venerdì 30 aprile 2021

Le profezie alla liturgia vigiliare di Pasqua tra Oriente e Occidente

 Una caratteristica tipica delle liturgie vigiliari, cioè quelle dei giorni penitenziali che precedono le feste maggiori dell'anno liturgico cristiano, spesso celebrate insieme al Vespro e presentanti già degli accenni della gioiosità della festa addiveniente, è la presenza di numerose letture dell'Antico Testamento che costituiscono la profezia dei fatti che si compiranno nel Nuovo Testamento e che la Chiesa celebra in quella data festa. Nel rito romano questa caratteristica è rimasta solamente alle vigilie di Pasqua e di Pentecoste, se si escludono i sabati delle Tempora che discendono da una tradizione urbana più complessa e ancora non del tutto chiarita; il rito ambrosiano invece, per esempio, dispone di una serie di letture vigiliari anche per la vigilia del Natale, per quelle dell'Epifania, del Natale e dell'Ascensione; il rito bizantino invece le possiede per le vigilie di Natale, Teofanie e Pasqua, mentre prevede un numero più limitato (tre generalmente) di letture al primo Vespro di altre feste di grado elevato ("feste con polieleo", che potremmo paragonare al "duplex" latino) durante l'anno, ma separata da un'Eucaristia vigiliare. La tradizione di leggere numerosi passi dell'Antico Testamento alla vigilia delle grandi feste deriva direttamente dalla pratica della Sinagoga, e ha - oltre alla funzione preparatoria alla festa - la funzione di catechesi battesimale; abbiamo evidenti testimonianze liturgiche infatti che durante queste cerimonie vigiliari si tenessero i battesimi dei neofiti: il rito romano prevede la consacrazione dell'acqua battesimale al Sabato Santo e alla Vigilia di Pentecoste proprio in funzione dei battesimi che sarebbero stati celebrati nel corso di quella funzione; nel rito bizantino le feste sopraccitate prevedono che alla Liturgia, al posto del Trisagio, si canti Ὅσοι ἐν Χριστῷ ἐβαπτίσθητε, Χριστὸν ἐνεδύσατε (Quanti in Cristo siete stati battezzati, di Cristo siete stati rivestiti), durante il quale facevano il loro ingresso in chiesa i neofiti appena battezzati.

Andiamo ad analizzare le letture che le principali tradizioni liturgiche propongono per l'ufficiatura vesperale del Sabato Santo, quella che molti a Occidente confondono con la prima funzione pasquale ma che in realtà è ancora una funzione pre-pasquale, il cui carattere penitenziale è esplicitato proprio da questo numero di letture. Le lezioni veterotestamentarie che il Messale Romano fino al 1955 conserva per questa occasione sono dodici, e rimontano all'età più antica; le ritroviamo, identiche ma ridotte a sei, alla vigilia di Pentecoste, segno che questa era la serie "canonica" di catechesi battesimali nella Roma dei primi secoli. Le letture furono dimezzate per ordine di Papa san Gregorio il Grande, probabilmente per via del ridursi del numero di neofiti adulti da battezzare; tuttavia, nel giro di pochi decenni i Sacramentari tornano a riportare dodici lezioni per il Sabato Santo, mentre il sabato di Pentecoste conserverà questo numero ridotto. La lettura delle profezie costituisce la parte più consistente dell'officiatura di questo giorno, al pari dei lunghi riti battesimali; una particolare prova di "resistenza" doveva essere questa celebrazione nella cappella papale, dove ciascuna profezia veniva cantata in latino e quindi ripetuta in greco, secondo la tipica tradizione. E' da segnalarsi tuttavia che in molti usi medievali, in concomitanza con la scomparsa del catecumenato e dunque il venir meno del significato primo di queste letture, il numero era stato notevolmente ridotto: i riti della famiglia normanna (Sarum, York, parigino, bracarense, domenicano, etc.) presentano solamente quattro letture, cioè Gen. 1-2, Ex. 14-15; Is. 4 e Is. 54-55; i riti di famiglia aquileiese, invece, ne hanno cinque, aggiungendovi Deut. 31; il rito ambrosiano ne ha sei (Gen. 1, Gen. 22, Ex. 13, Ex. 12, Is. 54, Is. 1). E si potrebbero elencare numerosi altri casi.

Nonostante la "mancanza di Sacra Scrittura" nelle celebrazioni sia un pretestuoso argomento spesso addotto dai novatori, questi non si fecero scrupoli - nell'opera generale di distruzione dell'ufficio del Sabato Santo - a stralciare la maggior parte delle profezie, riducendole a quattro: Gen. 1, Ex. 14, Isaia 4, Deut. 31. Persino il rito moderno di Paolo VI ha un numero maggiore di letture, restaurandone alcune antiche (Gen. 22, Baruch 3, Isaia 55) e inventandone alcune (Isaia 54, Ezechiele 36), con la soppressione di Isaia 4 e Deut. 31; lo stesso tuttavia indica come obbligatorie solo tre di queste letture, e per le più lunghe fornisce una versione accorciata.

Prophetologion greco del XII secolo, British Library, Add MS 11841, fol. 20v
Il Prophetologion era l'antico libro liturgico che conteneva le pericopi profetiche da proclamare
durante la liturgia; già nel Medioevo tale libro è scomparso, e i suoi brani sono stati inseriti nel Triodio,
nel Pentecostario e nei Minei. La Chiesa di Bulgaria ha continuato tuttavia ad usarlo fino a epoca recente.

Il rito bizantino invece prevede quindici letture; tale numero è impiegato pure per la vigilia delle Teofanie, mentre sono dodici le letture della vigilia di Natale. Tuttavia, non si tratta della stessa serie che si ripete, ma di gruppi piuttosto diversificati, al netto di alcune lezioni comuni; quelle delle ultime due occasioni poi, essendo d'introduzione più tardiva, sono più spiccatamente legate al tema della festa. A quanto possiamo dedurre dal Tipico della Grande Chiesa, si era giunti all'uso di proclamare solo sette letture abitualmente, e le restanti solo se vi fossero molti catecumeni e i battesimi si prolungassero. Mentre le chiese slave perpetuano la tradizione di proclamare tutte e quindici le pericopi, nelle parrocchie greche è purtroppo invalsa la malsana prassi di leggerne solo tre, peraltro le più lunghe, cioè Gen. 1, Giona 1-4 (l'intero libro di Giona) e Dan. 3, mentre le restanti sono lette dal clero durante le Ore minori o prima della funzione vigiliare.

L'ordine delle letture nei due riti presenta molti tratti di somiglianza, e in ambo i casi deriva quasi direttamente da quello gerosolimitano antico, i cui testi liturgici per il Sabato Santo ci sono tramandati in un manoscritto conservato presso la Biblioteca Patriarcale Armena di Gerusalemme; tale manoscritto indica dodici letture, quindi è probabile che tre siano state aggiunte solo in una seconda fase dello sviluppo del rito bizantino. Del fatto che un certo numero profezie venissero lette al Vespro del Sabato Santo ne dà testimonianza pure la Peregrinatio di Egeria, che è del IV secolo, e non è da dubitare che si trattasse proprio di questa serie. Egeria ci riferisce pure che queste profezie venivano lette dopo la cerimonia lucernale, caratteristica del Vespro dei primi secoli; e infatti nel rito bizantino esse vengono proclamate subito dopo l'ingresso con l'inno lucernale Φῶς ἱλαρὸν, e nel rito romano seguono immediatamente la benedizione diaconale del cero pasquale (Exultet), l'ultimo vestigio di rito lucernale nella tradizione dell'Urbe.

Mettiamo a confronto le serie di profezie del rito romano, del rito gerosolimitano antico e del rito bizantino:

ROMANO

Genesi 1
Genesi 5-8
Genesi 22
Es. 14 + Cant. di Mosè (Es. 15)
Isaia 55
Baruch 3
Ezechiele 37
Isaia 4 + Cant. (Is. 5)
Esodo 12
Giona 3
Deut. 31 + Cant. di Mosè (c. 32)
Dan. 3

AGHIOPOLITA

Genesi 1-3
Genesi 22
Esodo 12
Giona 1-4
Esodo 14-15
Isaia 60
Giobbe 38
2Re 2
Geremia 31
Giosuè 1
Ezechiele 37
Dan. 3 + Cant. dei Fanciulli

BIZANTINO

Genesi 1,1-13
Isaia 60
Esodo 12
Giona 1-4
Giosuè 5-6
Es. 14 + Cant. di Mosè (Es. 15)
Sofonia 3
3Re 17
Isaia 62
Genesi 22
Isaia 61
4Re 4
Isaia 63-64
Geremia 31
Dan. 3 + Cant. dei Fanciulli


Le liste, com'è naturale, hanno subito turbamenti d'ordine oppure accorciamenti delle letture più lunghe (i tre capitoli iniziali della Genesi sono ridotti a uno nel rito romano e ai primi tredici versetti del primo nel rito bizantino; della storia di Giona il rito romano conserva uno solo dei quattro capitoli). Dell'antica serie gerosolimitana, Geremia 31 (la previsione della Nuova Alleanza) è mantenuto solo dal rito bizantino, mentre Ezechiele 37 (relativo alla risurrezione finale dei corpi) solo dal rito romano; l'incipit di Giosuè, la conclusione di Giobbe e l'assunzione di Elia non sono ripresi da nessuno dei due riti. Il rito bizantino aggiunge un gran numero di letture proprie: Giosuè 5-6 (la prima Pasqua nella terra promessa dopo la cattività egiziana), Sofonia 3 (la maledizione dei giudei e il nuovo Israele), 3Re 17 (Elia fa risorgere il figlio della vedova), Isaia 62 (profezia della gloria di Dio), Isaia 61 (il Messia), 4Re 4 (miracoli di Eliseo), Isaia 63-64 (vendetta di Dio sulle nazioni); queste letture sembrano incentrate sul carattere pasquale della festività. Il rito romano aggiunge Genesi 5-8, cioè la storia di Noè (probabilmente in ragione dell'importanza catechetica? I tre principali avvenimenti della prima sezione della Genesi, i quali sono pure oggetto delle domeniche pre-quaresimali nel rito latino, sono così richiamati nelle prime tre letture); la "lettera di Geremia" riportata da Baruch 3, due letture da Isaia e una dal Deuteronomio; aggiunge pure due cantici (di cui il secondo preso da quello delle Lodi del sabato), ma omette quello dei Tre Fanciulli alla fine, che invece dall'aghiopolita passa direttamente al costantinopolitano. E' interessante notare però che nel rito romano Dan. 3 con il Cantico dei Fanciulli si trova a conclusione di tutte le serie di profezie dei sabati delle Tempora.

La tesi espressa da Andrea Ikonomou in Byzantine Rome and the Greek Popes (Lexington 2007), cioè che la liturgia vigiliare del Sabato Santo non facesse parte originariamente della tradizione romana ma fosse stata importata nel VII secolo sotto Papa Vitaliano da Costantinopoli, viene smentita, oltreché dalle attestazioni di una prima forma di Vigilia nel Sacramentario Gelasiano che è sicuramente precedente, da una serie di elementi constatabili da quanto sopra detto, che piuttosto evidenziano l'origine comune della prassi e dell'ordine delle profezie in quelle cantate nell'Antica Città di Gerusalemme, sviluppatasi poi in modo diverso tra Roma e Costantinopoli.

Venerdì Santo 2021

Feria VI in Parasceve
Ἁγία καὶ Mεγάλη Παρασκευὴ, τῶν Ἁγίων Παθῶν
Ст҃ый и Великїй Пѧтокъ, Ст҃ых Страстей
MMXXI

Affresco della Crocifissione, 1260,
Katholikòn del Monastero della Mavriotissa, Kastoria

Τῶν θεοκτόνων ὁ ἑσμός, Ἰουδαίων ἔθνος τὸ ἄνομον, πρὸς Πιλᾶτον ἐμμανῶς, ἀνακράζων ἔλεγε· Σταύρωσον, Χριστὸν τὸν ἀνεύθυνον. Βαραββᾶν δὲ μᾶλλον οὗτοι ᾐτήσαντο. Ἡμεῖς δὲ φθεγγόμεθα, Λῃστοῦ τοῦ εὐγνώμονος, τὴν φωνὴν πρὸς αὐτόν. Μνήσθητι καὶ ἡμῶν Σωτήρ, ἐν τῇ Βασιλείᾳ σου.

La turba dei deicidi, l'empio popolo dei Giudei, gridando forsennatamente diceva a Pilato: Crocifiggilo, Cristo l'innocente. Quelli piuttosto chiedevano Barabba. Noi invece rivolgiamo a Lui il grido del buon Ladrone: Ricordati pur di noi, o Salvatore, nel tuo Regno.

(III Stico delle Beatitudini del Mattutino della Santa Passione, detto "dei XII Vangeli")

Andrea Mantegna, Crocifissione, 1457-59, Musée du Louvre, Parigi

Crucem tuam adorámus, Dómine: et sanctam resurrectiónem tuam laudámus et glorificámus: ecce enim, propter lignum venit gaudium in univérso mundo. Deus misereátur nostri et benedícat nobis: Illúminet vultum suum super nos et misereátur nostri.


Adoriamo la tua Croce, o Signore: e lodiamo e glorifichiamo la tua santa Risurrezione: ecco infatti, per mezzo del legno venne la gioia in tutto il mondo. Iddio abbia misericordia di noi e ci benedica: Faccia risplendere il suo volto su di noi e abbia misericordia di noi.

(Antifona all'adorazione della Santa Croce durante la Liturgia dei Presantificati)

giovedì 29 aprile 2021

Giovedì Santo 2021

Feria V in Coena Domini
Ἁγία καὶ Mεγάλη Πέμπτη, τοῦ μυστικοῦ Δείπνου
Ст҃ый и Великїй Четвертокъ, Тайной Вечеры
MMXXI

Lavanda dei Piedi, 1310-20, Chiesa di S. Nicola Orfano, Tessalonica

Ὁ λεντίῳ ζωσάμενος, καὶ νίψας τοὺς πόδας τῶν Μαθητῶν, Χριστὲ ὁ Θεός, ἀπόπλυνον ἡμῶν, τῆς ψυχῆς τὸν λογισμόν, καὶ περίζωσον ἡμᾶς συνδέσμῳ πνευματικῷ, τοῦ ποιεῖν τὰς ἐντολάς σου, καὶ ὑμνεῖν τὴν σὴν ἀγαθότητα.

Tu che cinto di un panno lavasti i piedi dei Discepoli, o Cristo Dio, lava la facoltà razionale delle nostre anime, e cingici con un legame spirituale, per compiere i tuoi precetti, e inneggiare alla tua bontà.

(Stichiro idiomelo del Niptìr, ovvero la lavanda dei piedi)

Maestro del Libro di Casa, Ultima Cena, 1480 c.a, Gemaeldegalerie, Berlino

Judas mercátor péssimus ósculo pétiit Dóminum: ille ut agnus ínnocens non negávit Judæ ósculum: Denariórum número Christum Judǽis trádidit. Mélius illi erat, si natus non fuísset.
Denariórum número Christum Judǽis trádidit.

Giuda, pessimo mercante, chiese un bacio al Signore: egli quale agnello innocente non rifiutò un bacio a Giuda: per una somma di denari consegnò Cristo ai Giudei. Meglio sarebbe stato per lui se non fosse mai nato: per una somma di denari consegnò Cristo ai Giudei.

(IV Responsorio dell'Officio delle Tenebre del Giovedì Santo)

mercoledì 28 aprile 2021

La litania del "Christus factus est" all'Ufficio delle Tenebre

 Com'è noto, nel rito romano i Mattutini del Giovedì, del Venerdì e del Sabato Santo (celebrati ordinariamente nella notte di mercoledì, giovedì e venerdì) prendono il nome di Ufficio delle Tenebre, e presentano delle caratteristiche del tutto peculiari, quali l'essere cantati in un modo estremamente austero, che rimanda direttamente alla prassi dei primissimi secoli, prima dell'introduzione dell'ufficio strutturato, e cioè senza preghiere iniziali, invitatorio, inni e capitoli, ma iniziando direttamente della prima antifona del primo salmo, e omettendo le dossologie al fine dei salmi, introdotte da Papa san Damaso nel IV secolo; l'uso di un candelabro triangolare con quindici candele, le quali vengono spente una ad una al termine di ciascuno dei nove salmi dei notturni e dei cinque delle lodi, rappresentando i 12 Apostoli, la Maddalena e Maria di Cleofa che abbandonano Cristo; l'ultima, rappresentante la luce di Cristo che non tramonta, ma si nasconde entro la terra nei tre giorni passati nel sepolcro, viene mostrata ai fedeli e poi nascosta dietro l'altare durante il canto del Benedictus, mentre si spengono pure i candelieri dell'altare e le lampade della chiesa; infine, i particolari riti conclusivi che si svolgono in ginocchio nella completa oscurità. Questi ultimi sono la litania del Christus factus est, il Padre Nostro detto in segreto e prosternati a terra, il salmo 50 aliquantulum altius (il famoso Miserere di Allegri era stato composto proprio per questa circostanza), l'orazione speciale Respice quaesumus conclusa in silenzio, lo strepitus - cioè la rappresentazione simbolica del terremoto avvenuto all'ora della morte di Cristo, riprodotto sbattendo i libri sugli stalli del coro, oppure con raganelle - e infine il ritorno della candela nascosta sul candelabro, che rappresenta la nostra fede nella Risurrezione.

Il candelabro delle Tenebre a un'esecuzione (la foto è stata trovata su un social e la pagina non specificava se si trattasse di un'esecuzione liturgica o banalmente musicale come parrebbe; corrette le candele di cera gialla, che nella tradizione occidentale è propria degli uffici luttuosi).

A chi conosce il rito romano tridentino suonerà strano chiamare "litania" il Christus factus est, che nella forma in cui è presente nel Breviario di Pio V assomiglia piuttosto a un graduale, al cui testo (Christus factus est pro nobis obediens usque ad mortem) si aggiunge un ulteriore verso il Venerdì Santo (mortem autem crucis) e un ulteriore il Sabato (propter quod Deus exaltavit illum etc.); a guardare però i Breviari, anche di età moderna, di altri usi non romani (Pragense, Bracarense, Parigino, Sarum, solo per citarne alcuni; fa eccezione notevole il Lionese; si trova invece pure in quello domenicano [1]), ci si rende conto che la forma in cui è presente è una vera e propria litania. Tale si presenta pure nell'Antifonario di Hartker (scritto a S. Gallo verso l'anno 1000) e nell'Antifonario di Compiegne (780 circa), il più antico testimone dell'ufficio divino romano; ne dà testimonianza infine anche Guglielmo Durando nel suo Rationale divinorum officiorum, che descrive gli usi delle chiese d'Italia e di Francia all'altezza del XIII secolo [2]. Scomparve dall'uso della corte papale probabilmente durante le numerose semplificazioni e decadenze occorse durante la cattività avignonese, e come tale non è riportato dai libri liturgici tridentini, tuttavia è parte della più pura tradizione romana.

Forniamo di seguito il testo della versione romana, che si ritrova identica pure nel rito di Sarum e in altri varj usi:

Kyrie, eleison. Kyrie, eleison. Kyrie, eleison.
Dómine, miserére.
Christus Dóminus factus est oboediens usque ad mortem.

§ Al Giovedì e al Sabato Santi:

℣. Qui passúrus advenisti propter nos. ℟. Christe eleison.
℣. Qui expansis in cruce mánibus, traxisti omnia ad te sáecula. ℟. Christe eleison.
℣. Qui prophétice prompsisti: Ero mors tua, o mors. ℟. Christe eleison.

§ Al Venerdì Santo

℣. Agno miti basia cui lupus dedit venenósa. ℟. Christe eleison.
℣. Vita in ligno móritur: infernus et mors lugens spoliátur. ℟. Christe eleison.
℣. Te qui vincíri voluisti, nosque a mortis vínculis eripuisti. ℟. Christe eleison.

Kyrie eleison. Kyrie eleison. Kyrie eleison.
Dómine, miserére.
Christus Dóminus factus est oboediens usque ad mortem.
Al venerdì santo si aggiunge: Mortem autem crucis.
Al sabato santo si aggiunge: Propter quod et Deus exaltavit illum, et dedit illi nomen quod est super omne nomen.

Altre costumanze prevedevano l'aggiunta di alcuni altri versi, oppure della ripetizione solenne del Christus factus est a mo' di graduale alla fine della litania, come avveniva nell'uso strigoniense (l'uso della cattedrale di Ezstergom in Ungheria). Questa litania era anche detta Kyrie puerorum, poiché la ripetizione del Kyrie eleison era affidata in parecchi usi a dei pueri, cioè probabilmente gli studenti delle scuole cattedrali: si vedano per esempio le complesse disposizioni rituali della cattedrale di Praga, dove ogni verso della litania era affidata a un diverso gruppo di chierici, disposti quasi a formare una croce nella chiesa (i preti vicarii circa diversorium; i cantori viri dietro l'altare; i canonici nella cappella con le reliquie di S. Venceslao; i diaconi e i suddiaconi nella cappella con le reliquie di S. Sigismondo), e il Kyrie eleison spettava sempre a quello centrale dei pueri, cfr. il Breviarium Pragense impresso a Norimberga nel 1502, fol. 145v.

Esecuzione "concertistica" della litania secondo l'uso magiaro

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NOTE

[1] Il quale di fatto ci presenta uno stadio dell'uso particolare del rito romano dei canonici regolari agostiniani del XII secolo, che questi avevano introdotto pure in Spagna, dove lo conobbe S. Domenico, in seguito ai tentativi di soppressione del rito mozarabo portati avanti dall'empio re Alfonso VI di Castiglia al Sinodo di Braga del 1080.

[2] Cum kyrie eleison, et Domine miserere: quasi lamentabiliter cantatur... in quibusdam Ecclesiis tropis cantatis procidentes ad terram, dicunt in tenebris sub silentio: Miserere mei Deus, et collecta: Respice quesumus Domine... Postea fit cum manu vel alio quodanmodo sonitus ante lumini revelatione... - "Quando il Kyrie eleison e il Domine miserere sono stati cantati quasi in forma di lamentazione, in alcune chiese, cantati i tropari, ci si prostra terra e si dice nell'oscurità a tono basso: Miserere mei Deus, e la colletta: Repisce quesumus Domine; poi si fa con la mano o con altro strumento un certo rumore prima della rivelazione del lume". (Rationale, VI, 27-29). Il Kyrie eleison, come pure vedremo, è marcatore inconfondibile di una litania.

Il computo del Sacro Triduo

di Luca Farina

Ogni anno, in concomitanza con il sopraggiungere della Santa Pasqua, si parla spesso del Sacro Triduo. Ma cos'è il Triduo? Cercheremo di spiegarlo molto sinteticamente.

Triduo -la cosa è facilmente intuibile- è un periodo di tre giorni: ma come vanno contati? Secondo molti esso è l'insieme dei tre giorni precedenti la domenica di Pasqua: giovedì, venerdì e sabato. In realtà dobbiamo ricordarci che i primi Cristiani non computavano le giornate secondo il sistema attuale da mezzanotte a mezzanotte, ma contavano le giornate a vespere usque ad vesperem, riprendendo l'uso dagli Ebrei (non a caso la Genesi dice Et factum est vespere et mane per la cronologia della Creazione) e dai Romani, ed è questa la logica che sta dietro ai Primi Vespri di una festa.

Pertanto, i tre giorni vanno considerati in questo modo: dai Vespri del Giovedì Santo a quelli del Venerdì (1° giorno), da quelli del Venerdì a quelli del Sabato Santo (cioè la "Veglia" di Pasqua, 2° giorno) e dalla veglia ai Secondi Vespri di Pasqua (3° giorno).

Di questa scansione parla già Sant'Ambrogio nell'Epistola XXIII indirizzata ai Vescovi dell'Emilia: Cum igitur Triduum illud Sacrum in ebdomadam proxime concurrat ultimam, intra quod Triduum et passus est et quievit et resurrexit, de quo Triduo ait:”Solvite hoc templum et in triduo resuscitabo illud”, quid nobis potest molestiam dubitationis afferre? - Giacché infatti quel Santo Triduo ricorre in quell’ultima settimana - ed in quel triduo Egli patì, morì e risorse - del quale Egli disse:” Abbattete questo tempio, ed io lo ricostruirò in tre giorni”, da quale dubbio mai possiamo farci turbare?

È interessante notare alcune cose: 

1) la celebrazione della Messa in Coena Domini, tanto in Occidente quanto in Oriente, è una funzione vespertina. Questo però non significa che vada celebrata necessariamente in orario serotino, ma che contenga in sé i caratteri, almeno simbolici di quel momento (dunque la celebrazione romana contiene nella sua parte finale il Vespro, la celebrazione del rito ambrosiano avviene infra Vesperas, la celebrazione bizantina unisce il Vespro fino all'ingresso alla Liturgia di S. Basilio, etc.);

2) la celebrazione del Venerdì Santo (dico volontariamente così e non Messa dei Presantificati, poiché nel rito ambrosiano, ma anche nel rito bizantino, la celebrazione è del tutto differente, pur conservando carattere vespertino) è una funzione vespertina: alla morte del Signore ogni luce si oscura, scendono le tenebre. Come può non trattarsi di un Vespro?

3) La Veglia pasquale è una celebrazione vespertina: questo punto è molto interessante, e meriterebbe di essere trattato in modo assai più ampio. Basti ricordare, al momento, che le rubriche prevedono di preparare il fuoco con le pietre, sottintendendo di fare ciò per fruire dell’illuminazione prima del tramontare del sole. Inoltre, prima delle nefaste riforme pacelliane, alla celebrazione della Messa seguiva il canto immediato del Vespro, con regolare Magnificat; solo nel 1955 si introduce l’idea di una celebrazione notturna, a cui devono seguire le Laudi (senza Mattutino né Vespri), e si canta il Benedictus: ma questo è frutto della confusione tra la Veglia (= vigilia) e il Mattutino della Risurrezione, del resto scomparso dalla prassi cattolica da parecchi decenni (e letteralmente abolito dal citato Bugnini). Ugualmente, in Oriente al Vespro è unita la Liturgia di S. Basilio, che contiene la lettura di 15 profezie e il canto solenne dell'Ἀνάστα ὁ Θεὸς; mentre la celebrazione notturna della Risurrezione (dopo la mezzanotte) è il Mattutino Pasquale, eventualmente seguito dalla Liturgia del giorno di Pasqua.

Ecco perché le celebrazioni del Triduo (Coena Domini-Passione-Veglia-Messa del giorno) formano un corpus unico, una unica glorificazione del Salvatore morto e risorto per la nostra salvezza.

Mercoledì Santo 2021

Feria IV Majoris Hebdomadæ
Ἁγία καὶ Mεγάλη Τετάρτη
Ст҃аѧ и Велнкаѧ Среда

Notazione musicale del poema della monaca Cassiana.
Archivio della Staats und Stadtbibliotheke di Augusta (Augsburg).

Κύριε, ἡ ἐν πολλαῖς ἁμαρτίαις περιπεσοῦσα Γυνή, τὴν σὴν αἰσθομένη Θεότητα, μυροφόρου ἀναλαβοῦσα τάξιν, ὀδυρομένη μύρα σοι, πρὸ τοῦ ἐνταφιασμοῦ κομίζει. Οἴμοι! λέγουσα, ὅτι νύξ μοι, ὑπάρχει, οἶστρος ἀκολασίας, ζοφώδης τε καὶ ἀσέληνος, ἔρως τῆς ἁμαρτίας. Δέξαι μου τὰς πηγὰς τῶν δακρύων, ὁ νεφέλαις διεξάγων τῆς θαλάσσης τὸ ὕδωρ· κάμφθητί μοι πρὸς τοὺς στεναγμοὺς τῆς καρδίας, ὁ κλίνας τοὺς οὐρανούς, τῇ ἀφάτῳ σου κενώσει· καταφιλήσω τοὺς ἀχράντους σου πόδας, ἀποσμήξω τούτους δὲ πάλιν, τοῖς τῆς κεφαλῆς μου βοστρύχοις, ὧν ἐν τῷ Παραδείσῳ Εὔα τὸ δειλινόν, κρότον τοῖς ὠσὶν ἠχηθεῖσα, τῷ φόβῳ ἐκρύβη. Ἁμαρτιῶν μου τὰ πλήθη καὶ κριμάτων σου ἀβύσσους, τίς ἐξιχνιάσει ψυχοσῶστα Σωτήρ μου; Μή με τὴν σὴν δούλην παρίδῃς, ὁ ἀμέτρητον ἔχων τὸ ἔλεος.

O Signore, la Donna che era caduta in molti peccati, avvertita la tua Divinità, prendendo il ruolo di mirofora e spargendo miro su di te, ti unge prima della tua sepoltura. "Ahimè! - dice - Poiché la notte è per me stimolo di dissolutezza, oscura e senza luna, è amore pel peccato. Accetta le sorgenti delle mie lacrime, tu che con le nuvole conduci l'acqua del mare: piegati ai gemiti del mio cuore, tu che piegasti i cieli con la tua ineffabile incarnazione: bacerò i tuoi piedi immacolati, nuovamente li asciugherò coi capelli del mio capo, quei piedi il cui calpestio sentendo con le sue orecchie, Eva nel Paradiso si nascose per la paura. Chi può esaminare la moltitudine dei miei peccati e gli abissi dei tuoi giudizi, o salvatore delle anime, mio Salvatore? Non sdegnare me la tua serva, tu che possiedi misericordia incommensurabile.

(Poema della Monaca Cassiana per gli Apostichi delle Lodi del Mattutino "dello Sposo" del Grande e Santo Mercoledì)

Pietro Lorenzetti, Cattura di Cristo, 1311-19
Affreschi della Basilica Superiore di S. Francesco ad Assisi

 Circumdedérunt me viri mendáces: sine causa flagéllis cecidérunt me: Sed tu, Dómine defénsor, víndica me. Quóniam tribulátio próxima est, et non est qui ádjuvet.
 Sed tu, Dómine defénsor, víndica me.


Mi hanno circondato uomini ingannatori: senza motivo mi hanno percosso con verghe: ma tu, o Signore, mio difensore, fammi vendetta. Poiché si avvicina la tribolazione, e non v'è chi mi possa aiutare. Ma tu, o Signore, mio difensore, fammi vendetta.

(Terzo responsorio del Mattutino del Santo Mercoledì)

martedì 27 aprile 2021

Martedì Santo 2021

Feria III Majoris Hebdomadæ
Ἁγία καὶ μεγάλη Τρίτη
Ст҃ый и Велнкїй Вторникъ
MMXX


Ἡ ἁμαρτωλὸς ἔδραμε πρὸς τὸ μύρον πριάσασθαι, πολύτιμον μύρον, τοῦ μυρίσαι τὸν εὐεργέτην, καὶ τῷ μυρεψῷ ἐβόα· Δός μοι τὸ μύρον, ἵνα ἀλείψω κᾀγὼ τὸν ἐξαλείψαντά μου πάσας τὰς ἁμαρτίας.

La peccatrice corse a comprare il miro, miro preziosissimo, per ungere il suo benefattore, e al venditore di oli gridò: Dammi del miro, affinché pure io unga colui che ha cancellato ogni mio peccato.

(Doxastikòn delle Lodi al Mattutino "dello Sposo" del Grande e Santo Martedì)

Dieric Bouts, La cena in casa di Simone, 1440 circa

Vide, Dómine, et consídera, quóniam tríbulor: velóciter exáudi meDiscérne causam meam, Dómine: ab hómine iníquo et dolóso éripe me. Dum tribulárer, clamávi ad Dóminum de ventre ínferi, et exaudívit me. Dómine, vim pátior, respónde pro me: quia néscio quid dicam inimícis meis. Dixérunt ímpii: Opprimámus virum justum, quóniam contrárius est opéribus nostris.

Guarda, Signore, e considera quanto io patisco: ascoltami rapidamente. Giudica la mia causa, o Signore: liberami dall'uomo iniquo e peccatore. Nella tribolazione ho gridato al Signore dal profondo dell'inferno, e mi ha ascoltato. Signore, subisco violenza, rispondi per me: poiché non so che dire ai miei nemici. Dissero gli empi: Opprimiamo ingiustamente l'uomo giusto, poiché è contrario alle nostre opere.

(Antifone delle Lodi del Santo Martedì)

lunedì 26 aprile 2021

Lunedì Santo 2021

 Feria II Majoris Hebdomadæ
Ἁγία καὶ μεγάλη Δευτέρα
Ст҃ый и Велнкїй Понидѣльникъ
MMXXI

Theodoros Poulakis, Giacobbe lamenta la morte del figlio Giuseppe, XVII secolo

Τῇ ἁγίᾳ καὶ μεγάλῃ Δεύτερᾳ μνήμην ποιούμεθα τοῦ μακαρίου Ἰωσὴφ τοῦ παγκάλου.
Ἰωσὴφ τὴν σωφροσύνην, μιμησώμεθα πιστοί, γνῶμεν τὸν τιμήσαντα, τὴν τῶν ἀνθρώπων λογικὴν οὐσίαν, πάσῃ φυλακῇ πολιτευσάμενοι, δι' ἀρετῆς πρακτικῆς.
Τῶν καλῶν ἡ ἀπραξία, ὡμοιώθη τῇ συκῇ· ταύτην οὖν ἐκκλίνωμεν, μὴ ξηρανθῶμεν ὡς ἐκείνη τότε, τὴν συναγωγὴν φύλλοις πυκάζουσαν, προϋπογράφουσα.
Τὴν εἰκόνα τοῦ Δεσπότου, ὑπογράφων Ἰωσήφ, λάκκῳ κατατίθεται, ἀπεμπολεῖται ὑπὸ τῶν συγγόνων, πάντα ὑπομένει ὁ ἀοίδιμος, εἰς τύπον ὄντως Χριστοῦ.

Il Grande e Santo Lunedì facciamo memoria del beato e ottimo Giuseppe.
Di Giuseppe la sapienza imitiamo o fedeli, conosciamo colui che ha onorato l'essenza razionale degli uomini, subendo ogni prigionia con autentica virtù.
La mancanza di buone opere assomiglia al fico: non cadiamo in questa, non secchiamoci come quello fece un tempo, prefigurando la sinagoga oscurata da foglie.
Figurando quale immagine del Signore, Giuseppe fu posto in una fossa, fu scacciato dai fratelli, tutto ha sopportato, a veritiera immagine di Cristo

(Canone della Compieta del Grande e Santo Lunedì)

Antonio del Castillo, Giuseppe venduto dai suoi fratelli, XVII secolo

Viri ímpii dixérunt: Opprimámus virum justum injúste, et deglutiámus eum tamquam inférnus vivum: auferámus memóriam illíus de terra: et de spóliis ejus sortem mittámus inter nos: ipsi enim homicídæ thesaurizavérunt sibi mala. Insipiéntes et malígni odérunt sapiéntiam: et rei facti sunt in cogitatiónibus suis. Hæc cogitavérunt, et erravérunt: et excæcávit illos malítia eórum. Insipiéntes et malígni odérunt sapiéntiam: et rei facti sunt in cogitatiónibus suis.

Uomini empi dissero: Opprimiamo ingiustamente l'uomo giusto, e ingoiamolo vivo come fa l'inferno: leviamo il suo ricordo dalla terra, e giochiamoci tra di noi a sorte le sue spoglie. Così questi omicidi si sono accumulati dei mali. Gli stolti e i maligni odiano la sapienza: e si fanno rei dei loro pensieri. Queste cose han pensato, e hanno errato: e la loro malizia li ha accecati. Gli stolti e i maligni odiano la sapienza: e si fanno rei dei loro pensieri.

(primo responsorio del Mattutino del Santo Lunedì)

domenica 25 aprile 2021

Domenica delle Palme 2021

Dominica in palmis
Κυριακὴ τῶν βαΐων
Недѣлѧ Ваїй
MMXXI

Duccio di Buoninsegna, Ingresso in Gerusalemme,
Retro della pala della Maestà del Duomo di Siena, 1308-11

Τῷ θρόνῳ ἐν οὐρανῷ, τῷ πώλῳ ἐπὶ τῆς γῆς, ἐποχούμενος Χριστὲ ὁ Θεός, τῶν Ἀγγέλων τὴν αἴνεσιν, καὶ τῶν Παίδων ἀνύμνησιν προσεδέξω βοώντων σοι· Εὐλογημένος εἶ ὁ ἐρχόμενος, τὸν Ἀδὰμ ἀνακαλέσασθαι.
Ἐπειδὴ ᾍδην ἔδησας ἀθάνατε, καὶ θάνατον ἐνέκρωσας, καὶ Κόσμον ἀνέστησας, βαΐοις τὰ νήπια ἀνευφήμουν σε Χριστέ, ὡς νικητὴν κραυγάζοντά σοι σήμερον. Ὡσαννὰ τῷ Υἱῷ Δαυΐδ· οὐκέτι γάρ φησι, σφαγήσονται βρέφη διὰ τὸ βρέφος Μαριάμ, ἀλλ' ὑπὲρ πάντων νηπίων καὶ πρεσβυτῶν, μόνος σταυροῦσαι, οὐκέτι καθ' ἡμῶν χωρήσει τὸ ξίφος· ἡ σὴ γὰρ πλευρὰ νυγήσεται λόγχῃ· ὅθεν ἀγαλλόμενοι φαμέν· Εὐλογημένος εἶ ὁ ἐρχόμενος, τὸν Ἀδὰμ ἀνακαλέσασθαι.

Su un trono nel cielo, su un asino sulla terra, sei portato o Cristo Iddio, accogli la lode degli Angeli e il canto dei Fanciulli che a te gridano: Benedetto sei tu che vieni a richiamare indietro Adamo.
Poiché hai legato l'Ade, o Immortale, e ucciso la morte, e risollevato il Cosmo, i fanciulli ti inneggiano con palme, o Cristo, e oggi gridano a te vincitore: Osanna al Figlio di Davide: non più infatti - dicono - saranno uccisi fanciulli per il fanciullo di Maria, ma per tutti, giovani e vecchi, egli solo sarà crocifisso, e non più contro di noi agirà la spada: il tuo fianco infatti sarà squarciato con una lancia; perciò rallegrandoci diciamo:  Benedetto sei tu che vieni a richiamare indietro Adamo.

(Stanza e Condacio delle Canone della Domenica delle Palme secondo il rito bizantino)

Ingresso in Gerusalemme, mosaici greci della
Cappella Palatina di Palermo (XII secolo)

Auge fidem in te sperántium, Deus, et súpplicum preces cleménter exáudi: véniat super nos múltiplex misericórdia tua: benedicántur et hi pálmites palmárum, seu olivárum: et sicut in figúra Ecclésiæ multiplicásti Noë egrediéntem de arca, et Móysen exeúntem de Ægýpto cum fíliis Israël: ita nos, portántes palmas et ramos olivárum, bonis áctibus occurrámus óbviam Christo: et per ipsum in gáudium introëámus ætérnum: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus per ómnia sǽcula sæculórum.

Accresci la fede di coloro che in te sperano, o Dio, ed ascolta clemente le preghiere dei supplici: scenda su di noi la tua molteplice misericordia: siano benedetti anche questi rami di palme o di olivi: e come a prefigurazione della Chiesa moltiplicasti Noè uscito dall'arca, e Mosè uscito dall'Egitto coi figli d'Israele, così noi, recando palme e rami d'ulivo, con buone azioni corriamo incontro a Cristo, e per mezzo di lui facciamo ingresso nella gioia eterna: Egli vive e regna teco nell'unità dello Spirito Santo, Dio, per tutti i secoli dei secoli.

(Orazione dopo il Vangelo della Messa secca di benedizione dei rami)

venerdì 23 aprile 2021

Anastasis e "coprifuoco": implicazioni liturgiche dei fatti di Grecia nel 2021

Sembra che i governi anticlericali dei paesi ortodossi "occidentalizzati" (quindi non parliamo delle felici oasi di Russia e Bielorussia) si stiano impegnando con diabolica perseveranza a rendere impossibile la vita liturgica e spirituale dei loro abitanti, persino più di quanto abbiano fatto e facciano i paesi cattolici, con il pretesto della presente epidemia. In particolare in Grecia le funzioni liturgiche sono state celebrate a porte chiuse per parecchi mesi dallo scorso ottobre, con l'unica eccezione delle principali festività natalizie e alcune festività all'inizio della Quaresima; oggi sono aperte ai fedeli, ma con protocolli di "sicurezza" ridicolmente offensivi e inaccettabili, a partire dal numero ridottissimo di fedeli che si possono accogliere (dovendo garantire 25 [sic!] metri quadrati per ogni fedele), e gli obblighi anticanonici e blasfemi d'indossare la maschera per i fedeli e di sottoporsi a self-test per preti e cantori, se non vaccinati. Misure che fanno quasi impallidire le persecuzioni anticristiane che si attuano nei regimi comunisti o nei califfati islamici, e ancor più odiose poiché imposte in un paese che ha il Cristianesimo ortodosso come religione di Stato, da un presidente - Kyriakos Mitsotakis - che ha giurato sul Vangelo all'inizio del suo mandato, ma che ha più volte dimostrato il suo anticlericalismo liberale, tanto da essere stato scomunicato dal vescovo Ambrogio già di Kalavryta e Aigialea, e definito nemmeno troppo velatamente "non ortodosso" dal Metropolita Serafim di Cerigo.

Recentemente, in un incontro tra il presidente del Santo Sinodo di Grecia, il debole e anziano Arcivescovo di Atene Geronimo, e il governo, è stato deciso che durante l'addiveniente Settimana Santa si potranno celebrare le sacre funzioni, pur con le blasfeme misure di cui sopra, e persino la tradizionale processione del Venerdì Santo, seppur solo nelle vie circonvicine alla chiesa; infine, tuttavia, viene stabilito che a causa del vigente "coprifuoco" (misura la cui illegittimità, inutilità e odiosità è superfluo commentare) la celebrazione della Risurrezione dovrà avvenire alle 21 anziché a mezzanotte come tradizionalmente. Il Metropolita Serafim di Cerigo si è giustamente opposto a questa anticanonica decisione e, insieme al Metropolita Cosma di Etolia e Acarnania, ha indirizzato una lettera al Santo Sinodo in cui spiega le ragioni della sua ferma opposizione e invita a rivedere le decisioni assunte. E' da notare che contestualmente la Chiesa di Creta, rivendicando la propria autonomia rispetto al sinodo di Atene, ha dichiarato di non condividere il protocollo d'intesa e ha pertanto spiegato che non vi si atterrà.

Nella lettera dei due metropoliti si analizza in primis la profonda divisione tra Cristiani che suscitano le misure sanitarie, irrispettose della santità del tempio, tra coloro che volendo restare fedeli ai canoni si rifiutano strenuamente di applicarle, e coloro che - pure in buona fede - si adattano a seguirle pur non condividendole, ritenendo meglio di niente che "concedano" loro di aprire le chiese; dopodiché, si passa alla questione dell'orario della celebrazione della Risurrezione. E questo punto c'interessa particolarmente, poiché fornisce un'attenta spiegazione liturgica del significato di questa celebrazione.

Con dovizia di particolari, la lettera spiega che la celebrazione della Risurrezione, e particolarmente la Divina Liturgia Pasquale che segue alle funzioni del Mesonittico, dell'Anastasis e del Mattutino, sono un atto liturgico proprio della giornata di Domenica, del giorno di Pasqua, e non del Grande e Santo Sabato; come tali, non possono assolutamente iniziare prima della mezzanotte, e per via della tradizione ecclesiastica che permette di celebrare il Divin Sacrificio da mezzanotte a mezzogiorno, e per via del principio canonico e simbolico per cui normalmente una sola Divina Liturgia può essere celebrata in una chiesa in uno stesso giorno. La liturgia del Sabato - spiegano bene i metropoliti - è quella vesperale di S. Basilio, che si anticipa per tradizione al mattino, appunto celebrata insieme al Vespro e accompagnata dal canto di 15 profezie veterotestamentarie e dal rito dell'Ἀνάστα ὁ Θεὸς. Quest'ultima è l'equivalente della Vigilia Paschalis latina, cioè il primo Vespro di Pasqua con la Liturgia del Sabato Santo, che prepara alla festività pasquale, ma non è Pasqua e non è la Risurrezione di Cristo, e che pure tradizionalmente si celebrava al mattino del sabato prima delle nefaste riforme bugniniane. In Italia, il coprifuoco - che (giustamente) tanto fastidio ha dato per la liturgia di mezzanotte di Natale - non sembra aver causato particolari danni a quanti hanno con tutta tranquillità celebrato la Risurrezione di Cristo nel pomeriggio del Sabato anziché alla domenica; una volta tanto, invece, i "tradizionalisti" sono stati costretti a fare ciò che sarebbe giusto, cioè celebrare la Vigilia Pasquale al mattino o al massimo al primo pomeriggio del Sabato, ma probabilmente lo hanno fatto credendo che quella fosse la Risurrezione, ovviamente omettendo di celebrare all'alba della domenica il Mattutino Pasquale, la vera funzione della Risurrezione di Cristo.

L'Anastasis avanti alle porte della Cattedrale dell'Annunciazione a Lamia,
celebrante il Metropolita di Ftiotide Nicola, nel 2017

La lettera dei due vescovi lo dice chiaramente: "Δὲν χωρεῖ οἰκονομία". In questioni liturgiche di tale importanza, che riguardano la superiore tradizione della Chiesa e il senso e il significato stesso delle sacre funzioni, "non c'è spazio per l'economia" (la pratica della misericordia della Chiesa che consente l'accettazione di situazioni non ottimali per evitare danni spirituali maggiori: essa è tuttavia una pratica pastorale, non applicabile alla dogmatica né alla tradizione, ndr). Anche volendo rispettare l'illogico "coprifuoco" (che, scattando al momento alle 21 in Grecia, comunque necessita di una deroga per "permettere" la celebrazione a quell'ora; perché allora non derogare all'ora giusta?), si possono trovare soluzioni più armoniose e rispettose della sacra liturgia: in un comunicato il Metropolita Serafim e tutti i parroci e i chierici della sua diocesi hanno annunciato che, salvo ripensamenti del governo, celebreranno la funzione pasquale (Mattutino, Anastasis e Liturgia) a partire dalle 5 del mattino di Domenica, rifiutando l'anticanonica e antisimbolica anticipazione alla sera; una prassi adottata da altre Chiese locali (soprattutto per le loro parrocchie in diaspora in territori in cui vigesse il "coprifuoco") è quella di celebrare in tarda serata di sabato il Mattutino Pasquale con l'Anastasis, e la Divina Liturgia al mattino del giorno dopo, come avevano fatto pure per il Natale; vescovi particolarmente coraggiosi, come il Metropolita Neofita di Morfou (Cipro), hanno semplicemente detto che, quali che siano le pretese del governo, celebreranno secondo tradizione, non temendo multe o sanzioni.

La Tradizione liturgica e il suo significato mistico non sono negoziabili; la caduta sull'orario della Risurrezione e l'incomprensione del senso liturgico delle funzioni pasquali sono l'origine delle terribili riforme della Settimana Santa degli anni '50.

domenica 11 aprile 2021

L'inno "Ad preces nostras deitatis aures" nelle domeniche di Quaresima

Il Breviario Tridentino, alla Domenica Invocabit, riporta il seguente inno, da cantarsi al II Vespro delle domeniche di Quaresima. Si tratta di un inno in strofe saffiche, di autore anonimo, composto probabilmente attorno al X secolo.

Ad preces nostras deitatis aures
Deus inclina pietate sola:
Supplicum vota suscipe precamur
famuli tui. 

Respice clemens solio de sancto
Vultu sereno lampades illustra
Lumine tuo tenebras depelle
pectore nostro.

 Crimina laxa pietate multa
ablue sordes, vincula disrumpe:
Parce peccatis, releva jacentes
dextera tua.

 Te sine tetro mergimur profundo:
Labimur alta sceleris sub unda:
Brachio tuo trahimur ad clara
sidera coeli.

 Christe lux vera bonitas et vita
gaudium mundi pietas inmensa
Qui nos a morte roseo salvasti
sanguine tuo.

 Insere tuum petimus amorem:
Mentibus nostris fidei refunde:
Lumen aeternum charitatis auge
dilectionem.

 Tu nobis dona fontem lacrimarum
Jejuniorum fortia ministra
vitia carnis millia retunde
framea tua.

 Procul a nobis perfidus absistat:
Satan a tuis viribus confractus.
Sanctus assistat spiritus a tua
sede demissus.

 Gloria Deo sit aeterno Patri,
Sit tibi semper genitoris nate:
Cum quo aequalis Spiritus per cuncta
Saecula regnat. Amen.

Alle nostre preghiere le tue divine orecchie,
o Dio, piega, con la tua unica pietà:
accogli i voti dei supplici, te ne preghiamo
noi tuoi servi.

Volgi lo sguardo clemente dal santo tuo soglio
con volto sereno, dà luce alle lampade
con la tua luce, scaccia le tenebre
dal nostro petto.

Con la tua molta pietà rimetti i nostri crimini,
lava le nostre immondezze, rompi le catene:
indulgi ai nostri peccati, solleva quanti sono a terra con la tua destra.

Senza di te siamo immersi nella profonda oscurità, cadiamo sotto una profonda onda d’iniquità: dal tuo braccio siam tratti alle luminose stelle del cielo.

O Cristo, luce vera, bontà e vita,
gioia del mondo, pietà immensa,
che ci hai salvati dalla morte con il rosso
tuo sangue.

Effondi, ti preghiamo, il tuo amore:
ricolma di fede le nostre menti:
aumenta il lume eterno della carità,
l’amore.

Tu donaci una fonte di lacrime,
guida le asprezze dei digiuni,
respingi i mille vizi della carne
con la tua spada.

Lontano da noi se ne stia il perfido
Satana, distrutto dalle tue potenze.
Ci assista il Santo Spirito, dal tuo
trono mandato.

Sia gloria a Dio eterno Padre,
a te sia sempre [gloria], o Figlio del Padre:
insieme al quale lo Spirito eguale
regna per tutti i secoli. Amen.


L'inno, come detto ancora presente nel Breviario del 1570, scompare inopinatamente durante la revisione di Papa Clemente VIII del 1602, nella quale al Vespro domenicale è assegnato l'inno Audi, benigne Conditor che si canta nelle ferie. Tra i molti adattamenti musicali di questo inno spicca uno di Tomas Luis de Victoria, uno degli ultimi realizzati prima dello stralcio di questo dalla liturgia romana.

Nella riforma post-conciliare della liturgia delle ore, le prime tre strofe di questo inno sono state riprese per creare un inno "diurno" per l' "Ufficio delle Letture" della II settimana del tempo ordinario, senza alcuna correlazione con l'antico significato quaresimale di questo poema ben significato dalla settima strofa.

L'inno nel Breviario Tridentino originale (Breviarium Romanum ex Decreto Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum, Pii V. Pont. Max. iussu editum, Romae, apud Paulum Manutium, 1568, pp. 280-281 [ed. anastatica a cura di M. Sodi e A.M. Triacca, Città del Vaticano, LEV, 2012]).
Si confronti un qualsiasi breviario posteriore per constatare la sparizione.

cfr. Liber Hymnarius, Solesmes, 1983, pp. 235-236,
adattato con il testo completo a cura di N. Ghigi

venerdì 9 aprile 2021

Conoscere l'Ufficio romano - Gli "onera" dell'ufficio quaresimale

 Durante il tempo di Quaresima, l'ufficio romano si riveste di caratteri di austerità e penitenza, emblema delle quali sono le preci litaniche che, in forma più lunga a Lodi e a Vespro (che, oltre alle numerose invocazioni, includono un salmo intero, rispettivamente il 129 e il 50), e più breve a ciascuna delle ore minori, sono cantate in ginocchio prima della colletta.

Gli "onera" maggiori che tuttavia arricchivano l'ufficiatura di questo tempus acceptabile, prolungando le ufficiature e invitando clero e fedeli a supplicare la misericordia del Dio vivente per la remissione dei peccati e a prepararsi per le solennità pasquali, erano degli uffici aggiuntivi che la tradizione monastica, soprattutto nel periodo delle riforme di IX-X secolo, aveva stabilito di doversi recitare in alcuni giorni della Quaresima, e che successivamente sono stati estesi anche all'uso secolare, come poi confermato pure da Pio V con la bolla Quod a nobis nel 1568. Tali uffici sono quello dei morti al lunedì, quello dei Salmi Graduali al mercoledì e quello dei Sette Salmi penitenziali al venerdì, da recitarsi per tutta la Quaresima a partire dal mercoledì delle Ceneri sino al venerdì di Passione, tranne qualora in quel giorno cada una festa di nove lezioni (che in Quaresima sono volutamente rare, anche dopo il progressivo ingolfamento del calendario, per preservare la ricchezza dell'ufficio feriale di questo tempo). Quest'ordine è frutto di un riequilibrio avvenuto dopo che, in un'epoca a cavallo tra XII e XIII secolo, testimoniata dall'Ordinale di Papa Innocenzo III, questi uffici si erano moltiplicati in modo eccessivo fino a prescrivere la celebrazione quotidiana di tutte e tre le officiature durante la Quaresima, un peso difficilmente sostenibile.

Ufficio dei morti

Tale ufficio, che i commentatori antichi attribuiscono alternativamente a S. Isidoro, S. Agostino, S. Ambrogio oppure Origene, ma che più probabilmente è stato composto non prima del VII secolo (sicuramente esiste ai tempi di Amalario, che nel suo De ecclesiasticis officiis IV, xlii lo menziona come "Agenda mortuorum"), nasce come devozione privata per i defunti, e ben presto entra nell'ufficiatura funebre, costituendone la parte maggiore. Numerose sono le occasioni in cui tale ufficio si canta in memoria dei defunti: durante i tempi normali, ogni primo giorno del mese libero da feste di nove lezioni; il 2 novembre, stabilito dai monaci cluniacensi quale giorno di ricordo speciale di tutti i morti, in modo solenne; i lunedì di Avvento e di Quaresima.

L'ufficio è costituito da due parti che ricalcano le ore maggiori dell'ufficio quotidiano: Vespro e Mattutino; del resto, parimenti nella tradizione bizantina il servizio per i morti, la pannychida, segue lo schema di una veglia notturna di Vespro e Mattutino, pur con i ritagli dell'uso. Terminato il Vespro del giorno, quindi nel caso quaresimale quello della domenica sera, detto Benedicamus Domino e omesso il verso Fidelium animae (che infatti è una preghiera per i defunti, che qui non occorre visto che se ne dirà l'ufficio), subito un cantore, secondo i cerimoniali medievali stando a un leggio nel mezzo della chiesa, dà inizio alla salmodia dei salmi 114, 119, 120, 129 e 137. Nel frattempo, i paramenti vengono mutati in nero. Alla salmodia seguono immediatamente il verso Audivi, il Magnificat con l'antifona Omne, alcune preci litaniche (introdotte dal Pater noster segreto e non dal triplice Kyrie eleison come di consueto, e contenenti il salmo 145 per intero) e infine una triplice colletta, per i chierici defunti, per i benefattori defunti e per tutti i fedeli defunti. Quindi l'ufficio è concluso dal Requiem aeternam. Dove è consuetudine, dopo il Vespro avviene un'assoluzione comune: quindi viene cantato il responsorio Libera me mentre si stende un drappo nero avanti ai gradini dell'altare, e il celebrante, stando all'altare, pronuncia le preghiere dell'assoluzione e asperge e incensa il drappo in significazione delle tombe dei fedeli.

Il Mattutino dei morti inizia subito dopo le Laudi del giorno, anche qui detto Benedicamus Domino e omesso Fidelium animae. Inizia direttamente con la salmodia notturnale, che nei lunedì è composta dai salmi 5, 6 e 7; tali salmi si dicono anche qualora l'ufficio si faccia di giovedì, mentre se è di martedì o venerdì i salmi 22, 24 e 26; se è di mercoledì o sabato, i salmi 39, 40 e 41. Quindi le letture da Giobbe con i loro rispettivi responsorj. Dopo il terzo responsorio si cantano subito i salmi 50, 64, 62+66, il cantico di Ezechia e i tre salmi laudativi (148-150); cantato il verso, il Benedictus con l'antifona Ego sum resurrectio, le preci litaniche come al Vespro (ma col salmo 129) e la triplice colletta.

Quando si fa l'ufficio funebre, negli anniversari e il 2 novembre, l'ufficio si fa doppio: si raddoppiano le antifone e si leggono tre notturni al Mattutino (quindi tutti i nove salmi sopraddetti e nove letture con nove responsorj), introdotto pure dal salmo invitatorio 94 inframmezzato dall'antifona Regem cui omnia vivunt. Il 2 novembre è consuetudine, riportata scrupolosamente dal Caeremoniale Episcoporum, di celebrare Vespro e Mattutino dei morti consecutivamente in forma di Veglia subito dopo il secondo Vespro d'Ognissanti. Si noti che l'ufficio dei morti non sostituisce mai l'ufficio del giorno, ma si aggiunge: anche il 2 novembre viene regolarmente cantato l'ufficio della feria fra l'ottava d'Ognissanti oltre a quello dei morti. Ai funerali, all'ufficio dei morti segue immediatamente la Messa funebre. Nei primi giorni del mese pure una Messa da morto con assoluzione comune è offerta dopo Prima nelle cattedrali e nelle collegiate, mentre tutti i sacerdoti che offrissero il sacrificio in quel giorno debbono aggiungere la colletta per tutti i defunti.

Salmi Graduali

Il salmo 122 sulle pareti del cammino che ascende
alla Città di Davide a Gerusalemme.

Già nei salteri giudaici, la serie di salmi 119-133 presenta la rubrica שיר המעלות (shir hama'alot, cioè canti delle ascensioni). Come emerge da alcuni recenti studi, si tratta di un gruppo unitario di salmi brevi, epanaforici, epigrammatici, spesso incentrati su Sion; il loro nome deriva probabilmente dal fatto che venissero cantati durante l'ascesa al tempio nei tre pellegrinaggi annuali; oppure, secondo Liebreich, dal fatto che i leviti li recitassero salendo i 15 gradini del tempio; Mitchell ipotizza addirittura che fossero stati cantati la prima volta alla dedicazione del Tempio di Salomone nel 955 a.C.

Nella liturgia cristiana, stante la grande suddivisione tra salmi vesperali e salmi notturni, essi rientrano tra i primi: l'uso romano li divide tra i Vespri quotidiani dal lunedì al giovedì (eccetto il 133 che fa parte della Compieta quotidiana), mentre nella liturgia bizantina costituiscono il catisma del salterio letto al Vespro del venerdì. Pure la loro importanza nel cammino quaresimale è presente in ambo le tradizioni liturgiche: a tutti i vespri quotidiani quaresimali bizantini sono infatti letti questi salmi, e la tradizione romana per l'appunto ne prescrive la recita nei mercoledì di Quaresima. L'ufficiatura dei salmi graduali si compie prima dell'inizio del Mattutino, in ginocchio in coro.

I salmi vengono divisi in tre stasi: la prima contiene i salmi 119-123, e nella tradizione monastica romana è associata ai defunti. Infatti, viene omessa la dossologia alla fine di ciascun salmo, e alla fine della stasi si dicono il Requiem aeternam, una breve prece litanica per i defunti e la colletta dell'officiante per tutti i fedeli defunti. La seconda stasi, contenente i salmi 124-128, prevede invece il Gloria Patri in fine di ciascuno, e al termine di essa si cantano una prece litanica per la congregazione e una colletta (Deus cui proprium) che invoca la misericordia divina. Quindi la terza stasi, con i salmi 129-133, conclusa da un'altra prece litanica e dalla colletta Praetende che invoca l'aiuto divino sui fedeli e l'ascolto delle loro suppliche. Cantata questa, ha subito inizio il Mattutino.

Sette Salmi penitenziali

Davide in preghiera all'inizio dei
Salmi Penitenziali nel Libro d'Ore di
Louis de Roncherolles (XV-XVI sec.)

Si tratta di un ufficio antichissimo, già conosciuto da S. Agostino (che li avrebbe recitati in punto di morte, come leggiamo nella Vita Augustini di S. Possidio di Calama) e descritto con minuzia da Cassiodoro nella sua Expositio in Psalmos, che li denomina Salmi della Confessione e dà una precisa spiegazione allegorica di ciascun salmo. Si tratta dei salmi 6, 31, 37, 50, 101, 129 e 142. Questi salmi avevano un grande ruolo nella devozione privata dell'antichità latina (Cassiodoro stesso dà per scontato che il lettore sappia di cosa si sta parlando), di cui alcune vestigia visibili restano nel Pontificale Romanum, laddove si ordina che i novelli chierici appena tonsurati recitino questi salmi con le litanie come prima obbligazione canonica, se ne prescrive il canto al congedo dei penitenti al Mercoledì delle Ceneri e alla loro riammissione il Giovedì Santo, e pure alla cerimonia di dedicazione di una chiesa. Venendo all'ufficiatura pubblica, nella prassi romana, vengono cantati subito dopo le Laudi dei venerdì di Quaresima, stando in ginocchio, sotto l'antifona Ne reminescaris. Ogni salmo è seguito dalla piccola dossologia: molti libri d'Ore medievali aggiungono delle collette, una per salmo contro ciascun vizio capitale, oppure una per ciascun giorno della settimana, oppure ancora una lunga colletta conclusiva, come questa tratta dal Breviario di Salisburgo:

Suscipere digneris, omnipotens Deus, hos septem psalmos consecratos, quos ego indignus et peccator decantavi in honore nominis tui, et beatissimæ Genitricis tuæ Virginis Mariæ, in honore sanctorum Angelorum, Prophetarum, Patriarcharum, in honore sanctorum Apostolorum, in honore sanctorum Martyrum, Confessorum, Virginum et Viduarum, et sanctorum Innocentum, in honore omnium Sanctorum, pro me misero famulo tuo, pro cunctis consanguineis meis, pro omnibus amicis et inimicis meis, pro omnibus his qui mihi bona et mala fecerunt, vivis et defunctis: concede, Domine Jesu Christe, ut hi psalmi proficiant nobis ad salutem et veram pænitentiam agendam, et vitam æternam consequendam.

Degnati, o Dio onnipotente, di accogliere questi sette salmi consacrati, che io indegno e peccatore ho cantato a onore del tuo nome, e della tua beatissima Madre la Vergine Maria, a onore dei santi Angeli, Profeti e Patriarchi, a onore dei santi Apostoli, a onore dei santi Martiri, Confessori, Vergini e Vedove, e dei santi Innocenti, in onore di tutti i Santi, per me misero tuo servo, per tutti i miei consanguinei, per tutti i miei amici e nemici, per tutti coloro che mi han reso il bene e il male, vivi e defuntii: concedi, o Signore Gesù Cristo, che questi salmi ci giovino alla salvezza e a compiere una vera penitenza, e a ottenere la vita eterna.

Subito dopo la ripetizione dell'antifona si cantano le Litanie dei Santi (non doppiate), con il salmo 69 e le dieci collette conclusive. L'ufficiatura si conclude con alcuni versicoli chiusi da Et fidelium animae misericordiam Dei requiescant in pace.

Variazioni occorse con le riforme post-tridentine

La quasi totalità di queste officiature è sparita dalla Quaresima e, in generale, dall'anno liturgico in seguito alla riforma del Breviario di Pio X. Le previsioni canoniche antiche, ribadite dalla bolla Quod a nobis, vengono abolite: l'ufficio dei morti non sarà più da recitarsi nei lunedì di Avvento e Quaresima e nei primi giorni del mese, così come non lo saranno i Salmi Graduali nei mercoledì e i Salmi penitenziali nei venerdì. Questi ultimi due uffici, benché ancora riportati nei libri liturgici novecenteschi in fondo al Breviario, scompaiono di fatto completamente dalla liturgia romana. L'ufficio dei morti resta in vigore per i funerali, gli anniversari e il 2 novembre, ma subisce un radicale rifacimento soprattutto nel Mattutino. Si aggiunge inoltre l'innovazione che l'ufficio dei morti il 2 novembre tenga completamente il posto dell'ufficio del giorno, creando perciò ad hoc le ore minori "dei morti", mai esistite nella storia.