giovedì 7 maggio 2020

L'estensione dell'Epiclesi - The Rad Trad

Su New Liturgical Movement si è recentemente aperta una discussione (in risposta a un articolo di febbraio del NFTU) sulle visioni orientali e occidentali della consacrazione. Riportiamo la posizione in merito dell'amico Rad Trad, traducendola dal suo blog. L'analisi è del tutto condivisibile; ci permettiamo solo di ricordare che per i Padri, e così fino al tardo medioevo, non è mai stato importante identificare un momento preciso in cui avviene la consacrazione. Sin dai primissimi secoli si crede che la consacrazione, la mutazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, avvenga "in un batter d'occhio" (Babai di Nisibis, +628), ma senza mai avere l'interesse (e forse nemmeno la pretesa) d'identificare il momento preciso in cui questa avvenga. Solo molto tardi la teologia scolastica per l'occidente vorrà identificare nelle parole della Consacrazione, mentre una parte della teologia greca nell'epiclesi. E' tuttavia per i motivi detti che l'anafora consacratoria costituisce una struttura inseparabile, senza soluzione di continuità, dalla quale non è possibile togliere o modificare un pezzo senza apportare un grave danno all'intero rito eucaristico, e non solo un "contorno" di una sua parte. Altrimenti possiamo dire la "messa" palmariana, con le sole parole dell'Istituzione, e credere (illuderci) che su di noi in tal modo discenda la grazia...

Fonte.

La disquisizione del dott. Kwasniewski su come l'Oriente e l'Occidente si dividano circa la teologia di come e quando avvenga la consacrazione durante l'anafora, porta immediatamente a rammentare la saggia domanda di Kallistos Ware su tal materia: "Dove pensi di lasciare alcune delle parole?"

A parità di condizioni, ci sono forme brevi di tutti i Sacramenti, orientali e occidentali, per situazioni di emergenza, tranne che per l'Eucaristia e per l'Ordinazione. Questi debbono sempre essere celebrati nel contesto della Divina Liturgia o della Messa. Come tali, le preghiere aggiuntive creano il contesto e interpretano l'intenzione del Sacramento.

Sono abbastanza d'accordo con l'interpretazione del dott. Kwasniewski dei riferimenti patristici alle "parole del Signore" come significanti le parole dell'Istituzione che ci giungono nei riti eucaristici a oggi ricevuti. Nondimeno, non vedo perché le Parole dell'Istituzione debbano essere la sola forma accettabile di consacrazione. Le chiese di rito greco impiegano una formula per il Battesimo molto diversa, ancorché sempre trinitaria, rispetto all'attuale Chiesa Latina, che a sua volta utilizza una formula molto diversa rispetto a quanto facesse nell'ottavo secolo, come è mostrato nel Sacramentario Gelasiano, che dà il Credo degli Apostoli come formula del Battesimo.

San Nicola Cabasila, un laico e liturgista Greco del tardo medioevo, sosteneva la visione greca che l'epiclesi - l'invocazione del Santo Spirito - sia necessaria per l'Eucaristia, e si chiedeva se il Supplices te rogamus del Canone Romano fosse detta preghiera. Un amico ucraino ritiene che l'Unde et memores sia l'epiclesi latina.

Nella mia modesta opinione, questo interpreta la trama unica di una tradizione con i parametri di un'altra tradizione, in un modo che non funziona affatto. Lo Spirito Santo è menzionato molte volte nell'antica Messa Romana, e quasi mai nella nuova (ironicamente), ma mai direttamente nel Canone. Il "Santificatore" è invocato durante l'offertorio e dopo il congedo, e tuttavia il Sacrificio Eucaristico e indirizzato al Padre attraverso il Figlio. Il Canone ha un'affascinante struttura a chiasmo che richiede attenzione, ma è sufficiente dire che l'anafora Romana è principalmente interessata alla supplica, alla presentazione del Sacrificio, alla preghiera per i vivi e per i morti, e ad assicurarsi che il Sacrificio sia benignamente ricevuto; tutto ciò riflette una teologia del Tempio dell'Antico Testamento, illuminata dal Sacrificio della Croce. Si può ragionevolmente osar dire che queste preghiere del Canone Romano siano precedenti al campo teologico della pneumatologia.

Le Chiese Orientali, tutte e non solo quelle greche, includono un'epiclesi nelle loro anafore.  Mentre i teologi greci generalmente attribuiscono una grande importanza a questo momento nel loro rito, diventa un po' difficile usare altre tradizioni orientali per supportare questo punto. L'epiclesi nella Liturgia di S. Giovanni Crisostomo è di una natura "catabatica": "Invia il Tuo Santo Spirito su di noi e su questi doni qui offerti, e rendi questo pane il prezioso Corpo del Tuo Cristo + e rendi quanto è in questo calice il prezioso Sangue del Tuo Cristo + mutandoli per mezzo del Tuo Santo Spirito".
La Liturgia di S. Basilio il Grande, un tempo usata per la maggior parte delle domeniche dell'anno bizantino e ora principalmente in Quaresima, chiede la stessa cosa, essendo però "rivela" anziché "rendi" il verbo operativo [il sermo operatorius di ambrosiana memoria, ndt].

L'anafora di S. Cirillo nella tradizione alessandrina ha due preghiere di epiclesi, una prima della narrazione dell'Istituzione e una più familiare (ai non Copti) dopo. Forse la domanda più ovvia viene dall'anafora di Addai e Mari, una preghiera della Chiesa d'Oriente. Essa non contiene la narrazione dell'Istituzione, ma possiede un'epiclesi nel senso di un'invocazione del Santo Spirito, ma non chiede al Paraclito di compiere l'azione di mutamento, come nei riti bizantino, copto, armeno ed etiope:
"E lascia che venga il tuo Santo Spirito, o mio Signore, e che riposi sopra questa offerta dei tuoi servi, e la benedica e la santifichi, e questo possa essere per noi, o mio Signore, in remissione dei peccati e in perdono delle mancanze, e per la grande speranza della risurrezione della morte, e per la vita nuova nel regno dei cieli con tutti quelli che sono stati graditi ai tuoi occhi".

Con che estensione può applicarsi l'epiclesi alla teologia liturgica? Con l'estensione che un rito possiede come propria.

Il momento della Consacrazione in una Divina Liturgia
celebrata dal Patriarca di Mosca e di Tutte le Russie Kirill

22 commenti:

  1. ho avuto una recente discussione sull'argomento, e mi permetto di fare qualche osservazione:

    - ok, tanti Padri citano le parole del Signore come veramente efficaci per la conversione dei doni, ma a mio avviso spesso le estrapolano dal contesto:
    a) stanno introducendo i catecumeni al Sacramento, e usano le Parole come argomento forte per la fede nella Reale Presenza; dopo passano a illustrare il rito, mettendo le parole nel loro contesto, ovvero la preghiera eucaristica e i riti di frazione e comunione. anche sant'Ambrogio usa questo approccio didattico: prima parte a ribadire l'assoluta efficacia della parole di Cristo pronunciate dal sacerdote, ma poi domanda ai catecumeni 'Con quali parole celesti il sacerdote consacra?' e inizia a citare una versione arcaica del Canone
    b) fanno un parallelismo tra le parole di Cristo nell'ultima cena e la parole di Dio nella Genesi: come in principio diede ordine alla terra di germinare fiori ed erbe e alla razza umana di moltiplicarsi attraverso però la mediazione rispettivamente della pioggia e dei genitori, così Cristo nel Cenacolo ha consacrato e reso valida ogni Eucarestia, tramite però il ministero e la preghiera del sacerdote. a mio avviso anche il noto passo dell'Omelia del Crisostomo sul tradimento di Giuda dovrebbe essere letta in questo contesto

    - sinceramente tutta questa preoccupazione di molti tradizionalisti verso la Consacrazione come se nel nuovo rito fosse particolarmente sminuita a mio avviso è priva di senso: la gran parte dei sacerdoti ci dedica notevole attenzione e cambia anche tono di voca, grazie alla combo coram populo + elevazione (cosa priva di senso, perchè l'elevazione era nata appunto per far vedere l'Ostia in quel momento visto che nel coram Deo non la poteva vedere) il popolo ci presta molta attenzione, che però non viene data nè al resto delle preghiera eucaristica nè al resto dei riti della liturgia dei fedeli; situazione non tanto diversa rispetto ad alcuni decenni fa

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    1. Come ho detto più volte, il nuovo rito (e la riforma liturgica in generale, di cui esso è il culmine) è frutto di un gioco razionalista di uomini privi di rispetto nei confronti della Tradizione. Per secoli nel mondo cattolico si è continuato a celebrare una liturgia ereditata dai Padri e costruita sui principi apostolici; anche laddove si fossero diffuse opinioni teologiche contrarie alla prassi patristica, non si osò toccare il rito per la sua veneranda antichità e apostolicità, al massimo si provò a darne una lettura differente. I novatori invece vollero adattare il rito alla rilettura teologica e alla nuova mentalità, producendo l'obbrobrio ben noto. Un esempio palese di adattamento del rito alla mentalità nelle riforme pre-tridentine: l'abolizione del calice ai Presantificati del venerdì. Una consacrazione "ex immixtione", testimoniata in moltissimi riti e segno di una teologia eucaristica molto antica, era di scandalo alla mentalità dei novatori, che pertanto non esitarono a stralciarla.

      La consacrazione nel rito nuovo non è sminuita nella sua essenza (si parla dell'abolizione di una genuflessione, ma in molti messali pre-tridentini addirittura il celebrante faceva solo inchini!), ma ne è distrutto il contesto, e con ciò la sua ortodossia.

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  2. Come sempre articolo molto interessante. Da inesperto mi chiedo: se nel nuovo rito viene distrutto il contesto in cui si inserisce la consacrazione, quanto questa potra' ancora avvenire se distruggendo il contesto su distrugge la sua ortodossia?
    Altra domanda: se gli orientali pregano l' epiclesi dopo aver pronunziato le parole dell' istituzione, vuol dire che non le considerano il momento della consacrazione mentre in certi video si vede il patriarca di mosca che si prostra a terra davanti alle sacre specie dopo aver detto l' epiclesi, segno che dopo questo si considera avvenuta la transustanziazione?

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    1. Quanta grazia si effonda nei riti riformati, non sta a noi né a nessun altro stabilirlo. Dal XVIII secolo negli ambienti athoniti si diffonde una tesi per cui un Sacramento, pur teoricamente compiuto, in un contesto teologico, rituale o ecclesiologico non ortodosso, sia inefficace (cioè non trasmetta la grazia). Questa tesi, come si vede, è opposta rispetto a quella latina della validità "ex opere operato". A mio avviso è sempre importante considerare l'efficacia del Sacramento oltre alla sua validità, all'edificazione spirituale e al contributo verso la theosis che ne riceviamo.

      Come detto, la teologia greca tardomedievale vede nell'epiclesi il momento della consacrazione, diversamente da quella latina. Può farlo perché le liturgie bizantine hanno un'epiclesi, cosa che la liturgia latina non ha (almeno, non una vera e propria). La teologia latina vede il momento nella consacrazione nelle parole dell'istituzione, che il Canone Romano ha, mentre l'anafora di Addai e Mari non ha. Genuflessioni e prostrazioni sono elementi meno indicativi per capire il concetto rituale, sono spesso aggiunte tardive. Più significativo il fatto che, anche dopo l'epiclesi/istituzione, tanto nell'anafora del Crisostomo quando nel Canone Romano, il celebrante continui a benedire le offerte con molteplici segni di croce.

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    2. Ricordiamo anche che, per pia consuetudine, tutti si prostrano durante il Grande Ingresso (offertorio) della liturgia bizantina, e i doni vengono accompagnati in processione da un'incensazione continua come nelle processioni latine col Sacramento, ma non sono stati ancora mutati nel Corpo e il Sangue di Cristo. Eppure, per anticipazione vengono loro riservati molteplici onori, che si spiegano con il fatto che quei santi doni offerti, in un dato momento, diverranno il Corpo e il Sangue di Cristo.
      Dunque, ancora una volta, prostrazioni e riverenze sono meno indicativi di altro; le genuflessioni all'Istituzione sono state universalmente diffuse solo col messale tridentino, prima, anche nell'uso di Roma, era consuetudine il solo inchino. Le elevazioni non compaiono prima del XII secolo. Lo stesso ordine consequenziale di parole-azioni viene mutato addirittura in età post-tridentina!

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    3. Grazie per le precisazioni. Mi scuso per le mie considerazioni forse superficiali. Leggevo, non ricordo da quale fonte, che nella messa tradizionale romana puo' considerarsi come epiclesi il "Veni Sanctificator" nel contesto dell' offertorio. Puo' essere una affermazione accettabile? Circa i molteplici segni di croce che il celebrante traccia sulle specie: che significato hanno? Apparentemente sembra che il sacerdote benedica, ma come lei dice dopo la consacrazione non sembra esserci necessita' di tali "benedizioni" se la trasformazione delle specie in carne e sangue di Cristo e' gia' avvenuta.

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    4. Ritenere il "Veni Santificator" un'epiclesi non può essere corretto (intendendo epiclesi nel senso bizantino), perché non si trova nel canone. Ritengo molto poco sensato voler a tutti i costi identificare un'epiclesi nel Canone Romano, così come aggiungerla una volta stabilito che mancasse. Così come sarebbe insensato aggiungere le parole dell'istituzione all'anafora di Addai e Mari.

      Circa i segni di croce, alcuni liturgisti tridentini argomentano che si tratti di "commendazioni" e non di "benedizioni", argomentazione che lascia il tempo che trova e non ha solide basi. Secondo me sono traccia di una mentalità patristica per cui tutta l'anafora è consacratoria, o meglio, non è possibile identificare con precisione il momento dell'anafora in cui avviene il mutamento. La teologia scolastica e quella mediobizantina identificano dei momenti precisi, anche legittimamente, ma non si può argomentare che i Padri la pensassero allo stesso modo. E questi segni di croce ne sono una testimonianza. Sicuramente, per la mentalità patristica che ha composto il Canone Romano, la consacrazione è certamente compiuta (non necessariamente in quel preciso momento, ma sicuramente entro quel preciso momento) quando s'inizia a tracciare segni di croce con l'ostia e non più con la nuda mano.

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    5. Grazie ancora. Dunque i molteplici segni di croce sono usanza molto antica mentre inchinibe genuflessione sono entrati tardivamente nel rituale? Forse per sottolineare la presenza reale? Come per l' elevazione?

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    6. il Canone e le anafore siro-occidentali hanno delle concezioni diverse della Consacrazione: il primo chiede a Dio di transustanziare i doni accettandoli e gradendoli (una cosa che viene ritenuta da Dio come 'giusta e gradita' non è forse santificata?), le altre gli chiedono di farlo mandando il suo Spirito. sono due modi di pensare diversi, ma entrambi legittimi

      noi siamo abituati a pensare che le varie forme liturgiche si evolvano da una supposta 'liturgia apostolica' uniforme, ma in realtà già nel I secondo secolo c'era già una situazione poliforme: la liturgia cristiana è figlia diretta della liturgia ebraica, di cui esistevano molte forme (templare, sinagogale, domestica etc), e quindi i cristiani hanno ereditato queste forme di preghiera (infondendole di nuovi temi) e le differenze cultuali sono rimaste, anche se poi i contatti tra le varie chiese hanno prodotto una certa uniformità (per esempio l'uso in tutte le anafore del Sanctus)

      quindi differenze anche ampie tra varie liturgie non devono stupire

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    7. Il Sanctus, tra l'altro, entra nella liturgia romana molto tardi, solo in età gregoriana.
      Piuttosto che di 'liturgia apostolica' (che secondo certi "liturgisti" tradizionalisti sarebbe la liturgia romana, poveri noi...) infatti io preferisco parlare di 'tradizione apostolica' o 'principi apostolici' come un corpus di principi liturgici fondamentali (per citarne uno: la segregazione tra santuario e aula) che vengono poi rielaborati in varie forme, anche a seconda delle differenti culture che le recepivano.

      Per quanto riguarda le genuflessioni, faccio un post apposito nei prossimi giorni!

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    8. Ancora grazie molte. Sono cosi' tanti gli spunti di riflessione che uno starebbe a chiedere lumi in continuazione ma non voglio abusare della sua pazienza. Mi sono interessato per i miei studi artistici anche sulla faccenda della separazione tra navata e presbiterio e delle origini dell' uso presso di noi latini delle immagini dietro l' altare. E pure questo e' un argomento molto interessante, ma non voglio esagerare con la carne al fuoco. Ancora molte grazie.

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  3. Caro Unam Sanctam, cari lettori, inanzitutto Buona Pasqua a tutti! So che arrivo in ritardo (come di solito), ma fino alla Pentecoste siamo ancora in Pasqua...

    L’argomento è affascinante, ma la discussione viene per lo più portata su termini sbagliati – sprattutto quando si vule fare apologetica con i testi liturgici. Se mi si permette presentare qui la mia posizione, devo dire che oggi concordo sostanzialmente con l’argomentazione di Unam Sanctam: non è possibile precisare un “momento della consacrazione” alla maniera in cui questo viene fatto dalla teologia scolastica latina, e la posizione riduttrice che troppo spesso si riscontra in entrambi i lati del dibattito non fa che tradire la comprensione dei Padri.

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  4. Sul dibattito parole-epiclesi scrissi qualcosa tre anni fa (un commento che doveva essere pubblicato su Chiesa e postconcilio, venne là però censurato e che P. Chiaranz mi permesse gentilmente d’inserire nella sezione dei commenti di uno dei suoi scritti); fatta sopra la precisazione sul momento consacratorio, mantengo sostanzialmente quanto dicevo allora:
    http://traditioliturgica.blogspot.com/2017/03/la-consacrazione-delleucarestia.html

    A mio avviso la differeza fra le epiclesi orientali (e spagnole!, si veda sotto) e la sequenza romana Quam oblationem-supra quæ-supplices non è essenziale, rappresentando entrambe un’ “epiclesi” (intesa in senso lato, non pneumatologico). Poi nelle anafore “alessandrine” (di dinamica epicletica, nella terminologia di Giraudo) le parole dell’istituzione sono interpolate in questa sezione; nelle altre si trovano prima. Ma il carattere “consacratorio” (più precisamente: di esplicitazione della consacrazione, poiché il momento di questa non è misurabile) di entrambi i riti è, a mio avviso, identico.

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  5. Quest’identità (al meno funzionale) si riscontra pure nella liturgia spagnola, che contiene sia epiclesi non pneumatologiche che pneumatologiche. (Tutte le messe spagnole [e quelle gallicane] hanno un’epiclesi dopo le parole del Signore, unite – a volte mescolate – all’anamnesi nel pezzo chiamato post pridie [post mysterium nella Gallia].) Farò un paio di esempi:

    Postpridie del Sabbato Santo (LMS 606 – epiclesi non pneumatologica):
    Habentes ante oculos, omnipotens Pater sancte, tantæ Passionis triumphos, suppliciter oramus, ut Pascha hoc quod Dominus noster Ihesus Christus Filius tuus hostiam uiuam constituat atque compleuit fiat nobis in protectione salutis et uitæ : ut sanctificatus in solemnitatibus populus altaribus tuis oblationis suæ munera placitura consignet fiatque nobis Eucharistia pura atque legitima* in nomine Vnigeniti tui : ut eum nostris fuerit recepta pectoribus, fidem nutriat, mentem sanctificet atque confirmet.

    * L’espressione “Eucharistia legitima” compare (non saprei dare la citazione precisa) negli scritti di san Cipriano, per cui si presume una grande antichità di questa epiclesi.

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  6. Postpridie feriale (LMS 1128 – epiclesi pneumatologica):
    Vitam nostram Domine Vingeniti tui mortem uotiua confessione promerentes, in Resurrectionem eius et Ascensionem in cælis fide indubitata fatemur, uenturum quoque rursum ac pro meritis singulos iudicaturum, ratu licet trepidi sed tua freti misericordia præstolamus. Ob hoc ergo quæsumus famulantes ut oblationem hanc Spiritus tui sancti permixtione sanctifices et corporis ac sanguinis Filii tui Domini nostri plena transfiguratione conformes, ut hostia qua nos redemptos esse meminimus mundari a sordibus facinorum mereamur nec nos transfixos uulnere a tua reprobes curatione : medicus enim es, ægri sumus : misericors es, nos miseri. Ergo quia tibi nostra non abscondimus uulnera per ista quibus placaris sana nos sacrificia.

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  7. Probabilmente più tarde compaiono epiclesi “aberranti” (non è certo il termine migliore), in cui lo Spirito consacra i doni da solo (e.g. Postpridie della Veglia della Pentecoste, LMS 780):
    Spiritus sancte qui a Patre et Filio procedis*, hiis propitius illabere holocaustis : quo qui a Patre es promissus sanctificationem humanis cordibus exhibeas presentatus repleasque sponsionis mercede quos te promissum inspicis exspectare.

    * Questo è uno dei filioquismi che compaiono qua e là e di cui parlavo qualche settimana fa. Nonostante non sono sicuro di come deva interpretarsi la doppia processione in questo contesto.

    Spero che questi esempi tratti dalla Spagna contribuiscano al dibattito in qualche misura. In uno dei commenti allo scritto di Kwasniewski un’utente diceva “ho molti dubbi che la tradizione spagnola avesse un’epiclesi...” La gente parla troppo senza sapere...

    [LMS = Férotin, Le liber mozarabicus sacramentorum (Parigi 1904). Accessibile su archive.org]

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    1. esiste qualche testo scientifico che provi ad analizzare dal punto di vista strutturale almeno una parte consistente delle anafore gallicano-ispaniche? il noto 'le liturgie oublièe' lo fa?
      Giraudo nel suo 'in unum corpus' analizza brevemente una preghiera eucaristica ispanica (e riconosce che la gran parte di esse rientrano male nella sua schematizzazione), e se non mi ricordo male in un suo testo il discusso Mazza discute varie anafore e confractorium di questa tradizione

      poi andrebbe discussa meglio la relazione tra le anafore di questa tradizione e il Canone nelle sue varie recensioni, soprattutto considerando il parallelismo tra vari testi, come per esempio quello tra il post-pridie della feria seconda dopo Pasqua e l'anamnesi ed epiclesi del Canone. o il fatto che nei Canoni ambrosiano del Giovedì e del Sabato Santo vi siano delle parti di origine gallicana

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    2. Caro gsimy,

      non ho letto La liturgie oubliée, quindi non so cosa vi si dice, ma lo stesso autore (Matthieu Smyth) scrisse nel 2007 un’altro libro, molto più conciso (Ante altaria), in cui descriveva l’ordo missae delle antiche liturgie gallicane (ivi compresa quella spagnola), e dedica una decina di pagine alla preghiera eucaristica. Non ho ora il libro presso di me, ma citando a memoria posso dire che offre un’analisi non molto dissimile di quanto segue:

      1. Dialogo introduttorio.
      2. Contestatio (in Francia), oppure illatio (in Spagna), variabile (equivalente alla prefazione romana), che comprende:
      dignum et iustum + narrazione dei mirabilia Dei + invio del Figlio ed opera salvifica di questo + riferimento ai cori angelici
      3. Sanctus.
      4. Post sanctus, variabile, che riprende o continua i temi della illatio (non molto dissimile al Μετὰ τούτων καὶ ἡμεῖς dell’anafora crisostomiana).
      5. Narrazione della Cena.
      6. Post mysterium (in Francia), oppure post pridie (in Spagna), variabile, che comprende:
      anamnesi + epiclesi (pneumatologica o no)
      7. Dossologia.

      Lo stesso Smyth a pubblicato numerosi articoli su dettagli particolari della struttura di queste anafore, reperibili tutti su internet. Uno studio più complessivo, e che mete l’accento sulla tradizione gallicana vera e propria, è “Anámnesis y epíclesis en el antiguo rito galicano”, di Jordi Pinell (Didaskalia 4 (1974), pp. 3-130), anch’esso accessibile e scaricabile. Se vuole approfondire sull’argomento, La raccomandarei di cominciare da qui.

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    3. Sul parere di Giraudo posso dire soltanto che include un’anafora spagnola e un’altra gallicana nel suo libro La struttura letteraria della preghiera eucaristica (1981), pp. 306-310, classificando entrambe come “anamnetiche”, ma senza soffermarsi oltre. Non conoscevo lo studio da Lei citato, ma posso supporre che le difficoltà per trovare uno schema coerente nell’eucologia ispana si deriva in non poca misura dalla molteplicità di formulari, di cui alcuni trascurano i temi propri alla preghiera eucaristica, focalizzandosi invece su una festa particolare.

      Le “interferenze” romane nelle altre anafore sono interessanti, sebbene dicano di più della storia del canone di su quella di questi altri testi. Giraudo ne analizza un esempio nel libro sopra citato, pp. 350-353. Per quanto riguarda il rito ambrosiano, credo che le anafore del Giovedì e Sabbato Santo vengono ritenute “soppravvivenze” dell’antica anafora non romana, ma non so pressoché nulla su questo punto. Sembra comunque che verso la fine della Tarda Antichità l’eucologia romana cominciò ad influire decisivamente sulle altre, prima di sopprimerle.

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  8. E per finire e non appesantire di più questa sezione.
    Le osservazioni dell’utente Gmysi sono, come al solito, molto pertinenti. Le citazioni dei Padri devono essere sempre contestualizate, ciò che troppo spesso non accade. Si pensi che ad esempio sant’Ambrogio parla delle parole del Signore come consecratorie, ma cita l’intera epiclesi romana (secondo la mia comprensione, si veda sopra), non semplicemente “questo è il mio corpo ecc.” Poi la variabilità della liturgia nei primi secoli e dopo è pure troppo spesso dimenticata. Per questo tentare di incastrare i testi piu antichi in categorie medioevali o addirittura tridentine è inaccettabile.

    L’osservazione di Unam Sanctam sui segni della croce nel canone è molto acuta, e ci fornisce un’ulteriore perspettiva sull’antiliturgismo dei riformatori novecentesci. Nel neo-canone e nelle nuove anafore c’è un solo segno, prima delle “parole di consacrazione”. È interessante di vedere come in novatores, seppur affermando voler andare oltre Trento e la scolastica, finirono per consolidare l’opinione del carattere “inaccettabile” dei segni della croce dopo la consacrazione.

    Mi vengono in mente commenti da fare sulle affermazioni del Kwasniewski, ma sarebbe già troppo. Grazie per la vostra pazienza.

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  9. Ringrazio pure di questi commenti molto profondi. Mi permetto di intervenire in base alla mia piccola comprensione di questi temi molto affascinanti per cercare di comprendere un po' meglio certi concetti e se mi e' possibile, tentare di dare una spiegazione a certe stranezze che si incontrano troppo spesso nella odierna prassi liturgica. Ovviamente non avendo scienza potrei fare domande superficiali, banali o persino stupide. Ma vedo che il signor Unam Sanctam ha pazienza di dare spiegazioni anche a chi non ha conoscenze specifiche. Per questo lo ringrazio come pure gli altri lettori autori dei commenti.

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    1. Caro unknown,
      le sue domande non sono superficiali, anzi! Un problema assai grosso che si trova nel mondo cattolico, sia tradizionalista o no, è l’ignoranza della tradizione liturgica, che poi ne diviene instrumentalizzazione. Nemmeno io sono un grande conoscitore, ho soltanto letto qualcosa. Ma da qualche parte si deve cominciare, e se fra noi, che amiamo la Tradizione, non ci aiutiamo, allora che ci stiamo a fare?
      A dir vero sono io chi dovrebbe chiedere scusi a Unam Sanctam e gli altri per ogni volta che “inondo” la sezione dei commenti.

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