ἐπὶ
σοὶ πεποιθότας, συγχορεῦσαι ταῖς τῶν
Ἀγγέλων στρατιαῖς, ταῖς τῆς τεκούσης σε
Μητρὸς Χριστὲ πρεσβείαις, καὶ Ἀποστόλων,
καὶ τῶν Μαρτύρων, καὶ πάντων τῶν Ἁγίων. Ἔφθασε καιρός, ἡ τῶν πνευματικῶν ἀγώνων
ἀρχή, ἡ κατὰ τῶν δαιμόνων νίκη, ἡ πάνοπλος
ἐγκράτεια, ἡ τῶν Ἀγγέλων εὐπρέπεια, ἡ πρὸς
Θεὸν παρρησία· δι' αὐτῆς γὰρ Μωϋσῆς,
γέγονε τῷ Κτίστῃ συνόμιλος, καὶ φωνὴν
ἀοράτως, ἐν ταῖς ἀκοαῖς ὑπεδέξατο· Κύριε, δι'
αὐτῆς ἀξίωσον καὶ ἡμᾶς, προσκυνῆσαί σου τὰ
Πάθη καὶ τὴν ἁγίαν Ἀνάστασιν, ὡς
φιλάνθρωπος.
Adamo è cacciato dal paradiso per
aver gustato, disubbidendo, il frutto
delizioso; Mosè poté contemplare Dio,
purificando col digiuno gli occhi
dell’anima. Desiderando dunque di
divenire abitanti del paradiso,
distacchiamoci da un cibo sontuoso, e
bramando vedere Dio, digiuniamo come
Mosè per quaranta giorni; perseverando
con purezza nella preghiera e nella
supplica, plachiamo le passioni
dell’anima, togliamo via i gonfiori della
carne: leggeri, proseguiamo il viaggio
verso l’alto, dove i cori degli angeli
celebrano con voci incessanti l’indivisibile
Trinità, e contempleremo l’inconcepibile
sovrana bellezza. Là rendi degni noi che
confidiamo in te, o Figlio di Dio datore di
vita, di unirci al coro delle schiere
angeliche: per l’intercessione della madre
che ti ha partorito, o Cristo, degli
apostoli, dei martiri e di tutti i santi. È giunto il tempo, l’inizio delle lotte
spirituali, la vittoria contro i demoni, la
continenza con tutte le sue armi, lo
splendore degli angeli, la franchezza
davanti a Dio: così infatti Mosè poté
conversare con il Creatore e
invisibilmente accogliere con l’udito la
voce. O Signore, concedi anche a noi, nel
tuo amore per gli uomini, di potere grazie
a ciò adorare i tuoi Patimenti e la tua
Santa Risurrezione (Idiomela del Triodio)
Con la domenica dei latticini (equivalente alla domenica di Quinquagesima latina), la Chiesa chiude il suo percorso di preparazione remota alla Pasqua, e si appresta a entrare finalmente nella Grande Quaresima, i quaranta giorni di dura penitenza e ascesi che formeranno le anime ai grandi misteri della Passione e della Risurrezione del Salvatore. Il nome di questa domenica deriva dal fatto che questo è l'ultimo giorno in cui è permesso il consumo delle uova e dei latticini: dal Lunedì Puro che vi seguirà, i Cristiani osserveranno il digiuno completo da qualsiasi prodotto e derivato animale.
Con queste parole il liturgo Alexander Schmemann descrive i sentimenti con cui il popolo cristiano si appresta alla celebrazione di quest domenica:
Ed ora abbiamo raggiunto gli ultimi giorni prima della Quaresima. Già durante la settimana di Carnevale, che precede la “Domenica del perdono”, due giorni, mercoledì e venerdì, sono stati considerati come pienamente quaresimali. La divina liturgia non è stata celebrata in essi e tutto l’ordine e tipo di ufficiatura hanno le caratteristiche proprie della Quaresima. Il mercoledì ai vespri salutiamo la grande Quaresima con questo splendido inno: “La primavera della Quaresima è venuta! La luce della penitenza; fratelli, purifichiamoci da ogni male gridando a Colui che dà la luce: Gloria a te, che hai amore per gli uomini”. Inoltre il sabato dei latticini la Chiesa commemora tutti gli uomini e donne che “furono illuminati dal digiuno”: Dobbiamo seguire i Santi che sono gli esempi, guide nella difficile arte di digiunare e di pentirsi. Nello sforzo, di cui siamo agli inizi, non siamo soli (A. Schmemann, Great Lent, St. Vladimir’s Seminary Press 1974)
La domenica dei latticini è dominata dal tema della cacciata di Adamo dal Paradiso, del peccato dei nostri protoparenti, della loro caduta e delle durevoli conseguenze che noi pure patiamo nel caos della natura umana corrotta. L'intera Quaresima, secondo i Padri, è riassunta nella figura di Adamo punito per la sua colpa: l'uomo creato per il Paradiso e per la Comunione con Dio, privato di questa benedizione di grazie dal proprio peccato e costretto all'esilio sulla terra, ma che un giorno potrà tornare nel Regno dei Cieli grazie a Cristo, Salvatore del mondo, che con il suo sacrificio e la sua Risurrezione apre le porte del Paradiso ai suoi fedeli, che oggi peregrinano sulla terra verso la patria celeste.
Al Vespero si cantano dieci stichire, elaborate in poesia su scritti di S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio Nisseno, S. Giovanni Crisostomo e Origene, conosciute come Lamentazione di Adamo, ovvero il compianto che il progenitore fa sulla propria indegnità e sulla propria colpevolezza, avendo disobbedito al Dio che lo aveva creato e riempito di ogni bene: commiserando la propria nudità, la propria povertà, la fatica e il dolore che a cagione del proprio peccato l'uomo dovrà sopportare, prega Iddio di restaurare il regno di felicità e beatitudine. Il paradiso, descritto con amore, riceve la supplica di Adamo: così come dopo la caduta Dio diede ai suoi passi un suono affinché Adamo ed Eva potessero prepararsi a fare una supplica davanti a lui (come commentano Efrem il Siro e Giovanni Crisostomo), così ora lo stesso suono, il fruscio delle foglie, costituisce la supplica per poter rientrare.
Ἐκάθισεν Ἀδάμ, ἀπέναντι τοῦ Παραδείσου, καὶ τὴν ἰδίαν γύμνωσιν θρηνῶν ὠδύρετο. Οἴμοι, τὸν ἀπάτῃ πονηρᾷ πεισθέντα καὶ κλαπέντα, καὶ δόξης μακρυνθέντα! οἴμοι, τὸν ἁπλότητι γυμνόν, νῦν δὲ ἠπορημένον! Ἀλλ' ὦ Παράδεισε, τρυφῆς ἀπολαύσω, οὐκέτι ὄψομαι οὐκέτι σου τῆς τὸν Κύριον καὶ Θεόν μου καὶ Πλάστην· εἰς γῆν γάρ ἀπελεύσομαι, ἐξ ἧς καὶ προσελήφθην. Ἐλεῆμον Οἰκτίρμον βοῶ σοι· Ἐλέησόν με τὸν παραπεσόντα!
Sedette Adamo, davanti al Paradiso, e piangendo la propria nudità lamentò: Ahimè, che mi son fatto convincere e derubare da un malvagio inganno, e dalla gloria son stato allontanato! Ahimè, nudo nella semplicità, e ora mancante di tutto! Ma, o Paradiso, mai più godrò le tue delizie, né mai più vedrò il tuo Signore, mio Dio e Creatore: alla terra infatti tornerò, dalla quale fui formato. O Pietoso, abbi misericordia, io grido a te: Abbi misericordia di me che sono caduto! (V stichira)
Ἐξεβλήθη Ἀδὰμ τοῦ Παραδείσου, διὰ τῆς βρώσεως· διὸ καὶ καθεζόμενος ἀπέναντι τούτου, ὠδύρετο, ὁλολύζων, ἐλεεινῇ τῇ φωνῇ, καὶ ἔλεγεν· Οἴμοι, τί πέπονθα ὁ τάλας ἐγώ! μίαν ἐντολὴν παρέβην τὴν τοῦ Δεσπότου, καὶ τῶν ἀγαθῶν παντοίων ἐστέρημαι. Παράδεισε ἁγιώτατε, ὁ δι' ἐμὲ πεφυτευμένος, καὶ διὰ τὴν Εὔαν κεκλεισμένος, ἱκέτευε τῷ σὲ ποιήσαντι, κᾀμὲ πλάσαντι, ὅπως τῶν σῶν ἀνθέων πλησθήσωμαι. Διὸ καὶ πρὸς αὐτὸν ὁ Σωτήρ· Τὸ ἐμὸν πλάσμα οὐ θέλω ἀπολέσθαι, ἀλλὰ βούλομαι τοῦτο σῴζεσθαι, καὶ εἰς ἐπίγνωσιν ἀληθείας ἐλθεῖν, ὅτι τὸν ἐρχόμενον πρός με, οὐ μὴ ἐκβάλλω ἔξω.
Adamo fu cacciato dal Paradiso, a causa di ciò che avea mangiato: perciò, seduto di fronte a esso, gemeva, innalzando grida, e diceva con voce supplichevole: Ahimè, che ho fatto io scellerato! Ho trasgredito l'unico comandamento del Signore, e d'ogni bene mi sono privato. Oh, Paradiso santissimo, che per me fosti creato e a causa di Eva ora chiuso, prega il tuo e il mio creatore acciocché possa nuovamente ricolmarmi dei tuoi fiori. Allora gli rispose il Salvatore: Non voglio che la mia creatura perisca, ma voglio che sia salvata, e che giunga a conoscenza della verità, poiché non discaccio fuori colui che viene a me. (VI stichira)
Ma se il desiderio di giungere alla conoscenza del bene e del male per essere come Dio aveva spinto l’uomo alla trasgressione, ora Cristo ci rassicura che attraverso la salvezza da lui portataci possiamo finalmente compiere il nostro desiderio. Il Canone del Mattutino, che nel libri liturgici non ha indicato alcun autore ma che alcuni attribuiscono a Cristoforo il Protosecrita, sviluppa con ricchezza di immagini gli stessi temi.
Οἴμοι ψυχή μου ἀθλία! τῶν ἐν Ἐδέμ, ἀπολαύειν εἴληφας, ἐξουσίαν ἐκ Θεοῦ, μὴ φαγεῖν δὲ γνώσεως καρπόν, προσετάγης, ἵνα τί, παρέβης νόμον Θεοῦ;
Ahimè, anima mia afflitta! Avevi da Dio ricevuto potestà di godere dei beni dell'Eden, e sol comandò di non mangiare il frutto della conoscenza: perché mai hai trasgredito la legge di Dio?
Il secondo esapostilario, al termine del Canone, proietta per la prima volta il cammino che ci aspetta verso la meta, mentre nelle Lodi si riprende l’immagine paolina della lotta nello stadio.
Ἀποικισθέντες Κύριε, Παραδείσου τὸ πρῶτον, διὰ τῆς ξύλου βρώσεως, ἀντεισήγαγες πάλιν, διὰ Σταυροῦ καὶ τοῦ Πάθους, σοῦ Σωτὴρ καὶ Θεέ μου, δι' οὗ ἡμᾶς ὀχύρωσον, τὴν Νηστείαν πληρῶσαι, ἁγνοπρεπῶς, καὶ τὴν θείαν Ἔγερσιν προσκυνῆσαι, τὸ Πάσχα τὸ σωτήριον, σὲ Τεκούσης πρεσβείαις.
Cacciati in un primo tempo dal
paradiso, o Signore, per aver mangiato
dell’albero, ci hai di nuovo là introdotti grazie alla tua Croce e alla tua Passione, o
mio Salvatore e mio Dio: con esse fortificaci,
perché possiamo portare a compimento il
digiuno con purezza e adorare la tua
divina Risurrezione, la Pasqua salvifica,
per intercessione di Colei che ti ha
partorito.
Τὸ στάδιον τῶν ἀρετῶν ἠνέῳκται, οἱ
βουλόμενοι ἀθλῆσαι εἰσέλθετε, ἀναζωσάμενοι
τὸν καλὸν τῆς Νηστείας ἀγῶνα· οἱ γὰρ
νομίμως ἀθλοῦντες, δικαίως στεφανοῦνται,
καὶ ἀναλαβόντες τὴν πανοπλίαν τοῦ Σταυροῦ,
τῷ ἐχθρῷ ἀντιμαχησώμεθα, ὡς τεῖχος
ἄρρηκτον κατέχοντες τὴν Πίστιν, καὶ ὡς
θώρακα τὴν προσευχήν, καὶ περικεφαλαίαν
τὴν ἐλεημοσύνην, ἀντὶ μαχαίρας τὴν νηστείαν,
ἥτις ἐκτέμνει ἀπὸ καρδίας πᾶσαν κακίαν. Ὁ
ποιῶν ταῦτα, τὸν ἀληθινὸν κομίζεται
στέφανον, παρὰ τοῦ Παμβασιλέως Χριστοῦ,
ἐν τῇ ἡμέρᾳ τῆς Κρίσεως.
Lo stadio delle virtù è aperto: voi che
volete lottare, entrate, dopo esservi cimentati nella bella lotta del digiuno: quanti infatti
lottano secondo le regole, saranno
giustamente coronati; e dopo aver preso
l’armatura della Croce, disponiamoci in
battaglia contro il nemico, tenendo stretta
la fede come muro inespugnabile. La
preghiera come corazza, come elmo,
l’elemosina, e in luogo della spada il
digiuno, che recide ogni vizio dal cuore.
Chi fa questo, riceve la vera corona da
parte del Cristo, Re dell’universo, nel
giorno del giudizio.
In seguito al peccato, nasce anche il perdono, e anche a questo tema è dedicata questa domenica, particolarmente la Divina Liturgia, che attraverso la lettura evangelica propone ai fedeli la necessità del perdono, fondamento della Religione Cristiana, "opera della luce", alla quale dobbiamo offrire noi stessi, spogliandoci delle tenebre e rivestendoci di Gesù Cristo, della sua armatura spirituale, destati dal sonno della morte, nel cammino verso la salvezza (cfr. Epistola, Rm 13). Scrive lo Schmemann:
La Quaresima è la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato, dalla prigione di “questo mondo”. E l’Evangelo di quest’ultima domenica (Matteo 6, 14-21) pone le condizioni per questa liberazione. La prima è il digiuno, il rifiuto di accettare come normali i desideri e gli istinti della nostra caduta, lo sforzo di liberarci dal dominio della carne e della materia. Tuttavia, per essere efficace, il nostro digiuno non deve essere ipocrita, uno “spettacolo”. Dobbiamo “apparire che digiuniamo non tra gli uomini, ma al nostro Padre che è nascosto”. La seconda condizione è il perdono. “Se perdonate agli uomini le loro colpe, il vostro Padre celeste perdonerà anche a voi”. Il trionfo del peccato, l’indizio maggiore del suo governo sul mondo, è la divisione, l’opposizione, la separazione, l’odio. Perciò il primo squarcio attraverso la fortezza del peccato è il perdono: il ritorno all’unità, alla solidarietà, all’amore. Perdonare significa porre tra me ed il mio “nemico” lo splendente perdono di Dio stesso. Perdonare è respingere la “mortificazione” senza speranza dei rapporti umani e di riferirli a Cristo che li risolva. Il perdono è veramente una “penetrazione” del Regno in questo mondo pieno di peccati e caduto. (A. Schmemann, op. cit.)
Con i Vesperi della domenica inizia la Quaresima vera e propria. È proprio questo Vespero che fa cambiare il nome della domenica: da “domenica dei Latticini”, o “dell’esilio di Adamo”, diventa compiutamente “domenica del Perdono”, anche se questo nome non è riportato nel Triodion. I celebranti indossano paramenti bianchi all'inizio dell'officiatura. Tutta la preparazione è giunta al termine: l'uomo è posto davanti a Dio, alla gloria e alla bellezza del suo Regno, per rendersi conto da un lato di farne parte, di non avere altra gioia, altra meta, altra dimora, dall’altro di esserne esiliato, nella tenebra e nella tristezza del peccato.
Al Lucernario, una strofa di Giuseppe ci chiama a umiliare la carne con la continenza, entrando nello stadio divino dell’immacolato digiuno, e con preghiere e lacrime, cerchiamo il Signore che ci salva. Il tema delle lacrime diviene sempre più rilevante, dacché si chiede d'essere purificati con le piogge del pentimento, di risplendere per il digiuno e la preghiera. Viene poi, come al solito, l’Ingresso con l’inno serale, indi il celebrante procede verso il “luogo superiore” dietro l’altare per intonare il Prokìmenon della sera, che sempre annuncia la fine di una giornata e l’inizio di un’altra. In questo giorno il Grande Prokìmenon annuncia l’inizio della Quaresima, e la straordinaria melodia di questo verso, di questo grido che improvvisamente riempie la Chiesa: "poiché io sono afflitto”, disvela questo momento in cui comincia la grande Quaresima: il misterioso miscuglio di disperazione e di speranza, di oscurità e di luce. Tutta la preparazione è giunta ora alla fine. Cinque volte viene ripetuto il Prokìmenon, nel quale chiediamo insistentemente a Dio di venire in nostro soccorso; dopodiché, i paramenti chiari vengono dismessi e s'indossano i paramenti viola (uso greco) o neri (uso russo), le luci si spengono, e il coro inizia a cantare i Kyrie elèison litanici con le melodie quaresimali.
Nelle strofe che concludono i Vesperi, in una chiesa sempre più scura, la luce di Cristo risorto illumina tutti: per la prima volta viene intonata la preghiera di S. Efrem il Siro, con le sue dodici prostrazioni, che accompagnerà tutti gli uffici della Quaresima.
A questo punto, al termine dell’ufficio, si svolge uno dei riti più lontani dalla nostra logica terrena, ma più vicini alla logica dell’amore di Dio, cui ho avuto personalmente modo di partecipare in un monastero; tutti i fedeli si prostrano o si inginocchiano, e il presbitero, dopo aver baciato le icone di Cristo e della Madre di Dio, si rivolge ai fedeli dicendo: “Perdonatemi, fratelli e sorelle, qualsiasi peccato commesso volontariamente o involontariamente, in parole, in atti, o in pensieri, e pregate per me, peccatore”. Quindi si inginocchia, e i fedeli rispondono: “Dio ti perdoni; perdonaci e prega per noi”. E il sacerdote replica: “Dio vi perdoni e vi benedica”. Poi, dopo avere a loro volta venerato le sante icone, i fedeli vanno singolarmente a chiedere il perdono di tutti i presenti, cominciando dal clero: ciascuno si inginocchia davanti all’altro, prima di scambiarsi l’abbraccio del perdono.
C’è un canto, pur non prescritto nei libri liturgici ma tradizionalmente eseguito, che accompagna questo gesto di purificazione e di riconciliazione, e non è casuale né fuori luogo che questo canto sia “Sorga Dio”, i versetti composti da san Giovanni Damasceno che si cantano nel mattutino di Pasqua. Uno di questi canta: “Chiamiamo fratelli anche i nostri nemici, e perdoniamo tutti, a motivo della sua risurrezione”. Le lacrime di pentimento e compunzione di questi giorni, presto diverranno di gioia.
Τὸν τῆς Νηστείας καιρόν, φαιδρῶς ἀπαρξώμεθα, πρὸς ἀγῶνας πνευματικοὺς ἑαυτοὺς ὑποβάλλοντες, ἁγνίσωμεν τὴν ψυχήν, τὴν σάρκα καθάρωμεν, νηστεύσωμεν ὥσπερ ἐν τοῖς βρώμασιν ἐκ παντὸς πάθους, τὰς ἀρετὰς τρυφῶντες τοῦ Πνεύματος, ἐν αἷς διατελοῦντες πόθῳ, ἀξιωθείημεν πάντες, κατιδεῖν τὸ πάνσεπτον Πάθος Χριστοῦ τοῦ Θεοῦ, καὶ τὸ ἅγιον Πάσχα, πνευματικῶς ἐναγαλλιώμενοι.
Con gioia cominciamo il tempo del digiuno, sottoponendoci alle lotte spirituali; rendiamo casta
l’anima, purifichiamo la carne; digiuniamo tanto dai cibi quanto da ogni passione, godendo delle virtù dello spirito: perseverando in esse con amore, possiamo noi tutti ottenere di contemplare la venerabilissima Passione del Cristo Dio e la Santa Pasqua, spiritualmente esultando. (Poema di Teodoro Studita)
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