mercoledì 26 settembre 2018

Messa di requiem a Padova il 1° ottobre

Il 1° ottobre 2018 alle 18 a Padova,
presso la chiesa di S. Canziano (S. Rita),
sarà cantata una Messa di requiem
seguita dalla assoluzione al tumulo
nel trigesimo del prof. Giamberto Scorzon,
mancato il 30 agosto dopo lunga malattia.


Giamberto Scorzon era socio della sezione veneziana di Una Voce, il suo nome resta legato indissolubilmente alla celebrazione della Messa tridentina a S. Canziano, di cui fin dal 1990 fu promotore e organizzatore.

martedì 25 settembre 2018

"Chiesa protestante": un termine sbagliato


Estratto da un discorso del padre Atanasio di Mitilene

Finché non c'è il Sacerdozio, non c'è il mistero della santa Eucaristia: e finché non c'è il mistero della santa Eucaristia - dal momento ch'esso è la sostanza della Chiesa - non c'è la Chiesa.

Pertanto non possiamo parlare di Chiesa Protestante: è un errore. Non è una Chiesa. Possiamo chiamarle semplicemente comunità religiose d'ispirazione cristiana. L'avete sentito, di grazia? Il Protestantesimo non è assolutamente una Chiesa! Per nulla!

E vi ho spiegato il perché: non hanno il Sacerdozio: e non avendo il Sacerdozio, al contempo non hanno il mistero della santa Eucaristia, e pertanto non hanno la Chiesa. Ma cos'è dunque la Chiesa? E' il Corpo di Cristo.

Ascoltate: così dice l'apostolo Paolo. "Cos'è la Chiesa? Il Corpo di Cristo". Ma costoro non hanno il Corpo di Cristo, dal momento che non hanno il mistero della santa Eucaristia: e non lo hanno perché non hanno il Sacerdozio: dunque non v'è Chiesa. E questo ve lo dimostro chiaramente.

[Fonte - Traduzione di Traditio Marciana]

sabato 22 settembre 2018

Chi ha paura del monachesimo?

In questi tempi procellosi, in cui stiamo assistendo al sovvertimento di ogni aspetto della vita religiosa da parte della gerarchia romana, rischia di scapitare completamente una delle più antiche istituzioni del Cristianesimo, che costituì il più solido appiglio nei più gravi periodi di crisi della Chiesa: trattasi del monachesimo.

Sarà qui superfluo dilungarsi sulle origini egiziane del fenomeno monastico, tanto nella sua forma anacoretica quanto in quella cenobitica, della sua diffusione e normalizzazione prima in Oriente (ad opera prevalentemente di San Basilio il Grande) e poi in Occidente (ad opera di San Benedetto che viene non a torto ricordato come il Padre del monachesimo occidentale). Quello monastico è però un fenomeno comune e trasversale a tutto il Cristianesimo: non a caso nell’Italia meridionale bizantina sorgevano monasteri di spiritualità greca ma legati parimenti alle regole di San Benedetto e di San Basilio, mentre sul Monte Athos, cuore della vita monastica orientale, fino al XIII secolo sorse un prestigioso monastero latino d’impostazione benedettina. Questa trasversalità si deve semplicemente al fatto che i principi su cui si fonda questa scelta di vita in favore di Dio sono nientemeno che l’espressione più pura e radicale della nostra Religione.

Nessuno infatti può negare il monachesimo senza negare le basi stesse del Cristianesimo: sostenere, come fa qualche esponente della scuola radicale, che la vita monastica e l’ascesi non siano pratiche cristiane, è negare in toto la sequela di Cristo, l’imitatio Christi che diventa l’unico modo di orientare la nostra vita alla perfezione richiestaci da Dio stesso, seguendo l’esempio di Colui che, oltre ad essere il nostro Redentore, è anche il nostro Maestro e la nostra ottima guida. Negare l’askesis, l’esercizio delle virtù, praticato nei monasteri nella sua forma più pura, è negare in toto la stessa contrapposizione tra opere dello Spirito e opere della carne che ci viene insegnate dalle Scritture (sebbene sia San Paolo a farne, in più punti del suo ricco corpus epistolare, una sistematizzazione, tale opposizione era enucleata già in moltissimi passi del Vecchio Testamento), nonché la necessità, per ottenere il premio eterno, di aderire alla virtù, alle opere dello Spirito, ripudiando i vizi e le concupiscenze della carne. Chi nega tutto ciò, non nega soltanto il monachesimo, ma buona parte del Vangelo!

Oggi purtroppo il monachesimo è avversato da più parti: la fuga mundi, l’allontanamento volontario dalle tentazioni e dalle concupiscenze della carne, la preghiera liturgica incessante, il silenzio e la meditazione… queste immagini, che dovrebbero richiamarci il modo più completo e integrale di imitare la perfezione Nostro Signore, suscitano invece disprezzo, che nasconde assai probabilmente un certo spavento, una paura che l'animo psicologico e mondano prova davanti a una scelta radicale, così apparentemente (cioè agli occhi del mondo) inefficace, "stolta e scandalosa" (per riprendere gli aggettivi con cui giudei e pagani descrivevano la volontaria consegna di Cristo a coloro che lo crocifissero).

Nei giorni scorsi è stato grande il dibattito attorno al libro di Rod Dreher, The Benedict Option, presentato lo scorso 11 settembre alla Camera dei Deputati, peraltro con la partecipazione di alcune personalità del mondo ecclesiastico tra cui il conservatore arcivescovo Georg Gaenswein. Inutile dire che un libro che, pur con semplicità e a tratti con superficialità [1], indica la via della fuga mundi, del Cristianesimo vissuto integralmente in piccoli cenobi, come la strada forse unica rimasta per la salvezza della nostra Religione in quest'epoca di laicismo imperante e diabolica scristianizzazione.
Inutile dire che un opera che così apertamente difende il valore fondamentale del monachesimo, e anzi lo indica come la via stretta da percorrere di questi tempi, è stata immediatamente subissata di critiche da coloro che vedono la vita ritirata come contraria al proprio (personalissimo e poco spirituale) modo d'intendere il Cristianesimo.

Le prime voci contrarie sono arrivate naturalmente dagli alfieri del progressismo teologico, dai "difensori d'ufficio" del nuovo corso religioso dei palazzi romani: padre Spadaro, Massimo Faggioli (che ha contrapposto la scelta benedettina alla completamente diversa "chiesa in uscita" di Bergoglio) e immancabilmente Alberto Melloni (che, ostentando la sua solita lettura esclusivamente politica delle vicende religiose, ha etichettato il libro di Dreher come il "tentativo dell'estrema destra di darsi un'identità religiosa" [2]). Non c'è in fondo da stupirsi, visto che personaggi di tal fatta hanno da tempo dimostrato la loro insofferenza profonda nei confronti della vita monastica e dell'abbandono delle cure del mondo. Del resto lo stesso Bergoglio, in suoi recenti scritti, ha sostenuto che "Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio", cercando dunque di liquidare il monachesimo (che è silenzio, isolamento, solitudine, preghiera, riposo dell'animo in Dio) come qualcosa di malsano, contraddicendo gl'insegnamenti di tutti i grandi santi, a partire dai Padri del deserto, che insegnavano come questi fossero invece i modi precipui di avvicinarsi a Dio. San Paisios dell'Athos diceva, in modo completamente opposto, che il compito fondamentale del monaco non è quello di curare i malati o dar da mangiare ai poveri, ma pregare Dio per loro: "Il dovere del monaco è di sudare, marcire, scoppiare nella propria cella. La preghiera è l'arma più potente di tutte. Se aiuto o libero un carcerato, non ho fatto molto: la preghiera lo salva non per questa vita, ma per la vita eterna. Non è proprio del monaco visitare i malati, ma pregare per la loro anima. Nella Chiesa ci sono quelli che curano i malati e quelli che li assistono. Il monaco è un'altra cosa. Ma chi è più prigioniero dei defunti, di quanti sono nell'Ade e non possono fare nulla per la propria conversione? Noi invece possiamo salvarli. Dobbiamo fare preghiere e metànie per i defunti e per i vivi". Dicendo questo, San Paisios criticava quei monaci che abbandonavano la via contemplativa per seguire quella attiva, dicendo che così sarebbero andati ad "avvicinarsi all'Occidente". Dalle nostre parti, purtroppo, la mentalità espressa da Bergoglio è già sdoganata e diffusa da molti anni.

Ciò che mi ha inizialmente sorpreso, è la reazione scomposta e avversa di taluni "tradizionalisti", i quali accusano l'opzione dello scrittore americano (e per estensione l'intero fenomeno monastico) di pavidità e inattività. Tra qualche moderata e ragionata voce che suggerisce migliorie al progetto (ancora parecchi mesi fa lessi una teoria tutto sommato interessante, per cui all'opzione Benedetto si sarebbe dovuta affiancare un'opzione Atanasio di difesa strenua delle verità di fede), non sono mancate tuttavia gravi manifestazioni di dissenso, leggendo le quali è possibile vedere come spesso, purtroppo, il tradizionalista o il conservatore, nella sua lotta al progressismo, finisce per mettersi sul suo stesso piano [3].

Particolarmente, ho letto un articolo apparso su un'agenzia stampa (online) tradizionalista italiana, già a me personalmente nota per il modo puramente ideologico di affrontare qualsiasi argomento, sia esso di religione, di etica o financo di cultura, sicché qualsiasi persona dotata di un certo senso critico che la leggesse non potrebbe che trovarla inaffidabile e ridicola.
L'autore dell'articolo, dopo una discutibile introduzione in cui cerca di screditare la persona di Rod Dreher per via della sua appartenenza alla Chiesa Ortodossa Russa (peraltro dimostrando, o forse inducendo, una certa confusione terminologica nell'uso di parole come scisma, apostasia e perdita di fede), inizia a criticare accesamente l'opzione Benedetto, definendola come un' "opzione catacombalista".

L'estensore dell'articolo accusa sostanzialmente la tesi dello scrittore statunitense perché, a parer suo, costituirebbe un rifiuto della "buona battaglia", della "concezione militante del Cristianesimo", un abbandono del campo pensando di esser già stati sconfitti. Al di là del fatto che l'articolista pare non aver quantomeno capito il libro (visto che afferma che quanto si propone in esso "non è propriamente una fuga dal mondo nel senso di ritirarsi in eremi, grotte o monasteri", mentre a me appare che si proponga proprio questo), questi sposa una visione assai ideologica e "sociale" della difesa della religione, in cui l'ideale massimo è il combattimento pubblico del mondo moderno. E' purtroppo larga la schiera di coloro che intendono il vivere cristianamente in questo modo, incapaci (o semplicemente non interessati) a pregare incessantemente Dio con fede e speranza (come ci è comandato nel Vangelo e come è massimamente necessario di questi tempi), ma attivissimi nel promuovere petizioni, appelli, correzioni, sfilate e convegni polemici (solitamente dai temi trattati si capisce subito se un convegno ha un intento formativo o puramente combattivo), con attitudine da cecchino pronto a sparare contro chiunque non risponda al suo ideale di cattolicesimo (che talora è un ideale molto povero e limitato a concezioni novecentesche, che di fatto preludono la crisi attuale), difendendo appunto un ideale, piuttosto che la Fede. Questa gente che si occupa di Chiesa con lo spirito di generali dell'esercito o di politici d'opposizione danneggia il Cristianesimo piuttosto che sostenerlo.

In questo senso, oggi, i monasteri tradizionali d'Oriente e d'Occidente sono i pochissimi posti dove può avvertirsi lo spirito autentico del Cristianesimo, trovarsi la pace di Cristo che tanto spesso ricorre nei testi eucologici, che è esattamente opposta ai tormenti e le inquietudini del mondo. Peraltro, il libro di Dreher affronta un tema che potremmo definire del monachesimo interiore, perché non è principalmente un invito alla vocazione monastica, quanto piuttosto "una chiamata a tutti i cristiani a voler mettere in pratica la loro fedeltà allo spirito della sequela, formando una nuova e vibrante controcultura coltivando una serie di praxis e realizzando piccole comunità che sono il riflesso di un cristianesimo che si realizza come un cammino di libertà intelligente solidale non in fuga dal mondo, ma che con grande devozione nello spirito di ringraziamento sanno di essere chiamata in modo responsabile a lavorare con audacia evangelica in un progetto di una nuova evangelizzazione nel mondo", per dirlo con le parole dell'abate Zielinski (peraltro citato nell'articolo in questione, ma assai di sfuggita e contraddittoriamente, visto che l'abate è sostenitore del libro). Insomma, è un invito al monachesimo come "via della vita", secondo una definizione già data nientemeno che da San Benedetto.

L'articolista e tutti i suoi compagni ideologi inoltre sono imprecisi su più punti: la "battaglia" che dobbiamo combattere da Cristiani "non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra" (Efesini 6, 12). E' dunque una battaglia spirituale, non una battaglia pubblica e mondana. E' la succitata battaglia delle opere dello Spirito contro le opere della carne. La stessa "concezione militante del Cristianesimo" a cui si appella (accusando peraltro Dreher di parteggiare per l'ecumenismo vaticanosecondista, quando egli per primo, in un'intervista rilasciata a un periodico ortodosso americano, afferma che uno dei motivi che lo portarono ad aderire all'Ortodossia, accanto agli scandali sessuali della Chiesa Cattolica statunitense, furono proprio alcuni aspetti del Vaticano II) è massimamente una militanza spirituale contro il demonio.
Inoltre, a mio avviso, nell'atteggiamento di costoro può individuarsi una certa tendenza rivoluzionaria, una "lotta continua" contro il modernismo e non solo. Questo atteggiamento di resistenza attiva, pur affascinante da un certo punto di vista, non ha nulla a che vedere con la resistenza passiva, nel foro interno, che insegna San Tommaso, ed è pericoloso perché dimostra come l'ideale della rivoluzione serpeggi pure tra i cristiani conservatori (lo si vede nell'appoggio sfegatato che vien dato a certe compagini politiche, certo meno peggio dell'altre, ma che comunque viaggiano su un piano rivoluzionario).

Ma allora, chi ha paura del monachesimo? Chi vive nella mondanità, tanto da progressista quanto da conservatore, e non vuole rinunciare a questo modo orgoglioso e in fondo facile di vivere per intraprendere la sequela di Cristo attraverso la porta stretta, nella via dell'umiltà. Ci sono persino preti e chierici, tanto nel Cattolicesimo (dove sono ormai la maggioranza) quanto nell'Ortodossia che, pur facendo voti monastici, in realtà provano odio e paura per questa scelta sincera di vita cristiana. Quegli che è legato alla mondanità non può che disprezzare il monachesimo, e cercare di screditarlo.

In ogni momento buio della storia della Chiesa, il monachesimo ha rappresentato l’ancora di salvezza per i Cristiani. San Paisios l’Athonita diceva che "i monaci sono i fari sulle rocce dell'umanità". Nei monasteri, contrariamente a quanto sostiene qualcuno, si è sempre difesa la vera fede contro ogni eresia: i monasteri hanno costituito i veri (e talora unici) baluardi dell'ortodossia e della vita spirituale secondo il Vangelo, come appare chiaro studiando la storia della crisi iconoclasta in Oriente, o del saeculum obscurum del Papato Romano in Occidente. E allora, anche in questi tempi non meno (ma forse più) procellosi che allora, dove possiamo trovare rifugio per i nostri animi vessati e confusi, se non nella Grazia di Dio, che così copiosa s'effonde sui monasteri? Nonostante gli attacchi dei detrattori, l'opera di Dreher è un invito ineluttabile a riscoprire l'essenza del monachesimo, parte essenziale e imprescindibile del Cristianesimo.

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NOTE

[1] Si noti che la semplicità non è sempre un attributo negativo. Guardo per esempio a due libri che ho di fronte a me sulla scrivania: Santi di tutti i giorni, l'autobiografia dell'archimandrita Tikhon di Sretenskij, e la Filocalia, raccolta di scritti ascetici e mistici dei Padri pubblicata nel XVIII secolo dal monaco Nicodemo l'Aghiorita. Chiaramente, il secondo è più profondo del primo, e affronta argomenti complessi dell'ascesi e della mistica cristiana, mentre il primo, pur muovendosi in quest'ambito, lo fa con molta più leggerezza e appunto semplicità. Cionondimeno, se dovessi iniziare a far riflettere una persona che di mistica sa poco o nulla, quale opera sarebbe più adatta per farla approcciare a questo argomento di capitale importanza?

[2] E' tipico di una visione mondana ricondurre tutto alla politica; ciò non significa che nelle vicende di Chiesa non ci sia mai stato qualche influsso politico (su questo blog ne ho citati parecchi), ma leggendo Alberto Melloni (che riesce a infilare la politica, e -si badi bene- solo la politica, persino negli scandali pederasti statunitensi) si ha un'idea di come per certi autori "cristiani" d'oggi tutto ciò che concerne lo Spirito non sarebbe "causa adeguata", cioè non sarebbe in grado di produrre alcun moto nella società o nell'umanità.

[3] Il motivo per cui il modernismo e il secolarismo sono la negazione della dottrina e della prassi tradizionale del Cristianesimo è perché i primi si muovono su un piano mondano, della carne, mentre il secondo si basa essenzialmente sul piano dello Spirito. Taluni conservatori e "tradizionalisti", anziché porsi sul piano spirituale per annientare quello mondano, preferiscono ingaggiare con i progressisti una vera e propria lotta ideologica su quest'ultimo, difendendo di fatto non il Cristianesimo, ma piuttosto una vaga idea di "vecchio" contro un'altrettanto vaga idea di "nuovo", idee catapultate sul piano della carne e completamente avulse dal piano spirituale del Cristianesimo.

venerdì 21 settembre 2018

Intervista all'ex Archimandrita di Trieste

Proponiamo questa breve videointervista, realizzata nel 2001 da Giovanni Cismondi per il documentario "Perché credere, perché non credere", all'ex Archimandrita della Chiesa di San Nicolò dei Greci a Trieste, Timotheos Eleftheriou (+2003).
Vi sono parecchi spunti interessanti, e soprattutto alcune autorevoli confutazioni degli errori propugnati negli ultimi tempi dalla scuola razionalista.

giovedì 20 settembre 2018

Resoconto del Pellegrinaggio ad Aquileja

Resoconto ufficiale degli organizzatori del pellegrinaggio. QUI un esteso servizio fotografico già pubblicato.


Secondo Pellegrinaggio della Tradizione ad Aquileia - 16 settembre 2018
Compagnia di sant’Antonio

(Comunicato stampa)

Sabato 15 settembre, intonando il Salve Regina, si è concluso nella Sala Romana della parrocchia di Aquileia il secondo “Pellegrinaggio della Tradizione Cattolica” promosso dalla Compagnia di Sant’Antonio con la collaborazione della Società Internazionale Tommaso d’Aquino sez. FVG e del Circolo Culturale Cornelio Fabro di Udine.

Con il cuore e lo spirito preparati da una novena dedicata alla Beata Vergine dei Sette Dolori e mossi dalle parole della breve ma intensa preghiera Parce Domine, parce populo Tuo i pellegrini si sono incamminati di buon mattino, con labari e stendardi, dalla chiesetta parrocchiale della Località Belvedere San Marco, luogo che un’affidabile tradizione indica come la culla del culto di San Marco in Aquileia, in Friuli e nella stessa Venezia.

Partendo dalle sponde della laguna di Grado, dove approdò il Santo, percorrendo la via Julia Augusta e la Via Sacra  con in mano il santo rosario e intonando i canti religiosi della tradizione,i fedeli sono giunti alla chiesa del quartiere di Monastero in Aquileia, antica sede di un monastero di suore benedettine tedesche. Qui, alle undici, Don Michele Tomasin ha celebrato la Santa Messa tridentina, accompagnata dal canto gregoriano. Al termine, immersi nuovamente tra i resti dell’antica città romana i pellegrini sono arrivati finalmente alla Basilica intitolata a Santa Maria Assunta in Aquileia, chiesa madre per tanti popoli delle terre circostanti, salmodiando i Salmi Graduali, le cosiddette preghiere in itinere.

I riti religiosi sono proseguiti nel Battistero paleocristiano, dove è stato recitato il Simbolo aquileiese che risale ai primi secoli del cristianesimo e poi nella cripta, raggiunta al canto delle litanie dei Santi, dove sono state venerate le reliquie dei martiri aquileiesi, Ermagora e Fortunato, Ilario e Taziano, Canzio, Canziano e Canzianilla ed altri campioni della fede.

In questa giornata  di preghiera e devozione mariana, in cui si è voluto onorare la Santa Vergine e supplicarla affinché la Fede autentica sia conservata e rinvigorita secondo la Tradizione cattolica, si sono raccolti ad Aquileia oltre cento fedeli provenienti da varie città e paesi del Veneto e Friuli Venezia Giulia. Ad Aquileia, chiesa dei popoli, sono arrivati anche parecchi fedeli provenienti dall’Arcidiocesi di Fiume in Croazia, amici dalla Slovenia, da Rosenberg, nel Baden Wurttenberg in Germania, a testimoniare che Aquileia rimane un simbolo forte della cattolicità.

Nel pomeriggio il pellegrinaggio è proseguito con un momento di formazione cattolica. Tra gli intervenuti Don Samuele Ceccotti ha parlato di conoscenza intellettuale e vita spirituale, in continuità con l’insegnamento che aveva offerto l’anno precedente analizzando il rapporto inscindibile tra la vita attiva e la vita contemplativa, come anticipazione sulla terra della visione beatifica di Dio.

Il professore e storico Giordano Brunettin ha trattato il tema Il Patriarcato di Aquileia, chiesa dei popoli:significato religioso e storico della tradizione marciana e martiriale aquileiese, evidenziando come la Chiesa di Aquileia, identificata nei secoli come Chiesa di San Marco Evangelista e di San Ermacora, sia contestualmente la Chiesa di Pietro, ovvero pienamente universale e quindi dei popoli.

Il professor Giovanni Turco, ha evidenziato il carattere composito ed insieme unitario del pellegrinaggio ad Aquileia, caratterizzato, com’è, da elementi distinti ed essenziali, quali: azione penitenziale, atto di culto (nella forma gradita a Dio), attività di conoscenza (in ordine al fine ultimo). Un trilemma che rispecchia i tre momenti salienti del pellegrinaggio in quanto tale e del pellegrinaggio come metafora della vita cristiana.


La Compagnia di Sant’Antonio ringrazia tutti i partecipanti e in modo particolare gli amici che hanno concorso con tanto impegno ed amicizia cristiana alla celebrazione dei riti religiosi.








mercoledì 19 settembre 2018

Registrazione della Messa dei Sette Dolori della BVM

Dopo il servizio fotografico (QUI), pubblichiamo la registrazione della Messa dei Sette Dolori della Beata Vergine Maria, cantata in occasione del pellegrinaggio ad Aquileja dello scorso 15 settembre.
Cortesia dell'amico Pietro C. (alla cui splendida voce si devono le parti solistiche).


lunedì 17 settembre 2018

Servizio fotografico del pellegrinaggio ad Aquileja

Pubblichiamo di seguito il servizio fotografico del pellegrinaggio, della S. Messa, della processione e delle funzioni in Basilica compiute in occasione del II Pellegrinaggio della Tradizione ad Aquileja, svoltosi lo scorso 15 settembre. Tutte le celebrazioni sono state officiate dal M. Rev. don Michele Tomasin, parroco di Mariano del Friuli.
Sarà a breve pubblicato il resoconto ufficiale degli organizzatori.

Fervorino prima del pellegrinaggio (chiesa di Belvedere)


Il pellegrinaggio

Prima dell'inizio della liturgia a Monastero (Aquileja)


Incensazione


Gloria in excelsis


Predica


Grande Incensazione




Processione verso la Basilica

Recita del Symbolum fidei in Battistero



In cripta della Basilica

Incensazione delle reliquie dei Martiri Aquilejesi

Conferenze


Foto: Simon Kocjan e Antonio Falcomer

L'attuale scisma d'Oriente. Qualche considerazione in merito - Traditio Liturgica

Notevolissima e precisa analisi della già trattata crisi tra le Patriarchie di Mosca e Costantinopoli, dal blog "Traditio Liturgica" (QUI).

Bartolomeo I, patriarca ecumenico


“La radice dello scisma è un pensiero mondano nella Chiesa”
(Bartolomeo I) (1)

I principali canali d'informazione hanno diffuso la notizia che la Chiesa russo-ortodossa ha cessato di commemorare nei dittici il patriarca Bartolomeo I del Patriarcato ecumenico.
Non è la prima volta che tra le due Chiese si manifestano difficoltà ma non si era mai giunti ad un punto così grave (2).

Qualche storico della Chiesa ha verificato attentamente il sopracitato testo esposto dal patriarcato russo-ortodosso e lo ha trovato oggettivo e veritiero. In tal testo emergono perfino atteggiamenti autoritaristici e pirateschi da parte del Fanar, come quando i russi rivelano che Costantinopoli ha sempre cercato di trarre giovamento approfittando della debolezza e della difficoltà dei russi stessi.

Viene dunque spontaneo pensare che proprio Bartolomeo I il quale, in un'intervista a 30 giorni, aveva ben compreso quale fosse la radice dello scisma nella Chiesa, è finito per cadere nella stessa logica mondana da lui più volte denunciata, logica che però i suoi gerarchi sembrano camuffare accampando varie argomentazioni.

Il gestore di questo blog non ardirebbe mai giudicare un patriarca ma, purtroppo, nella sua piccola esperienza ha potuto vedere fatti che non gli mostravano l'estraneità dal pensiero mondano, in parte di diversi chierici dipendenti da Bartolomeo. È dunque giunto al punto da non meravigliarsi più se, come afferma il Sacro Sinodo russo-ortodosso, Bartolomeo I il giorno prima promette di non fare azioni contro l'unità dell'Ortodossia e il giorno dopo decide di farle. Egli va contro l'unità della maggioranza dicendo di esserne a favore e, contemporaneamente, vuole unire a sé piccole chiese scismatiche e ribelli finendo per destabilizzare geopoliticamente l'Ucraina (3).
Chi mai si metterebbe contro la maggioranza per favorire una minoranza se dietro non ci fossero calcoli ben precisi e, molto probabilmente, mondani? Chi mai perderebbe 1000 per guadagnare 1, se non avesse altre sicure mire?

La tragica storia di Costantinopoli con la caduta dell'impero prima e la sua progressiva islamizzazione in seguito suggerirebbe un atteggiamento mite verso chi ancora cerca di mantenere qualcosa dell'antico Cristianesimo in terra mussulmana. Ma tale atteggiamento mite si tramuta in profonda tristezza allorché ci si accorge del profondo secolarismo che pare muovere oramai quest'istituzione dove ciò che sembra contare sono solo gli appoggi politici e finanziari.

Fu proprio un metropolita fanariota che fece cadere le pie illusioni al gestore di questo blog quando un giorno oramai lontano gli disse brutalmente: “Dove hai visto che un vescovo è un padre per la sua diocesi? Non esiste per niente, questo!”. Dalle sue parole si capiva che un vescovo (e a fortiori un patriarca) è allora solo un uomo di potere.

Questo può parere assai strano se confrontato con una certa mentalità clericale che tende a dipingere l'alto clero nel modo più idealistico e piacente. Tuttavia l'amara e violenta frase di tale metropolita fanariota spinse a verificare attentamente qual'era il vero interesse di non pochi tra questi chierici. Il risultato era profondamente triste (4).

Se uno stile secolarizzato inizia a coinvolgere la maggioranza dei chierici di una istituzione, allora vuol dire che non si è dinnanzi ad un solo problema personale ma istituzionale che potrebbe discendere pure da chi la rappresenta. Piscis primum a capite foetet, diceva Erasmo di Rotterdam!

Questo è vero sia per il Cristianesimo occidentale che per quello orientale.
D'altra parte, come in Occidente oramai siamo dinnanzi ad un “neoclero” di mentalità modernistica, in Oriente (in questo caso nel Patriarcato Ecumenico) notiamo un “neoclero” assai secolarizzato che poco ha a che fare con il clero di qualche decennio fa. Un particolare aiuta a dimostrarlo: fino a vent'anni fa si vedeva ancora del clero greco con in mano il komboschìni, una sorta di “rosario” con il quale si ripete a lungo una preghiera a Cristo. Il “neoclero” ortodosso non lo usa quasi più.

Quando la preghiera inizia ad essere assente, altre preoccupazioni entrano nel cuore umano. E se uno è chierico le sue preoccupazioni potrebbero finire per essere come quelle della gente mondana: soldi, potere, sesso et similia.
Il potere, avere sempre più influenza, è una delle ossessioni dell'alto clero e manifesta un bisogno superegoico di mettere al centro se stessi.

L'Ortodossia ha sempre criticato l'Occidente dicendo che il papato è emerso per un bisogno di potere, di essere al centro e al di sopra della Chiesa, di essere l'unico ad avere il massimo potere e prestigio.

L'Occidente ha respinto sdegnosamente tale critica ma ora che vede? Il patriarca di Costantinopoli ripetere quanto il papa fece nella questione di Fozio. Allora il papa entrò, non richiesto, a Costantinopoli inviando due suoi apocrisari (rappresentanti) per regolare la nomina del patriarca di quella Chiesa, senza aver ricevuto invito alcuno. Fu la prima volta che ciò accadeva (5) e il fatto stordì Costantinopoli perché era totalmente inedito.

Oggi che succede? Bartolomeo I fa la stessa cosa: manda non richiesto i suoi rappresentanti in Ucraina per formalizzare l'autocefalia di quella Chiesa!

Dunque che senso ha portare avanti le critiche contro il papa di Roma e l'ecclesiologia romana quando la si imita con più di mille anni di ritardo?
I russi parlano di "violazione grossolana delle norme canoniche ortodosse". Canonisticamente hanno ragione.

Ma hanno ragione anche storicamente quando pensano che Bartolomeo I sta facendo le prove preliminari per divenire papa d'Oriente. Ciò imporrebbe nel mondo ortodosso una ecclesiologia estranea e dissonante. Sarebbe come dire: Bartolomeo sta divenendo cattolico, ma privo di alcun appoggio simile a quelli solidificati in Occidente e quindi è in contraddizione palese con la sua stessa Chiesa come quando si fa definire da chierici compiacenti "Centro dell'Ortodossia" o quando pensa che "senza Patriarcato Ecumenico non c'è Ortodossia".

Cosa determinerà questo suo modo di fare? È possibile che, lungi dall'espandere la sua influenza, il Patriarcato Ecumenico si isolerà (6). Infatti, i suoi stessi difensori non riescono per nulla ad essere convincenti: le loro argomentazioni sono parziali o sono solo difese d'ufficio, apodittiche e ideologiche (7) . È possibile che pure nell'ambito della stessa Grecia Bartolomeo verrà molto contestato e che, lungi dall'essere elevato ed osannato passi i suoi ultimi anni nel rancore e nell'amarezza.

È una grande tristezza non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello della storia del Cristianesimo. Evidentemente le lezioni del passato non servono affatto a chi, in definitiva, sembra davvero dimostrare di non riuscire a confrontarsi con la storia stessa.



Assenza di commemorazione
del patriarca Bartolomeo nei dittici russi

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NOTE di Traditio Liturgica

1) Vedi qui. Già qualche tempo fa in questo stesso blog era stato segnalato un possibile scisma nel Cristianesimo orientale. Vedi qui.

2) Un riassunto delle difficoltà tra le due Chiese lungo la storia lo possiamo trovare qui.


3) Che l'Ucraina sia attentamente controllata dagli americani i quali, in questo modo, pongono una spina al fianco della Russia non è un mistero per nessuno. Non fa mistero neppure che gli stessi abbiano a cuore l'indipendenza della Chiesa locale dalla Russia poiché ciò accelererebbe il voluto processo di allontanamento da Mosca. Inoltre, che dal patriarca Athenagoras il Patriarcato Ecumenico sia in qualche modo sotto la protezione degli americani è pure altrettanto evidente. Non resta che collegare questi fatti per immaginarsi i possibili scenari dietro alla presente vicenda.

4) Quella mutazione antropologica che constatiamo in Occidente per cui le generazioni attuali sono assai lontane dalle caratteristiche delle precedenti, lo notiamo anche in Oriente. Il tutto si traduce a livello pratico con l'emergere di un forte individualismo e un di relativismo etico.

5) Questo è così vero che, prima del papato avignonese, perfino in Occidente i vescovi venivano eletti direttamente in loco senza consultazione papale. Le Chiese locali si limitavano a notificare l'avvenuta elezione al papa che normalmente la accettava. Solo successivamente il papa ritiene essere cosa personale la nomina dei vescovi diocesani e la avoca a sé.

6) Essere a capo di meno della metà degli ortodossi nel mondo (poiché se si considera la sola Chiesa locale di Costantinopoli non abbiamo più fedeli di un piccolo paese), può avere un potente contraccolpo negativo nella considerazione verso il patriarca, sia a livello politico (in Turchia potrebbe essere ben più esposto e indifeso di oggi) sia a livello di dialoghi e incontri interecclesiali.

7) Si vedano qui le argomentazioni autoritative e apodittiche del metropolita Emmanuil di Francia.
Si vedano qui anche le argomentazioni del metropolita Job (noto per essere stato respinto dalla sua stessa diocesi a causa dei suoi atteggiamenti autoritaristici, sdegnosi e per nulla dialoganti). Job afferma che non esiste alcun tomos di autocefalia concesso dal Patriarcato Ecumenico ai russi, per avvalorare le azioni del patriarca Bartolomeo ma dimentica di aggiungere che i russi si resero indipendenti da Costantinopoli proprio nel periodo in cui quest'ultima era unita a Roma e quindi, agli occhi dell'Ortodossia,  era decaduta. Che senso avrebbe avuto chiedere il permesso a chi non era più un punto di riferimento? In seguito quando Costantinopoli tornò in comunione con l'Oriente ortodosso, pur non concedendo il tomos, prese atto della situazione moscovita e si comportò di conseguenza manifestando un silenzio assenso, silenzio assenso che tenne anche nei riguardi del rapporto tra Mosca e Kiev. Nei fatti Costantinopoli accettò per secoli la nuova situazione e la dipendenza diretta di Kiev da Mosca, cosa che oggi fa finta di non sapere. Le pezze storiche fornite da Job sono dunque volutamente parziali per tirare il discorso dove gli sta a cuore. Ma non è così che si argomenta.
Discorsi similmente fuorvianti erano fatti da un teologo greco del Patriarcato Ecumenico, tale Varnalidis, quando metteva sullo stesso piano la dogmatizzazione calcedonese della divino-umanità di Cristo e lo stabilimento di Costantinopoli come seconda sede ecclesiastica dopo Roma. Evidentemente abbiamo a che fare con chi manipola la storia per farle dire quello che si ha deciso di pretendere.

venerdì 14 settembre 2018

La festa dei Sette Dolori della Madre di Dio

Il Calendario Romano annovera due diverse feste dedicate ai Sette Dolori della Beata Vergine Maria: la prima e più antica nel venerdì della settimana di Passione; la seconda invece fissata al 15 settembre. Tali due feste hanno identico formulario alla messa, ma un Ufficio notevolmente diverso.
Ambedue queste ricorrenze hanno la loro origine nella devozione medievale: già nell'XI secolo si hanno tracce di una devozione ai cinque dolori della Madonna, simboleggiati da cinque spade. Anche quando poi il numero di sette sarà definitivamente fissato sarà mantenuta la rappresentazione simbolica della spada, che passò poi pure in Russia, ove vi sono diverse icone mariane (per esempio quella del Don) che presentano sette lame al cuore della Madre di Dio. Il movimento francescano contribuì notevolmente alla diffusione di questa festa, come ci testimonia la composizione della nota sequenza Stabat Mater di Jacopone da Todi (1236-1306).

Albrecht Dürer, Polittico dei Sette Dolori, 1500 circa

I sette dolori a cui si riferisce la  la varante più diffusa della tradizione (quella dell'Ordine dei Serviti, cui accenneremo in seguito), sono:

1. La Profezia di Simeone.
2. La fuga in Egitto.
3. Lo smarrimento di Gesù infante nel tempio.
4. La salita al Calvario (l'incontro di Cristo con la Madre).
5. La Crocifissione.
6. La Deposizione.
7. La Sepoltura di Cristo.

Si noti che comunque le tradizioni antiche non erano concordi in materia. Nell'immagine in alto, per esempio, che riflette la devozione nordeuropea della fine del Quattrocento, la Profezia di Simeone è sostituita dalla Circoncisione (un'effusione del sangue di Cristo, e quindi cagione di dolore); tra la salita al Calvario e la Crocifissione è inserito l'Inchiodamento di Cristo alla Croce, e conseguentemente manca la Sepoltura.

La festa del venerdì di Passione

Le prime tracce di una festività liturgica dei Sette Dolori si hanno nel XV secolo nell'area germanofona dell'Europa centro-settentrionale. Ciò probabilmente va inquadrato in un generale incentramento della devozione popolare sulla Passione di Cristo e su tutti gli aspetti correlati (dunque anche sulle sofferenze della Madre Sua), in risposta all'eresie del movimento hussita. La festa tuttavia presentava caratteristiche e date diverse da luogo a luogo, e pure andava sotto una gran varietà di denominazioni. Tra il XV e il XVII secolo, fatte salve alcune diocesi che la fecero festa propria, rimase comunque unicamente come Messa votiva.
Nell'Arcidiocesi di Colonia si menziona per la prima volta questa festa, sotto il titolo di Compassionis B. Mariae Virginis, con ricorrenza fissata al terzo venerdì dopo Pasqua. Si noti che nel calendario proprio della Chiesa Coloniese la ricorrenza fu mantenuta in tal data fino alla fine del XVIII secolo, pur avendo nel tempo assunto il titolo di festa "dei Sette Dolori". I Domenicani invece hanno mantenuto intatto il titolo di Compassionis B.M.V. nel loro tipico, che presenta peraltro un ufficio diverso da quello romano.
Il Messale di Sarum presentava un formulario di messa votiva Compassionis sive Lamentationis BMV, dotata peraltro di una lunghissima sequenza autoctona, di ben 128 versi.
Altri usi locali la conoscevano come la Transfixio B.M.V., secondo quanto profetizza Simeone alla Vergine, che "una spada le trapasserà l'anima" (cfr. Lc 2,35). Tracce di quest'antica denominazione sono presenti nel rito romano attuale, per esempio nel prefazio della festa odierna, in cui alla prefazione comune della Beata Vergine si aggiunge et te in transfixione Beatae Virginis. Si noti che negli usi particolari laddove sia tramandata una denominazione propria, sovente è questa ad essere impiegata nel prefazio (per esempio, i domenicani dicono et te in compassione, vide supra).

Nell'ufficio romano della festa quaresimale dei Sette Dolori, la cui fissazione risale più o meno al periodo summenzionato, sono presenti salmi propri (che rimandano alla salmodia propria dei giorni del Triduo Sacro), lo Stabat Mater di Jacopone da Todi quale inno (diviso in tre parti: la prima ai Vesperi, la seconda all'inizio del Mattutino e la terza alle Lodi; inoltre prevede una melodia più semplice di quella prescritta per la sequenza; la stessa semplice melodia è quella che s'impiega nel pio officio della Via Crucis). Pure i responsori del Mattutino sono tratti dal Triduo Sacro o da altri offici della Passione di Cristo (v'è pure il famosissimo Tenebrae factae sunt del Giovedì Santo, ma con un verso differente, che recita stavolta Quis tibi nunc sensus, dum cernis talia, Virgo?), così come le letture del I Notturno sono tratte dalla profezia del Servo Sofferente (Isaia 53). Le letture del II Notturno sono tratte invece dal sermone di San Bernardo di Chiaravalle in cui egli parla del "martirio" della Vergine, rivolgendosi a lei direttamente in un passo di altissimo valore spirituale.

Un ulteriore diffusione della festività si ebbe in opposizione al Protestantesimo, e proprio nel corso del XVI secolo molti luoghi iniziarono a fissare la festa propria al venerdì di Passione. Oltre un secolo dopo, Papa Benedetto XIII (+1730) estese la festa alla Chiesa Universale, adottando la denominazione di festa dei Sette Dolori.

La festa del 15 settembre

Carlo Dolci, Mater dolorosa, 1650 circa

La festività odierna invece affonda le sue origini nella devozione dell'Ordine dei Servi di Maria, nato ad opera di alcuni nobili fiorentini nel 1233, in seguito al miracolo cui assistettero il 15 agosto di quell'anno, quando l'immagine della Madonna dipinta su un muro della città, presso la quale si ritrovavano per pregare, iniziò a mostrarsi addolorata e piangente. L'Ordine, che conobbe una rapidissima e notevolissima crescita, sviluppò dunque una sua particolarissima e intensa devozione alla Madonna Addolorata, e aveva verso di essa una particolare devozione, il Rosario dei Sette Dolori (secondo la lista sovrariportata). Nel 1668 fu ufficialmente istituita quale festa patronale del loro ordine.

Poiché la devozione servita non era incentrata completamente sulla Passione di Cristo, ma piuttosto su tutti i dolori sofferti dalla Santa Vergine durante la sua esistenza terrena, in questa seconda festa si operarono dei cambiamenti nei testi liturgici. Nella Messa fu solo marginalmente cambiata la colletta, levandovi il riferimento alla Passione; nell'Ufficio si scelse d'impiegare i salmi del Comune della Madonna ai Vesperi, con salmodia invece propria al Mattutino; gl'inni sono composti ex novo a tutte le ore, in stile classicizzante secondo la moda dell'epoca. Le letture del I Notturno vengon tolte dal Libro delle Lamentazioni, mentre quelle del II Notturno sono composte dallo stesso sermone di S. Bernardo dell'altra festa. Particolarmente interessanti e di pregevole armonia compositiva sono i responsori del Mattutino, ciascuno dedicato a uno dei dolori della Vergine, più l'ottavo che costituisce una splendida esortazione:

In toto corde tuo gémitus Matris tuæ ne obliviscáris, ut perficiátur propitiátio et benedíctio. Ave, princeps generósa, Martyrúmque prima rosa, Virginúmque lílium. Ut perficiátur propitiátio et benedíctio. Glória. Ut perficiatur.

Non dimenticarti del pianto della Madre tua in tutto il tuo cuore, perché ne riceva propiziazione e benedizione. Ave, o regina magnanima, prima rosa dei Martiri, e giglio delle Vergini. Perché ne riceva propiziazione e benedizione. Gloria. Perché ne riceva.

Il Calendario Romano generale recepì la festa servita nel 1814, per imperio di Pio VII, dopo l'esilio in Francia, quale supplichevole richiesta d'intercessione alla Vergine per la Chiesa in quei turbolenti anni. La festa fu fissata alla terza domenica di settembre, ma meno di un secolo dopo, nel quadro del riordino del calendario voluto da Papa San Pio X, il quale volle liberare le domeniche dalle feste devozionali assegnatevi negli ultimi secoli, la fissò definitivamente al 15 settembre, mettendola dunque in stretta relazione (com'è naturale) con il mistero della Crocifissione, dacché il 14 si celebra l'Esaltazione della Santa Croce. L'unica conseguenza spiacevole di questa significativa collocazione, fanno tuttavia notare taluni liturgisti, è la soppressione del II Vespro della festa dell'Esaltazione, soppiantato dal I Vespro della festa dei Sette Dolori e semplicemente commemorato al suo interno. La cosa risulterebbe a parer mio non troppo problematica, se si tenesse conto (cosa che oramai, complici le riforme liturgiche del XX secolo, non è più nel senso comune) che il Vespro di una festa è quello della sera prima, e il II Vespro è solo un'appendice (meno solenne, secondo quanto riporta il Pontificale Romano) che si dà alle feste di grado maggiore.

ULTIM'ORA: La Chiesa Russa sospende la commemorazione del Patriarca di Costantinopoli

La Chiesa Russa sospende la commemorazione del Patriarca Bartolomeo e la concelebrazione con i gerarchi di Costantinopoli; la Comunione Eucaristica non è rotta

Mosca, 14 settembre 2018


Come risultato della nomina di due vescovi esarchi in Ucraina da parte del Patriarca Ecumenico senza alcuna benedizione da parte della Chiesa Ortodossa Ucraina (Metropolia del Patriarcato di Mosca, ndt), il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa ha deciso nella sua odierna sessione straordinaria che Sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di Tutte le Russie cesserà di commemorare Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli durante la Divina Liturgia.

I primati delle 15 Chiese Ortodosse autocefale, infatti, tipicamente si commemorano gli uni gli altri in vari punti durante la Divina Liturgia.

Si è inoltre deciso di sospendere la concelebrazione con gerarchi di Costantinopoli, e di sospendere la partecipazione in tutte le strutture presiedute o co-presiedute da rappresentanti del Patriarcato Ecumenico, come ha dichiarato oggi a una conferenza stampa Sua Eminenza il Metropolita Hilarion (Alfejev), capo del Dipartimento per le Relazioni Estere della Chiesa, secondo quanto ci riporta RIA-Novosti.

Comunque, queste misure non sono indicative di una rottura della Comunione Eucaristica: "La Comunione Eucaristica tra le Chiese non è stata interrotta. Questa decisione non priva il clero del Patriarcato di Costantinopoli e della Chiesa Ortodossa Russa della possibilità di officiare servizi comuni", spiega il Segretario della Stampa Patriarcale, padre Alexander Volkov.

Il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa aveva precedentemente dichiarato che romperà pure la Comunione Eucaristica con Costantinopoli nel caso in cui essa garantisca l'autocefalia alla chiesa Ucraina.

Sua Beatitudine il Metropolita Onufry di Kiev e di Tutta l'Ucraina ha inoltre annunciato all'odierno incontro che la Chiesa canonica non s'incontrerà con gli esarchi, che sono già giunti a Kiev, in quanto essi non hanno alcuna benedizione per poter stare nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Ucraina.

[Fonte - Traduzione a cura di Traditio Marciana]

Nota di Traditio Marciana: nel 1054 il primo segnale della rottura della comunione tra la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente fu proprio il cessare di commemorare il Papa di Roma durante la Divina Liturgia (che peraltro, a motivo del suo primato teneva il primo posto nelle commemorazioni). Oggi come allora, il diavolo agisce secondo il proprio nome (διάβολος: "colui che divide")...

Messa al Santuario del Tresto sabato 22 settembre

Santuario di S. Maria del Tresto (PD)
sabato 22 settembre - ore 10

S. Messa in rito romano antico
nel 550° anniversario del transito terrestre della Beata Vergine Maria da Este al Tresto
(21 sett. 1468)


giovedì 13 settembre 2018

In Exaltatione S. Crucis

14 settembre
IN EXALTATIONE SANCTÆ CRVCIS
Η ΥΨΩΣΙΣ ΤΟΥ ΤΙΜΙΟΥ ΣΤΑΥΡΟΥ

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O Crux, splendidior cunctis astris, mundo celebris, homínibus multum amábilis, sanctior univérsis: quæ sola fuísti digna portare taléntum mundi, dulce lignum, dulces clavos, dulcia ferens pondera; salva præsentem catérvam in tuis hódie laudibus congregatam. 

O Croce, più splendida di tutte le stelle, celebre nel mondo, assai amabile per gli uomini, d'ogni cosa più santa: tu che sola fosti degna di portare il prezzo di riscatto del mondo, o dolce legno, dolci chiodi, sostegno di sì dolce peso; salva il popolo qui oggi riunito a cantar le tue lodi.

(Vespro di rito romano, Antifona al Magnificat)


Σταυρὲ πανσεβάσμιε, ὃν περιέπουσι τάξεις, Ἀγγέλων γηθόμεναι, σήμερον ὑψούμενος, θείῳ νεύματι, ἀνυψοῖς ἅπαντας, τοὺς κλοπῇ βρώσεως, ἀπωσθέντας καὶ εἰς θάνατον, κατολισθήσαντας· ὅθεν σε καρδίᾳ καὶ χείλεσι, πιστῶς περιπτυσσόμενοι, τὸν ἁγιασμὸν ἀρυόμεθα· Ὑψοῦτε βοῶντες, Χριστὸν τὸν ὑπεράγαθον Θεόν, καὶ τὸ αὐτοῦ προσκυνήσατε, θεῖον ὑποπόδιον.

O venerabilissima Croce, che le schiere degli Angeli gioiose circondano, venendo oggi esaltata, per divino volere, rialzi tutti coloro che, scacciati a cagion dell'inganno del frutto, precipitavano verso la morte: pertanto stringendoci a te col cuore e con le labbra con fede, attingiamo la nostra santificazione, gridando: Esaltate Cristo, il Dio più che buono, e prosternatevi al suo divin sgabello.

(Vespro di rito bizantino, III stichirο)

martedì 11 settembre 2018

"Autocefalia" all'Ucraina? Le reazioni del Santo Sinodo della Chiesa Russa

Dichiarazione del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa, rilasciata l'8 settembre, in merito alle dichiarazioni di esponenti fanarioti e soprattutto all'anticanonico invio di due "esarchi" da Costantinopoli a Kiev. Qualcuno cerca lo scisma ad ogni costo?

Il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa esprime la sua risoluta protesta e profonda indignazione in connessione con il comunicato pubblicato il 7 settembre 2018, della Segreteria Generale del Santo Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli, che annuncia la nomina di due vescovi di questa Chiesa – l'arcivescovo Daniel di Pamphilon (USA) e il vescovo Hilarion di Edmonton (Canada) – come 'esarchi' del Patriarcato ecumenico a Kiev.

Questa decisione è stata presa senza un accordo con il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus' e con il metropolita Onufrij di Kiev e di tutta l'Ucraina, e costituisce una flagrante violazione dei canoni ecclesiastici che vietano ai vescovi di una Chiesa locale di interferire nella vita interna e negli affari di un'altra Chiesa locale (Canone 2 del II Concilio ecumenico; Canone 20 del Concilio Trullano, Canone 13 del concilio di Antiochia, Canoni 3, 11 e 12 del Concilio di Sardica). Contraddice del tutto la finora immutata posizione del Patriarcato di Costantinopoli e dello stesso stesso patriarca Bartolomeo, che ha più volte dichiarato di riconoscere il metropolita Onufrij come unico capo canonico della Chiesa ortodossa in Ucraina.

La decisione del Patriarcato di Costantinopoli di affidare la questione della concessione dell'autocefalia all'esame dei "credenti ortodossi dell'Ucraina" è stata presa contro la volontà dell'episcopato della Chiesa ortodossa ucraina, che ha chiesto all'unanimità la preservazione del suo stato attuale.

Per giustificare la sua interferenza negli affari di una Chiesa locale, il patriarca di Costantinopoli ha prodotto false interpretazioni di fatti storici, riferendosi a presunti suoi poteri eccezionali, che egli in realtà non ha, e non ha mai avuto.

Queste azioni portano a una situazione di stallo le relazioni tra la Chiesa russa e la Chiesa di Costantinopoli, creando una vera minaccia per l'unità dell'Ortodossia in tutto il mondo.

Il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa dichiara che la piena responsabilità per questi atti anticanonici ricade personalmente sul patriarca Bartolomeo e su quelle persone nella Chiesa di Costantinopoli che sostengono tali azioni.

Gli atti di risposta del Patriarcato di Mosca seguiranno al primo momento possibile.


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P.S.: In questi stessi giorni dal Patriarcato Ecumenico è giunta l'inaudita concessione del secondo matrimonio ai sacerdoti senza la riduzione allo stato laicale, la qual cosa contraddice apertamente più di un canone ecclesiastico. Come si vede, il modernismo non è confinato a Occidente...

lunedì 10 settembre 2018

Dell'importanza dell'esatte cerimonie

La esattezza delle Sacre Cerimonie dà tale risalto e maestà all'ecclesiastiche funzioni, che ne restano eccitati a divozione non meno i fedeli, che i nemici stessi della cattolica religione. Ben ce ne rende testimonianza s. Agostino (Lib. IX Confess.), il quale protesta di aver ricavato gran frutto, gran sentimento di compunzione e molte lagrime di tristezza quando, ancor laico, si trovava presente alle funzioni della chiesa, le quali rappresentano più al vivo colla varietà delle sacre cerimonie, colle genuflessioni, cogli inchini, cogl'incensi, il culto che rende la corte celeste a Dio sedenti super thronum, et Agno: e ben molte volte è accaduto, che grandi personaggi contrari a noi di fede, essendosi abbattuti a vedere le sacre funzioni celebrate con quella maestà e raccoglimento, con quell'esattezza dei sacri riti, che si conviene, abbiano aperto gli occhi alla luce della vera fede, e riconosciuta la santità della nostra religione.

Considerando pertanto da una parte il bene che ne ridonda in pro della religione stessa con adempiere esattamente i sacri riti, [...] troverete [in quest'opera] quella chiarezza che si richiede, onde ben apprendere le sacre cerimonie, che formano una parte del nostro sacro ministero, tanto più necessaria a ben conoscersi ed eseguirsi, quanto più esposta agli occhi del popolo. Da ciò ne verrà aumentato il decoro alle sacre funzioni e la gloria al nostro Dio; mentre niun atto di culto e di religione possiamo rendere a Dio maggiore o più amabile o più grato di questo, quando sia animato dal culto interno, e niuno a noi più utile, come ben osservò s. Lorenzo Giustiniani (Serm. de Corpore Christi): Sacra Missae oblatione nulla major, nulla utilior, nulla amabilior, nulla divinae majestatis oculis est gratior.


GIUSEPPE BALDESCHI

Tratto dalla Prefazione a: Giuseppe Baldeschi, Esposizione delle Sacre Cerimonie per le funzioni ordinarie, straordinarie e pontificali, VI ed. riveduta e ampliata, Roma, Desclée & C. - Editori Pontifici, 1931

sabato 8 settembre 2018

Natività della BVM a Rovigo (fotografie)

Stamane, 8 settembre, presso la cappella dell'Ospedale di S. Maria della Misericordia di Rovigo, il cappellano don Camillo Magarotto ha celebrato la Messa in rito tridentino in occasione della festa della Natività della Beata Vergine Maria.