sabato 29 luglio 2017

S.E. Matfej nuovo vescovo per gli Ortodossi Russi in Italia

Si sono svolte,  in questi giorni, le sedute organizzative delle riunioni del Santo Sinodo, organo governativo supremo della Chiesa ortodossa, intermediaria al consiglio dei vescovi. Le questioni poste han riguardato soprattutto la gestione delle numerose parrocchie estere. Un cambiamento molto importante è toccato alla compagine italiana, che si è vista cambiare il vescovo per la sesta volta in 15 anni, condizione abbastanza inusuale per una diocesi con una quantità relativamente ridotta di parrocchie (appena 60).

Il nuovo Vescovo per gli Ortodossi Russi in Italia, convocato al posto di Antonij di Bogorodsk, è Matfej (Матфей) di Skopino e Shatsk.


venerdì 28 luglio 2017

Divina Liturgia in Latino a Bologna

Pubblichiamo volentieri un comunicato dei nostri amici della Parrocchia Ortodossa russa di S. Basilio a Bologna (bologna.cerkov.ru)



Mercoledì si è vista a Bologna una commovente dimostrazione di rispetto e tributo alla tradizione religiosa occidentale da parte della sua sorella orientale. Lo ieromonaco Lavrentij (Sobko), insegnante di latino presso il seminario di Nižnij Novgorod, trovandosi a Bologna per il completamento di un dottorato, ha voluto  rendere omaggio ai numerosi santi di terra occidentale, come Sant'Ambrogio o San Benedetto, nella loro lingua e nella loro terra, celebrando, assieme allo ieromonaco Serafim (Valeriani), parroco della comunità ortodossa del patriarcato di Mosca di Bologna, la Divina Liturgia in lingua latina, recando alcune modifiche alla traduzione fatta da Erasmo da Rotterdam e riportata nella Patrologia del Migne.
Questo tipo di celebrazione si era già visto in altri luoghi in tempi recenti, essendo ritenuto fondamentale il recupero delle radici cristiane inestirpabili dell'Occidente. Il lavoro   meticoloso, quello di modifica, e aggiunta di alcune traduzioni necessarie , come quella dei tropari e dell'Ora Terza (che nel typikòn russo, a differenza di quello greco, precede quasi sempre la Liturgia), è stato compiuto principalmente dal lettore e corista della comunità Andrea dalla Lena Guidiccioni assieme ad altri collaboratori. Le parti salmiche sono state tradotte sulla base della Vetus Latina del II-IV secolo, quella in uso anche nela salmodia della Messa Romana. I testi sono stati cantati principalmente su melodie greche. L'inno cherubico è stato fatto in greco, seguendo l'antica consuetudine latina di mantenere alcune parti della liturgia in greco (cfr. Kyrie eleison), mentre per il Sanctus è stata usata un'antica melodia latina. Il Pater Noster è invece stato cantato in gregoriano.

sabato 22 luglio 2017

Il Patriarca Kirill a Valaam: "Il male non può dominare per sempre, il bene alla fine vince"

Riportiamo, con qualche giorno di ritardo le parole di speranza del patriarca di tutte le Russie, Kirill, in visita insieme al presidente Putin al monastero del Lago Ladoga. Quanto è lontana e invidiabile la situazione dell'Oriente cristiano slavo (della quale il rifiorente monastero del Ladoga è un simbolo), rispetto al nostro Occidente (e all'Oriente greco, in cui il modernismo è alle porte)! Preghiamo perchè anche da noi possa, dissipato il dominio del male, trionfare il bene assoluto che è Cristo e rifiorire la sua Santa Chiesa.

Fonte: Asianews



Mosca (AsiaNews) - “Con il completo restauro del monastero del SS. Salvatore della Trasfigurazione di Valaam, abbiamo una dimostrazione che il bene alla fine vince sul male”: lo ha dichiarato il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill (Gundjaev) durante l’omelia per la festa della comunità. Come ogni anno, il Patriarca visita l’isola monastica sull’immenso lago Ladoga, a nord di San Pietroburgo, nel giorno della festa dei fondatori Sergij e German di Valaam (11 luglio). Quest’anno, per celebrare il pieno ritorno del monastero alla sua missione, alla funzione ha preso parte anche il presidente Vladimir Putin.

Il santuario sull’isola del nord è uno dei luoghi simbolici della prima evangelizzazione della terra russa. Secondo la leggenda, lo stesso apostolo s. Andrea si spinse fino al lago al confine con la Finlandia, dopo aver visitato le regioni di Costantinopoli e Kiev, disperse i pagani e piantò una croce sull’isola dove sarebbe sorto il monastero, quasi mille anni dopo. In effetti, ben prima del Battesimo della Rus’ di Kiev nel 988, le tribù degli slavi e dei variaghi (normanni) si cominciarono a fondere nell’estremo nord, la cosiddetta Rus’ di Ilmen che gli scandinavi chiamavano la Gardariki, terra delle città (gard) e dei laghi.

L’antica Rus’ nacque per collegare il nord al sud, la “via dai variaghi ai greci” lungo la quale viaggiavano pellicce, cera e miele, e su cui s’installò il cristianesimo bizantino-slavo, divenuto quindi ponte anche tra oriente e occidente. Il monastero di Valaam rappresenta le radici di quella grande edificazione di una parte estrema dell’Europa cristiana. Conobbe la sua massima fioritura nel ‘500, quando arrivò a contare quasi 1000 monaci, per essere poi progressivamente abbandonato e definitivamente chiuso durante la guerra tra i sovietici e i finlandesi, nel 1940.

Il patriarca, nativo di San Pietroburgo come il presidente, ha ricordato di aver visitato l’isola da giovane monaco, nel 1969, ed ebbe l’impressione che ogni speranza di rinascita del monastero fosse ormai perduta. Cinquant’anni dopo la chiusura, nel 1990, cominciò invece la ricostruzione. “Il Signore ha rialzato il convento dalla polvere, non solo le mura del monastero, che oggi splendono di una bellezza superiore a quella passata, ma la stessa vita monastica rifiorisce oggi con vigore inatteso”, ha dichiarato Kirill.

Il capo della Chiesa russa ha voluto rincuorare tutti coloro che anche oggi cadono in preda allo sconforto e alla disperazione, di fronte alle crisi e alle incertezze della vita contemporanea: “Il male non può dominare per sempre, esso verrà sempre sconfitto. A volte non ci basta una vita per assistere alla sua rovina, a volte invece diventiamo testimoni viventi della vittoria del bene”.

Il giorno dopo, 12 luglio, il Patriarca ha celebrato una solenne liturgia nella cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo a San Pietroburgo, luogo della fondazione della “capitale del nord” nel giorno della festa dei principi degli apostoli. La cattedrale funge anche da tempio funerario degli zar Romanov, e in particolare della famiglia dell’ultimo zar Nicola II, canonizzato nel 2000 come martire della fede di fronte alla violenza dell’ateismo rivoluzionario. Lo zar e i suoi familiari vennero fucilati nel luglio 1918 a Ekaterinburg, e le loro spoglie, su cui continuano le indagini di un’apposita commissione per verificarne la piena autenticità, furono trasportate a San Pietroburgo dopo la canonizzazione.


La festa dei santi Pietro e Paolo cade il 12 luglio per il ritardo ortodosso nel calendario, in realtà è lo stesso 29 giugno delle altre Chiese. Quest’anno è stata celebrata con particolare solennità, in quanto si considerano 1950 anni dal martirio dei due apostoli, fissato tradizionalmente all’anno 67, durante la prima persecuzione di Nerone. In essa si è concluso il “digiuno di s. Pietro”, il più lungo dopo la Quaresima e uno dei quattro grandi digiuni ortodossi (gli altri sono quello della Dormizione e di Natale). La Chiesa russa ritrova così il proprio legame con i primi araldi del Vangelo, e la propria vocazione di “popolo nuovo” chiamato a far rinascere il cristianesimo nel mondo intero.


P.S.: il 17 luglio si è celebrata a Ekaterinenburg la festa dei Ss. Nicola II Romanov e compagni martiri, uccisi dai bolscevichi esattamente 99 anni fa. I Romanov, ultimi sovrani cristiani d'Europa, prima che il comunismo (definito da alcuni patriarchi "ideologia dell'Anticristo") s'impadronisse del potere, sono stati onorati con una solenne Divina Liturgia pontificale e una processione, cui han preso parte oltre 60.000 pellegrini. Al terimine è stato intonato l'antico inno nazionale zarista, Боже, Царя храни! (Iddio, salva lo Zar!). Che dire, in Europa sarebbe mai stato possibile tutto ciò, in questi tempi di tenebra?

S. Maria Maddalena la penitente

Una delle donne più peculiari e con personalità più forti dei Vangeli, dopo la Vergine, è anch'ella una Maria, che non compare al Vangelo se non già circa a metà, menzionata superficialmente assieme a Giovanna ed a Susanna. Essa è identificata dalla maggior parte degli esegeti con la donna penitente di cui Luca parla al capitolo 7; in questo breve saggio, tralasciando l'arcinoto episodio della penitenza, vogliamo vedere come, ricevuto il perdono, la Maddelena si diede tutta per Gesù, multum diligens, come già le erano stati perdonati i gravi suoi peccati quia multum dilexit.

Il  ruolo più importante, infatti, le è riservato alla fine, quando,secondo  la tradizione, era una delle tre Marie che accompagnarono Gesù anche nel suo ultimo viaggio a Gerusalemme (Matteo 27,55; Marco 15,40-41; Luca 23,55-56), dove furono testimoni della crocifissione. Maria rimase presente anche alla morte e alla deposizione di Gesù nella tomba per opera di Giuseppe di Arimatea.È espressamente citata nel Vangelo di Matteo e di Marco ,indirettamente in quello di Luca è Giovanni non parla proprio delle donne presenti alla crocissione.Ella rimase con il venerabile Giuseppe di Arimatea  sino alla sepoltura dell' amato Maestro, recandosi la mattina presto del giorno seguente, assieme a Salome e a Maria madre di Giacomo, ad ungere la salma con gli unguenti preziosi (da qui viene uno degli attributi artistici più famosi di Maddalena, ovvero l' ampolla con l'unguento).Le donne invece trovano la tomba vuota, anzi, non del tutto, perché un angelo rivestito di luce abbagliante, seduto accanto al sepolcro, comunica loro di non cercare un vivo tra i morti e non cercare l' Incorrotto nella corruzione, rendendo nota alle donne la definitiva sconfitta della morte per mano del Nostro Signore Gesù Cristo.Correndo a raccontare la guida notizia a Pietro  e gli altri apostoli, Maddalena diventa la prima "apostola" nel senso stretto, perché è la prima che apprende e che capisce il fatto stesso della gloriosa, misteriosa e tremenda Resurrezione avvenuta.Ma Maddalena quasi non lo metabolizza, non lo elabora e quasi non crede di nuovo ,e dopo  un primo momento di emozione e commozione, Maddalena torna al sepolcro, piangendo, ed ecco che accade un episodio di straordinaria importanza, che è la primissima manifestazione di Cristo dopo la morte e dopo la resurrezione: Cristo appare a Maddalena, non venendo dapprima neanche riconosciuto, e solo quando la chiama per nome, Maddalena, colma dalla gioia e della devozione, ella si getta ai piedi dell' amato Rabbunì, termine, "maestro buono",che sottolinea la complicata e particolare affettività che Cristo aveva in Maddalena

Quale fu la sorte di Maddalena dopo le vicende raccontate nei vangeli canonici? Due sono le supposizioni principali:la prima, accreditata dalla Chiesa ortodossa,dice che Maddalena si recò  ad Efeso ed ivi predicò sino alla morte, mentre la chiesa occidentale fa luogo della sua predicazione principalmente la Francia, dove approdò a Saintes Maries de la Mere assieme ad alcuni compagni tra cui San Massimino.Il suo cranio è conservato proprio nella chiesa a lui dedicata,Saint Maximine la sainte Baume.
Da alcuni  cenni  notiamo una sua probabile permanenza e predicazione a Roma, poiché (oltre all' episodio dell' uovo di Pasqua ) è citata nella lettera ai Romani 16,6.

 Le scene della Passione accanto alla Madonna, ai piedi della croce o durante la deposizione, oppure nelle scene della Resurrezione, davanti alla tomba scoperchiata che parla con un angelo sono quelle che vedono la presenza di Maddalena  più spesso.Nella Cappella degli Scrovegni a Padova e nella Cappella della Maddalena ad Assisi, Giotto sembra riassumere l’iconografia medievale della santa in tutti questi contesti rappresentativi.

La frase attribuita a Gesù (Noli me tangere) fu un tema ricorrente dell'iconografia dal tardo medioevo al rinascimento ed ispirò diversi pittori, da Duccio di Buoninsegna a Paolo Veronese a Giovanni Antonio de' Sacchis in Italia, da Hans Memling a Hans Holbein il Giovane in area fiamminga e tedesca. Gesù spesso è raffigurato con una vanga in braccio. Questa iconografia deriva dal Vangelo di Giovanni. Nel racconto di Giovanni la Maddalena è sgomenta nei pressi del sepolcro vuoto e quando Gesù appare non lo riconosce immediatamente, ma lo scambia per "il custode del giardino"

venerdì 21 luglio 2017

De Divino Officio - De Reformationibus Breviarii Romani (pars II)

III. Le Laudi


Le Laudi, la preghiera dell’alba, che accompagna coi suoi suggestivi testi il sorgere del sole (Gesù Cristo, oriens ex alto illuminare, com’è scritto nel Cantico Evangelico), son da sempre strettamente legate all’officiatura notturna: nel rito bizantino esse addirittura non costituiscono una vera e propria ora liturgica, ma una sezione del Mattutino, e vengono cantate subito dopo l’Inno Δόξα τῷ δείξαντι τὸ φῶς (il Gloria in excelsis). La concezione dell’unione intrinseca di preghiera notturna e mattutina si è mantenuta anche nel rito romano: fino al 1955 le rubriche prescrivono che nell’ufficio corale giammai possan separarsi le Laudi dal Mattutino (era invece permesso, con alcuni accorgimenti come l’aggiunta di un congedo al Mattutino e delle preghiere iniziali alle Laudi, per la recita privata). Ma sotto Pio XII fu vietato di anticipare le Laudi alla sera precedente, cosa che invece era prima permessa e anzi assai praticata (secondo un uso secolare condiviso dai paesi di tradizione slava): ne risultò che, mentre il Mattutino continuò a esser recitato la sera precedente, le Laudi per imposizione si recitassero al mattino successivo, generando una separazione tra i due uffici che storicamente non ha alcun motivo di esistere. Inutile aggiungere che questa separazione si fa’ ancora più marcata nel nuovo rito, dove, con la liberalizzazione dell’Ufficio delle Letture, di fatto esso è l’unico di tutto il Cristianesimo a non avere un’officiatura notturna!
  • Il salmo penitenziale: il Breviario del 1568 faceva iniziare quotidianamente, tranne la domenica, le Laudi con il salmo davidico penitenziale (50), condividendo questo carattere con i riti orientali (che lo inseriscono tanto nella parte terminale del Mattutino quanto all’inizio delle preghiere private del risveglio). Dal 1911 in poi, però, si dovette “sfruttare” anche il posto del primo salmo per poter terminare il Salterio; nondimeno si elaborò uno schema definito Laudes II, da utilizzarsi in Avvento, Quaresima e nei giorni penitenziali, in cui l’ufficio inizia sempre con il salmo 50 (e il salmo che al suo posto starebbe negli altri tempi viene “ricuperato” aggiungendolo a Prima). Non esiste nulla di tutto ciò nel moderno breviario: la riduzione del concetto di penitenza nella liturgia, volta all’eliminazione del senso del peccato, è uno dei capisaldi del modernismo!
  • I salmi e i cantici: nel Tridentino il salterio delle Laudi presenta 4 salmi (compreso quello penitenziale) e un cantico veterotestamentario; solo il cantico e il secondo salmo però cambiavano a seconda del giorno della settimana, mentre gli altri restavano uguali; la riforma del salterio di Pio X dovette per necessità scalzare questi salmi fissi per poter distribuire i salmi sopravanzati dalla riduzione del Mattutino: essa abolì anche il “doppio salmo” del Tridentino, in modo che l’Ora abbia 4 salmi e un cantico. Ma S. Pio X decise anche di sostituire tutti i cantici veterotestamentari con altri più brevi, per alleggerire l’ufficio, riservando quelli tradizionali allo schema penitenziale succitato; così facendo, però, per due terzi dell’anno non si recitano quei cantici che, per quanto lunghi, hanno la loro fissazione nell’età apostolica (sono gli stessi delle 9 odi del Canone del Mattutino bizantino).
  • Nella moderna liturgia horarum i salmi recitati sono solamente tre, di cui un cantico (ma per differenziare lo schema quadrisettimanale vengono introdotti numerosi “cantici” che nulla hanno a vedere con la tradizione); viene da chiedersi in che modo il concetto di “Ora maggiore”, tanto esaltato dai moderni liturgisti, è stato difeso, visto che il numero dei suoi salmi è stato ridotto a quello di un’ora minore …
  • Le Lodi: in tutte le liturgie cristiane il momento del sorgere del sole è accompagnato alla lode a Dio, ringraziamento per il dì novello ed esultanza nel Signore che verrà vittorioso, espressa attraverso il canto dei tre salmi laudativi per eccellenza (148, 149 e 150) detti Laudate e tradendi all’ufficio stesso il nome di “Laudi”. Essi si ritrovano nella liturgia orientale (sono i veri e propri αἶνοι del Mattutino), nell’ufficio monastico e nel Breviario Tridentino. Quanti ebbero a dispiacersi quando S. Pio X soppresse quest’antichissima usanza, privando di fatto l’ora medesima delle Laudi del suo senso! Al suo posto, si limitò a prescrivere quotidianamente, come quinto salmo delle nuove Laudi, uno dei salmi 145-150, tutti a carattere più o meno laudativo, escludendo però il 149 (che inizia con il verbo Cantate e non Laudate), uno dei pochi che aveva diritto di esserci: in questo modo la Liturgia romana divenne l’unica a non avere le Lodi, pur avendo un’intera ora liturgica dedicata a questo rito non più esistente!
  • Nel breviario postconciliare anche il “contentino” del Divino afflatu fu eliminato, e solo le Laudi della domenica terminano con un salmo laudativo. Avendo compreso questo abuso, i moderni preferirono cambiare il nome di quest’ora liturgica (se in italiano restano chiamate Lodi mattutine, in inglese e nella maggior parte delle altre lingue lo si è volto in Morning prayer, ignorando che la “preghiera del mattino” è tutt’altro, per la tradizione antica!)
  • Il capitolo, l’inno e il verso: non molte modifiche sono state apportate fino al 1970 a questa parte, che dal 1911 in poi ricoprì sempre più importanza, essendo l’unica ad avere parti proprie dell’ufficio di un santo minore. La moderna Liturgia Horarum stravolge in due punti l’uso tridentino: sposta l’inno (che si trovava in questa posizione come testimonianza della sua origine alloctona, essendo la composizione ecclesiastica inizialmente estranea all’ufficio romano) all’inizio dell’ora; fa seguire un breve responsorio al capitolo (che viene ribattezzato “lettura breve”), volendosi conformare all’uso benedettino, ma sopprimendo in compenso quei versetti scritturali dal grande valore icastico che nei vecchi breviari si cantano subito dopo l’inno.
  • Le preci feriali: in tutti i giorni penitenziali, fino al 1955, vigeva la prescrizione di recitare inginocchiati delle preghiere, di origine antichissima: esse contengono il Kyrie, il Pater, versetti scritturali e orazioni che ricordano le ektenie che costellano gli uffici orientali. Sotto Pio XII si ridusse la loro recita ai soli mercoledì e venerdì di Avvento e Quaresima, e al mercoledì, venerdì e sabato delle Tempora. Un ben mero ruolo, per una sì antica prece … Ma essa fu destinata all’estinzione dai riformatori del Vaticano II, i quali preferirono sostituirla con delle “invocazioni” scritte sul modello delle preghiere dei fedeli della Messa, le quali, con il loro stile fumoso e umanista, nemmeno possono competere con le antiche preci feriali.
  • Le commemorazioni e il suffragium: all’orazione del giorno seguivano numerose commemorazioni degli uffici impediti (santi minori, feria o domenica corrente …), costituite da un’antifona, un versetto e un’orazione: esse erano il residuo dell’assai impegnativo uso monastico dei primi secoli, che in caso di occorrenza prevedeva di recitare dapprima tutto l’ufficio di rango superiore, e poi iterarlo con l’ufficio di rango inferiore. Pio XII prima e Giovanni XXIII poi abolirono moltissime di queste commemorazioni (i santi che cadono in  domenica, per esempio), le quali nel nuovo breviario si riducono a un uso facoltativo in pochi giorni dell’anno (è da considerare che riducendo le feste si riducono gli uffici da commemorare…).
  • Altra particolarità del Tridentino era l’avere quattro suffragi particolari, con lo stesso modello delle commemorazioni, ma da ripetere ogni giorno: erano dedicati alla Santa Croce, alla Beata Vergine, ai Ss. Apostoli Pietro e Paolo e alla Pace. Essi erano già una forte riduzione rispetto alla proliferazione (anche 10!) prodotta dal devozionismo medievale, che rischiava di diventar bandiere di superstizione. Pio X condensò tutti i quattro suffragi, mal sopportati dal clero, in un unico, più lungo, dedicato alla Vergine e a tutti i Santi, il quale fu però inspiegabilmente abolito nel 1961.
  • Le preghiere finali: fino al 1955, al termine delle Laudi si recitavano un Pater, un versetto, l’antifona mariana con le sue preci e, nell’uso monastico, l’Angelus. Poi queste, insieme a tutte le altre preghiere “accessorie”, furono soppresse: avremo più avanti modo di parlarne.

Tabella comparativa

Nulla a che ridire sul fatto che le Laudi siano stata l’ora più rovinata da S. Pio X: se la riforma del mattutino era un taglio veramente utile, mi è difficile capire quanto tempo si risparmi omettendo i salmi laudativi, considerando poi che essi sono la ragione stessa dell’Ufficio…


Tridentinum 1568
Divino afflatu 1911
Rubricarum 1961
Liturgia Horarum 1970
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Schema I
20m
50m
15m
35m
12m
30m
10m
20m
Schema II
20m
45m
15-18m
35-40m

IV. L’ora Prima


Ah, quanto abbiamo a dolerci sulla sorte di quest’ora, interamente soppressa dai riformatori, sulla scorta di una inspiegata volontà della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. Alcuni sostenitori della Liturgia Horarum provarono dunque a elaborare una tesi, secondo la quale quest’ora era un inutile doppione di Laudi. Possiamo contestare quest’opinione per tre vie:
  • Via storica: nelle liturgie orientali vi è l’Ora Prima. Ora, sappiamo che le liturgie orientali sono immutate dal IV secolo: dunque all’epoca di Costantino esisteva l’Ora Prima. Trovo un po’ improbabile che ai tempi delle catacombe si sia pensato a inutili doppioni …Senza considerare che, da Giustino a Tertulliano, tutti quelli che descrivono la giornata di preghiera del cristiano distinguono il momento del risveglio da quello dell’alba.
  • Via testuale: i testi dell’Ora Prima sono completamente diversi da quelli di Laudi, e non sono nemmeno identici a quelli di una qualsiasi ora minore. Ergo non sono certo una fotocopia dell’una o dell’altra.
  • Via simbolica: le Laudi, abbiam detto, rappresentano il momento dell’alba, del sole che sorge; nel Medio Oriente, alle 6-7 del mattino, il sole è già abbondantemente sorto, e quindi l’Ora Prima si configura come il primo ufficio liturgico del giorno, mentre Laudi erano un ponte tra l’ufficio notturno (cui non a caso erano unite) e quello diurno. Inoltre, l'ora Prima è l'ora della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Analizziamo rapidamente i mutamenti subiti dall’ufficio nella storia precedente il 1970:
  • Le preghiere iniziali: dal 1955, con l’abolizione delle preghiere “accessorie”, non sono più obbligatori il Pater, l’Ave e il Credo all’inizio di quest’ora. Prima, il chierico era chiamato a rinnovare la propria professione di fede mediante il simbolo apostolico tre volte al giorno (prima del Mattutino, e dunque alla fine della notte; all’ora Prima, e dunque al mattino; al termine della Compieta, e dunque allo scender della notte): di conseguenza, ora tutto l’ufficio può recitarsi senza mai esprimere la propria fede con le chiare parole tradite dagli scritti apostolici!
  • L’inno: il glorioso inno Jam lucis orto sidere è stato riutilizzato nel breviario del 1970 come uno dei molteplici inni delle Laudi. Questa scelta, maturata per non perdere uno degli inni più belli della tradizione latina, ha però ben poco senso: abbiam detto che le Laudi sono la preghiera del sorgere del sole, mentre questo inno inizia con le parole Ormai sorto l’astro di luce, proprio perché si riferiva alla prima ora canonica del giorno. In questo modo, nel breviario moderno, si canterà il Benedictus al sole sorgente quando pochi minuti prima si è detto che il sole era già sorto!
  • I salmi: l’ora Prima tridentina ha sempre quattro salmi, di cui uno variabile a seconda del giorno della settimana, e tre fissi (il 117 e i primi due catismi del 118); la riforma del salterio di S. Pio X mantenne questo schema per la domenica, mentre cambiò quella degli altri giorni: mantenne il salmo variabile del 1568, sostituendo però i tre fissi con altri due mobili, per poter completare la recitazione di tutti i salmi durante la settimana. Fino al 1961, nei tempi penitenziali, si aggiungeva anche il salmo tralasciato a Laudi.
  • Il cantico atanasiano: fino al 1955 era prescritto di recitare questo meraviglioso poema di S. Atanasio d’Alessandria, una sintesi impareggiabile di tutta la dottrina cattolica sulla SS. Trinità, in tutte le domeniche dopo Pentecoste. Pio XII ridusse quest’uso alla sola domenica della SS. Trinità: certamente fu una notevole riduzione, data la lunghezza del testo, ma a molti lasciò deluso il non poter più inneggiare settimanalmente al Dio Trino ed Uno con le magnifiche parole del Padre alessandrino. Cosa dire della liturgia del 1970, dove anche quell’unica volta in tutto l’anno è stata soppressa, con conseguente pericolo per la fede ortodossa nella Trinità, che non viene più rinnovata dai chierici. Ma forse le parole fortemente stringenti di S. Atanasio sull’extra Ecclesiam nulla salus eran poco adatte a un breviario uscito dal Vaticano II …
  • Le preci feriali e domenicali: fino al 1961, quando Giovanni XXIII le abolì, in tutte le ferie e domeniche dell’anno e nelle feste semidoppie si recitavano delle antichissime preci, contenenti il Kyrie, il Pater, il Credo, il salmo 50, il Confiteor… Nei giorni penitenziali, poi, venivano aggiunti anche il salmo 102 (alcune parti), il Trisagio greco e alcuni versetti salmici incipienti con le parole Libera o Eripe. Molti liturgisti espressero la loro perplessità circa questa soppressione, che di fatto cancellava il Trisagio greco dall’intera liturgia romana (fatto salvo il Santo Venerdì).

Tabella comparativa

Di quante cose si è privata la liturgia postconciliare abolendo l’ora Prima! Tra tutte, l’Officio del Capitolo, serie di preghiere (Kyrie, Pater, salmo 89, un’orazione e una benedizione) derivanti dall’antica officiatura monastica (presso i domenicani nel Medioevo erano dette separatamente dall’ora), con le quali si supplicava al Signore che custodisse i suoi servi senza peccato e dirigesse le loro azioni nel corso del giorno. Si sono anche privati della recita pubblica del Martirologio, che ha sicuramente determinato un calo della coscienza dei Santi della Chiesa (soprattutto dei martiri romani, i primi a essere venerati dalla Chiesa Cattolica ed eppure tanto ignorati dai moderni), nonché la perdita di alcuni testi di vera poesia (come il suggestivo annunzio della Natività che si faceva alla vigilia, detta Kalenda di Natale). Ma soprattutto, si sono privati del ricordo canonico della Risurrezione, che come già abbiamo detto è avvenuto all'Ora Prima. Bisogna però riconoscere che la soppressione di Prima aveva i suoi germi nello svilimento dell’ora canonica attuato nella seconda metà del XX secolo, con l’abolizione di moltissime delle preghiere tradizionali.



Tridentinum
1568
Divino afflatu 1911
Rubricarum 1961
Liturgia Horarum 1970
Recitato
Recitato
Recitato
Recitato
Feste doppie
11-12m
10-11m
10m
0m
Ferie penitenziali
20m
18m
Altri giorni
17-20m
15-18m

V. Le Ore minori


Non sono mai state apportate storicamente delle modifiche alla struttura generale delle ore minori (Terza alle 9, Sesta alle 12, Nona alle 15). Solo la salmodia è stata modificata da S. Pio X, che ha cancellato l'antico uso di recitare ogni giorno tutto il salmo 118 in queste ore minori (tre catismi per ciascuna), riservandolo alla sola domenica, e sfruttando gli altri giorni per completare la distribuzione del salterio. La Liturgia Horarum del 1970 ha cercato di riportare la recita di parti del salmo 118 durante la settimana, ma in modo alquanto approssimato, senza un senso preciso, in modo da non risultare né tradizionale (come nel Tridentino), né consequenziale (come nel Divino Afflatu, dove almeno i salmi si susseguono secondo l'ordine numerico). Piccole riforme occorse durante l'ultimo secolo sono state l'abolizione delle preci feriali per i giorni penitenziali (sotto Giovanni XXIII, ma in fondo non erano originarie dell'ufficio, bensì vi erano state aggiunte sul modello delle altre ore, ed erano peraltro molto brevi e poco significative), e, dopo il Concilio Vaticano II, la soppressione del responsorio breve (equivalente al prokimenon dell'uso orientale, e dunque molto antico), nonché l'introduzione di alcune orazioni conclusive fisse per le varie ore canoniche (a discapito dell'orazione del tempo o del Santo).
Questo per quanto riguarda i testi in sé. Due gravi modifiche sono però state apportate nel modo di recitare l'ufficio: nel 1955 Pio XII, per "purificarlo", tolse via tutti i Pater Noster e le Ave Maria che si recitavano all'inizio e alla fine di ciascuna ora. Queste sono l'evoluzione delle pause di silenzio (anticamente, non esistendo altre indicazioni di tempo, si raccomandava di sostare tempore unius "Pater Noster" vel similia), introdotte per evitare che, con la recitazione consecutiva delle tre ore minori (frequentissima nella lettura privata, e non infrequente alcuni secoli fa nelle cattedrali e in quegli altri siti ove venivano cantate senza obbligo della veritas horarum, così come in quei luoghi ove su influenza orientale si celebravano le Ore Regali, ossia le tre ore minori consecutive, alla vigilia delle grandi feste), gli uffici si susseguissero in modo frettoloso, senza tempo di meditare accuratamente sulla preghiera innalzata. Erano assai sensate anche negli uffici detti separatamente, perché aiutavano il raccoglimento. Tutti questi elementi utili ad accrescere la devozione del chierico recitante sono però inattuati da sessant'anni a questa parte.
Nel 1970, cosa gravissima e inaudita, si tolse l'obbligo a tutti i chierici (tranne i monaci) di recitare tutte e tre le ore minori, riducendo l'imposizione a una sola delle tre a scelta (definita dunque "Ora media"): in questo modo è venuto meno il concetto di santificazione della giornata in ogni momento, senza considerare la riduzione all'inverosimile del tempo e dei momenti di preghiera, e abbiam già più volte ribadito quanto questo sia dannoso per un religioso (e anche, vien da dire, visto che le tre ore rappresentano i tre momenti della Passione di Nostro Signore, per quale motivo se ne debba commemorare un solo, come se il Signore fosse stato crocifisso senza esser prima stato processato, o morisse senza prima esser stato crocifisso)...


Tridentinum
1568
Divino afflatu 1911
Rubricarum 1961
Liturgia Horarum 1970
Recitato
Recitato
Recitato
Recitato
Terza
6m
5-6m
4-5m
4m
Sesta
6m
5-6m
4-5m
Nona
6m
5-6m
4-5m
TOTALE
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giovedì 20 luglio 2017

De Divino Officio - De Reformationibus Breviarii Romani (pars I)

Saranno pubblicati nelle prossime settimane alcuni brevi saggi di N. Ghigi sul Divino Ufficio, analizzato sotto diversi punti di vista. In questo primo saggio avremo un raffronto tra le principali edizioni del Divino Ufficio dai tempi di S. Pio V alla modern(ist)a “Liturgia Horarum”.

Introduzione: Cronistoria del Breviarium Romanum dopo il 1570

Breviario romano "Divino Afflatu" in 4 volumi
Quando S. Pio V, sulla scorta del Sacrosanto ed Ecumenico Concilio Tridentino, mediante la bolla Quod a nobis, promulgò il nuovo Breviarium Romanum, egli ebbe un duplice obbiettivo: uniformare in tutto l’orbe cattolico la pratica della recita dell’Ufficio Divino, la quale fu confermata nella sua obbligatorietà quotidiana per i chierici, rifacendosi al già assai diffuso Breviarium secundum usum Romanae Curiae (siccome avea fatto pel Messale); rimaner fedeli alla purità dell’ufficio monastico, eliminati gl’inutili orpelli (come i suffragi, ridotti a quattro nel Tridentino) e mantenendo il costume di disporre lungo la settimana tutti i 150 salmi del Salterio (consuetudine di per sé sviluppatasi solo posteriormente al VII secolo, giacché ai tempi di S. Benedetto il Salterio recitavasi per intero in un sol giorno). Confrontando l’Ufficio monastico benedettino con il Breviarium Romanum del 1568, non si notano poi grandi differenze, salvo una maggior rigidità e canonicità nell’impostazione (ch’è l’evidente frutto di un lavoro di commissione ben pianificato, quando invece il Breviario benedettino è frutto di una stratificazione secolare), né nella struttura delle Ore, né nella disposizione del Salterio. Fu questa dunque la forma, che non a torto è definita dai liturgisti come l’autentica espressione della tradizione liturgica romana, cantata quotidianamente nei cori dei monasteri e delle cattedrali, nonché preghiera privata dell’intero clero durante la giornata, che si conservò nella Chiesa Cattolica di rito romano fino al 1910. Le uniche modifiche, oltre alle riforme di calendario che influirono ovviamente sull’Ufficio, furono operate da Urbano VIII nel 1648, il quale fece riscrivere tutti gl’inni, in modo da adattarli alla metrica latina classica (opera non poco criticata, ritenuta una vera e propria distruzione del patrimonio innodico medievale, sia da contemporanei che da successori sino ai giorni nostri). Narrasi che già Pio IX e Leone XIII avessero in animo di operare una riforma generale del Breviario Romano; v’erano infatti nel clero pressioni da ogni parte, vertenti principalmente su due questioni: la predominanza del santorale sul temporale, che facea sì che la maggior parte dei salmi non venisse quasi mai recitata, e l’eccessiva lunghezza dell’Ufficio, difficile a conciliarsi con l’opera di predicazione e pastorale in cui erano impegnati i sacerdoti. I due sopraccitati Pontefici non osarono però metter mano a una struttura che da quasi quattrocento anni (e in realtà molti di più) costituiva la preghiera ufficiale della Chiesa, ed era peraltro incardinata in modo tanto preciso che una qualsiasi riforma non avrebbe potuto essere marginale, ma avrebbe significata una vera e propria rivoluzione. E questo è quello che accadde nel 1911, quando il Papa S. Pio X, con la bolla Divino afflatu stravolse interamente la disposizione del Salterio, in nome di una fortemente richiesta brevità, che apportò però a non poche frustrazioni, ancor oggi ripercuotentesi, ai puristi dell’officio romano, ai quali noi, pur stimando e usando cotidianamente il Breviario di S. Pio X, non possiamo che dar ragione, non potendoci esimere dall’affermare che per quanto riguarda il Salterio (che nell’Ufficio Romano è la parte predominante) quasi nulla hanno in comune l’edizione del 1568 e quella del 1911. Se però nella struttura delle Ore il Breviario piano è ancora tradizionale, lo sarà sempre meno con gli aggiornamenti (o meglio, con i defalcamenti) all’Ordinarium operati sotto Papa Pio XII (1955) e Papa Giovanni XXIII (1961), e fortemente criticati dai liturgisti dell’epoca, quali il Gromier. Nonostante condivida assai poco con le edizioni precedenti, può dirsi che, quantomeno nell’impostazione e nel sottofondo storico a cui si rifà, il Breviario del 1961 è tradizionale e romano. Come invece non può certamente definirsi la Liturgia Horarum promulgata in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. In essa infatti, a partire dal nome “Breviarium” (che, ironia della sorte, fu sostituito per dar l’idea che la preghiera della Chiesa non dovesse essere qualcosa di “breve”, quando la liturgia del 1970 è la più breve di tutto il Cristianesimo!), la quasi totalità degli elementi tradizionali furono stravolti, sostituiti con altri alloctoni o inventati di sana pianta, e il già disossato salterio piano fu ulteriormente ridotto, fino a perdere ogni accezione di romanità, nonché ogni legame con la tradizione cattolica.
Un "breviario" con la moderna Liturgia Horarum (1970)

I. la disposizione del Salterio e le rubriche generali

L’elemento che più balza all’occhio guardando i libri d’ore postconciliari è che apparentemente sono più grandi: ma non s’è forse detto che l’Ufficio moderno è assai più breve? Infatti, lo stravolgimento maggiore operato dai riformisti fu quello di cancellare l’uso monastico di recitare tutti i 150 salmi nel corso di una settimana, preferendo una disposizione in quattro settimane. Moltissime sono le critiche che si potrebbero operare contro questa scelta; noi ne consideriamo ora le due maggiori:
  • Un Salterio in quattro settimane significa un numero di salmi quattro volte minore recitato durante una giornata. Questa critica, che può applicarsi a ogni singolo aspetto della moderna liturgia delle ore, si basa su una semplice osservazione: il nome stesso di Divinum Officium indica che la recita del Breviario è il “lavoro” quotidiano del chierico. Può però definirsi tale un lavoro che impiega poco più di una mezzora in tutta la giornata, come la nuova Liturgia Horarum? Ridurre il tempo che i ministri sacri dedicano alla preghiera è ridurre il numero di grazie che la Chiesa intera riceve (nell’Ufficio Divino anche privatamente recitato ogni chierico compie un atto liturgico vero e proprio, poiché in virtù del suo ministero ecclesiastico prega a vantaggio di tutta la Chiesa), e finanche indebolire la spiritualità e l’attaccamento all’orazione, che dovrebbero spettare al chierico.
  • Un Salterio in quattro settimane significa che prima di riascoltare uno stesso salmo dovranno passare almeno 28 giorni, contro i 7 dell’antico Breviario: quale dei due sistemi faciliterà l’apprendimento mnemonico della Scrittura, tanto importante per avere una piena conoscenza di essa, soprattutto di questi tempi in cui non si ha certo tempo da sprecare per mettersi a imparare a memoria i salmi (mentre con un Salterio settimanale, siccome le letture della Messa disposte lungo un solo anno, il semplice attendere alla preghiera porterebbe automaticamente all’assimilazione)?

Tornando alla succitata questione della prevalenza del santorale sul temporale, nel Breviario Tridentino ogni festa di un santo (doppia o semidoppia che fosse) aveva la salmodia presa dal Comune: ciò faceva sì che alcuni salmi (come il IV, che si trova sia nel Mattutino delle Feste che nella Compieta di tutti i giorni) venissero recitati due volte al giorno, a dispetto di altri recitati due volte all’anno. La soluzione, adottata già da S. Pio V e rinnovata più volte nei secoli, che prevedeva il defalcare il maggior numero possibile di feste dal Calendario, mantenendo solo quelle dei martiri antichi e dei Confessori del primo Medioevo (nemmeno il popolarissimo S. Antonio aveva spazio nel Calendario del 1568), era puntualmente vanificata dai Papi successori, che su pressione del clero e dei fedeli erano costretti a reinserire e anzi ad aumentare le feste della Chiesa universale. La grande soluzione fu trovata da S. Pio X, ed è forse un elemento bastante per preferire quel Breviario a tutti gli altri: introdurre delle officiature miste. Id est, le feste semidoppie e doppie minori avrebbero avuto la salmodia della feria corrente, e tutte le altre parti della festa: in questo modo si assicurava la recita assidua dell’intero salterio e al contempo la presenza delle feste dei santi. Questo sistema fu mantenuto negli aggiornamenti successivi ed è anche alla base della moderna Liturgia Horarum (in cui però si rende quasi inutile, dal momento che il numero dei Santi nel calendario è stato ridotto di circa due terzi).

L'ufficio recitato dai monaci in coro
Una piccola nota da fare è sui gradi delle feste: l’uso tridentino (nato già qualche secolo prima della riforma) prevedeva la suddivisione delle feste in doppie (duplex), semidoppi (semiduplex) e semplici (simplex). Sostanzialmente, alle ore maggiori, nelle feste doppie si “duplicava” l’antifona (ossia recitavasi l’antifona completa e all’inizio e alla fine del salmo), mentre ciò non avveniva in quelle semidoppie (ossia recitavasi completa alla fine del salmo, e venia solo intonata all’inizio); nelle feste semplici invece di fatto l’ufficio era feriale con la sola commemorazione della festa. Nei secoli quest’uso fu precisato mediante la distinzione in “duplex majus”, “duplex minus”, “duplex II classis” e “duplex I classis”, in modo da distinguere chiaramente la precedenza (in linea teorica, la festa di un confessore presentava lo stesso grado del Natale del Signore…). Questa suddivisione ingenerava però non poca confusione, soprattutto perché non si trattava di una vera e propria indicazione di precedenza, quanto più del rito da seguire (con o senza duplicazione dell’antifona): per questo motivo Pio XII abolì la denominazione di “semidoppio”, conservando nondimeno nei fatti la non-duplicazione in tali feste. Forse lo schema di precedenza più chiaro è quello elaborato da Giovanni XXIII, in cui ogni giorno liturgico è saldamente incorporato in uno schema in quattro classi (I, II, III e IV), cui si possono aggiungere eventuali Commemorationes ad Laudes tantum (le antiche feste semplici): non è chiaro perché, dopo lavoro sì tanto lodevole, tutti i riti semidoppi siano stati promossi a doppi, concedendo la duplicazione dell’antifona (che, cosa inedita, si duplica anche alle ore minori). Il calendario moderno è ritornato a usare nomi fumosi: “solennità”, “festa”, “memoria” e “feria” corrispondono alle classi giovannee, ma “memoria facoltativa” è assai diversa dall’antico rito semplice, perché permette di scegliere tra recitare un officio di IV o di III classe.
Si segnala anche che Pio XII abolì la maggior parte delle Ottave, lasciandone in vigore solo tre (Natale, Pasqua e Pentecoste, contro le oltre 10 del calendario del 1933); dopo il Concilio Vaticano II quella di Pentecoste fu abolita e le altre due han persi molti caratteri propri.

II. Il Mattutino

Con il nome di “Mattutino” nella tradizione occidentale si designava l’antico ufficio notturno: i monaci recitano questa preghiera nel cuore della notte (i certosini poco dopo la mezzanotte, i benedettini attorno alle tre); nell’uso comune, ancorché sia recitata all’alba o la sera precedente, mantiene il suo carattere notturno negl’inni, e lo stesso nome con cui si designano le sezioni di salmi e letture è quello di “Notturni”. Nella moderna Liturgia Horarum il carattere notturno è scomparso: questa preghiera è stata ribattezzata “Ufficio delle Letture” ed è stata data facoltà di recitarlo a qualsiasi ora del giorno. In questo modo, non solo i moderni si sono privati dell’ufficiatura notturna, che costituisce un elemento fondamentale della vita di preghiera dei monaci, ma anche di uno dei momenti maggiori del giorno liturgico (tutti gli autori ci testimoniano che le prime officiature comunitarie dei Cristiani erano gli uffici vigiliari, appunto i Mattutini, che effettivamente restano in tutte le tradizioni orientali): specialmente poiché in Occidente non esiste, come nella tradizione bizantina, un officio Mesonittico (di mezzanotte), si arriva alla paradossale considerazione che dalla Compieta alle Laudi, dunque dall’inizio della notte fino all’alba, non sia necessario pregare. Va da sé che quest’assurda riforma portò alla cancellazione di tutti quegli antichissimi inni che contenevano “inopportuni” riferimenti allo svegliarsi nel cuore della notte, come l’inno delle domeniche Nocte surgentes vigilemus omnes, nonché all’abolizione del tradizionale sistema di suddivisione della preghiera in Notturni.
  • L’orazione ante Divinum Officium: fino al 1955 era prescritta la recita della suggestiva orazione Aperi Domine, accompagnata dalla recita di Pater, Ave e Credo; questa faceva da introduzione, disponendo l’anima alla preghiera, e direttamente collegandosi col versetto che sin dai tempi apostolici apre il Mattutino: Domine, labia mea aperies. L’aggiornamento di Pio XII abolì l’obbligo di recitare questa preghiera. E’ però lodevole il fatto che essa, pur senza costituire costrizione, venisse inserita all’inizio dei breviari successivi (persino quello moderno), cosicché non ne andò del tutto perduta l’usanza.
  • L’invitatorio: l’invitatorio tradizionale è costituito dal salmo XCIV Venite, che ben si adatta a far cominciare il servizio divino di tutta la giornata; è peraltro l’unico salmo che ha mantenuto l’antica forma responsoriale. Nella nuova liturgia (oltre al fatto che, non essendo più la prima preghiera del giorno, l’invitatorio può traslarsi alle Laudi), il salmo che dalla Chiesa è sempre stato usato per questo rito può ad libitum sostituirsi con altri (XXIII, LXVI, XCIX …), che per quanto di significato affine mai saranno significativi come il XCIV (viene inoltre spontaneo chiedersi perché introdurre sì tante scelte alternative? Questa e tante altre “libertà di scelta” portano a che quella che dovrebbe essere la preghiera di tutta la Chiesa unita risulterà diversa da persona a persona!)
  • I salmi: Il breviario tridentino prescrive la recita di 12 salmi ogni giorno; questo numero si trova anche nelle officiature mattutine orientali, anche se lì la salmodia è una parte relativamente minore; nell’ufficio domenicale, poi, s’aggiungevano altri 6 salmi, per un totale di 18, proprio come fanno i benedettini che osservano le consuetudini del primo Medioevo. Nel caso delle feste (che però erano diventate, all’inizio del XX secolo, i due terzi dell’anno liturgico), dato il numero molteplice di letture, i salmi erano solamente 9. Papa Pio X ebbe la saggia intuizione di ridurre il numero di salmi recitati, che appariva troppo gravoso (si trattava inoltre di salmi interi, comprendenti anche alcuni molto lunghi) ed era recitato in modo sciatto e frettoloso dalla maggior parte del clero: egli dunque portò a 9 salmi anche gli uffici feriali e domenicali, e per di più suddivise in più sezioni i salmi particolarmente lunghi. Pur restandogli un sopravanzo di molti salmi da sistemare in altro modo (vedi capi successivi), egli di fatto riuscì a rendere accessibile l’ufficio mattutino, senza troppo svilirlo. La proliferazione di salmi che caratterizza l’ufficio romano è una diretta conseguenza dell’influenza benedettina: ai tempi del fondatore, i monaci durante l’ufficio notturno recitavano un numero di salmi veramente enorme, tra 70 e 100. Se dunque qualunque riforma sarebbe dovuta passare per il taglio di essi, è da considerare che, se nelle Ore orientali grand’importanza è data alle preghiere e agli inni ecclesiastici, queste sono assenti dall’uso occidentale, e un taglio eccessivo dei salmi rischierebbe di annullare completamente il Breviario Romano. Questo è forse quello che è successo nel 1970, quando i salmi del neonato “Officium lectionum” sono diventati solamente tre, e peraltro quasi sempre sezioni molto brevi. Cos’hanno in comune i tre salmi paolini con i diciotto benedettini e tridentini? E c’è chi a suo tempo criticò i nove piani …
  • Le lezioni: a ciascun notturno segue sempre un blocco di tre letture, nell’ufficio tradizionale, quasi sempre continuative e prese da uno stesso libro. Tanto nell’uso tridentino che in quello del Divino afflatu, dunque tutte le feste, di qualsiasi ordine e grado, avendo i salmi divisi in tre notturni, hanno nove lezioni. Nel Breviario di Giovanni XXIII, però, le feste di III classe e – purtroppo – le domeniche presentano un solo notturno, e dunque solo tre lezioni (cosa che appare ridicola, considerando che gli antichi uffici domenicali erano i più lunghi, avendo 18 salmi e 9 lezioni). Quando sono suddivise in tre notturni, generalmente le prime tre lezioni son tratte dalla Sacra Scrittura, le seconde tre dai Padri (o l’agiografia nelle feste dei Santi), le ultime tre sono il Vangelo del giorno con il commento patristico. Nella moderna Liturgia Horarum vi è un aspetto positivo e uno negativo: il primo è dato dal mantenimento dell’uso di leggere sia la Sacra Scrittura sia i Padri della Chiesa (anche se di fatto vi sono solamente due letture, esse sono molto più lunghe, e una di queste corrisponde alla somma di tre antiche lezioni); l’aspetto negativo è la soppressione della lettura evangelica (cosa alquanto inaudita, considerando che i Mattutini orientali hanno quasi sempre solo il Vangelo, e l’ufficio benedettino ne ha addirittura due). Generalmente, però, il breviario moderno sull’aspetto scritturale è forte (anche la lettura patristica è quasi sempre ben scelta e assai interessante): è tutto il resto che è debole, e purtroppo è tutto il resto che differenzia una Liturgia delle Ore da una banale lettura della Parola.
  • Più o meno immutata è rimasta la rubrica della recita del Te Deum alla fine dell'ufficio (tranne che, con la soppressione di un gran numero di feste, si sono soppressi altrettanti inni ambrosiani)

Tabella comparativa

Un breviario secondo le rubriche del 1961
Non che si voglia intendere che a ufficio più lungo corrisponde sempre ufficio più degno o più ortodosso, ma sicuramente la riduzione eccessiva del tempo di preghiera è, come abbiamo già detto, assai perniciosa, quando si parla dell’orazione che ogni sacerdote deve effondere a bene di tutta la Chiesa, senza contare le gravissime conseguenze di calo della devozione.
P.S.: le durante sono approssimate e ricavate il più possibile sulla base della recita personalmente effettuata: dunque sono soggette a gran variabilità, ma tengono conto dei gesti di pietà, delle pause di silenzio, dei cambi di velocità o intonazione connaturati al testo letto (per questo possono risultare molto diverse da altri calcoli, più oggettivi ma meno realistici, fatti con lettori elettronici).



Tridentino 1568
Divino afflatu 1911
Rubricarum 1961
Liturgia Horarum 1970
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Domeniche
1h 10m
2h 45m
45m
1h 40m
35m
1h 10m
15m
30m
Ferie
1h
2h
30m
1h
30m
1h
15m
30m
Feste maggiori
1h
2h
45m
1h 40m
45m
1h 30m
20m
35m
Feste minori
50m
1h 45m
45m
1h 30m
30m
1h
15m
30m

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