martedì 31 luglio 2018

XLVI Convegno di "Instaurare" il 23 agosto


Giovedì 23 agosto 2018
Santuario di Madonna di Strada, Fanna (PN)
Il ‘68: la Chiesa e la società civile di fronte e dopo la “Contestazione”

Programma
ore 9,00 - Arrivo dei partecipanti 
ore 9,15   -  Celebrazione della santa Messa in rito romano antico e canto del «Veni Creator»
ore 10,45 -  Apertura dei lavori. Saluto di Instaurare ai partecipanti. Introduzione ai lavori.
ore 11,00 -   Prima relazione: «Politica e diritto dopo il ‘68» del prof. Miguel AYUSO, Presidente dell’Unione Internazionale Giuristi Cattolici.
ore 12,00 - Interventi e dibattito.
ore 13,00   -  Pranzo.
Ore 15,30 -  Ripresa dei lavori. Seconda relazione: «”Contestazione”, Chiesa e cristianità» del prof. Daniele MATTIUSSI, cultore di Etica sociale e di Filosofia del diritto.
ore 16,30 -  Interventi e dibattito.
Ore 17,00 -   Chiusura dei lavori.

Avvertenze

Il convegno è aperto a tutti gli «Amici di Instaurare». Non è prevista alcuna quota d’iscrizione. I partecipanti avranno a loro carico solamente le spese di viaggio e quelle del pranzo che sarà consumato al Ristorante «Al Giardino» di Fanna a prezzo convenzionato. Si prega, a questo proposito, di dare la propria adesione scrivendo all’indirizzo di posta elettronica: instaurare@instaurare.org entro il giorno 14 agosto 2017. L’adesione è necessaria al fine di favorire l’organizzazione.
Non è permessa la distribuzione di alcuna pubblicazione né la registrazione dei lavori del convegno senza la preventiva autorizzazione della Direzione del convegno.
I giornalisti devono essere accreditati. A tal fine essi debbono scrivere al seguente indirizzo di posta elettronica: instaurare@instaurare.org
Il santuario di Madonna di Strada è facilmente raggiungibile con propri mezzi: si trova sulla strada che da Spilimbergo porta a Maniago, pochi chilometri prima di quest’ultimo centro. Chi si servisse dell’autostrada deve uscire dalla stessa a Portogruaro, prendere la direzione di Pordenone e proseguire (senza uscire dall’autostrada a Pordenone) fino a Sequals. A Sequals girare a sinistra in direzione di Maniago e proseguire per una decina di chilometri: sulla sinistra, come indicato dai cartelli stradali, si trova il santuario di Madonna di Strada.
Al fine di favorire l’organizzazione del convegno è gradita la segnalazione della propria partecipazione anche da parte di chi non partecipasse all’incontro conviviale.
Per comunicazioni e informazioni si prega di scrivere al citato indirizzo di posta elettronica: instaurare@instaurare.org 

Breve nota introduttiva

La “Contestazione” del ’68 è stata definita rivoluzione anonima o senza volto (E. Morin), rivoluzione dei desideri ovvero della libertà contro il Vangelo e contro i “Vangeli”, rivoluzione sessuale (W. Reich), rivoluzione dei sorrisi (F. de Alvarado), rivoluzione necessaria (N. Simeone) anche se non è dato sapere se essa fu necessaria perché ineludibile sulla base di talune premesse o se fu necessaria semplicemente perché ritenuta opportuna. La pluralità delle definizioni evidenzia, da una parte, una difficoltà [vale a dire è reso difficile – anche per la sua apparente negatività (la rivolta contro l’autorità, contro ogni autorità, in sistemi differenti) – il compito di individuare il minimo comune denominatore dei fenomeni sociali di cinquanta anni fa e quello di cogliere la loro essenza] e, dall’altra, (la pluralità delle definizioni) sembra esser una insignificante rassegna di nomi sotto i quali si nasconde una realtà: quella di una progressiva avanzata della Rivoluzione che ha inaugurato la Modernità e l’ha accompagnata nel graduale dispiegamento delle sue opzioni di fondo, svelandola piano piano. La “Contestazione” non è stata una crisi di crescita, come taluni politici dell’epoca credettero, indotti in questa erronea “lettura” da intellettuali che videro in essa un’apertura al dibattito oppure la necessaria conseguenza dell’occidentale società industriale (H. Marcuse), la quale avrebbe attenuato tutti i problemi (R. Aron). No. La “Contestazione” è stata preparata dall’ideologia liberale e sostenuta dal comunismo libertario. In essa trovano il loro atto di nascita le ideologie nichilistiche della seconda metà del secolo XX: dal femminismo al movimento omosessuale ma anche il trionfo della società dei consumi (utilizzata per combattere il comunismo). Essa segnò una “rottura” con le vecchie ideologie di destra e di sinistra, le quali attingevano alle stesse radici della “Contestazione”. Essa segnò un’evoluzione che preparò nella mentalità e nei costumi il tempo presente. Per questo è opportuno riflettere su questo evento rivoluzionario: senza una sua adeguata comprensione non si capirebbe la stagione del radicalismo avanzato del nostro tempo, la destabilizzazione della famiglia naturale, la trasformazione delle istituzioni politiche, l’uso antiguridico del diritto e via dicendo. Non si capirebbe nemmeno la situazione in cui versa la cosiddetta cultura cattolica contemporanea. Il convegno intende portare (e porterà) un originale contributo per la “lettura” di un evento che ha segnato il nostro tempo e tuttora continua a caratterizzarlo.

sabato 28 luglio 2018

Note sui falsi pastori e sulla validità della liturgia

Non l'ho fatto per oltre un anno, ritenendo che certe chiacchiere clericali impazzite fossero destinate a svanire nel nulla, e forse sopravvalutando una parte dei tradizionalisti cattolici, gente che pare seguire acriticamente chiunque si metta a urlare e inveire contro la gerarchia modernista che occupa i palazzi romani (dimostrando non solo poca attenzione al contenuto del messaggio di chi si segue, ma financo un certo gusto per la polemica, con uno stile che si adatta a tribune politiche, piuttosto che a un ambiente ecclesiale). La recente centralità assunta dalla faccenda mi spinge tuttavia a scrivere finalmente qualche mia considerazione sull'operato di don Minutella.

Fin da quando comparve sulla scena, come una meteora in mezzo al cielo, questo sacerdote palermitano che si mette a dire "eretico" a Bergoglio, dice di avere un contatto diretto con la Madonna e predica in modo infuocato sostenendo di essere l'ultimo baluardo della fede cattolica, misi in guardia qualche parrocchiano dal seguire questi personaggi. Non diedi troppa importanza alla cosa, proprio perché sembrava un fenomeno talmente assurdo e sconclusionato da doversi estinguere in una bolla di sapone, non diversamente da molti pseudo-veggenti o qualche conclavista americano. Ora si rende però necessario chiarire alcuni punti che dimostrano l'assoluta inaffidabilità del don Minutella, sia quanto al modo in cui egli esercita il suo ministero (che non gli licerebbe più di esercitare), sia quanto ai contenuti del suo sistema ideologico (sì, in fondo di ideologia si tratta!)

Già le premesse del discorso sono preoccupanti: andiamo dal clericalismo più becero mischiato a pericolose devianze carismatiche, condite con falso misticismo, false veggenze (ho giustappunto letto, e ho intenzione di rilanciare, uno scritto sul rivelazionismo), settarismo e scisma. A questo si aggiunge un atteggiamento assai poco costruttivo cristianamente, tipico nondimeno di questi fenomeni rivelazionisti, ossia la voglia di avere pubblicità. Unendo questa tendenza alla vis polemica esagerata di certo mondo tradizionalista, ecco che proliferano i video di Radio Domina Nostra, ed ecco pellegrinaggi che appaiono sfide all'autorità ecclesiale piuttosto che momenti di vita religiosa,  tant'è che non mi risulta di svolgano in chiese o santuari, né che al centro di questi "pellegrinaggi" ci sia la lode a Dio (se c'è qualche preghiera, è solo usata in modo strumentale) ma piuttosto la contestazione fine a se stessa. Lo dico a voce alta e lo ripeterò più volte: al centro di tutto ciò c'è l'uomo, non Dio. Questa non è Religione,  è antropocentrismo (per non dire egocentrismo)!

Infine, vediamo le debolezze logiche e teologiche della predicazione di don Minutella. Non sarà un discorso troppo complesso inizialmente, proprio come non teologicamente complesso è lo stile di don Minutella, che come in ogni discorso teso a colpire nella psiche piuttosto che formare l'anima,  il cuore o l'intelletto, si serve essenzialmente di slogan, per di più triti. Mi soffermerò solo sulla questione della validità, perché è di estrema importanza.
Anzitutto, egli è in nessun senso, nemmeno nel più comune, definibile tradizionalista. Un tradizionalista che cita massivamente il Concilio Vaticano II, che celebra la liturgia moderna e anzi la usa come palco per i propri show politici, che fonda tutto il suo sistema su un Papa, preso suo malgrado come un idolo, che seppur conservatore tanto tradizionalista non fu, questi, anche se porta una bella talare nera e un tricorno, non è un tradizionalista. La sua contestazione, come detto, è nei riguardi di un Papa che è espressione veramente sensazionale di un problema radicale della Chiesa, ma tale contestazione ignora o rifiuta di criticare (e soprattutto di proporre rimedi che non siamo tranchant, ma meditati e posati) le radici, o almeno il tronco, del problema: gli incontri ecumenici di Wojtiła sono dimenticati? La distruzione sistematica della Tradizione operata da Montini? Le smanie liberali di Luciani? Il compromesso col mondo di Roncalli? E parlo solo dei problemi riconosciuti da tutti i tradizionalisti, non addentrandomi nella crisi precedente della Chiesa latina, cui ho più volte accennato. A chiunque la pensi così: la crisi non inizia nel 2013! O esiste da ben prima, o non esistite in toto!

Veniamo infine alla spinosissima questione della validità, o meglio, dell' "una cum". Sembra una storia vecchia, che rimanda a quei gruppi o singoli  sedevacantisti, ma il modo in cui viene trattato dai simpatizzanti di don Minutella (e che ha contagiato moltissimi tradizionalisti, anche personalmente da me conosciuti) è assolutamente privo di qualsiasi fondamento teologico, oltre che logico. I sedevacantisti almeno rifiutano di nominare alcun Papa, visto che non riconoscono nessun Vescovo di Roma dal 1958 e il buon Pacelli è da tempo morto; questi nuovi contestatori, che ritengono Bergoglio decaduto in quanto eretico, asseriscono che si dovrebbe celebrare una cum Benedicto. Ma Ratzinger fino a prova contraria si è dimesso, e nè l'eventuale (ribadisco, eventuale) decadenza per eresia del Pontefice, né una supposta e mai confermata costrizione all'atto rinunciatario nei confronti del Papa tedesco, sono argomenti logicamente, oltre che teologicamente, sostenibili per argomentare il fatto che egli sia ancora Vescovo di Roma. O la Sede è piena, o è vacante.

Ma ciò che ancor più gravemente è errato nella loro convinzione è che la Messa celebrata una cum Francisco sia invalida. Questa è una pura sciocchezza. Da sempre la Chiesa insegna che la validità non dipende certo dal celebrare in comunione con questo piuttosto che un altro Papa: sia che s'interna la consacrazione in modo pneumatico (ossia, per operazione dello Spirito Santo all'epiclesi) che scolastico (ossia, in virtù della potestas auctoritatis del celebrante che agisce in persona Christi e pronuncia la formula di consacrazione sopra la materia valida), la comunione con un dato vescovo, e nemmeno con la stessa Chiesa di Cristo, annulla la validità del Sacramento. Il ministro ordinato infatti non perde il potere sacerdotale, nemmeno se in scomunicato o personalmente eretico, figurarsi se semplicemente in comunione con un sospettato di eresia. Questo è il motivo per cui si trovano non solo Eucaristia, ma financo ordinazioni, nonché tutti gli altri Sacramenti validi, tanto nella Chiesa Cattolica, quanto in quella Ortodossa, nei sedevacantisti, nei nestoriani, etc. Il dire 'una cum Papa Benedicto' piuttosto che 'una cum Papa Francisco' piuttosto che 'una cum Patriarcha Bartholomæo' (peraltro conosco qualcuno che lo fa) o omettere del tutto il nome, non incide in alcun modo sulla validità, ma tutt'al più ricade sulla coscienza del celebrante.
In materia i sedevacantisti hanno posizioni piuttosto disparate, ma del resto il loro scisma, proprio come le fole di don Minutella, partono da una sovraconsiderazione del Papa, dal tenere il pontefice al centro del Mistero, anzichè Cristo, tanto da sottomettere psicologicamente alla comunione con un dato Papa la validità stessa, cioè la presenza di Dio, del Sacramento. Questo fenomeno, anche se dal verso opposto, è sostanzialmente paragonabile alla papolatria dei "cattolici" moderni nei confronti di Bergoglio (vedi QUI). Ricordo di aver letto da qualche parte che alcuni sedevacantisti traducono 'pro Ecclesia tua sancta catholica ... una cum Papa nostro N.' con 'per la vostra santa Chiesa cattolica ... una cosa sola con il nostro Papa N.': questo è un errore di latino, in quanto non solo non è la lettura immediata e più logica ('una cum' è locuzione per dire 'insieme', si consulti qualsivoglia dizionario), ma pare ingiustificabile pure come lectio difficilior. Per non parlare delle implicazioni: dire che la Chiesa è una cosa sola col Papa è far assurgere il Papa a essenza stessa della Chiesa. E Cristo?

Approfitto per fare una considerazione sulla necessità di assistere a liturgie valide e ortodosse. La liturgia, oltre che obbligo per via del terzo comandamento nonchè del primo precetto, è una necessità per la vita spirituale del cristiano. Vivere la fede senza liturgia è semplicemente impossibile, ma perchè si goda del frutto spirituale della liturgia, quest'ultima dev'essere valida e ortodossa: proprio per questo è assolutamente inutile (anche se da un punto di vista puramente legale soddisfa al precetto, ma il mero formalismo aiuta poco la vita religiosa) assistere alla liturgia riformata (novus ordo), perchè sarà de jure valida (altrimenti ci sarebbe un serio problema ecclesiologico, lo stesso in cui cade don Minutella quando negando validità alla messa cum Francisco in buona sostanza decreta la morte della Chiesa Cattolica; che poi de facto sia spesso invalidata dall'incredulità del ministro o da cose consimili, è altro affare), ma ortodossa (e cioè impostata su un impianto sano, tradizionale, e dunque giovevole allo spirito) non lo è di certo.

E qui in molti sorge un dilemma. Dove è possibile assistere a liturgie valide e ortodosse? Ebbene, come diceva un amico: da qualunque mano provenga, l'oro resta oro. La situazione canonica del celebrante - come dice don Curzio Nitoglia - riguarda la sua coscienza, non quella di chi assiste con l'intenzione di mantenere la vera Fede e al solo scopo della santificazione della propria anima (che avviene OVUNQUE ci sia grazia, ovvero una liturgia valida e ortodossa).

venerdì 27 luglio 2018

San Pantaleone, anargiro e martire


Ἐξέλαμψε σήμερον, ἡ σεβάσμιος μνήμη τοῦ Ἀναργύρου, τοὺς πιστοὺς συγκαλοῦσα πρὸς εὐωχίαν μυστικήν, καὶ πρὸς πανήγυριν ἑόρτιον ἄγουσα, τῶν φιλεόρτων τὰ συστήματα, Ἐπέστη γὰρ ἡμῖν θαυματουργὸς ἰατρός, τὰς νόσους πάντων ἰώμενος, Παντελεήμων ὁ στερρὸς ἀθλητής, καὶ πρεσβεύει ἐκτενῶς τῷ Κυρίῳ, εἰς τὸ σωθῆναι τὰς ψυχάς ἡμῶν.

(Dal Vespero di S. Pantaleone)

(Risplende oggi l’augusta memoria dell’anargiro, convocando i fedeli a un mistico banchetto e guidando le assemblee degli amici della festa a una solenne riunione festiva. È infatti presente tra noi, come medico taumaturgo che cura i mali di tutti, il forte atleta Pantaleone; e assiduamente intercede presso il Signore per la salvezza delle anime nostre)


***
Icona di S. Pantaleone, Monastero di S. Caterina sul Sinai

Il 27 luglio, celebriamo la memoria del santo e grande martire Pantaleone, in greco Pantaleimon (Πανταλεήμων), e del cieco che, guarito da lui, morì di spada.

Il santo e glorioso martire di Cristo Pantaleimon nacque a Nicomedia da un senatore pagano, Eustorgio, e da una cristiana, Eubalia, che gli diede il nome di Pantaleo. Affidato ad un illustre medico, Eufrosino, per la sua educazione, egli arrivò ben presto ad una perfetta conoscenza dell’arte medica, al punto che l’imperatore Massimiano avendo notato la sia qualità, progettava di prenderlo a palazzo come medico personale. Siccome il giovane passava quotidianamente avanti alla casa dove era nascosto San Ermolao (26 luglio nel rito greco; lo stesso 27 luglio nel calendario del Patriarcato delle Venezie), il santo prete, intuendo dalla sua andatura la qualità della sua anima, l’invitò un giorno ad entrare e si mise a spiegargli che la scienza medica non può procurare che un ben flebile sollievo alla nostra natura sofferente e soggetta alla morte, e che solo il Cristo, unico vero Medico, è venuto a portarci la Salute, senza rimedi e gratuitamente. Con il cuore esultante di gioia all’ascolto di queste parole, il giovane Pantaleo cominciò a frequentare regolarmente San Ermolao e fu istruito da lui nel grande Mistero della fede. Un giorno, di ritorno da Eufrosino, trovò sul cammino un bambino morto dopo essere stato morso da una vipera. Ritenendo che fosse venuto il momento di provare la veridicità delle promesse di Ermolao, invocò il Nome di Cristo e, subito il bambino si alzò e il rettile morì. Egli allora corse presso Ermolao e, pieno di gioia, chiese al più presto di ricevere il Santo Battesimo. Rimase successivamente vicino al santo anziano per gioire dei suoi insegnamenti ancora una settimana, ma rientrando a casa a suo padre adirato disse di essere rimasto a palazzo, occupato con la cura di un ammalato caro all’imperatore. Per tenere ancora segreta la notizia della sua conversione, egli non mostrava grande sollecitudine nel convincere Eustorgio sulla vanità del culto degli dei, finché non andò a casa sua un cieco che lo supplicò di guarirlo, avendo egli invano dilapidato tutti i suoi averi consultando numerosi altri medici. Confidando in Cristo, che dimorava ormai in lui fortemente, il giovane assicurò alla presenza di suo padre stupito, che lo avrebbe guarito per la grazia del suo Maestro. Egli segnò con il segno della croce gli occhi del cieco, invocando il Nome di Cristo, e subito l’uomo ritrovò l’uso della vista, non solamente quella degli occhi corporali, ma anche quella degli occhi spirituali e riconobbe che la potenza del Cristo lo aveva guarito.

Veronese, Conversione di S. Pantaleone, Chiesa di S. Pantalon (Venezia)

L’uomo fu successivamente battezzato da San Ermolao, in compagnia di Eustorgio, padre di Pantaleo che non tardò ad addormentarsi in pace. Alla more paterna il santo distribuì la sua eredità ai poveri, liberò i suoi schiavi, e si dedicò con uno zelo raddoppiato alla cura dei malati, ai quali non chiedeva altro come onorario, che di credere in Cristo, venuto sulla terra per guarire gli uomini da tutte le loro malattie, nel frattempo gli altri medici di Nicomedia cominciarono a nutrire nei confronti del santo sentimenti di gelosia e, poiché il cieco guarito era cristiano, torturato per ordine dell’imperatore, essi colsero l’occasione per denunciarlo a Massimiano. L’imperatore ascoltò con grande tristezza le accuse contro il suo protetto e fece convocare l’ex cieco chiedendogli spiegazioni circa il modo con cui Pantaleo gli aveva ridato la vista. Quando, allo stesso modo del cieco del Vangelo, l’uomo rispose che il santo medico lo aveva guarito invocando il Nome di cristo, e che questo miracolo gli aveva procurato la vera vista, quella della fede, furioso l’imperatore lo fece immediatamente decapitare e inviò i suoi uomini a cercare Pantaleo. Allorché il santo gli fu davanti, lo accusò di aver tradito la sua fiducia e cosa ancor più grave di recare offesa ad Esculapio ed alle altre divinità con la sia fede in Cristo, che altro non era se non un essere umano morto crocifisso. Il santo gli rispose che la fede e la pietà verso il vero Dio erano superiori a tutte le ricchezze e gli onori di questo mondo di vanità, e per avvalorare le sue parole propose a Massimiano di metterlo alla prova. Così fece portare a palazzo un paralitico, i sacerdoti pagani fecero in un primo tempo i loro incantesimi, accompagnati dalla burle del santo ma, non sortendo i loro sforzi effetto, Pantaleo alzò verso Dio la sua preghiera e prendendo il paralitico per mano, lo fece sollevare nel nome di Cristo. Numerosi pagani, vedendo l’uomo, esaltanti di gioia accorsero verso la verità, tanto che i sacerdoti pagani pressarono l’imperatore per mettere a morte il pericoloso rivale.
Quando Massimiano gli ricordò le torture inflitte qualche tempo prima a San Antimo, Pantaleo replicò che se un anziano aveva mostrato un tale coraggio, a più forte ragione, i giovani dovevano mostrarsi valorosi nella prova. Poiché né adulazioni né minacce riuscivano a convincerlo, il tiranno lo mandò alla tortura. Ordinato di attaccarlo ad un palo, pur lacerandogli i fianchi con punte di ferro, diressero poi delle torce infiammate sulle piaghe. Ma il Cristo apparve al santo martire sotto le spoglie di San Ermolao suo padre spirituale e gli disse: "Non temere niente, mio caro ragazzo, poiché io sono con te, e ti soccorrerò in tutto ciò che tu soffrirai per me". Immediatamente le torce si spensero e le pieghe del santo si trovarono guarite. Fu allora immerso nel piombo fuso e gettato in mare legato ad una pesante pietra, ma in tutte le prove, il Signore lo accompagnava, e lo lasciava indenne. Quando l’imperatore ordinò di darlo in pasto alle fiere, anche allora il Cristo lo protesse e le belve andarono ad accucciarsi ai suoi piedi leccandoglieli teneramente alla stregua di animali domestici. Restando per quanto lo riguardava, più selvaggio degli animali privi di ragione, il tiranno ordinò di legare il santo ad una ruota guarnita di lame affilate e facendo rotolare dall’alto alla presenza di tutta la città. Di nuovo il Signore intervenne miracolosamente: Egli liberò il fedele servitore dalle corde che lo legavano e la ruota travolse al suo passaggio un gran numero di infedeli. Quando Massimiano gli chiese da chi ottenesse questa potenza e come avesse fatto ad arrivare la fede cristiana, Pantaleo indicò dove si nascondeva Ermolao, poiché Dio gli aveva rivelato che il tempo era arrivato per lui ed il suo maestro, e di raggiungere la perfezione nel martirio. Dopo la gloriosa morte di San Ermolao e dei suoi compagni, il tiranno fece di nuovo chiamare Pantaleo, e, dicendo che i martiri si erano sottomessi tentò di convincerlo a sacrificare agli idoli, per tutta risposta il santo chiese di vederli. Quando il sovrano gli rispose che li aveva inviati in un’altra città, Pantaleo replicò: "Tu hai detto la verità malgrado tutto, e bugiardo, poiché essi sono già nella Gerusalemme celeste". Constatando che non poteva vincere la sua risoluzione, Massimiano ordinò allora di decapitare e gettare il suo corpo nel fuoco. Il santo andò con allegria sul luogo dell’esecuzione, fuori città, ma nel momento in cui il carnefice brandiva la sua spada, questa si fuse come la cera sotto l’azione del fuoco. Dinnanzi all’ennesimo miracolo, i soldati presenti confessarono il Nome di Cristo ma Pantaleo li esortò tuttavia a compiere il loro dovere ed elevò un ultima preghiera a Dio. Allora si udì una voce celeste dirgli: "Servitore fedele, il tuo desiderio deve essere immediatamente esaudito, le porte del cielo sono aperte, la tua corona è preparata e tu sarai d’ora in poi il rifugio dei disperati, il soccorso dei provati, il medico dei malati e il terrore dei demoni; è per questo che il tuo nome non sarà più Pantaleo ma Pantaleimon (che significa molto misericordioso)". Quando egli piegò la sua nuca e la sua testa cadde di spada, del latte colò dal suo collo, il corpo divenne bianco come la neve e l’olivo inaridito al quale era stato legato rinverdì improvvisamente donando frutti in abbondanza. I soldati a cui era stato dato l’ordina di dare fuoco alle spoglie del santo, lo diedero invece ai cristiani che lo seppellirono nelle proprietà di Amantio lo Scolastico, andando a proclamare la buona novella in altri luoghi. E da quel momento le reliquie di San Pantaleimon non cessano di procurare la guarigione e la grazia di Cristo, il solo vero Medico delle anime e dei corpi, a tutti coloro che si rivolgono con devozione.

***
Μητρὸς εὐσεβοῦς ἐπιποθήσας πίστιν, τοῦ πατρὸς διωρθώσω τὴν ἀσέβειαν· ταῖς γὰρ Ἑρμολάου στηριχθεὶς διδασκαλίαις, ἐν τούτῳ καὶ τὸ Βάπτισμα ἐτέλεσας, Παντελεῆμον Μάρτυς ἔνδοξε, τοῦ ἐλεήμονος Θεοῦ, τῶν νοσούντων θεραπευτά, καὶ τῶν παθῶν διώκτα. Πρέσβευε λυτρωθῆναι ἐκ περιστάσεως, τοὺς ἐν πίστει τελοῦντας, τὴν ἀεισέβαστον Μνήμην
σου.
(Dal Vespero di S. Pantaleone)

(Della tua pia madre avendo amato la fede, hai corretto l’empietà paterna; rafforzato dagl'insegnamenti di Ermolao, fosti da lui battezzato, Pandeleìmon, illustre martire del Dio misericordioso, che guarisce i malati e allontana i dolori. Intercedi perché siano liberati da ogni male i fedeli che celebrano la tua santa memoria)

La chiesa di S. Pantaleone a Venezia, ove si custodisce la reliquia del braccio del Santo.

Rilievo marmoreo raffigurante lo ieromartire S. Ermolao, fuori la chiesa di S. Simon Grando a Venezia, ove si custodiscono le ossa del Santo

mercoledì 25 luglio 2018

Είμαστε όλοι Έλληνες!


Είμαστε όλοι Έλληνες! Είμαστε κοντά στους Έλληνες αδελφούς, με προσευχή, με αγάπη και ενθάρρυνση! Αδελφοί θάρρος! Εκείνοι που αγαπούν τον Δυτικό Πολιτισμό βοηθούν την Αθήνα! Ελεύθερος Κύριος ο λαός σου! Μαρία Μητέρα του Θεού, όλοι είστε φιλελεύθεροι! Διασώστης και Φύλακας του Έλληνα Λαού Σοργί!
Η Δύναμη των Ιδεών δεν καταστρέφεται από τη φωτιά! Δεν μπορείτε να καταστρέψετε τον Πολιτισμό που μας έδωσε ο Λόγος και να αποδεχτείτε τον Θεϊκό Λόγο! Οι Εφιάλτες δεν έχουν μέλλον! Γίνετε Αθηναίος! Αυξήστε με τη χάρη του Ενσαρκωμένου Λόγου! Η Μαρία Θεοτόκος προστατεύει την Ελλάδα!
(Domenico Pennino)

(Noi siamo tutti Greci! Siamo vicini ai fratelli greci, con la preghiera, con l'affetto e l'incoraggiamento! Coraggio fratelli! Chi ama la Civiltà Occidentale soccorra Atene! Libera Signore il tuo Popolo! Maria Madre di Dio, tutta Santa liberali! Soccorritrice e  Custode del Popolo Greco Sorgi!
La Forza delle idee non è distrutta dal fuoco! Non si può distruggere la Civiltà che ci ha dato il Verbo ed ha accolto il Verbo Divino! Gli Efialte non hanno futuro! Sorgi Atene! Sorgi con la grazia del Verbo Incarnato! Maria Madre di Dio proteggi la Grecia!)

Σῶσον, Κύριε, τὸν λαόν σου, καὶ εὐλόγησον τὴν κληρονομίαν σου, νίκας τοῖς βασιλεῦσι, κατὰ βαρβάρων δωρούμενος, καὶ τὸ σὸν φυλάττων, διὰ τοῦ Σταυροῦ σου πολίτευμα.
(Tropario del Mattutino)

Salvate o Signore il vostro popolo, e benedite la vostra eredità, donate vittoria ai re contro i barbari, e custodite con la vostra Croce questo popolo che è vostro.
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Chiedo a tutti di pregare per il popolo greco in questi tragici momenti. Mi trovo in terra ellenica al momento (seppur in zona distante dalla catastrofe, grazie a Dio), e la situazione che si percepisce tra la gente è veramente grave.

Cristo, vero Iddio nostro, per la virtù della Santa e Vivifcante Croce, per l'aiuto delle Potenze Incorporee, per l'intercessione del venerabile e glorioso precursore di Dio Giovanni il Battista, della Santissima Genitrice di Dio e sempre Vergine Maria, dei santi e gloriosi e degni di lode Apostoli, dei santi gloriosi e vittoriosi Martiri, dei santi padri nostri portatori di Dio, dei santi e giusti progenitori Gioacchino ed Anna (della quale oggi commemoriamo la dormizione) e di tutti i santi, salvi ed abbia misericordia del popolo greco, poichè Egli è buono, misercordioso e filantropo.
NG

giovedì 19 luglio 2018

S. Girolamo Emiliani, S. Margarita megalomartire e S. Elia profeta

XX JULII
xiii kalendas augusti

Sancti Hierónymi Æmiliáni Confessóris, Congregatiónis Somáschæ Institutóris, cæléstis ómnium orphanórum ac derelíctæ juventútis Patróni; qui sexto Idus Februárii obdormívit in Dómino.

San Girolamo Emiliani confessore, fondatore della Congregazione dei Somaschi, celeste protettore di tutti gli orfani e della gioventù abbandonata; il quale s'addormentò nel Signore l'8 febbraio.


Religio munda et immaculata * apud Deum Patrem hæc est: visitare pupillum et viduam in tribulatione eorum, et immaculatum se custodire ab hoc sæculo.
(Antifona al Benedictus alle Laudi di S. Girolamo Emiliani, secondo il Breviario proprio del Patriarcato di Venezia)

Girolamo, nato a Venezia dalla nobile famiglia Emiliani, datosi alla milizia fin dalla prima adolescenza, fu, in tempi difficilissimi per la repubblica, preposto alla difesa di Castelnuovo presso Quero, sui monti di Treviso. I nemici impadronitisi della fortezza, lo gettarono in una orribilissima prigione, legato mani e piedi; dove, privo d'ogni umano soccorso, egli si rivolse alla beatissima Vergine, che esaudì le sue preghiere, gli apparve, ne spezzò le catene, e per mezzo ai suoi nemici, che occupavano tutte le strade, lo condusse incolume in vista di Treviso. Entrato in città, a testimonianza del benefìcio ricevuto, sospese all'altare della Madre di Dio, cui si era votato, le manette, i ceppi, le catene che aveva portato con sé. Tornato a Venezia, cominciò a darsi interamente alle opere di pietà, spendendosi meravigliosamente a pro dei poveri , ma soprattutto compassionevole verso i fanciulli, che, privi di genitori, erravano per la città miserabili e sordidi, raccogliendoli in case, da lui affittate, nutrendoli a sue spese, e formandoli ai cristiani costumi.
In quei giorni avevano approdato a Venezia il beato Gaetano e Pietro Caraffa, che fu poi Paolo IV, i quali approvato lo spirito di Girolamo e il suo nuovo istituto destinato a raccogliere gli orfani, lo condussero nell'ospedale degli Incurabili, dove, educando gli orfanelli, avrebbe insieme servito con pari carità ai malati. Ben tosto, dietro loro consiglio, partì per il vicino continente, ed eresse degli orfanotrofi, prima a Brescia, poi a Bergamo e a Como: soprattutto a Bergamo, dove oltre due orfanotrofi, uno per i ragazzi e l'altro per le ragazze, aprì, novità sconosciuta in quelle regioni, un asilo per le donne di mala vita convertitesi a penitenza. Fermatosi finalmente a Somasca, umile villaggio nel territorio di Bergamo, ai confini delle possessioni Venete, vi fondò una residenza per sé e per i suoi, e vi organizzò la sua congregazione, che poi da questo luogo prese il nome di Somasca; e che poi sviluppatasi e propagatasi, alla educazione degli orfani e al servizio delle chiese aggiunse, per maggiore utilità della società cristiana, la formazione dei giovani nelle lettere e nei buoni costumi in collegi, accademie e seminari, e san Pio V l'annoverò fra gli ordini religiosi, e altri Pontefici le accordarono dei privilegi.
Non pensando che a raccogliere orfani, egli partì per Milano e Pavia; e coll'aiuto di nobili personaggi, provvide di abitazione, vitto, vestito e maestri moltitudini di fanciulli radunati in ambedue questi luoghi. Ritornato a Somasca, fattosi tutto a tutti, non rifuggiva da nessuna fatica che prevedesse tornare a bene del prossimo. Mescolandosi cogli agricoltori nella campagna, li aiutava a raccogliere le biade, e spiegava loro i misteri della fede, puliva la testa dei fanciulli affetti da tigna ributtante, e li curava con pazienza; medicava le putride piaghe dei contadini così bene, che parve avesse ricevuto la grazia delle guarigioni. Scoperta sulla montagna che domina Somasca una grotta, vi si ritirò; e là flagellandosi, restando digiuno giorni interi, passando in orazione la maggior parte della notte, e non prendendo un po' di sonno che sulla nuda roccia , espiava i suoi falli e quelli degli altri. Nel fondo di questa grotta goccia dalla nuda roccia un'acqua ottenuta, secondo una costante tradizione, per le preghiere del servo di Dio; la quale scaturisce anche ai nostri giorni, e, portata in diversi paesi, ridona spesso la salute ai malati. In fine, in una peste che infieriva per tutta la vallata, mentre serviva i malati e portava i morti sulle proprie spalle alla sepoltura, attaccatoglisi il male, fece una preziosa morte, che egli aveva predetta poco prima, in età d'anni cinquantasei, nel 1537. Illustrato da numerosi miracoli in vita e dopo morte, Benedetto XIV l'iscrisse solennemente nell' albo dei Beati, e Clemente XIII in quello dei Santi.
(Dal Breviario Romano)


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Antiochíæ pássio sanctæ Margarítæ, Vírginis et Mártyris.

Ad Antiochia la passione di santa Margherita, Vergine e Martire.


Erat autem Margarita annorum quindecim, dum ab impio Olybrio trahebatur in carcere.
(Antifona di S. Margarita al Vespero, secondo il Breviario proprio del Patriarcato di Venezia)

Nasce ad Antiochia di Siria nella seconda metà del III secolo da genitori pagani. Viene educata alla fede cristiana dalla sua balia, una cristiana convinta. Il governatore Olibrio cerca di distoglierla dal cristianesimo e vuole sposarla. Ella si rifiuta e così viene uccisa intorno al 305. È patrona dei contadini, delle partorienti, delle balie ed è invocata contro l'infertilità. Al governatore che la chiede in sposa, Margherita risponde di aver dedicato la sua vita a Gesù, suo sposo celeste. «Puoi pretendere che io rinunzi al cielo e scelga invece la polvere della terra?», gli dice. Olibrio, umiliato, dà ordine di bruciarle il corpo con fiaccole accese e di fustigarla. La leggenda vuole che alla prigioniera appaia un drago per sbranarla, che però scompare appena ella si fa il segno della croce. Anche le gravi ferite scompaiono miracolosamente. La notizia di questo miracolo si diffonde subito tra il popolo suscitando scalpore, tanto che alcuni si fanno battezzare. L'ira del governatore non conosce allora più limiti e ordina che la giovane venga decapitata sulla pubblica piazza.

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In monte Carmélo, sancti Elíæ Prophétæ.



'Ο τὸν Θεσβίτην Ἠλίαν, πυρίνῳ ἅρματι, ἀπὸ τῆς γῆς οἰκτίρμον, μεταθέμενος Λόγε, ταῖς τούτου ἱκεσίαις, σῶσον ἡμᾶς τοὺς πιστῶς σε δοξάζοντας, καὶ τὴν αὐτοῦ ἐκτελοῦντας χαρμονικῶς, θείαν μνήμην καὶ σεβάσμιον.
(I stichira del Vespero di S. Elia, secondo il rito bizantino)

Il verbo del Signore si rivolse a Elia profeta ed egli disse a Acab: Per la vita del Signore, Dio delle schiere, Dio d’Israele, davanti al quale io oggi sto: non ci sarà né rugiada, né pioggia in questi anni, se non per mio comando. E il verbo del Signore si rivolse a Elia: Vattene di qui verso oriente e nasconditi presso il torrente Chorrath, che è di fronte al Giordano. Berrai l’acqua del torrente e io comanderò ai corvi di portarti da mangiare lì. Elia partì e andò a sedersi presso il torrente Chorrath, che è di fronte al Giordano, e i corvi gli portavano pane al mattino e carne la sera, e beveva l’acqua dal torrente. Ma dopo un certo numero di giorni il torrente seccò, perché non pioveva sulla terra. E il verbo del Signore si rivolse a Elia: Alzati e va’ a Sarepta di Sidone e risiedi là. Ecco, io comanderò a una vedova di darti da mangiare. Elia si alzò, partì per Sarepta e giunse alla porta della città. Ed ecco c’era là una vedova che raccoglieva legna; Elia le gridò dietro: Prendimi un po’ d’acqua in un vaso perché io beva. Essa andò a prenderla ed Elia le gridò dietro: Prendimi anche con le tue mani un pezzo di pane. Ma la donna rispose: Per la vita del Signore tuo Dio, non ho neppure una focaccia, ma solo una manciata di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio ed ecco, raccolgo due pezzi di legna, vado a prepararla per me e per i miei figli: mangeremo e poi moriremo. Elia le disse: Coraggio, entra e fa’ come hai detto, ma prima fai per me con quello che hai una focaccia e portamela; per te e per i tuoi figli la farai dopo, perché cosi dice il Signore Dio d’Israele: La farina nella giara non verrà meno e l’olio nell’orcio non diminuirà, fino al giorno in cui il Signore Dio manderà la pioggia sulla faccia di tutta la terra. La donna andò e fece secondo la parola di Elia: e mangiarono lui, lei e i figli di lei. Da quel giorno la farina nella giara non venne meno e l’olio nell’orcio non diminuì, secondo la parola del Signore, detta per mezzo di Elia. Accadde poi dopo questi fatti che il figlio della donna, la padrona della casa, si ammalò e la sua malattia era molto grave, tanto che non rimase più in lui respiro. E la donna disse ad Elia: Che c’è tra me e te, uomo di Dio? Sei venuto da me per far ricordare i miei peccati e far morire mio figlio? Elia le disse: Dammi tuo figlio. Lo prese dal grembo di lei, lo portò nella stanza al piano superiore dove stava lui e lo depose sul proprio letto. Elia gridò: Ahimè, Signore, testimone della vedova presso la quale abito! Le hai fatto del male facendo morire suo figlio. Poi alitò tre volte sul ragazzo, invocò il Signore e disse: Signore mio Dio, ritorni l’anima di questo ragazzo in lui. Così avvenne e il ragazzo emise un grido: il Signore aveva ascoltato la voce di Elia, l’anima del ragazzo era tornata dentro di lui ed egli era tornato in vita. Elia prese il ragazzo e lo condusse giù dal piano superiore, in casa e lo diede a sua madre, dicendo: Guarda, tuo figlio vive. E la donna rispose ad Elia: Ecco, ora so che sei un uomo di Dio e che verace è la parola del Signore nella tua bocca.
(III libro dei Re, cap. 

martedì 17 luglio 2018

Pellegrinaggio alla S. Croce di Lazfons il 28 luglio


Sabato 28. Luglio 2018
Pellegrinaggio alla Santa Croce di Lazfons:
per l'approfondimento della fede nel nostro paese

ore 8,00: partenza dal parcheggio Kühhof sopra Lazfons
ore 11,00: S. Messa in Rito Romano Antico celebrata da P. Michael Glink OCist di Quarazze/Merano
a seguire: pranzo e tempo libero

Per eventuale pernotazione al pranzo, è richiesta una conferma di partecipazione.

Se qualcuno per motivi organizzativi non riesce ad essere al parcheggio alle ore 8,00 o ha difficoltà a fare tutta la camminata, c'è la possibilità di andare in macchina fino al rifugio di Chiusa (circa a metà strada) e di là, poi si può proseguire a piedi, fino al santuario.
Siccome serve un'autorizzazione da parte della guardia forestale, chiediamo di comunicarci questo entro il 21 luglio.
Per informazioni e per conferma di partecipazione: +39 338 1702367 (Enea Capisani) o unavocebozen@yahoo.de

domenica 15 luglio 2018

Predica su Cristo Redentore

15 julii
In festo
SANCTISSIMI REDEMPTORIS

Lorenzo Lotto, Cristo Redentore, 1524-27

Predica del rev. padre Joseph Kramer FSSP

Oggi celebriamo la festa del nostro Redentore. Gesù Cristo ci ha riscattati dall'effetto dei nostri peccati, ricomprandoci pagando un prezzo di riscatto molto alto. Per via del peccato originale, e a causa dei nostri peccati personali, tutti noi siamo stati rapiti spiritualmente da Satana (l'avversario di Dio e l'umanità), e tenuti in schiavitù nel regno delle tenebre. Ma il sangue di Cristo è stato versato sulla croce per essere il prezzo del nostro riscatto da questa schiavitù.  L'apostolo Paolo affermò: "Tu non sei il tuo; sei stato comprato ad un prezzo" (1 Corinzi 6,20). L'apostolo Pietro ci dice quanto fosse alto questo prezzo. Ha scritto che "non sei stato riscattato con cose corruttibili come argento o oro, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di un agnello senza macchia e senza macchia" (1 Pietro 1,18-19). Gesù era assolutamente e totalmente senza peccato. È morto per i nostri peccati. Li ha presi tutti su di Sé. "Così Cristo fu offerto una volta per portare i peccati di molti" (Ebrei 9,28).

Il nostro Salvatore disse che Egli venne "per dare la Sua vita in riscatto per molti" (Marco 10,45). E Paolo aggiunge: "Abbiamo la redenzione attraverso il Suo sangue, il perdono dei peccati" (Colossesi 1,14). Nella Lettera agli Ebrei leggiamo che "con il suo stesso sangue Cristo è entrato nel luogo santissimo una volta per tutte, avendo ottenuto la redenzione eterna" (Ebrei 9:12). Questo passaggio ci introduce al concetto di redenzione eterna. Ciò significa che i suoi effetti persistono, anche nel futuro, che comprende la vita eterna nella famiglia e nel Regno di Dio. Anche se i nostri peccati passati sono perdonati per mezzo del sangue di Cristo, un aspetto importante della nostra redenzione risiede nel futuro.

L'apostolo Giovanni nel libro finale della Bibbia cita i 24 anziani che vivono nel cielo e cantano un inno nuovo a Cristo. "... Sei stato ucciso, e con il tuo sangue hai acquistato uomini per Dio da ogni tribù e lingua, popolo e nazione. Li hai fatti diventare un regno "(Apocalisse 5,9-10). Gesù stesso ha parlato di questi eventi futuri nella profezia che ha dato ai suoi discepoli sul Monte degli Ulivi poco prima della sua morte. "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nuvola con potenza e grande gloria. Ora quando queste cose cominciano ad accadere, guarda in alto e alza la testa, perché la tua redenzione si avvicina "(Luca 21,27-28).

Anche San Paolo scrisse di questo stesso futuro: "Non rattristi dello Spirito Santo di Dio, con il quale sei stato suggellato per il giorno della redenzione" (Efesini 4,30). Ciò avverrà alla seconda venuta di Cristo quando i primi frutti di Dio, coloro che lo hanno servito fedelmente nel corso dei secoli, saranno risuscitati alla vita eterna (1 Corinzi 15,22-23; 1 Tessalonicesi 4,16-17). La redenzione cancella i nostri peccati attraverso il sangue di Cristo e attende anche il giorno in cui i nostri corpi fisici saranno trasformati. (1 Corinti 15,50-54). La redenzione è eterna nei suoi effetti. Alla fine significa vita eterna nel Regno di Dio.

sabato 14 luglio 2018

Tra fede e ideologia

Ci sono certi siti cristiani che meritano di essere letti e controllati quotidianamente; altri, anche se apparentemente buoni, ho imparato che è assai meglio lasciarli perdere. Come mi diceva un buon sacerdote: "Non abbiamo tempo di leggere tutto, dunque dobbiamo leggere solo ciò che è utile allo spirito o alla formazione".
Particolarmente, mi riferisco a quei siti che, nel pur lodevole tentativo di difendere la Tradizione Cattolica, rinunciano sovente alla Storia e alla stessa ragione, per approcciarsi all'argomento in modo completamente ideologico. Ma Fede e ideologia sono cose sostanzialmente diverse (anzitutto perché la prima di provenienza divina e virtù soprannaturale, la seconda di provenienza umana), che se mischiate o confuse tra loro producono inevitabilmente pasticci: in fondo anche il modernismo liturgico e teologico sono figli dell'immissione di un'ideologia nel contesto della Religione.
In particolare vi è un sito (che recentemente parrebbe esser diventata l'agenzia stampa della Lega piuttosto che un sito di tradizionalismo cattolico) più volte distintosi per numerose posizioni di tipo ideologico in materia religiosa (un caso tra i più noti: QUI l'amico Pietro C. confuta la loro analisi sull'anafora di Addai e Mari), che continua a sfornare, soprattutto grazie a un gruppetto di fedelissimi commentatori, esagerazioni ideologiche che sfociano in vere e proprie cattiverie gratuite nei confronti di tutto ciò che non risponde alla tradizione (volutamente minuscolo, per distinguerla dalla Tradizione propriamente detta) romana.

Uno dei tratti più evidenti dell'approccio ideologico è l'autoreferenzialismo: secondo l'ideologo, se una qual cosa non è presente nel proprio orticello (o viceversa è presente in quello altrui, ma nel proprio è assente), secondo lui è sicuramente una cosa orribilmente sbagliata.
Questo è stato a lungo il metodo adottato dai polemisti sia di parte latina che di parte ortodossa nel secolare dibattito tra Oriente e Occidente, un metodo sterile, basato sul discredito altrui, ma che finisce essenzialmente per screditare e ridicolizzare lo stesso accusatore. Mi è capitato di leggere un lungo intervento in materia, raccolto e pubblicato da un sacerdote ortodosso russo che esercita il proprio ministero in Italia settentrionale (e che peraltro stimo): in tale documento si accusavano i latini di 'aver tolto la proscomidia dal rito', per via dell'introduzione dell'uso di azzimi, e di aver introdotto la latria dell'Eucaristia, solo perché questi fatti non rientrano nella mentalità orientale.
Sulla prima questione, verrebbe da chiedersi perché allora i Greci siano rimasti in comunione con i latini per tanti secoli, visto che questi ultimi avevano un rito senza proscomidia e con azzimi sin da molti secoli prima dello scisma (come del resto ci testimoniano gli antichi sacramentari)? La proscomidia -nel senso bizantino del termine- non rientra in generale nell'impostazione di nessuno dei riti occidentali, mentre è generalmente diffusa nei riti orientali: è una questione di mentalità, assai diversa tra due mondi da sempre molto diversi, ma che non tange minimamente la sostanza della Liturgia né della Dottrina.
Simile analisi può farsi sul culto eucaristico: si tratta dell'evoluzione storica particolare, in Occidente, della comune dottrina della presenza reale. Tale sviluppo particolare (evidente anche in altri aspetti della liturgia, come le molteplici genuflessioni al Sacramento, l'elevazione delle Sacre Specie e, dal Concilio di Trento, il posizionamento del tabernacolo al centro dell'altare) risponde a un'esigenza storica avvertita solo in Occidente ma sconosciuta all'Oriente, ovverosia la diffusione di eresie antieucaristiche, che negavano quella fede nella presenza reale, la quale necessitava di essere riaffermata in modo quanto mai 'palese'. Lo stesso discorso all'incontrario può farsi nei riguardi del grande culto delle icone presente nella tradizione orientale: pur essendo sempre esistito nel cristianesimo il culto delle immagini, le prime iconostasi erano spoglie, e comunque alcuni aspetti liturgici del culto delle icone (ad esempio l'icona di Cristo sulla protesi, o le icone di Cristo e della Vergine che il sacerdote bacia più volte durante la Liturgia) sono tardivi. Anch'essi rispondono a una necessità storica, ovverosia contrastare i movimenti iconoclasti dell'VIII secolo, eresia però sconosciuta all'Occidente, la qual cosa giustifica l'assenza di una tale iconodulia nel mondo latino.

Non certo che i polemisti di parte latina siano meglio: anzi! Ricordo sempre con un mezzo sorriso le parole del Cardinale Umberto di Silvacandida, legato pontificio che comminò la scomunica (per altro canonicamente irregolare, ma di questo parlerò altrove) al Patriarca Michele Cerulario nel 1054, il quale se ne uscì con una frase del tipo: "I Greci sono rei di aver tolto il filioque dal Credo!". Come si può vedere da tutti gli esempi sopraccitati, per l'ideologo la storia non ha senso, la storia dev'essere annullata da una sorta di dommaticità, dall'assolutizzare ciò che per una volta tanto (visto che non parliamo della materia della Fede né dei suoi principi) può essere relativo.

L'ideologismo, portato al suo massimo grado, è oggi molto in voga tra i "tradizionalisti", che si scagliano senza freni contro tutto ciò che non risponde all'uso latino-tridentino (ma talora nemmeno a quello, ma semplicemente all'uso latino dell'ultimo secolo), dimenticando che prima di Trento ci sono stati i Padri latini, che avevano una visione molto meno rigida di alcuni aspetti e talora differente, e accanto a loro ci sono stati i Padri greci, che vivevano la stessa fede in un contesto culturale completamente diverso. Del resto, ad estremizzare il Concilio di Trento come fanno molti di costoro, non sarebbe troppo lontano rivolgere loro la stessa domanda che si utilizza per confutare rapidamente il Concilio Vaticano II (che però è problematico già di per sé, senza bisogno di essere estremizzato o strumentalizzato come qualcuno fa con il Concilio di Trento, in sé ottimo): la Chiesa dunque sarebbe stata nell'errore per quindici secoli, perché non rispondeva (in anticipo) ai dettami tridentini?

Sull'ideologismo che vien fatto nei confronti degli Ortodossi, rimando a un'analisi che avevo già pubblicato QUI. Pubblicherò comunque qualcosa a breve, per rispondere a dei commenti che ho trovato in giro su pagine internet che avevano ripreso un mio recente post. Ricordo anche la conversazione avuta tempo fa con un curioso personaggio che fino a qualche mese fa incontravo nella chiesa che frequento, il quale parlava inorridito dell'uso di comunicarsi dallo stesso cucchiaino, segno secondo lui di scarsa igiene e fonte di malattie, e pertanto argomento di discredito nei confronti dell'Ortodossia. Trovo interessante un intervento in materia di Sua Eccellenza il Metropolita Nicola di Mesogaia e Lavreotiki (QUI), che attribuisce queste posizioni a coloro che non hanno fede nella Presenza Reale...

Tratto invece brevemente l'ideologismo che viene fatto sul clero uxorato, additato dai tridentini come uno dei peggiori mali. Siamo d'accordo sul fatto che non è certo il momento migliore per introdurlo (visto che nelle mani di questa gerarchia scristianizzata può diventare uno strumento per rendere lecita prima o poi ogni immoralità nel clero, e -perché no, tanto de facto sono già benaccetti, come testimoniano le recenti notizie prognesi- la sodomia dei chierici), ma scagliarsi a prescindere, in modo appunto ideologico, sulla concezione di clero sposato è assolutizzare una legge canonica fino a farla assurgere a legge divina! Il celibato ecclesiastico nasce in Occidente per ragioni esclusivamente pratiche, legate alla pubblica figura del sacerdote (la moglie infedele del prete non fa buona pubblicità alla Chiesa), che oggi effettivamente risultano addirittura amplificate (direi che è ancora peggiore la pubblicità che viene fatta dal figlio del prete che non va più in chiesa, fuma marijuana o -come in un caso a me personalmente noto- frequenta le parate della vergogna sodomita...), ma che ad esempio nella Russia del XVII secolo non avevano modo di esistere (come ci testimonia la Vita dell'arciprete Avvakum scritta da lui stesso, fonte principale sulla storia dei Vecchi Credenti, tutti i parroci erano sposati, e il primogenito maschio sarebbe a sua volta diventato il parroco del medesimo villaggio). La condizione di celibato era propria dei monaci (che avevano scelto di rinunciare al mondo nella sua interezza, mentre il clero 'secolare' pur non essendo del mondo vive nel mondo) e dei vescovi (che avendo prerogative di governo nella chiesa dovevano essere scevri da qualsiasi legame, compreso familiare): ma il fatto che il celibato fosse un distintivo monastico ci è testimoniato dal fatto che tutti i vescovi orientali (doventi osservare il celibato), anche quelli provenienti dal clero secolare, vestono come dei monaci (con l'epanokamilavkion), oppure dal fatto che i sacerdoti secolari non sposati vengono comunque definiti ieromonaci (dobbiamo ricordare che, come del resto anche nella tradizione benedettina, il monaco non è necessariamente sacerdote, anzi nella maggioranza dei casi è il contrario).
Come in ogni processo ideologico, anche in questo caso si sono presi e stravolti passi delle Sacre Scritture (gli eunuchi per il regno dei cieli, riferimento alla castità che ogni cristiano deve osservare, sono diventati in taluni scritti il fondamento del celibato ecclesiastico), per trasformare all'apparenza in legge divina una legge puramente canonica e pertanto (al di là che sia più o meno giusto od opportuno farlo) legittimamente modificabile. Poi come facciano costoro a spiegare che nella Chiesa latina vi sia stato a pieno diritto clero sposato per sette secoli, francamente lo ignoro.

Un altro argomento trattato in modo ideologico è la concelebrazione. L'assenza di tale pratica nell'uso canonico latino (e non solo: per esempio è assente anche da quello etiope) ha fatto sì che oggi, nello scagliarsi contro la moda della concelebrazione occorsa nel rito nuovo (che è deprecabile sì, ma per altri motivi: anzitutto perché è una moda e perché nella modalità con cui vien attualmente praticata causa non pochi problemi di vario ordine), venga invocata l'impossibilità di concelebrare come una norma divina, facendo assurgere a precetto la lettura per cui il celebrante rappresenta l'unicità del sacerdozio di Cristo (una lettura spirituale sicuramente bella ed efficace, ma non può e non deve essere usata per dire che Dio stesso vieti la concelebrazione!). Altrimenti, è da ribadire, non si spiega come mai ci fosse la concelebrazione nel primitivo rito romano e come mai essa esista nel rito bizantino. E non sono, come potrebbe delirare qualcuno dei nostri amici ideologi, deviazioni introdotte dagli "scismatici orientali" a causa del loro allontanamento da Roma (sic!), frase che mi fa sempre ridere, anche se dovrebbe far piangere.

Non sto nemmeno a citare molti altri temi (quello sulla concezione di Eucaristia si è accennato all'inizio) di cui si potrebbe parlare. Le discussioni con i suddetti signori possono risultare interessanti per comprendere la loro mentalità, ma sono spesse volte vane e sterili.  E l'assolutizzare i costumi religiosi non è tutto, perchè talora essi rispondono a una logica essenzialmente incoerente, una logica in fondo progressista: l'evoluzione nella Chiesa (alcuni di loro parlano di "approfondimento della scoperta della Verità" o roba del genere, linguaggio che si addice ad alfieri conciliari piuttosto che "tradizionalisti") secondo costoro va bene fino a un certo punto, stabilito arbitrariamente nel 1958 o nel 1965 o ancor peggio nel 2013. Non si capisce però con che autorità essi sanciscano la fine dell'accettabilità dell'evoluzione, o in che modo giustifichino l'evoluzione che essi difendono, visto che si prodigano per combattere quella successiva.
Secondo costoro sono accettabili dei culti o delle pratiche di origine estremamente recente (trattato QUI il culto al Sacro Cuore), i quali (a differenza di altre pratiche più antiche, storicamente spiegabili e fedeli alla dottrina di sempre, come la latria eucaristica summenzionata), nel modo in cui vengono poi concepiti, confliggono apertamente con l'insegnamento dei Padri. Anzi, secondo costoro chi non avesse questi culti avrebbe qualcosa che manca propria fede, e in questo intento puramente ideologico cercano di far dire ai Padri ciò che non hanno mai detto (al Mattutino del Preziosissimo Sangue si legge un passo di San Giovanni Crisostomo, che parla sì del Sangue di Cristo, ma non ha assolutamente nulla a che fare con la devozione francescana medievale che ha originato questo culto, né tantomeno con la deteriore concezione ottocentesca che se ne ha). E intendiamoci: possiamo non avere nulla in contrario con la nascita di queste devozioni, ma farle assurgere (come vogliono costoro) a un patrimonio irrinunciabile della fede è un atto di pura ideologia e di mistificazione della Tradizione!
Secondo costoro ogni innovazione è accettabile, purché fatta prima di una certa data e in un certo modo (ho già parlato del paradosso dell'actuosa partecipatio, cosa benedetta se la dice Pio XII e maledetta se la dice Montini, ma potrei citare molti altri casi del genere). Questo essere legati a una mentalità specifica, con notevoli localismi e recentismi, non può essere che frutto di una nostalgia, condita con molta vis polemica e ideologia politica, piuttosto che una sana volontà di tornare o restare nella Fede dei nostri padri!

Iddio ci preservi da tutto ciò, e ci guidi sulla retta via che conduce a Lui, senza deviazioni di sorta!

martedì 10 luglio 2018

Perché amare la Russia

Scrivo queste righe dalla riva del fiume Fontanka, uno dei tanti fiumi minori di San Pietroburgo, dove mi trovo attualmente per motivi di studio: davanti a me ho le cupole azzurre dell'ottocentesca Cattedrale della Trinità. Non è la prima volta che visito questa grande Nazione, ma ogni volta di più mi convinco che per un Cristiano nel mondo odierno non vi sia paese da amare più della Russia. Come mi disse una signora pietroburghese, che aveva visto e conosciuto un po' del resto del mondo: "in questo mondo, la Russia è un paese magico".
In Russia, nonostante tutto quello che hanno passato queste terre, nonostante la violentissima dittatura comunista che per oltre settant'anni ha stretto nella morsa la nazione russa, ancora oggi, in una società ovunque secolarizzata e scristianizzata, è possibile vivere e vedere quello che era normale nei nostri paesi europei e cristiani nella società pre-giacobina, e che almeno a livello popolare rimase normale almeno fino al secolo scorso.

Ritorno alla cattedrale che ho davanti: spesso dopo lo studio mattutino entro per venerare le icone e dire un po' di Uffizio. Ebbene, non v'è mai stato momento di nessun giorno che non abbia visto continuamente entrare e uscire in questa chiesa (come in tutte le altre), uomini e donne, giovani e vecchi, spesso con bambini, fare una visita al tempio, accendere candele davanti alle icone e baciarle con devozione. Il triste senso di vuoto che si avverte nelle chiese europee durante il giorno, quando (se riesce di trovarne una aperta) le si vede deserte, non è una cosa che si può sentire in Russia.

Bisogna amare la Russia perché qui anche il turista diventa devoto. Ho più volte espresso le mie remore contro i turisti a Venezia che deturpano il patrimonio sacro della città, entrando nelle chiese con vestiti indecenti, mangiando e bevendo, comportandosi in modo animalesco e blasfemo nei confronti di quei sacri templi, che l'uomo moderno non ha più nozione nemmeno di perché fossero stati costruiti. Ma come stupirsi di questo comportamento? Non sono gli Occidentali forse i primi a non pregare più in chiesa, ad entrarvi solo per ammirare delle opere d'arte (ribadisco: bisogna prima capire PERCHE' siano state realizzate quelle opere d'arte!), a entrarvi spesso vestiti in modo indecente? Ebbene, in Russia vi è in massima parte turismo interno, e dunque non è da stupirvi che anche nelle più famose e "artistiche" chiese (trovandomi qui a Pietroburgo, posso citare la Cattedrale di S. Isacco o quella del Salvatore sul Sangue Versato) il russo, fedele e ortodosso, entri come pellegrino, prima che come turista, con rispetto e reverenza, le donne si velino il capo (ah, costume quanto malamente sparito nel nostro Occidente!), si segnino tre volte con i debiti inchini prima e dopo l'entrarvi, e appena ingressi non vadano subito in giro con fare curioso o a scattar foto, ma prima compiano i doverosi atti di venerazione delle immagini di Cristo, della Sua Genitrice e dei Santi. Quest'anno, complici i mondiali di Russia, si può trovare un'inusuale quantità di turisti stranieri: ma l'atteggiamento che assumono qui è completamente diverso da quello che assumono, per esempio, i turisti di Venezia: ma perché è tale il buon esempio dato dai Russi, che persino lo straniero non così devoto avrà un risveglio di quell'intimo bisogno di Dio che abbiamo, e non potrà fare a meno di assumere un atteggiamento quantomeno rispettoso nei confronti di quella Casa di Dio.

Interni della Cattedrale del Salvatore sul Sangue Versato (o della Risurrezione)

Bisogna amare la Russia perché solo qui di domenica mi capita di prendere un autobus, scendere alla fermata di un monastero (l'altroieri, per esempio, quello di Aleksandr Nevskij, dove ho sentito la Liturgia Pontificale celebrata dall'Abate), e vedere che pure tutti gli altri passeggeri stanno recandosi a quello stesso monastero, che le donne, con le loro pie gonne lunghe (mai viste una donna russa portare pantaloni in chiesa) iniziano a mettersi il velo, gli uomini si segnano varcando i cancelli della lavra e danno qualche rublo al povero che sta lì davanti, ma non tanto con la mano tesa, quanto piuttosto intenta a segnarsi in un'incessante preghiera (quanto mai questa pratica contraddistingue i pii mendicanti russi, e non gli accattoni fraudolenti e blasfemi che abbiamo dalle nostre parti...).

Bisogna amare alla Russia, perché alla suddetta liturgia pontificale (ovviamente partecipatissima), centinaia di persone, uomini e donne di ogni età, sono stati tre ore (o più, essendo arrivati già ben prima dell'inizio per poter venerare le icone) in piedi a seguire col cuore la celebrazione dei misteri dietro l'iconostasi, segnandosi, inginocchiandosi e prostrandosi (e qualcuno comunicandosi con profonda devozione), in un clima di raccoglimento mistico quasi impossibile da trovare in Occidente.
Sì, forse in qualche chiesa occidentale in cui si dice ancora la vera Messa cattolica si può vedere un gruppetto di cattolici superstiti in tale raccoglimento: ma lì si parla di un'oasi nel deserto ogni diocesi (se è tanto); qui in Russia questo si vede ogni giorno in ogni chiesa, e con centinaia e centinaia di cristiani.

Bisogna amare la Russia perché sono stato alla veglia (Primi Vespri e Mattutino) di una domenica qualsiasi di luglio nella cattedrale di S. Nicola dei marinai, e la Chiesa era piena come nemmeno lo è la Basilica di San Marco a Pasqua.
Bisogna amare la Russia, perché all'icona della Madonna di Kazan c'è in ogni momento una fila interminabile di pellegrini in attesa di baciare per qualche istante l'immagine miracolosa, mentre la Salus Populi Romani o la Mesopanditissa quasi nessuno se le fila.
Bisogna amare la Russia, perché, se si va a sentire un akafist alla Madonna in una qualsiasi chiesa, mentre il sacerdote sta davanti all'icona della Theotokos, rivestito dei suoi solenni paramenti, col turibolo fumigante per incensarla ad ogni strofa, il popolo numerosamente riunito canta con devozione le salutazioni alla Vergine, in una melodia antica e in una lingua che non è certo quella modena (l'antico slavo ecclesiastico, ndr).
Bisogna amare la Russia perché qui vige ancora l'eguaglianza русский = православный (russo = ortodosso), cosa che l'Occidente ha da troppo tempo dimenticato. Bisogna amare la Russia, perché trovarsi a San Pietroburgo è come essere a Roma nel Settecento, e avere Messe solenni e Vespri pontificali con decine di sacerdoti e cori di qualità eccelsa quasi ogni giorno e in ogni chiesa del centro. Solo che oramai tutto ciò non si trova da nessuna parte, tanto meno a Roma.

Bisogna amare la Russia, perché qui non è giunta la secolarizzazione della Chiesa e del popolo, perché qui si è preservata la Fede, e soprattutto la predominanza della Religione nella società. Furono molte le situazioni storiche in cui la Nazione pia e ortodossa degli Zar salvò l'Occidente dal baratro della modernità (io personalmente sono molto legato alla figura del Generalissimo Aleksandr Suvorov, che difese il Nord Italia dalla prima invasione giacobina nel 1799, reclutando un esercito di 10.000 volontari nelle terre venete e, quando si rese necessario, traversando -novello Annibale- le Alpi in pieno inverno... scriverò presto qualcosa su di lui). Ebbene, forse anche oggi sarà questa grande Nazione con la sua Fede a salvarci...

Да благословит Бог Святую Матерью Россию!
Dio benedica la Santa Madre Russia!

Luoghi cristiani tra Serbia e Kosovo - I

Mileseva
di Alfredo Incollingo

La penisola balcanica, con la Serbia in testa, fu una delle prime regioni europee ad essere cristianizzata. Paradossalmente però, i cristiani slavi in alcune zone come il Kosovo sono oggi una ristretta minoranza, assediata e minacciata dalla forte e numerosa comunità islamica. Vivono sotto la perenne minaccia di rappresaglie e sono asserragliati nei pochi luoghi di culto sopravvissuti alla guerra civile.

In Kosovo dunque, un tempo terra cristiana, gli ortodossi e i cattolici devono far fronte all'avanzata irruenta dei musulmani, che iniziò nel XV secolo. Cristo giunse nei Balcani in tempi piuttosto antichi, con una particolare ascesa a partire dal IX secolo, quando i primi missionari bizantini si stabilirono presso le popolazioni slave, annunciando la salvezza per coloro che avrebbero abbracciato il Vangelo. I santi Cirillo e Metodio diedero se stessi per cristianizzare le lande balcaniche, compiendo la prima traduzione in slavo della Bibbia. Fino al 1453, quando Costantinopoli, baluardo della cristianità in Oriente, venne occupata dai Turchi Ottomani, i Balcani erano pienamente cristiani. La conquista musulmana causò un progressivo regredire del cristianesimo e la guerra civile rese l'esistenza delle comunità ortodosse ancora più difficile.

I serbi cristiani sono oggi ridotti ad una minoranza che vive nei pressi dei luoghi di culto più importanti, gli stessi che tramandarono nei secoli le tradizioni nazionali e la fede ortodossa. Di seguito alcuni luoghi che rappresentano la storia del cristianesimo in Serbia

Cattedrale di San Michele Arcangelo, Belgrado
E' una delle più antiche della Serbia, risalente al XVI secolo. Nel Seicento i Turchi Ottomani la distrussero per danneggiare la comunità cristiana di Belgrado. Grazie ad un'ingente raccolta fondi, tra il 1725 e il 1728 la cattedrale venne ricostruita. Gli invasori la incendiarono di nuovo nel 1797, vanificando gli ingenti sforzi dei belgradesi. Si dovette attendere il 1806 per ricostruirla, quando il generale Karađorđe Petrović liberò Belgrado e la Serbia dall'oppressione turca. Oggi gli ortodossi serbi pregano e si ritrovano nella cattedrale ricostruita nel 1845 dal principe Milan Obrenovic.

Monastero di Mileseva, Prijepolje
Venne fondato da Stefano I di Serbia tra il 1234 e il 1236 ed è tuttora uno dei luoghi di culto ortodossi più importanti del Paese. Dal 1377 si svolsero nel monastero le cerimonie di incoronazione dei sovrani e questa rilevanza la preservò dalla repressione turca. Lì, i serbi potevano continuare a professare la fede cristiana e a tramandare le tradizioni nazionali. La fama di Miliseva crebbe a tal punto che tutti i principi slavi ortodossi si recavano in visita per pregare sul sepolcro di San Sava. I Turchi, sospettando che li si progettassero piani eversivi, distrussero il monastero nel 1594. Dopo secoli di decadenza, nel 1863 i serbi riedificarono l'intero complesso sulle rovine del convento medievale.

Valle dei Re
Scavata dai fiumi Ibar e Ras, la valle è così chiamata perché lì nacque nel medioevo la nazione serba. Presenta la più alta concentrazione di monasteri e chiese di tutto il Paese: lì, sotto l'occupazione ottomana, si preservò la tradizione nazionale e la fede ortodossa. Il monastero di Zica, risalente al 1219, fu il luogo di nascita dell'ortodossia serba e ospitò la cerimonia di incoronazione di Milan Obrenovic nel 1882, il primo sovrano della Serbia moderna. I conventi di Sepocani e di Gradac conservano i sepolcri dei sovrani medievali e per secoli furono meta di pellegrinaggio di quanti aspiravano all'indipendenza nazionale. Qui si conservò intatto l'orgoglio serbo, nonostante le repressioni turche.

tratto da: Campari e de Maistre

sabato 7 luglio 2018

Santi Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi

die VII julii
Ss. Cyrilli et Methodii,
apostolorum Slavoniae gentium


HYMNVS AD MATVTINVM
Rito Romano

Sédibus cæli nítidis recéptos
Dícite athlétas géminos, fidéles;
Slávicæ duplex columen decúsque
Dícite gentis.

Hos amor fratres sociávit unus,
Unaque abdúxit píetas erémo,
Ferre quo multis célerent beátæ
Pígnora vitæ.

Luce, quæ templis súperis renídet,
Búlgaros complent, Móravos, Bohémos;
Mox feras turmas numerósa Petro
Agmina ducunt.

Débitam cincti méritis corónam,
Pérgite o flecti lácrimis precántum;
Prisca vos Slavis opus est datóres
Dona túeri.

Quæque vos clamat generósa tellus
Servet ætérnæ fidei nitórem:
Quæ dedit princeps, dabit ipsa semper
Roma salútem.

Gentis humánæ Sator et Redémptor,
Qui bonus nobis bona cuncta præbes,
Sint tibi grates, tibi sit per omne
Glória sæclum.
Amen.
I due atleti ricevuti nelle fulgenti
sedi del cielo cantate, o fedeli;
le due colonne, cantate, gloria
della nazione slava.

Uno stesso amore riunì questi fratelli,
una stessa pietà li trasse dall'eremo,
portare a molti i pegni
della vita beata.

Della luce che risplende nei templi superni
riempiono i Bulgari, i Moravi, i Boemi;
e di queste torme selvagge tosto conducono a Pietro
numerose schiere.

Cinti della corona ai vostri meriti dovuta,
lasciatevi piegare dalle lacrime di chi vi prega;
è necessario che gli antichi doni agli Slavi largiti
voi custodiate.

E che la terra generosa che v'invoca
conservi eternamente la purezza della fede:
e quella Roma, che prima ha dato la salvezza,
la darà pur sempre.

Creatore e Redentore del genere umano,
che benigno ci concedi sempre tutti i beni,
a te siano le grazie, a te sia
la gloria in ogni tempo.
Amen.

TROPARIO
Rito Bizantino


Dacché foste apostoli di tutti i popoli slavi,
Cirillo e Metodio, uomini della Divina Sapienza, pregate il Signore di tutti
in tutte le lingue slave, per affermare l'Ortodossia e l'unanimità,
per riconciliare il mondo e salvare le anime nostre


mercoledì 4 luglio 2018

AVVISO SACRO: II Pellegrinaggio ad Aquileia il 15 settembre

La Compagnia di Sant’Antonio organizza anche quest’anno il pellegrinaggio della Tradizione ad Aquileia, dopo la bellissima ed edificante esperienza dello scorso 23 settembre 2017, quando con la collaborazione della Società Internazionale Tommaso d’Aquino sez. FVG, del Circolo Culturale Cornelio Fabro di Udine, e con l’aiuto di alcuni sacerdoti amici, ha proposto un pellegrinaggio dedicato alla Madonna nell’ambito delle celebrazioni in occasione del centenario delle apparizioni di Fatima.
Con quel pellegrinaggio nel luogo simbolo della Fede di tradizione mar-ciana si era inteso onorare la Beatissima Vergine Maria e supplicarLa particolarmente affinché la Fede autentica sia conservata, rinvigorita e diffusa nelle nostre terre friulane e venete di antichissima tradizione cattolica.
Proseguiamo dunque il nostro cammino di devozione mariana e di comunione con gli antichi padri, vescovi, martiri e fedeli aquileiesi al fine di chiedere perdono per i gravi errori e deviazioni dottrinali che rendono i cattolici sempre più indifferenti di fronte al peccato ed incapaci di reagire con fermezza alle tremende offese che continuamente feriscono il Signore Gesù e la madre Maria.
Il sabato 15 settembre prossimo, Festa dei Sette Dolori della B.V. Maria, pregheremo con il Rosario ed i canti religiosi della Tradizione per gli abitanti di questi luoghi, ma soprattutto per la famiglia e il matrimonio cristiano, così in pericolo e sotto continuo attacco in una società pressoché scristianizzata, incapace di vedere in questa unione la Chiesa domestica che, vissuta con lo sguardo a Cristo e sotto la protezione della Madonna, è l’unica entità capace di offrire gli indispensabili contributi affinché rifiorisca una sano tessuto sociale ricco di vocazioni civili e religiose, per il bene della Chiesa e della nostra Patria.
Il pellegrinaggio è aperto a tutti. Ci auguriamo di trovare nuovi amici lungo il cammino, con i quali condividere e mostrare la bellezza della nostra Fede, fieri dei simboli della nostra Tradizione, alla quale non vogliamo rinunciare e che neppure vogliamo tradire.
Quest’anno partiremo da un luogo di grande valore simbolico, il piccolo cimitero di San Marco, a Belvedere di Aquileia, tra l'acqua e la terra, dove comincia la laguna e dove la tradizione vuole che sbarcò San Marco, in arrivo da Alessandria d’Egitto. Da qui il Santo cominciò la sua opera di evangelizzazione dell’entroterra veneto e friulano e da qui noi vogliamo partire per chiedere alla Madonna la grazia di una nuova evangelizzazione del nostro paese.
L’appuntamento è alle ore 09,00 al cimitero San Marco. Sarà disponibile una corriera per portare i pellegrini sul posto e che partirà dalla stazione di Cervignano alle 08,30, passando anche da Aquileia (fermata di fronte all’Hotel I patriarchi). Chi non riuscirà ad arrivare a Belvedere di Aquileia (Pineta San Marco) per tale orario potrà associarsi sul sagrato della basilica di Aquileia.
L’arrivo alla basilica di Aquileia è previsto per le ore 10,30 e i fedeli saranno raccolti nel Battistero.
Seguiranno la venerazione delle reliquie dei Santi Martiri aquileiesi nella cripta della basilica e la Santa Messa in rito romano antico. Saranno anche disponibili dei sacerdoti per le confessioni.
Sarà possibile pranzare insieme presso l’hotel “i Patriarchi”, vicino alla basilica, previa prenotazione (compagniasantantonio@libero.it - oppure 3473961396 Antonio. Menù friulano al costo di €16). C’è anche la possibilità di consumare un pranzo al sacco in luogo coperto.
Nel pomeriggio si terranno due conferenze di formazione cattolica presso la sede parrocchiale (sala Romana).
****
Ricapitoliamo di seguito il programma fornendo le informazioni di trasporto per chi provenisse dal Veneziano. Anche quest'anno, il Circolo Traditio Marciana collaborerà all'organizzazione di questa splendida iniziativa che mira alla riconquista delle terre venete alla Fede di tradizione marciana, occupandosi soprattutto del servizio liturgico.

8.30 Ritrovo alla stazione ferroviaria di Cervignano e partenza del pullman per Pineta San Marco
9.00 Partenza del pellegrinaggio a piedi da Pineta San Marco
10.30 Arrivo in Basilica e venerazione delle reliquie dei martiri aquilejesi
11.00 S. Messa cantata in rito romano antico
12.30 Pranzo (€ 16, necessaria prenotazione)
14.00 Due conferenze per la formazione dei pellegrini

Per chi volesse partecipare al pellegrinaggio a piedi, vi è un treno che parte da Venezia alle 6.41 (da Mestre alle 6.53) in direzione Trieste C.le e arriva a Cervignano alle 8.08.
Per chi volesse invece partecipare solo alle funzioni liturgiche, il treno della stessa linea parte esattamente un'ora dopo (7.41 da Venezia, 7.53 da Mestre) e arriva naturalmente alle 9.08 a Cervignano, onde tramite le Autolinee SAF, che partono da lì, si può arrivare in pochi minuti ad Aquileia. Notare che NON c'è un treno che parte alle 8.41 da Venezia, e dunque quello delle 7.41 è l'ultimo utile!
Per il ritorno vi sono treni ad ogni ora (al minuto 52) da Cervignano, fino alle 22.

martedì 3 luglio 2018

Alle origini della crisi: "papolatria" liturgica

Ho recentemente postato un commento all'ultimo (e come sempre assai interessante) articolo pubblicato da don Elia sul suo blog.
In tale commento, mi soffermavo ad analizzare brevemente l'esecrando fenomeno della "papolatria", e i suoi due principali e contrapposti effetti negativi nella Chiesa dei nostri giorni (da una parte, l'idolatria delle sparate rasenti l'eresia di quegli che siede sul Soglio; dall'altra, sconcerto e confusione in quella parte di Chiesa che vuole rimanere fedele al Cristianesimo autentico, ma è legata in modo meccanico a una concezione "verticistica", per cui è un problema pressoché irrisolvibile la presenza di un nemico al vertice).

Nella estremamente succinta cronistoria della papolatria con cui apro l'intervento, accenno ai fatti che secondo me più di tutti hanno contribuito allo sviluppo di questa vera e propria piaga, che sovverte la concezione ecclesiologica e teologica ortodossa, insinuandone (seppur non definendone apertamente, al solito) una nuova molto più umanizzata e "feudale". In fondo la papolatria è una delle primarie espressioni del modernismo di stampo massonico (in molti protocolli, dei quali parecchi oramai divulgati, si dice chiaramente che lo scopo della massoneria per impossessarsi di tutta la Chiesa è rafforzare e "divinizzare" la figura del Pontefice, in modo che una volta posto sul Trono un Papa favorevole alla libera muratoria, essa avrebbe avuto le porte aperte per la distruzione del Cattolicesimo: una struttura verticistica è molto più facile da sovvertire rispetto alla struttura più "libera" su cui si fondava la Chiesa: anche nei tempi migliori quando il Papa era Re, forse complice il fatto che, grazie all'arretratezza tecnica, non si diffondeva certo in tutto il mondo in tempo reale l'Angelus o la Benedizione del Papa, cosa che invece iniziò a fare Pio XII, segnando un'altra tappa della nostra discesa. Ora, molti tradizionalisti benpensanti leggendo questo articolo s'indigneranno, poiché attribuirò azioni di favoreggiamento del modernismo nella Chiesa a Pontefici che essi viceversa esaltano come difensori della Tradizione contro il modernismo. Purtroppo, dovrò dare loro questa delusione.

Piccola parentesi: ho letto alcuni degl'interventi del convegno romano della Fondazione Lepanto su Vecchio e nuovo modernismo: non mi ha purtroppo stupito (anche se dovrebbe, ma ormai vi sono abituato) una certa volontaria cecità storica nell'analizzare l'ingresso del modernismo nella Chiesa. Si potrebbe dire, non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. La continua pretesa di molti analisti "tradizionalisti"  di porre l'inizio del modernismo nella Chiesa nel Concilio Vaticano II, o -bontà loro- nell'elezione di Giovanni XXIII, è negare un'evidenza forse scomoda, ma necessaria: il modernismo nella Chiesa è presente da secoli in incubazione, anche se inizia a sfociare nei suoi più devastanti effetti col Concilio, che però è primo effetto, e non già causa, di questo modernismo. Già a partire da secoli prima, con estrema lentezza certamente, possiamo vedere le prime insinuazioni di questa mentalità contraria alla tradizione, che tra Ottocento e Novecento è compiutamente presente nella Chiesa, e non solo nelle velleitarie idee di qualche prelato mitteleuropeo, ma spesso negli stessi palazzi apostolici, spesso contagiando l'ignaro Pontefice regnante. La crisi della Chiesa, in tutti i campi, è una decadenza, estremamente visibile nel XX secolo anche se iniziata precedentemente, che negli ultimi cinquant'anni (quelli che possiamo chiamare "della Chiesa conciliare") ha solo l'apice provvisorio dei suoi effetti, che si manifestano già da decenni prima. Una testimonianza di Paul Claudel recentemente rilanciata da Riscossa Cristiana, su usi modernisti nella liturgia (e non cosa da poco, parliamo di celebrare coram populo...) ampiamente diffusi già negli anni '50, dovrebbe far riflettere... specie perché le idee conciliari e bugniniane che più di tutte nuocciono alla concezione di liturgia nella modernità, erano propugnate da decenni e decenni dal cosiddetto "Movimento Liturgico" (tra le moltissime, cito solo l'actuosa partecipatio, quella formula che, per alcuni, se la dice Bugnini sembra demoniaca, ma se la dice Pacelli pare angelica: è dannosa e antitradizionale in ogni caso, contrapponendosi per definizione alla spiritalis partecipatio di venerata usanza, la qual cosa è evidente a chi non voglia fare puro ideologismo). Questo è purtroppo il problema di fondo di molti gruppi tradizionalisti (e ci metto pure la FSSPX, che pare quella che più di tutti difende a spada tratta il rito del '62 e altre cose pseudotradizionali), che ne compromette completamente la missione a favore della Tradizione: come scriveva un caro amico sul suo blog anni fa, non basta portare l'orologio indietro al giorno prima del disastro del Vajont per salvare la vallata: la diga crollerà comunque, a meno che non si ricostruisca tutto dalle basi.

Se vogliamo cercare l'origine teorica della papolatria, è presto detto: il Concilio Vaticano I, con il suo dogma sull'Infallibilità papale, formulato in un modo pericolosamente ambiguo. Non voglio ovviamente qui mettermi a dire che non sia di fede l'infallibilità papale, né intendo parlarne nel presente articolo, ma sto studiando alcune fonti preoccupanti circa la sua proclamazione dommatica, e non mancherò di pubblicarne qualche riflessione, dopo che avrò verificato queste fonti con un grande storico di autentica fede cattolica, il quale peraltro mi ha indicato questa pista.

Tornando a noi, dopo questa fin troppo lunga premessa: in questo post voglio piuttosto occuparmi di un intervento liturgico occorso sotto Pio XII che di fatto dà un grande incremento alla papolatria, presumendo in un certo senso di inserirla nell'atto più importante della Chiesa, che è la liturgia. Lato sensu, possiamo dire che le aberrazioni odierne di stampo papolatrico nella liturgia (del tipo, la venerazione di una statua di Papa Francesco, che mi pare sia avvenuta da qualche parte in Sudamerica alcuni molti mesi fa e abbia avuto anche una qualche risonanza; ma molto più semplicemente anche il citare il Papa regnante ogni due per tre nelle prediche) abbiano inizio così.


Si tratta dell'introduzione di una nuova Messa nel Comune dei Santi, la cosiddetta Missa unius aut plurium summorum pontificum, un'introduzione del tutto estranea alla liturgia tradizionale, con l'introito tratto dal famoso Si diligis me, il Vangelo contenente il noto Tu es Petre etc. insomma, un formulario volto a evidenziare in modo quasi pedantesco l'identificazione tra il Sommo Pontefice e il Principe degli Apostoli. Ciò che però, al di là della natura avulsa dalla tradizione liturgica di questo formulario di Messa, maggiormente risulta negativo, è l'impressione che si vuole dare con questa Messa. Confronto, ad esempio, le istruzioni del Messale Romano del 1952 (ed. VI post typicam, che però contiene questa innovazione) con quelle della sua editio typica del 1921, guardando due feste che cadranno di qui a pochi giorni: Sant'Anacleto e San Pio I, ambedue Papi e Martiri. L'edizione aggiornata indica per ambedue Missa "Si diligis me", praefatio apostolorum; la tipica in un caso riporta Missa "Justus", praefatio communis, nell'altro Missa "Sacerdotes Dei", praefatio communis.
Come si può notare, anticamente i Sommi Pontefici esaltati alla gloria della santità avevano la Messa tratta dal Comune dei Vescovi Martiri (o, qualora non fossero stati martiri, dal Comune dei Vescovi Confessori), una delle varie presenti, secondo l'uso tradito. Si vuole forse far passare che il Papa sia qualcosa di diverso da un Vescovo? Il Papa, anche se capo infallibile del Collegio dei Vescovi, è sempre un vescovo, il Vescovo di Roma, il Patriarca dell'Occidente, l'Arcivescovo Metropolita della Provincia Romana. L'Episcopato, difatti, è la pienezza del Sacerdozio, come testimonia l'uso contemporaneo di tonacella, dalmatica e pianeta durante il Pontificale; al di sopra dell'ordine episcopale, esistono gradi gerarchici (arcivescovo, metropolita, patriarca, etc. fino ad arrivare al Sommo Pontefice), ma si tratta di gerarchia, di un aspetto canonico e giuridico, non sacramentale. A livello sacramentale, il Sommo Pontefice è e resta Vescovo. Nella liturgia, le distinzioni tra i Santi si fanno a) per il modo in cui hanno testimoniato la Fede (col martirio, colla confessione, colla verginità, etc.) b) per aver ricevuto o meno il sacramento dell'ordine nel suo massimo grado (Confessori vescovi e non vescovi; martiri vescovi e non vescovi, etc.); i santi cardinali, arcivescovi, metropoliti, etc. non esistono, o meglio non è rilevante questa loro carica canonica ai fini liturgici. L'uso di questa Messa pare però suggerire allora che il Papa sia sacramentalmente qualcosa di più che un Vescovo, ma questo non è vero.
Ma veniamo al fatto ancora più grave, sempre in questa direzione: l'impiego del Prefazio degli Apostoli, mentre per tutti gli altri Vescovi si usa il Prefazio Comune. Forse che il Vescovo di Gerusalemme non è successore di San Giacomo, così come quello di Roma è successore di San Pietro; o meglio, forse che non tutti i Vescovi sono i successori degli Apostoli? E allora, perché solo quello di Roma, al di là delle prerogative di governo della Chiesa che gli sono affidate dai tempi di Clemente I, deve essere paragonato liturgicamente agli apostoli? C'è forse un fine nel far ciò? Notare che anche la posizione in cui viene posizionata questa Messa spinge in tal senso, perché viene posta subito dopo il Comune degli Evangelisti (notare che l'ordine dei Comuni nel Messale non è tanto "gerarchico" quanto storico, ossia presenta le categorie dei Santi nell'ordine in cui iniziarono a essere venerate: prima gli Apostoli e gli Evangelisti, poi i Martiri, indi i Confessori etc.). Ci sono dei precisi motivi per cui la Tradizione ha disposto in un dato modo la celebrazione delle feste dei Santi Pontefici, e sovvertire questa modalità con l'introduzione di una completamente nuova e inedita, con sì tante problematiche liturgiche sottese, non è forse un atto di modernismo liturgico?

Invito a riflettere su questo argomento: mi pare che ci sia abbastanza materiale da commentare. Mi riservo di pubblicare prossimamente qualcosa per spiegare gli altri punti della cronistoria della papolatria, e, perché no, alcune altre innovazioni premoderniste nella Chiesa dei secoli scorsi, dimenticate dalla maggior parte degli analisti.

Ad majorem Dei gloriam!