di Luca Farina
La celebrazione della solennità della Pentecoste, anche nel rito ambrosiano, è arricchita da una particolare celebrazione vigiliare da celebrarsi il giorno precedente.
Essa è composta da tre parti: Il Vespro, la catechesi e la Messa vera e propria. Queste ultime due sono gli elementi più antichi, connotati da una forte valenza battesimale; la vetustà di questo svolgimento risale addirittura all’epoca di Sant’Ambrogio, come testimonia la sua Epistola XX ad sororem Marcellinam, nella quale afferma:”sequenti die - erat autem dominica - post lectiones atque tractatum dimissis catechumenis symbolum aliquibus competentibus in baptisterii tradebam basilica. illic nuntiatum est mihi comperto, quod ad Porcianam basilicam de palatio decanos misissent et vela suspenderent, populi partem eo pergere. ego tamen mansi in munere; missam facere coepi.”. Si distingue con certezza, già nel IV secolo, la catechesi come parte propedeutica alla Messa. Coerentemente, quindi, non vi sarà una mescolanza, ma si dovrà percepire uno “stacco” che, come vedremo, sarà reso dal cambio dei paramenti e da una sallenda.
La vigilia di Pentecoste è vigilia privilegiata. La Messa è celebrata, come le altre grandi vigilie (Natale ed Epifania), infra Vesperas.
La celebrazione inizia quindi con il canto del Vespro. Il celebrante indossa il piviale rosso. Si comincia, al solito, con il saluto Dom. vob., il lucernario festivo Quoniam e l’inno, Jam Christus astra ascenderat [1]; segue un responsorio in choro. A questo punto non si canta la salmodia ma inizia la parte della catechesi veterotestamentaria.
Essa, elemento che già abbiamo segnalato nel rito ambrosiano, è composta da quattro letture, accompagnate da relativi salmelli ed orazioni. Il tema è spiccatamente battesimale, con il tratto specifico dell’infusione dello Spirito Santo nelle anime dei credenti: le letture, cantate in tono feriale, sono le seguenti:
1) Is XI 1-9b (lo Spirito settiforme) con estratto del salmo LXVIII come salmello;
2) Gen XXVIII 10-22 (la scala di Giacobbe verso Dio) con salmo LXVII;
3) IV Reg II 1-12 (Elia ed Eliseo al Giordano, il carro di fuoco) [2] con salmo LXXI;
4) III Reg III 5-14 (la sapienza concessa a Salomone) con salmo XLI.
Dopo le ultime orazioni, se nella chiesa vi è il fonte battesimale, si procede alla benedizione dello stesso nelle medesime modalità in cui era stato fatto il Sabato Santo [3].Le orazioni di benedizione, secondo l’illustre Monsignor Pietro Borella [4] fa notare che le tutte le orazioni di benedizione sono originali, salvo una comune col rito romano e un’altra con il mozarabico. La Messa è preceduta, come quella della Veglia Pasquale, da una sallenda, sotto riportata:
“Dominus regit me, et nihil mihi deerit. Hallelujah. / Impinguasti in oleo caput meum. Hallelujah, hallelujah. / Gloria Patri. Sicut erat. Hallelujah. / Dominus regit me, et nihil mihi deerit. Hallelujah. / Impinguasti in oleo caput meum. Hallelujah, hallelujah.”
Il celebrante indossa i paramenti della Messa e ne comincia la celebrazione. Vi sarà solo un’epistola [5] e, a seguire, il Vangelo. Saranno quindi proclamate in tono festivo:
- I Cor II 10-16 (la conoscenza di Dio tramite lo Spirito);
- Gv XV 26-27; XVI 1-15 (Nostro Signore Gesù Cristo parla del Consolatore).
In tutta la Messa (eccetto il cantus post Epistolam e il Sanctus) non sono presenti canti. L’interessante prefazio è presente anche nel Sacramentario Leoniano, codice del V-VI secolo conservato nella Biblioteca Capitolare di Verona e ritrovato nel 1713 dal paleografo scaligero il marchese Scipione Maffei. Al termine di essa, il celebrante riassume il piviale e conclude il canto del Vespro ricominciando dal canto del Magnificat con la propria antifona.
In Duomo, la celebrazione pontificale sviluppa caratteri propri. Ne spiega le funzioni il chierico Beroldo [6], nel suo Ordo et caerimoniae Ecclesiae Ambrosiane Mediolanesis. Durante la catechesi, l’Arciprete recita gli esorcismi su due fanciulli, per poi essere battezzati dall’Arcivescovo.
Non appena il rito romano, con le riforme pacelliane, eliminò i propri riti analoghi, vi fu un triste omologarsi da parte dell’allora arcivescovo Monsignor Montini: una celebrazione dal così forte carattere battesimale venne privata proprio della benedizione del fonte.
La celebrazione è stata conservata anche a seguito della riforma liturgica ma furono cambiate le letture della catechesi. Qualunque accenno al cammino battesimale, come del resto nel rito romano, fu stralciato senza pietà. Nondimeno, nella prassi comune, in questa celebrazione si procede spesso a battesimi e cresime, in genere di persone adulte. Soprattutto, però, come per tutte le altre vigilie, ne è stato profondamente cambiato il significato, rendendole delle "messe vespertine della vigilia", cioè delle messe della festa anticipate alla sera precedente, e non già, come invece tradizionalmente sono, le messe del giorno che precede la festa, celebrate tra Nona e Vespro.
Si ringrazia Nicola De Grandi per i preziosi suggerimenti.
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NOTE
1: è l’inno proprio della Pentecoste, cantato sulla melodia dell’Hic est dies verus Dei, in seguito adottata per il più celebre Veni Creator.
2: la stessa lettura è presente nella catechesi della vigilia dell’Epifania.
3: un aspetto che venne demonizzato dalla riforma liturgica fu quello delle “inutili ripetizioni” (Sacrosanctum Concilium 34). Agli occhi dei liturgisti era inammissibile benedire nuovamente un fonte dopo 50 giorni, salvo poi concedere la possibilità di farlo ogni giorno con l’aspersione come modalità di atto penitenziale.
4: Monsignor Pietro Borella fu uno dei più noti cerimonieri che il Duomo di Milano abbia mai avuto. Tanto affabile quanto zelante della precisione liturgica, fu protagonista di un divertente ma emblematico episodio il 13 giugno 1963, contestando all’allora Cardinale Montini quanto avvenne a Venezia nel 1956, quando il Patriarca Roncalli gli fece pontificare, in propria presenza, nella Basilica Marciana. Il fatto è raccontato dal defunto Cardinale Capovilla, il quale, però, contesta la scelta di Monsignor Borella come “norme cerimoniali bisognose di aggiornamento”.
5: buona parte delle Messe di rito ambrosiano presentano sempre due letture, a differenza del rito romano.
6: visse a Milano nella prima metà del XII secolo. Poco e nulla si conosce della sua vita, se non che svolgesse servizio liturgico nella cattedrale ambrosiana. Redasse l’opera succitata dopo la morte dell’arcivescovo Olrico da Conte, occorsa il 28 maggio 1126. E’ ampiamente citato come fonte nelle Dissertazioni sopra le antichità italiane di Ludovico Antonio Muratori.
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