martedì 30 maggio 2017

La Santa Messa V - L'Inno Angelico e la Colletta

Pubblicazione precedente: http://traditiomarciana.blogspot.com/2017/05/la-santa-messa-iv-dalla-confessione-al.html

XV. Dell'Inno Angelico


Al centro dell'altare, il sacerdote allarga e ricongiunge le braccia intonando le parole: Gloria in excelsis Deo, e dando inizio al canto dell'Inno della Messa, o Grande Dossologia (dal greco, "discorso di lode"), antichissima e ardente preghiera di esaltazione e magnificazione del Signore. Tale Inno si definisce Angelico, giacché le sue prime parole sono quelle che pronunciarono gli Angeli allietandosi per la nascita del Salvatore a Betlemme (Lucas II, 14), nonché per il fatto che la lode mistica che esso offre a Nostro Signore è quella stessa che le schiere degli incorporei incessantemente innalzano nei cori celesti.
Le origini di questo inno, così come quelle del Te Deum o del Lumen Hilare, si perdono nella Storia del Cristianesimo: già Plinio il Giovane ci riferisce nella sua lettera all'Imperatore Traiano che i Cristiani si radunavano al mattino per innalzare un inno col quale "cantavano a Gesù come Dio", e allo stesso canto fa riferimento il satirico Luciano; il testo originale, contenuto nelle Costituzioni Apostoliche ordinate da S. Clemente Papa alla fine del I secolo (che alcuni malignamente pospongono sino al IV secolo), è ovviamente greco, e la prima traduzione latina si attribuisce generalmente a S. Ilario di Poitiers (seconda metà del IV secolo). In ogni caso, è assai probabilmente anteriore al 382, giacché traduce il greco ὑψίστοις con excelsis, quando la Vulgata di S. Girolamo preferisce altissimis. Lo Schuster porta ad ulteriore prova della sua antichità il fatto che non compaiano accenni alla risoluzione ortodossa delle dispute trinitarie, e in particolare di quella ariana.

Originariamente si cantava, come abbiamo visto, nell'Ufficio Notturno (quello che poi sarebbe stato chiamato Mattutino), come inno di lode al sorgere del sole: tale funzione è ancora quella in cui viene usato nell'ufficio divino bizantino, verso il termine dell'Ὀρθρός, introdotto dal versetto del celebrante: "Δόξα σοι τῷ δείξαντι τὸ φῶς" (Gloria a te che ci mostrasti la luce). Nella sua versione liturgica greca è seguito da numerosi versetti tratti dai salmi, che cambiano leggermente a seconda se l'ufficio sia festivo (Dossologia maggiore) o feriale (Dossologia minore), di cui riportiamo qui solo il primo (nel secondo caso, l'ordine dei versetti è un po' diverso, e il trisagio è sostituito da una conclusione trinitaria da orazione):

Festivo:
Καθ' ἑκάστην ἡμέραν εὐλογήσω σε, καὶ αἰνέσω τὸ ὄνομά σου εἰς τὸν αἰῶνα, καὶ εἰς τὸν αἰῶνα τοῦ αἰῶνος. Καταξίωσον, Κύριε, ἐν τῇ ἡμέρᾳ ταύτῃ, ἀναμαρτήτους φυλαχθῆναι ἡμᾶς. Εὐλογητὸς εἶ, Κύριε, ὁ Θεὸς τῶν Πατέρων ἡμῶν, καὶ αἰνετὸν καὶ δεδοξασμένον τὸ ὄνομά σου εἰς τοὺς αἰῶνας. Ἀμήν. Γένοιτο, Κύριε, τὸ ἔλεός σου ἐφ' ἡμᾶς, καθάπερ ἠλπίσαμεν ἐπὶ σέ. Εὐλογητὸς εἶ, Κύριε. δίδαξόν με τὰ δικαιώματά σου (ἐκ γ'). Κύριε, καταφυγὴ ἐγενήθης ἡμῖν, ἐν γενεᾷ καὶ γενεᾷ, Ἐγὼ εἶπα· Κύριε, ἐλέησόν με, ἴασαι τὴν ψυχήν μου, ὅτι ἥμαρτόν σοι. Κύριε, πρὸς σὲ κατέφυγον, δίδαξόν με τοῦ ποιεῖν τὸ θέλημά σου, ὅτι σὺ εἶ ὁ Θεός μου. Ὅτι παρὰ σοὶ πηγὴ ζωῆς, ἐν τῷ φωτί σου ὀψόμεθα φῶς. Παράτεινον τὸ ἔλεός σου τοῖς γινώσκουσί σε. Ἅγιος ὁ Θεός, Ἅγιος Ἰσχυρός, Ἅγιος Ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς (ἐκ γ'). Δόξα... Καὶ νῦν... Ἅγιος Ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς.
Ogni notte ti benedirò e inneggerò il tuo nome in eterno, e nei secoli dei secoli. Degnati, o Signore, in questo giorno, di custodirci senza peccato. Benedetto sei, o Signore, o Dio dei Padri nostri, e lodato e glorificato è il tuo nome nei secoli. Amen. Scenda, o Signore, la tua misericordia su di noi, siccome in te abbiamo sperato. Benedetto sei, o Signore, insegnami la tua giustizia (3 volte). Signore, sei divenuto per noi un rifugio in ogni generazione. Io ho detto: Signore, abbi misericordia di me, sana l'anima mia, perché contro di te ho peccato. Signore, presso di te mi son rifugiato, insegnami a fare la tua volontà, giacché tu sei il mio Dio, giacché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce. Stendi la tua misericordia su di quelli che ti conoscono. Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, misericordia di noi! (3 volte) Gloria al Padre ... E ora e sempre ... Santo Immortale, misericordia di noi!

Dicevamo, però, che nel rito latino esso è stato lentamente abbandonato nell'ufficio mattutino, sostituito dall'omologo Inno Ambrosiano (Te Deum). Fu S. Telesforo  invece (metà del II secolo), secondo quanto riporta il Liber Pontificalis, a ordinare che fosse recitato durante la Messa della notte di Natale, volendo riprodurre il canto degli Angeli proprio nell'occasione in cui essi l'avevano intonato; nel 514 Papa Simmaco estese la sua recita a tutte le Messe domenicali e alle feste dei Martiri, ma riservandolo ai vescovi. Solo a partire dalla fine del XI secolo invalse l'uso di cantarlo in tutte le feste di qualsiasi grado, e tale uso fu esteso anche ai semplici sacerdoti: in questo stesso periodo, per influenza romana, anche gli altri maggiori riti occidentali introducono l'Inno Angelico nella propria Liturgia Eucaristica.
Ad oggi è recitato in tutte le feste dei Santi e in tutte le feste despotiche, domeniche comprese, tranne però quelle che cadono in Avvento, Quaresima e Settuagesima (ancorché quest'ultima esenzione sia più tardiva rispetto alle altre due), a cagione del loro carattere penitenziale a cui mal s'addice un canto sì gioioso. Omettesi inoltre anche alle luttuose Messe dei defunti, nonché alle ferie e ai giorni liturgici di rango minore fuori dal Tempo Pasquale, in modo da sottolineare la minor solennità di questi uffici.

La Chiesa con queste parole e con sublime affetto rende grazie per la stessa gloria di Dio, tanto interna quanto esterna, cioè per l’interna eccellenza o infinite perfezioni di Dio, quanto per l’esterna manifestazione di questa gloria interna con le opere ad extra. Primariamente infatti, l’interna gloria di Dio o la sua infinita bontà, con contemplazione e perfetto amore è fonte di santo e ineffabile gaudio per le anime che amano Dio; così l’infinita bontà di Dio è anche il bene di loro stesse. Scrive S. Bonaventura: “Non dubito, anzi sono certo, che gli Angeli e le anime sante godono più per la magnificenza del tuo onore che per la magnificenza della loro gloria”.
In tale Inno, secondo il meraviglioso commentario dei monaci di Solesmes, s'inizia lodando Dio genericamente, senza distinzione tra le sue tre Persone, secondo quanto fanno gli angeli nei loro cori celesti (dossologia angelica o protocollo): nel pronunciare questa lode iniziale si china il capo tre volte, ossia quando si pronunzia il nome di Dio, per rispetto, poi quando si dice di adorarlo, imitando il gesto della prostrazione (il testo greco infatti dice προσκυνοῦμεν), e quando gli si rende grazie per la sua gloria, come gesto che accompagni l'umile nostro ringraziamento per tutto il bene che ci ha procurato a partire dalla sua gloriosa Incarnazione.
Indi, la Santa Chiesa inizia a lodare singolarmente le Tre Persone, partendo dal Padre, che è principio delle altre due, il Re dei Cieli, il Creatore, l'Onnipotente. Segue la lode al Figlio di Dio Incarnato, che appella con tutti i titoli che meglio convengono alla sua grande economia, traendo la Chiesa gran gioia nel pronunziare le magnificazioni del suo Sposo celeste.
Lo ricorda anche col titolo con cui lo appellò dapprima S. Giovanni il Battista e che ricorda l'amorevole sacrificio di Nostro Signore, ossia di "Agnello di Dio che porta i peccati del mondo", supplicandolo di aver di noi pietà e di accogliere la nostra supplica (anche qui si china il capo, imitando il gesto del supplice). Alla Crocifissione di Nostro Signore segue però la Risurrezione e la festosa Ascensione, e pertanto nuovamente viene invocato come Colui che siede alla destra di Dio Padre, ove sta il trono regale su cui s'è assiso il quarantesimo giorno dopo la Pasqua.
Infine, l'Inno si slancia verso Cristo stesso con un climax di lode della sua grandezza e della sua divinità: poiché, come ricorda anche S. Tommaso, “non diciamo in modo assoluto che solo il Figlio sia l’Altissimo (cfr. Ephesios I,20), ma che sia l’Altissimo col Santo Spirito nella gloria di Dio Padre”, ivi si menziona anche lo Spirito Santo, dando così il dovuto onore a tutte e tre le Persone della SS. Trinità, che sono nella stessa gloria: essendo proprio un inno trinitario, alla fine di esso si fa il segno della Croce.

Nelle Messe solenni o cantate, dopo che il Sacerdote ha intonato l'inno lo prosegue sottovoce con tutti i chierici presenti nel Santuario, mentre il coro lo canta; quando i ministri l'hanno terminato, attendono seduti ai propri scranni che anche la schola abbia terminato l'Inno. Le principali preghiere della Messa (Gloria, Credo, Agnus) possiedono infatti una doppia recita contemporanea: quella dei Sacri Ministri è fatta privatamente poiché è distintiva del ruolo che stanno svolgendo, ed è portata direttamente davanti a Dio, trovandosi essi nel suo Santuario.

Glória in excélsis Deo (caput inclinat)
et in terra pax homínibus bonæ voluntátis.
Laudámus te. Benedícimus te.
(caput inclinat) Adorámus te.  Glorificámus te.
(caput inclinat) Grátias ágimus tibi
propter magnam glóriam tuam.
Dómine Deus, Rex cœléstis,
Deus Pater omnípotens.
Dómine, Fili unigénite
(caput inclinat) Jesu Christe.
Dómine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
Qui tollis peccáta mundi,
miserére nobis.
Qui tollis peccáta mundi,
(caput inclinat) súscipe deprecatiónem nostram.
Qui sedes ad déxteram Patris,
miserére nobis.
Quóniam tu solus Sanctus.
Tu solus Dóminus.
Tu solus Altíssimus,
(caput inclinat) Jesu Christe.
Cum Sancto Spiritu + (signat seipsum) in glória Dei Patris.
Amen.
Gloria a Dio nel più alto dei cieli (china il capo)
e pace in terra tra gli uomini di buona volontà.
Ti lodiamo. Ti benediciamo.
(china il capo) T’adoriamo. Ti glorifichiamo.
(china il capo) Grazie ti rendiamo
a cagion della tua grande gloria.
Signore Iddio, Re celeste,
Dio Padre onnipotente.
Signore, Figlio unigenito
(china il capo) Gesù Cristo.
Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre,
Tu che porti su di te i peccati del mondo,
misericordia di noi.
Tu che porti su di te i peccati del mondo,
(china il capo) accetta la nostra preghiera.
Tu che siedi alla destra del Padre,
misericordia di noi.
Giacché tu solo sei Santo,
tu solo sei il Signore.
Tu solo sei Altissimo,
(china il capo) o Gesù Cristo.
Col Santo Spirito + (si segna) nella gloria di Dio Padre.
Amen.

XVI. Del saluto



Il Sacerdote a questo punto bacia l'altare, salutando e ricevendo il saluto da Cristo stesso ivi rappresentato, e trasmettendolo poi con la già vista formula "Dominus vobiscum" ai fedeli. Per farlo, si volge verso il popolo e allarga le braccia, riempiendo della gioia del bacio divino il cuore degli uomini peccatori, come Gesù stesso, voltosi a Pietro, lo riempì di grazia e lo convertì, dopo ch'egli l'aveva tradito; questo saluto è riservato al Sacerdote e al Diacono, poiché esso rappresenta misticamente una mediazione tra il saluto di Dio e i fedeli che lo devono accogliere.

Qualche riga di meditazione sulla misticità di questo semplice e troppo spesso trascurato gesto liturgico ci è offerta da p. Giuseppe M. Petrazzi S.J. (pubblicato nel 1933):
Quante anime hanno bisogno del tuo bacio, o Gesù. Quante anime purtroppo non possiedono la dolcezza della pace che solo il tuo Spirito può dare. Deh, concedimi la grande grazia che io possa comunicare il tuo bacio! Ma ciò non sarà possibile se io prima non avrò baciato Te, o Signore, unendomi intimamente all’Altare che ti rappresenta, all’Altare del tuo Sacrificio. Dunque perché io possa consolare davvero le anime, perché possa recar loro non già quelle consolazioni effimere che lasciano il cuore più desolato, ma il tuo bacio, solo il tuo bacio, o Gesù, è necessario che io mi unisca sempre più a Te nel tuo Sacrificio. Intendo, dunque, in ogni sacrificio che Tu mi chiederai, di vedere non solo un invito a dare a Te quell’unico bacio che Tu gradisci, ma insieme un invito a darlo a tante anime care, anime che da me aspettano sollievo e conforto. Deh, non permettere che io mi illuda di poter recar loro il medesimo conforto per altra via: quel conforto non potrebbe essere che un misero inganno. Devo sforzarmi di rendere lieta la vita di coloro che trattano con me: vorrei apparire come un perpetuo sorriso di pace, per questo è necessario che io vinca ogni egoismo. E’ necessario che a me riserbi le spine per comunicar loro le rose del vero amore, le fragranze celesti del tuo bacio, o Gesù! Ma solo lo spirito di fede con cui le anime appaiono alla tua luce divina, rende possibile questa santa amabilità. Con lo spirito di fede le anime, anche più antipatiche e ripugnanti, mi appaiono rivestite della tua bellezza, mi appaiono degne del tuo bacio, o Gesù. Sì, perché anche fossero peccatrici, lo spirito di fede me le mostra sempre come qualche cosa di sacro, qualche cosa di divino, appunto perché sopra di esse si deve effondere lo spirito soavissimo della tua misericordia. Deh, dammi grazia che io ne possa essere ministro!

Il Vescovo, salutando i fedeli, dice "Pax vobis", secondo un uso più antico (II secolo) attestato nei riti orientali anche per i semplici sacerdoti (Εἰρήνη πᾶσι). Molti degli usi più antichi della Chiesa, un tempo osservati da tutti i religiosi, sono poi stati per praticità sostituiti da altri più semplici, ma sono stati mantenuti dagli alti prelati (exempli gratia, l'indossare il manipolo al momento di salire all'altare).

XVII. Dell'Orazione maggiore o Colletta


Invitati i fedeli a pregare coll'"Oremus", il Sacerdote pronuncia l'Orazione maggiore, tratta dal proprio del giorno, così detta poiché è la più importante non solo della Messa, ma anche di tutta la liturgia romana (la si usa come orazione conclusiva delle Laudi, del Vespro, delle Ore minori tranne Prima e del Mattutino se è officiato da solo), tanto che negli usi monastici i confratelli stanno profondamente inchinati o volti all'altare per rispetto a questa preghiera (al di fuori dei monasteri, ciò si fa solo in Quaresima, ma è sempre prescritto dal Messale di inchinarsi leggermente al nome di Maria o del Santo del giorno e profondamente al nome di Gesù durante la conclusione trinitaria).
Il suo altro nome, Colletta, viene dal verbo colligere, ossia "raccogliere", ed è l'equivalente del greco σύναξις: i più interpretano tale nome nel senso che quest'orazione raccoglie tutte le intenzioni dei fedeli e del clero in una sola preghiera (Innocenzo III disse che in tale orazione il Sacerdote, che funge da legazione a Dio per il popolo, raccoglie e racchiude in essa le petizioni di tutti); storicamente, era il nome dato all'Orazione solennemente pronunciata nella Chiesa in cui si riunivano i fedeli romani per poi recarsi processionalmente alla Basilica Stazionale. Essa è probabilmente quanto rimane dell'antica Παννυχίς (veglia di tutta la notte) che veniva celebrata prima della Processione, e la sua introduzione risale alla riforma di Celestino I (V secolo), quando oramai la Veglia era scomparsa e pure l'uso della processione era decaduto (la litania infatti era diventato il Kyrie eleison della Messa), e la Colletta era designata con termini quali Oratio super populum o Benedictio, segno della perdita del suo senso originario.

Gran parte delle Collette ha origine molto antica, poiché il loro testo è inscritto già nei Sacramentari Leoniano, Gelasiano e Gregoriano: in essi sono indicate come "Collette" anche le orazioni che si facevano tra le lezioni, scomparse dalla Messa Romana forse fin dal V secolo, se non in alcuni giorni particolari come le Quattro Tempora.
Benché Tertulliano sostenga che si pregasse sine monitore, lo Schuster, comparando con l'uso orientale in cui ogni gesto liturgico e preceduto da un invito del diacono, ritiene che fosse prassi comune che il popolo fosse invitato a prostrarsi o inginocchiarsi durante la preghiera da un annunzio del diacono, Flectamus genua o Humiliate capita vestra Deo (anche questi sono rimasti solo in alcune orazioni della Quaresima).

La Colletta consta generalmente di quattro parti, in ordine variabile e più o meno esplicite, che corrispondono alle quattro esortazioni che fa S. Paolo in I Timotheus II, 1: obsecrationes, orationes, postulationes, gratiarum actiones.
  • L'oratio ha il compito di elevare la mente dell'orante a Dio: trattasi del vocativo iniziale con cui ci si rivolge al Signore (e.g., Domine Deus, Omnipotens et misericors Deus)
  • La gratiarum actio è resa a Dio per qualche beneficio ricevuto, per la sua gloria particolarmente espressa nella festa ricorrente, o per la grazia ottenuta dai Santi o per le loro intercessioni: generalmente è una relativa che segue il vocativo iniziale o il nome del Santo del giorno (e.g., qui corda fidelium tuorum Sancto Spiritu...)
  • La postulatio, ossia la richiesta vera e propria, di grazie materiali e spirituali, della liberazione dal male, di intercessioni o altro, la quale è introdotta generalmente da verbi quali praesta o concede e accompagnata dalla forma di cortesia quaesumus.
  • L'obsecratio o preghiera è l'invocazione finale, in cui tutte le parti precedente vengono consacrate a Iddio per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, come egli aveva detto: "Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome ve la concederà". Questa formula fissa è detta conclusione trinitaria, e ha tre possibili varianti a seconda che la Colletta sia rivolta a Dio Padre (Per Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum), al Figlio Unigenito (Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum), o al Padre menzionando il Figlio verso la fine (Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum). Se poi il Figlio o il Santo Spirito fossero stati menzionati all'inizio, nella conclusione si premette al loro nome il pronome idem opportunamente coniugato. L'obsecratio, oltre che avvenire per mezzo di Gesù, è anche diretta all'intera Trinità, giacché essendo connaturate tra loro le Tre Persone sarebbe illogico pregarne una sola.
Nel pronunciare la Colletta il celebrante sta a braccia allargate, praticando in tal modo l'antico modo di pregare dei primi cristiani (posa degli orantes). Come Nostro Signore ha pregato sulla croce con le braccia stese, così i primi cristiani si rivolgevano a Dio allargando le braccia. In alcune tradizioni orientali si conserva ancora questo uso per tutti i fedeli. In Occidente solo il sacerdote prega in questo modo, perché egli rappresenta in sé Nostro Signore, il quale, confitto sulla croce, offre al Padre una preghiera di straordinaria efficacia.
Con la Colletta si entra nel vivo della Liturgia dei Catecumeni, e ha inizio la Pars Didactica vera e propria, ossia l'insegnamento della dottrina ai fedeli mediante la lettura della Sacra Scrittura.

Prossima pubblicazione (prima metà di giugno): La Santa Messa - VI - La Pars Didactica

Fonti principali:

  • d. Prosper Gueranger, Spiegazione della S. Messa
  • mons. I. Schuster, Liber Sacramentorum

domenica 28 maggio 2017

Dominica infra Octavam Ascensionis




Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúia: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúia, allelúia.
Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. 
Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen
Exáudi, Dómine, vocem meam ...
(Antiphona ad Introitum)

L'Ottava dell'Ascensione, documentata sin dall'VIII secolo, considerata da maggiore da Radulfo di Rivo (XI secolo) e confermata come "privilegiata da Pio X, fu formalmente soppressa con l'aggiornamento del Messale voluto da Giovanni XXIII: in realtà, si tratta di un'abolizione semplicemente formale, giacché le officiature della settimana tra l'Ascensione e la Pentecoste mantengono un forte carattere ottavario, ancorché non si chiamino più così.
Questa domenica, che cade inframmezzo all'antica Ottava, nella Roma medievale era chiamata Dominica rosarum, perché vigeva l'uso di spargere rose sul pavimento delle Basiliche (e in particolare di quella di S. Maria ad Martyres, l'antico Pantheon, ove si celebrava la Messa Stazionale), quale omaggio a Cristo che si era innalzato al cielo nella stagione dei fiori. Si godeva allora in tutte le armonie del creato. La festa dell'Ascensione, già così ridente e piena di giubilo, quando si considera sotto il suo principale aspetto, ossia il trionfo del Redentore, veniva ad abbellire le giornate radiose della primavera. Secondo altri commentatori, le rose si gettavano in figura ejusdem Spiritus Sancti.
Tra i temi principali della Messa del giorno vi è l'esaltazione della natura umana di Gesù Cristo definitivamente giunto al cielo e ivi incoronato sovrano d'ogni cosa: Egli, Re dei Re e delle Nazioni, regge il mondo dal suo trono nei cieli alla destra del Padre, e nel giorno prescritto verrà gloriosamente a fare il giudizio su tutta la terra, a separare le pecore dai capri nel suo tremendo tribunale, e a donare alle prime la gioia della vita sempiterna.



Nell'introito si esprime lo sgomento degli Apostoli, che non vedono più il volto del Signore dopo la sua Ascensione, e lo ricercano con zelo, ai quali il Signore aveva però detto: Non turbetur cor vestrum: ego vado ad Patrem; infatti, come dice S. Agostino nel suo II sermone sull'Ascensione, in questa festa anche noi siamo elevati insieme a Gesù, i nostri cuori si uniscono al suo nei cieli, e la sua glorificazione è la gloria nostra.

Nell'epistola da S. Pietro, l'apostolo, dopo l'esortazione alla preghiera dovuta alla particolare situazione in cui scrive la lettera, c'invita a donare agli altri nella carità il nostro operato, a mettere i talenti che Dio ci ha donati al servizio del prossimo, nonché ad agire sempre secondo la virtù comunicata da Dio Padre attraverso il suo Santo Spirito. Questo binomio indissolubile, carità e prudenza, dev'essere sempre presente nell'uomo perché le sue opere possano portar frutto davanti a Dio e produrre una qualche giustificazione. Il servizio di cui parla S. Pietro può identificarsi non solo con il sacerdozio o la vocazione sacra, la quale è per eccellenza la dedicazione al prossimo di tutte l'opere compiute secondo la virtù divina, ma anche a qualsiasi lavoro, professionale o di servizio, svolto da chiunque. Ed ecco che, per quanto piccolo, il chierichetto che serve all'altare, il sagrestano, le pie donne che lavano i lini sacri o addobbano la chiesa, compiono un lavoro al servizio di Dio e della comunità dei Cristiani: partendo da questi piccoli incarichi fatti con spirito di sacrifizio e gratuità, molte anime sono poi giunte al più augusto ministero, al servizio perpetuo di Dio e dei Cristiani.

Allelúia, allelúia
Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúia.
Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúia.

(Piccolo e Grande Alleluia)


Il Vangelo di oggi è una breve pericope dai capitoli XV e XVI che tratta della missione del Paraclito su questa terra, attraverso le parole pronunciate da Gesù poco prima della sua Passione, ossia render testimonianza alla giustizia di Gesù di fronte a quel mondo che l'avrebbe condannato a morte. Dello stesso compito, per virtù medesima dello Spirito, sono incaricati gli Apostoli, che daran prova della loro fedeltà a tale ministero tanto con l'ardente predicazione, quanto con la pia sopportazione di tormenti e martirii. Gesù Cristo stesso, poi, prevede che essi saranno scacciati dalle sinagoghe e espulsi dalla comunione giudaica: S. Giovanni Battista de La Salle sostiene che "È questo il modo con cui la gente di mondo, oggi ancora, considera chi è consacrato a Dio, soprattutto chi ha abbandonato il mondo; egli è vessato, ingiuriato, oltraggiato e maltrattato come fosse un malfattore, appunto perché non appartiene al mondo (Gv XV,19) come afferma anche Nostro Signore." Il motivo per cui il mondo maltratterà e oltraggerà sempre i discepoli di Gesù Cristo è - come afferma egli stesso - "che questo mondo non ha conosciuto né me né il Padre che mi ha mandato"Infatti i partigiani del mondo si affezionano ordinariamente ai propri simili, a quelli cioè che si dilettano solo di ciò che lusinga i sensi e hanno solo una conoscenza molto imperfetta di Dio, e come tale lo odiano e lo perseguitano, chiudendosi alla sua grazia misericordiosa che potrebbe liberarli dalla loro sordida veste di peccato e farli rinascere nel Regno Celeste.
Per quanto riguarda la necessità nella vita umana del Paraclito, che discenderà sugli Apostoli e su di noi per estensione nella prossima festa di Pentecoste, dobbiamo ricorrere all'Epstola di S. Giovanni (capp. I-II) che si è letta al Mattutino, nel quale l'Evangelista ribadisce chiaramente che per essere uniti alla luce di Gesù Cristo è d'obbligo abbandonare le opere delle tenebre e vivere nella luce dei perfetti mandati di Dio: qui dicit se in ipso manere, debet, sicut ille ambulavit, et ipse ambulare (I Johannes II,6). Ma come può l'uomo, con la sua natura di peccatore irrimediabilmente macchiata a motivo della colpa del primo progenitore, essere in grado di seguire l'esempio di Gesù in tutto e per tutto, se non per grazia dello Spirito Santo? Attendiamo dunque con fede ai sette sacri doni che lo Spirito di Verità, il dito del Salvatore, il Paraclito Consolatore, ci ha portati nell'unzione col Santo Crisma il giorno della nostra Cresima e rinnova in noi quotidianamente, e specialmente nel venturo tempo di Pentecoste, poiché solo grazie alla divina sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio l'uomo potrà serbare i mandati del Signore, camminare nella verità, e potersi dire veramente discepolo di Gesù.

Seppur con letture leggermente diverse (l'Apostolo si trae dagli Atti, ed è uno dei discorsi conclusivi di S. Paolo, mentre il Vangelo è la pericope immediatamente precedente a quella della Messa Romana, in cui Gesù ammonisce i discepoli di non essere del mondo), sullo stesso antico modello si è sviluppata la liturgia greca, accompagnando a queste letture ricche di significato sulla missione dei Cristiani in questo mondo, sulla predicazione di Dio come scopo di vita e sulla doverosa resistenza alle diaboliche tentazioni e alle lusinghe del secolo, ad antifone, tropari, apolytikia ed isodikòn propri della festa dell'Ascensione (carattere ottavario). In tale domenica si fa una commemorazione speciale e privilegiata dei Santi Padri del I Concilio Ecumenico, ossia quello di Nicea, eroi della fede che ci hanno indicato la strada su cui proseguire nell'ortodossia del culto a Nostro Signore Domineiddio, e ai quali si inneggia in questo giorno di gioia, non solo per una semplice ricorrenza storica, ma anche come profondo legame tra la glorificazione celeste di Gesù e quella terrena che noi compiamo nella fede insegnataci dai Padri.

Ὑπερδεδοξασμένος εἶ, Χριστὲ ὁ Θεός ἡμῶν, ὁ φωστῆρας ἐπὶ γῆς τοὺς Πατέρας ἡμῶν θεμελιώσας καὶ δι' αὐτῶν πρὸς τὴν ἀληθινὴν πίστιν πάντας ἡμᾶς ὁδηγήσας· πολυεύσπλαγχνε, δόξα σοι!
Quanto più glorificato sei, Cristo Dio nostro, che quali stelle stabilisti sulla terra i nostri Santi Padri, e per mezzo loro guidasti noi tutti alla vera fede: o Dio ricco di misericordia, gloria a te!

giovedì 25 maggio 2017

In Ascensione Domini Nostri Jesu Christi

L'Ascensione nei mosaici del Duomo di Monreale (XII secolo)
Si celebra oggi, esattamente 40 giorni dopo la Pasqua di Nostro Signore, la gloriosa festa della sua Ascensione (in greco Ἀνάληψις), con la quale egli chiude il periodo di tempo trascorso sulla Terra in compagnia dei discepoli, e si ricongiunge completamente al Padre suo celeste, completando l’opera della nostra Redenzione (per questo motivo i Greci chiamano talvolta ἐπισῳζομένη, “salvezza”, tale festa). Gesù Cristo, ascendendo al cielo e venendo accolto dalle schiere angeliche e dal coro dei patriarchi che ha liberato dal limbo poche settimane prima, raggiungendo i beati, cui spetta la felice contemplazione fisica di Nostro Signore, non abbandona tuttavia i suoi se non fisicamente, restando sempre però spiritualmente vicino alla sua Chiesa, come aveva detto “ove due o tre son radunati nel nome mio, io sarò con loro”. Allo stesso modo, oggi celebriamo con una nota di melanconia la dipartita al cielo di Nostro Signore, ma continuiamo a cantare Alleluia, perché sapendo che Egli è risorto e ci ha provata la comune risurrezione non possiamo che esser lieti ed inneggiarlo, contemplandolo spiritualmente nella Santa Liturgia.

La narrazione evangelica e degli Atti di S. Luca commentata dal Gueranger

Tratto da: dom Prosper Gueranger O.S.B., “L'Année liturgique”, Ascensione di NSGC

L'Ascensione di Giotto (1267-1337)
Tutto ad un tratto Gesù appare in mezzo al Cenacolo. Trasalisce il cuore di Maria; i discepoli e le pie donne adorano con emozione colui che si mostra quaggiù per l'ultima volta. Gesù si degna prendere posto a tavola con loro; accondiscende a dividere ancora una volta il pasto, non più con lo scopo di renderli sicuri della sua Risurrezione - sa che non ne dubitano, ormai - ma tiene a dar loro questo segno affettuoso della sua divina familiarità, nel momento di andare ad assidersi alla destra del Padre. Quale pasto ineffabile è questo in cui Maria gusta per l'ultima volta sulla terra l'incanto di essere seduta vicino al Figliolo; in cui la santa Chiesa, rappresentata dai discepoli e dalle pie donne, è ancora visibilmente presieduta dal suo Capo e suo Sposo!
Chi potrebbe esprimere il rispetto, il raccoglimento, l'attenzione dei convitati; riprodurre gli sguardi posati con affetto così intenso sul Maestro tanto amato? Essi aspirano ad ascoltare ancora una volta la sua parola; parola tanto cara in questo momento della separazione! Finalmente Gesù schiude le sue labbra; ma il suo accento è più grave che tenero. Comincia col ricordare loro l'incredulità con la quale accolsero la notizia della sua Risurrezione (Mc 16,14). Al momento di affidare la missione più imponente che sia mai stata trasmessa agli uomini, egli vuole richiamarli all'umiltà. Tra pochi giorni dovranno essere gli oracoli del mondo, e il mondo dovrà credere la loro parola, credere ciò che non ha visto, ma quello che essi soli hanno veduto. È la fede che mette gli uomini in comunicazione con Dio; e questa fede essi stessi, in principio, non l'ebbero: Gesù vuole ricevere un'ultima riparazione di quella incredulità passata, per fondare il loro apostolato sull'umiltà.
Prendendo poi quel tono di autorità che conviene a lui solo, disse loro: "Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crede e sarà battezzato si salverà; chi non crede sarà condannato" (Mc 16,15-16). Come compiranno essi questa missione di predicare il Vangelo nel mondo intero? Con quali mezzi riusciranno ad accreditare la loro parola? Gesù lo indica: "Or questi sono i miracoli che accompagneranno i credenti: nel nome mio scacceranno demoni; parleranno lingue nuove; prenderanno in mano serpenti, e se berranno qualche veleno mortifero non ne avranno danno; imporranno le mani agli ammalati e guariranno" (ivi 16,17-18)". Egli vuole che il miracolo sia il fondamento della sua Chiesa, come l'aveva scelto quale argomento della sua missione divina. La sospensione della legge della natura annunzia agli uomini che l'autore di questa stessa natura sta per pronunciarsi: ad essi, allora, il dovere di ascoltare e credere umilmente.
Ecco dunque questi uomini sconosciuti dal mondo, sprovvisti di ogni mezzo umano, eccoli investiti della missione di conquistar la terra e di farvi regnare Gesù Cristo. Il mondo ignora anche la loro esistenza; assiso sul trono, Tiberio, che vive nel terrore delle congiure, non suppone affatto tale spedizione di nuovo genere che si sta iniziando, dalla quale l'impero romano sarà conquistato. A questi guerrieri, occorre un'armatura ma di tempra divina, e Gesù annuncia che stanno per riceverla. "Voi però rimanete in città, finché siate dall'alto investiti di vigoria" (Lc 24,49). Ma quale sarà quest'armatura? Gesù lo spiegherà, ricordando la promessa del Padre, "la promessa che avete udito dalla mia bocca. Perché Giovanni battezzò nell'acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo di qui a non molti giorni" (At 1).
Ma l'ora della separazione è giunta. Gesù si alza, e tutti i presenti, al completo, si dispongono a seguire i suoi passi. Centoventi persone si trovano là riunite, insieme con la Madre del Trionfatore che il cielo reclamava. Il Cenacolo era situato sulla montagna di Sion, una delle due colline situate entro le mura di Gerusalemme; il corteo traversa una parte della città, dirigendosi verso la porta orientale che si apre sulla vallata di Giosafat. È l'ultima volta che Gesù percorre le strade della città reproba. Invisibile ormai agli occhi del popolo che l'ha rinnegato, avanza alla testa dei suoi, come un tempo la colonna luminosa che dirigeva i passi degli Israeliti. Quanto è bello ed imponente questo incedere di Maria, dei discepoli, e delle pie donne, al seguito di Gesù, che non dovrà più fermarsi che in cielo alla destra del Padre! La devozione nel medio evo lo ricordava con una processione solenne che precedeva la messa di questo grande giorno. Secoli felici, i cui cristiani amavano seguire tutte le orme del Redentore, e non si contentavano, come noi, di qualche vaga nozione che non può suscitare che una pietà altrettanto vaga!
L'Ascensione del Perugino (1448-1523)
Allora si meditava sui sentimenti che dovevano avere invaso il cuore di Maria durante questi ultimi istanti in cui godeva la presenza del suo figliolo. Ci si domandava se in questo cuore materno era superiore la tristezza di non vedere più Gesù, oppure la felicità di sapere che Egli entrava finalmente nella gloria che gli era dovuta. Nel pensiero di questi veri cristiani la risposta era immediata ed ora la rivolgeremo a noi stessi. Gesù aveva detto ai suoi discepoli: "Se mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre" (Gv 14,28). Ora, chi amò Gesù quanto Maria? Il cuore della Madre era dunque nell'allegrezza al momento di questo ineffabile addio. Ella non poteva pensare a se stessa, trattandosi del trionfo del suo Figliolo e del suo Dio! Dopo gli orrori del calvario, poteva essa aspirare ad altro che a veder glorificato finalmente colui che sapeva essere il sommo Signore di tutte le cose, colui che aveva visto, pochi giorni prima, rinnegato, bestemmiato, spirare in mezzo alle torture?
Il corteo ha attraversato la valle di Giosafat, ha passato il torrente Cedron, e si dirige verso il pendio del monte degli Ulivi. Quanti ricordi si affollano nella mente! Questo torrente, di cui il Messia nella sua umiliazione aveva bevuta l'acqua fangosa, oggi è divenuto per lui il cammino della gloria, secondo quanto aveva annunciato David (Sal 109,7). Si lascia a sinistra l'orto che fu testimone dell'Agonia, la grotta in cui il calice per l'espiazione del mondo fu presentato a Gesù e da lui accettato. Dopo aver superato una distanza che san Luca stima essere press'a poco quella che permettevano gli Ebrei di percorrere in giorno di sabato, si arriva nel territorio di Betania, il villaggio in cui Gesù chiedeva ospitalità a Lazzaro e alle sue sorelle. Da tale punto della montagna degli Ulivi si godeva la vista di Gerusalemme, che appariva magnifica col suo Tempio e i suoi palazzi. Questo spettacolo commuove i discepoli. La patria terrestre fa battere ancora il cuore di questi uomini; per un momento essi dimenticano la maledizione pronunciata sull'ingrata città di Davide, e sembrano non ricordarsi più che Gesù li ha fatti poco prima cittadini e conquistatori di tutto il mondo. Il sogno della grandezza umana di Gerusalemme li ha sedotti improvvisamente ed essi osano indirizzare questa domanda al Maestro: "Signore, lo ricostituirai il regno d'Israele?" Gesù risponde a questa richiesta indiscreta: "Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere". Queste parole non toglievano la speranza che Gerusalemme fosse un giorno riedificata dallo stesso Israele divenuto cristiano; ma la restaurazione della città di Davide non dovrà aver luogo che verso la fine dei tempi. Non era dunque conveniente che il Salvatore facesse conoscere allora questo segreto divino. La conversione del mondo pagano e la fondazione della Chiesa: ecco ciò che doveva adesso preoccupare i discepoli. Gesù li riporta subito alla missione che aveva loro affidato poco prima, esclamando: "Riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà sopra di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea, e nella Samaria, e sino all'estremità del mondo" (At 1,6-8).
Secondo una tradizione che rimonta ai primi secoli del cristianesimo, si era sull'ora del mezzogiorno, l'ora stessa in cui Gesù era stato alzato in croce. Ed ecco che, volgendo sugli astanti uno sguardo di tenerezza, che dovette arrestarsi su Maria con speciale compiacenza filiale, elevò le mani e li benedisse tutti. In quel momento i suoi piedi si staccarono dalla terra, e cominciò ad innalzarsi verso il cielo (Lc 24,51). I presenti lo seguivano con lo sguardo; ma presto egli entrò in una nube che lo nascose ai loro occhi (At 1,9).
L'Ascensione secondo i canoni iconografici
delle icone bizantine
I discepoli guardavano ancora il cielo, quando improvvisamente due Angeli bianco vestiti si presentarono dicendo: "Uomini di Galilea, che state a guardare il Cielo? Quel Gesù che, tolto a voi, è asceso al Cielo, verrà come l'avete visto andare in cielo" (At 1, 10-11). Ora il Signore è risalito al cielo, da dove un giorno ne ridiscenderà a giudicare: tutto il destino della Chiesa è compreso tra questi due termini. Noi viviamo dunque presentemente sotto il regime del Salvatore, poiché egli ci ha detto che "Dio non ha mandato il Figlio suo nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per opera di lui" (Gv 3,17). Ed è per questo fine misterioso che i discepoli hanno ricevuto poc'anzi la missione di andare per tutta la terra ed invitare gli uomini alla salvezza, mentre v'è ancora tempo.
Quale compito immenso Gesù ha loro affidato! e, nel momento in cui si tratta d'iniziarlo, egli li lascia! Soli, dovranno scendere dal monte degli Ulivi, dal quale egli è partito per il cielo! Eppure il loro cuore non è triste; hanno con sé Maria, e la generosità di questa Madre incomparabile, si comunica alle loro anime. Amano il Maestro: d'ora in avanti la felicità sarà quella di pensare che è entrato nel riposo. I discepoli tornarono a Gerusalemme, "pieni di gioia", ci dice san Luca (Lc 24,52), esprimendo con questa sola parola una delle caratteristiche della festa dell'Ascensione, improntata ad una dolce malinconia, ma nella quale si respira, allo stesso tempo e più che in qualunque altra, la gioia ed il trionfo. Durante la sua Ottava, cercheremo di penetrarne i misteri e di mostrarla in tutta la sua magnificenza; per oggi ci limiteremo a dire che questa solennità è il complemento di tutti i misteri del nostro Redentore, e che essa ha reso per sempre sacro il giovedì di ogni settimana, giorno già così degno di rispetto per l'istituzione della santa Eucarestia.


Storia della festività dell’Ascensione

L’Ascensione iniziò a esser celebrata molto presto, probabilmente già a partire dal III secolo, poiché Agostino ce ne parla come di una tradizione ben consolidata nella Chiesa, presumendone . Inizialmente, però, doveva esser celebrata il cinquantesimo giorno, unitamente alla Pentecoste, solennità introdotta non troppo tempo prima, perché la pellegrina Egeria nel suo Itinerarium racconta sì d’aver assistito a una solenne celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua, ma dal luogo che ci fornisce, ossia la Grotta di Betlemme, siamo più propensi a pensare si trattasse della Dedicazione della Basilica della Natività, o la festa dei SS. Innocenti, celebrati a metà maggio in territorio gerosolimitano; ella, peraltro, ci racconta che invece il giorno di Pentecoste si tengono tre uffici, tra cui uno sul Monte degli Ulivi, durante il quale si legge il brano evangelico dell’Ascensione. Questa teoria è confermata anzitutto da degli scritti di S. Eusebio, nel quale egli considera l’Ascensione come il termine del periodo pasquale, precisando che quest’ultimo dura esattamente sette settimane. Durante il Concilio di Elvira (primi anni del IV secolo) fu per l’appunto discusso in quale giorno si dovesse celebrare l’Ascensione: la logica conclusione fu che non andasse celebrata né il dì di Pasqua né quello di Pentecoste, ma, siccome è scritto negli Atti, il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione. Il primo libro liturgico pervenutoci che tratta la festa in tale data è il Lezionario Armeno del 417.

Edicola ottagonale sopravvissuta dell'antica
Basilica dell'Ascensione
All’ultimo decennio del IV secolo invece risale la Basilica dell’Ascensione (il nome originario è Ἐλεόνα βασιλικὴ), costruita in quel dipresso per volere della pia donna Poimenia (anche se, stando a S. Eusebio, alcuni la fanno risalire addirittura al 333 per desiderio di S. Elena e ordine di Costantino il Grande), la quale andò distrutta durante l’invasione dei Persiani di Cosroe II nel VII secolo, fu ricostruita in quello seguente, nuovamente distrutta e ricostruita dai Crociati, e infine distrutta definitivamente dai maomettani, sopravvivendone solo l’edicola ottagonale. Nel luogo, nonostante fosse stata poi edificata una moschea, i Cristiani continuano a venerare l’orma del piede destro di Gesù ivi impressa; esiste poi un monastero ortodosso sul Monte degli Ulivi.

Tra i riti antichi della chiesa gerosolimitana vi era, a mezzogiorno, la processione solenne diretta al Monte degli Ulivi (proseguita sino al Medioevo e diffusasi, con l’ovvia perdita del realismo del luogo, in alcune tradizioni occidentali), esattamente come avevano fatto Cristo e i discepoli. Si teneva anche una benedizione delle vivande, in particolare del pane e della frutta di stagione, a simboleggiare l’ultimo pasto fatto dal Salvatore nel cenacolo coi discepoli.

La Messa Romana

Viri Galilaei, quid admirámini aspiciéntes in coelum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
O uomini di Galilea, perché restate attoniti guardando il cielo? Alleluia: così come avete veduto il Signore che ascendeva in cielo, così egli verrà, alleluia, alleluia, alleluia.

Anticamente, anche a Roma si teneva una processione sul modello di quella di Gerusalemme: il Papa, celebrati gli Uffici Notturni e la Messa a S. Pietro, procedeva verso l’ora sesta in processione con i Cardinali fino alla Basilica del Laterano.
La Messa di oggi presenta dei testi veramente notevoli, uno tra tutti l’Antifona dell’Introito, sopra riportata, la quale possiede, a detta dello Schuster, una delle melodie più belle di tutto il repertorio gregoriano. Essa è anche la prima antifona dell’Ufficio Divino, nonché la lettura alla Benedizione finale dell’Ora Prima, che continueranno a leggersi fino al termine dell’Ottava dell’Ascensione (istituita nell’VIII secolo e in realtà soppressa formalmente da Papa Leone XIII, ma la lettura dei testi della festa fino al giorno della Pentecoste è rimasta). In tale Antifona, tratta dagli Atti degli Apostoli, oltre ad ammirare il mistero dell’Ascensione, ci viene ricordata anche la sua Seconda Venuta, la quale i Cristiani attendono bramosi.

La colletta è splendida. Il Maestro è asceso al cielo onde prepararci um posto. Egli è il nostro capo, e soltanto per una specie di violenza le sue mistiche membra sono costrette a peregrinare ancora quaggiù in terra. Non potendo subito ricongiungerci a Gesù in paradiso, dobbiamo però abitare in cielo almeno cogli afetti, coi pensieri, coi desideri ; di guisa che, esuli quaggiù col corpo, possiamo però dire con Paolo : conversano nostra in coelis est.” (I. Schuster, Liber Sacramentorum IV)

La lezione è tratta dagli Atti di S. Luca, ed è la narrazione dell’episodio dell’Ascensione, così come lo sarà anche il Vangelo (che è quello di S. Marco), per la quale si vedano i capi precedenti.
Il versetto del Piccolo Alleluia è dal salmo LXVI, Ascendit Deus in jubilatione et Dominus in voce tubae, il quale è stato visto come profezia dell’Ascensione stessa, e come tale è presente anche all’Antifona dell’Offertorio e come versicolo anche ai Vespri di tutta l’ottava.

Dopo il Vangelo, un accolito si reca all’ambone per compiere il rito dello spegnimento del cero pasquale (sarà acceso nuovamente solo la Vigilia di Pentecoste, per compiervi i riti della veglia), giacché esso simboleggia la presenza fisica di Nostro Signore Domineiddio su questa terra che si ha nel tempo Pasquale: oggi però egli fisicamente ci lascia e sale al Cielo, così come il fumo del suo lume spento ascende verso l’alto.

Oggi persino il Canone subisce delle piccole modificazioni per meglio esprimere il grande mistero celebrato, come ha fatto a Natale e a Pasqua: dopo il Prefazio, che già Papa Vigilio nel VI secolo cita scrivendo a Profuturo di Braga, in cui si ricorda come Gesù maniféstus appáruit et [...] est elevátus in coelum, ut nos divinitátis suæ tribúeret esse partícipes, il giorno gloriosoquo Dóminus noster, unigénitus Fílius tuus, unítam sibi fragilitátis nostræ substántiam in glóriæ tuæ déxtera collocávit è ricordato con speciale menzione prima dell’anamnesi dei Santi (Communicantes).

L'antifona per la Comunione deriva dal salmo LXVII : Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem. Il più alto dei cieli qui significa il trono stesso della divinità, che oggi l’ umanità santa di Gesù va ad occupare. Egli si eleva dalla parte d'Oriente, perché tutte le opere di Dio sono splendide, luminose. [...] Il Cristo muore su d'una collina alla presenza di tutto un popolo nel gran giorno della Parasceve gerosolimitana; Gesù risorge e si fa vedere, palpare, non solo dagli Apostoli, ma dalle pie donne, e persino da cinquecento persone adunate insieme. Oggi egli sale al cielo, ma su d'una collina,alla presenza d’almeno undici persone.” (I. Schuster, op.cit.)

Particolare è il rito che osservano le Carmelitane riformate di S. Teresa: giacché tradizione vuole che l’Ascensione sia avvenuta a mezzodì, esse ne fanno particolare memoria, sostando in lunga contemplazione quando sono riunite in coro per l’Ora Sesta, quasi ammirassero realmente il Salvatore ascendere al Cielo anzi ai loro occhi.



Tre momenti della liturgia dell'Ascensione celebrata a Venezia da p. Joseph Kramer FSSP


La Liturgia Bizantina

Aνέβη ὁ Θεὸς ἐν ἀλαλαγμῷ, Κύριος ἐν φωνῇ σάλπιγγος
Ascende Iddio tra il giubilo, il Signore tra suono di tromba


La liturgia orientale odierna segue pressoché lo schema di quella Romana, essendo entrambe derivate dalla più antica tradizione della Terra Santa, ossia una Divina Liturgia normale (essendo scomparsa la processione), con i propri commoventi tropari e versetti, i quali sono i medesimi della liturgia Romana (altro segno dell’origine comune; si veda ad esempio il Kinonikò sopra riportato): la differenza principale sta nella lettura evangelica, giacché si preferisce la versione di S. Luca, mentre la lezione dagli atti è identica.

martedì 23 maggio 2017

Le Litanie dei Santi

In occasione delle Rogazioni, proponiamo il testo delle Litanie dei Santi, accompagnate da un commento storico-teologico rielaborato in modo autografo a partire dalle informazioni contenute nel Liber Sacramentorum del beato Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano.




Anticamente, ogni diocesi e ogni monastero aveva le proprie litanie dei Santi, con i nomi dei loro patroni e dei loro beati, che venivano recitate al termine dell'Ufficio Mattutino e durante le processioni. Quello Romano, compostosi attorno al III secolo, inizialmente con gli stessi nomi dei Santi ricordati nel Canone Eucaristico, presto prevalse sugli altri, assumendo diffusione pressoché universale nel rito latino, con poche aggiunte esplicitamente concesse.
La preghiera inizia con delle invocazioni direttamente alla SS. Trinità, secondo l'uso delle antiche ektenie: i Kyrie eleison vengono ripetuti due volte, giusta le prescrizioni antecedenti a S. Gregorio, e non tre come alla Messa.

Kyrie, eleison.
Christe, eleison.
Kyrie, eleison.

Christe, audi nos.
Christe, exaudi nos.

Pater de caelis, Deus, miserere nobis.
Fili, Redemptor mundi, Deus,
Spiritus Sancte, Deus,
Sancta Trinitas, unus Deus,
Signore, abbi misericordia.
Cristo, abbi misericordia.
Signore, abbi misericordia.

Cristo, ascoltaci.
Cristo, esaudiscici

Padre del cielo, Dio, abbi pietà di noi.
Figlio, Redentore del mondo, Dio,
Spirito Santo, Dio,
Santa Trinità, unico Dio,

La prima ad essere onorata è ovviamente la beatissima e sempre vergine Genitrice di Dio, la quale è invocata ben tre volte con tre differenti titoli (che poi saranno i primi tre delle Litanie Lauretane): col nome di Maria, coll'attributo di Deipara e coll'attributo di Vergine, i quali sono i titoli spettanti alla Madre di Dio in tutte le preghiere antiche.
Seguono le preghiere ai Santi Angeli e Arcangeli: seppure i padri della Chiesa, tanto orientali quanto occidentali, ci tramandano i nomi di altri Arcangeli, tratti dalle tradizioni giudaiche, quali Uriele, Gemaliele etc., la Chiesa Romana ha sempre considerato soltanto i tre di cui parla la Scrittura.
Si aggiungono poi il precursore del Messia, il Battista, il padre putativo di Gesù, San Giuseppe, e genericamente i patriarchi e i profeti d'Israele

Sancta Maria, ora pro nobis.
Sancta Dei Genetrix,
Sancta Virgo virginum,

Sancte Michael,
Sancte Gabriel,
Sancte Raphael,
Omnes sancti Angeli et Archangeli,
Omnes sancti beatorum Spirituum ordines,

Sancte Ioannes Baptista,
Sancte Ioseph,
Omnes sancti Patriarchae et Prophetae
Santa Maria, prega per noi.
Santa Genitrice di Dio,
Santa Vergine tra le vergini,
                  
San Michele,
San Gabriele,
San Raffaele,
Santi Angeli ed Arcangeli tutti,
Sante schiere tutte degli spiriti beati,

San Giovanni Battista,
San Giuseppe,               
Santi Patriarchi e Profeti tutti
Seguono poi i dittici dei Santi Apostoli, nel medesimo ordine in cui sono invocati nel Canone Romano. Lo Schuster nota come Barnaba, per via del suo stretto legame con San Paolo, preceda i due Evangelisti non discepoli in tutti gli elenchi pervenutici.

Sancte Petre,
Sancte Paule,
Sancte Andrea,
Sancte Iacobe,
Sancte Ioannes,
Sancte Thoma,
Sancte Iacobe,
Sancte Philippe,
Sancte Bartolomaee,
Sancte Matthaee,
Sancte Simon,
Sancte Thaddaee,
Sancte Matthia,
Sancte Barnaba,
Sancte Luca,
Sancte Marce,
Omnes sancti Apostoli et Evangelistae,
Omnes sancti discipuli Domini,
San Pietro,
San Paolo,
Sant’Andrea,
San Giacomo,
San Giovanni,
San Tommaso,
San Giacomo,
San Filippo,
San Bartolomeo,
San Matteo,
San Simone,
San Giuda Taddeo,
San Mattia,
San Barnaba,
San Luca,
San Marco,
Santi Apostoli ed Evangelisti tutti,
Santi discepoli tutti del Signore,
Seguono poi i nomi dei Martiri di Cristo: dopo i Santi Innocenti e il protomartire Stefano, compaiono alcuni dei martiri più celebrati a Roma, tra cui Fabiano e Sebastiano. Più tardiva è probabilmente l'introduzione dei Santi Gervasio e Protasio, i cui corpi furono rinvenuti da S. Ambrogio a Milano.

Omnes sancti Innocentes,
Sancte Stephane,
Sancte Laurenti,
Sancte Vincenti,
Sancti Fabiane et Sebastiane,
Sancti Iohannes et Paule,
Sancti Cosma et Damiane,
Sancti Gervasi et Protasi,
Omnes sancti martyres,
Santi Innocenti tutti,
Santo Stefano,
San Lorenzo,
San Vincenzo,
Santi Fabiano e Sebastiano,
Santi Giovanni e Paolo,
Santi Cosma e Damiano,
Santi Gervasio e Protasio,
Santi Martiri tutti
Seguono poi i Santi Confessori, il cui culto è decisamente successivo a quello dei martiri. Essi, inizialmente visti come quelli che avevano patito esili, prigionie e tormenti ma non il martirio, sono generalmente coloro che hanno testimoniato con ardore la vera fede, senza però versare il proprio sangue per Cristo. I primi Santi non martiri a ricevere culto pubblico e memoria liturgica furono S. Silvestro Papa e S. Martino, ivi citati. Oggi, pur essendo i Confessori la grande maggioranza dei Santi della Chiesa, essi hanno solo un breve spazio nelle Litanie, perché a cagione della loro antichità sono mantenuti solo i primi Confessori: S. Gregorio Papa, S. Agostino d'Ippona, S. Ambrogio di Milano, e l'autore della Vulgata S. Girolamo. S. Nicola fu aggiunto nel Medioevo per via della grande devozione popolare sviluppatasi attorno al X secolo, ed è l'unico Santo Orientale (eccettuati ovviamente gli Apostoli) che ha il privilegio della memoria nelle litanie romane.

Sancte Sylvester,
Sancte Gregori,
Sancte Ambrosi,
Sancte Augustine,
Sancte Hieronyme,
Sancte Martine,
Sancte Nicolae,
Omnes sancti Pontifices et Confessores,
Omnes sancti Doctores,
San Silvestro,
San Gregorio,
Sant’Ambrogio,
Sant’Agostino,
San Girolamo,
San Martino,
San Nicola,
Santi Vescovi e Confessori tutti,
Santi Dottori tutti della Chiesa,
Una breve sezione, aggiunta nel tardo Medioevo, è riservata ai fondatori dei maggiori ordini religiosi della Chiesa Cattolica. Altri ordini religiosi, i cui fondatori ivi non son ricordati, ottennero privilegio di citare il proprio (i Certosini possono nominare S. Bruno, etc.). Infine, si fa una memoria collettiva di tutti i Santi che sono stati religiosi a qualche titolo.

Sancte Antoni,
Sancte Benedicte,
Sancte Bernarde,
Sancte Dominice,
Sancte Francisce,
Omnes sancti Sacerdotes et Levitae,
Omnes sancti Monachi et Eremitae,
Sant’Antonio,
San Benedetto,
San Bernardo,
San Domenico,
San Francesco,
Santi Sacerdoti e Diaconi tutti,
Santi Monaci ed Eremiti tutti,
Infine, secondo l'ordine né cronologico né logico delle litanie della Vigilia Pasquale nonché del Canone Romano, sono citate le Sante, e in particolare le Vergini Martiri, romane e non, dei primi secoli. La locuzione "Vedove" nell'invocazione generale alla fine fu introdotta per tutte quelle Sante che sono state canonizzate pur non morte vergini né subendo il martirio.

Sancta Maria Magdalena,
Sancta Agatha,
Sancta Lucia,
Sancta Agnes,
Sancta Caecilia,
Sancta Catharina,
Sancta Anastasia,
Omnes sanctae Virgines et Viduae
Santa Maria Maddalena,
Sant’Agata,
Santa Lucia,
Sant’Agnese,
Santa Cecilia,
Santa Caterina,
Sant’Anastasia,
Sante Vergini e Vedove tutte,
Dopo l'invocazione riassuntiva ai Santi e due brevi acclamazioni a Iddio, iniziano le suppliche di liberazione, nelle quali si chiede che il Signore buono e filantropo storni da noi ogni disgrazia umana, diabolica e naturale. Questa parte delle litanie è particolarmente importante nella processione delle Rogazioni, specie per le richieste inerenti al clima e alle calamità naturali, e si recita subito prima della benedizione dei campi. Lo Schuster precisa che per "morte sempiterna" s'intende la morte dell'impenitente, sicuramente destinato alla dannazione perpetua.

Omnes Sancti et Sanctae Dei, intercedite pro nobis.
Propitius esto, parce nos, Domine. 
Propitius esto, exaudi nos, Domine.

Ab omni malo, libera nos, Domine.
Ab omni peccato,
Ab ira tua,
A subitanea et improvisa morte,
Ab insidiis diaboli,
Ab ira et odio et omni mala voluntate,
A spiritu fornicationis,
A fulgure et tempestate,
A flagello terraemotus,
A peste, fame et bello,
A morte perpetua,
Santi e Sante tutti di Dio, intercedete per noi.
Sii indulgente, risparmiaci, o Signore. 
Sii indulgente, ascoltaci, o Signore.


Da ogni malvagità, liberaci, o Signore.
Da ogni peccato,
Dalla tua ira,
Dalla morte improvvisa e inaspettata,
Dalle insidie del demonio,
Dall’ira, dall’odio e da ogni desiderio cattivo,
Dallo spirito d’immondezza,
Dal fulmine e dalla tempesta,
Dal flagello del terremoto,
Dalla pestilenza, dalla carestia e dalla guerra,
Dalla morte sempiterna,
In seguito, si chiede ancora l'aiuto di Dio, invocandolo in virtù dei misteri della Redenzione, secondo l'ordine e l'elenco proposto dall'antica anamnesi Romana della Consacrazione.

Per mysterium sanctae Incarnationis tuae,
Per adventum tuum,
Per nativitatem tuam,
Per baptismum et sanctum ieiunium tuum,
Per crucem et passionem tuam,
Per mortem et sepulturam tuam,
Per sanctam resurrectionem tuam,
Per admirabilem ascensionem tuam,
Per adventum Spiritus Sancti Paracliti,
In die iudicii,
Per il mistero della tua santa Incarnazione,
Per il tuo Avvento,
Per il tuo Natale,
Per il tuo Battesimo e il tuo santo digiuno,
Per la tua Croce e la tua Passione,
Per la tua Morte e la tua Sepoltura,
Per la tua santa Risurrezione,
Per la tua mirabile Ascensione,
Per la discesa dello Spirito Santo Paraclito,
Nel giorno del giudizio,
Segue l'ektenia, secondo il modello che ancor oggi è contenuto nelle liturgie greche, e che tradisce l'origine antichissima di queste litanie; in queste orazioni si prega anzitutto per le nostre necessità, in secondo luogo per il Papa e per tutti gli Ordini Religiosi (intesi non già come congregazioni monastiche o conventuali, che non esistevano al tempo in cui fu scritta questa preghiera, ma bensì come vescovi, sacerdoti, monaci, diaconi e suddiaconi; si noti che in questo punto non si fa menzione del vescovo locale, a cagione del carattere prettamente romano di questa liturgia, per cui non occorreva nominare altri vescovi oltre al Papa), per l'umiliazione dei nemici di Dio (intesa come la loro conversione alla retta fede), per lα Santa Liturgia (chiamate col nome di servitium, calco del greco λειτουργία), etc.
Si conclude nuovamente colle invocazioni a Nostro Signore, comprese dell'Agnus Dei, e col Padre Nostro.

Peccatores, te rogamus, audi nos.
Ut nobis parcas,
Ut nobis indulgeas,
Ut ad veram paenitentiam nos perducere digneris,
Ut Ecclesiam tuam sanctam regere et conservare digneris,
Ut domum Apostolicum et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris,
Ut inimicos sanctae Ecclesiae humiliare digneris,
Ut regibus et principibus christianis pacem et veram concordiam donare digneris,
Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris,
Ut omnes errantes ad unitatem Ecclesiae revocare, et infideles universos ad Evangelii lumen perducere digneris,
Ut nosmetipsos in tuo sancto servitio confortare et conservare digneris,
Ut mentes nostras ad caelestia desideria erigas,
Ut omnibus benefactoribus nostris sempiterna bona retribuas,
Ut animas nostras, fratrum, propinquorum et benefactorum nostrorum ab aeterna damnatione eripias,
Ut fructus terrae dare et conservare digneris,
Ut omnibus fidelibus defunctis requiem aeternam donare digneris,
Ut nos exaudire digneris,
Fili Dei,


Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Christe, audi nos.
Christe, exaudi nos.
Kyrie, eleison.
Christe, eleison.
Kyrie, eleison.

Pater Noster …
Et ne nos inducas in tentationem.
Sed libera nos a malo.
Pur peccatori, ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu ci risparmi,
Perché tu ci perdoni,
Perché tu ti degni di condurci a vera penitenza,
Perché tu ti degni di preservare e governare la tua santa Chiesa,
Perché tu ti degni di preservare l’Apostolico Signore il Papa e tutti gli Ordini Religiosi nel santo zelo religioso,
Perché tu ti degni di umiliare tutti i nemici della Santa Chiesa,
Perché tu ti degni di far dono di pace e di vera concordia ai sovrani e ai principi cristiani,
Perché tu ti degni di donare pace ed unità a tutto il popolo cristiano,
Perché tu ti degni di ricondurre all’unità della Chiesa tutti gli erranti, e di portare tutti gli infedeli alla luce del Vangelo,
Perché tu ti degni di supportarci e preservarci nel tuo santo servizio liturgico,
Perché elevi le nostre menti ai desideri celesti,
Perché ricompensi coi beni eterni i nostri benefattori,
Perché salvi dalla dannazione eterna le anime nostre, dei nostri fratelli, parenti e dei nostri benefattori,
Perché tu ti degni di concedere e conservare i frutti della terra,
Perché tu ti degni di donare a tutti i fedeli defunti l’eterno riposo,
Perché tu ti degni d’esaudirci,
O Figlio di Dio,

Agnello di Dio, che porti su di te i peccati del mondo, risparmiaci, o Signore.
Agnello di Dio, che porti su di te i peccati del mondo, prestaci ascolto, o Signore.
Agnello di Dio, che porti su di te i peccati del mondo, abbi misericordia di noi.

Cristo, ascoltaci.
Cristo, esaudiscici
Signore, abbi misericordia.
Cristo, abbi misericordia.
Signore, abbi misericordia.

Padre Nostro …
E non c’indurre in tentazione.
Ma liberaci dal Maligno.

La recita del salmo LXIX in questo punto fu introduzione medievale, ma lo Schuster nota che il tono di questo salmo ben si adattava al clima nel quale la provvidenza volle che S. Mamerto istituisse per il bene del suo popolo le Rogazioni.
Deus, in adjutórium meum inténde: * Dómine ad adjuvándum me festína.
Confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam. * Avertántur retrórsum, et erubéscant, qui volunt mihi mala.
Avertántur statim erubescéntes, * qui dicunt mihi: Euge, euge.
Exsúltent et læténtur in te omnes qui quærunt te, * et dicant semper : Magnificétur Dóminus: qui díligunt salutáre tuum.
Ego vero egénus et pauper sum:* Deus ádjuva me.
Adjútor meus, et liberátor meus es tu: * Dómine, ne moréris.
 Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sæcula sæculórum. Amen
O Dio, vieni in moi aiuto: * Signore, affrettati ad aiutarmi.
Siano confusi e presi da timore quei che perseguitano l’anima mia. * Arretrino e arrossiscano quei che mi voglion male.
Arretrino subito, rossi in volto, * quei che mi dicono: Bene, bene.
Esultino e gioiscano in te tutti quei che ti cerano, * e sempre dicano: Sia esaltato il Signore, coloro che amano la tua salvezza.
Io invece son povero, e indigente: * Iddio, aiutami!.
Mio aiuto e mio liberatore sei tu: * O Signore, non tardare.
 Gloria al Padre, al Figliuolo e allo Spirito Santo.
Com’era nel principio e ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.
Seguono infine una serie di versetti d'invocazione, derivati dalle antiche litanie diaconali del rito romano, conservatesi sino al VII secolo almeno (mentre nei riti greci sopravvivono ancor oggi, in quelli latini restano solo nelle preci feriali dell'Ufficio Divino); particolarmente importante è la preghiera per gli assenti, raccomandata pure da S. Benedetto.

V. Salvos fac servos tuos.
R. Deus meus, sperantes in te.
V. Esto nobis, Domine, turris fortitudinis.
R. A facie inimici. .
V. Nihil proficiat inimicus in nobis.
R. Et filius iniquitatis non apponat nocere nobis.
V. Domine, non secundum peccata nostra facias nobis.
R. Neque secundum iniquitates nostras retribuas nobis.

V. Oremus pro Pontifice nostro N.
R. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius.

V. Oremus pro benefactoribus nostris.
R. Retribuere dignare, Domine, omnibus nobis bona facientibus propter nomen tuum, vitam aeternam. Amen.

V. Oremus pro fidelibus defunctis.
R. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.
V. Requiescant in pace.
R. Amen.
 
V. Pro fratribus nostris absentibus.
R. Salvos fac servos tuos, Deus meus, sperantes in te.
V. Mitte eis, Domine, auxilium de sancto.
R. Et de Sion tuere eos.
V. Domine, exaudi orationem meam.
R. Et clamor meus ad te veniat.
V. Dominus vobiscum.
R. Et cum spiritu tuo.
V. Salva i tuoi servi.
R. O Dio mio, quelli che in te sperano.
V. Sii per noi, o Signore, una torre di fortezza.
R. Contro il nemico.
V. Il nemico non prevalga per nulla su di noi.
R. E il figlio dell’iniquità non s’appresti a farci del male.
V. Signore, non renderci conto dei nostri peccati..
R. E non darci ricompensa secondo le nostre iniquità.

V. Preghiamo per il nostro Papa N.
R. Il Signore lo preservi, gli dia forza e lo renda beato su tutta la terra, e non lo faccia cadere nelle mani dei suoi nemici.

V. Preghiamo per i nostri benefattori.
R. Degnati, o Signore, di ricompensare con la vita eterna tutti quelli che ci fanno del bene a motivo del tuo nome. Amen.

V. Preghiamo per i fedeli defunti.
R. L’eterno riposo donagli, o Signore, e la luce perpetua gli risplenda.
V. Riposino nella pace.
R. Amen.
 
V. Per i nostri fratelli assenti.
R. Salva i tuoi servi, o Dio mio, che sperano in te.
V. Mandagli aiuto, o Signore, dal tuo santuario.
R. E da Sion proteggili.
V. Signore, ascolta la mia preghiera.
R. E il moi grido giunga a te.
V. Il Signore sia con voi.
R. E collo spirito tuo.
Infine, si riportano le Collette Sacerdotali di conclusione, con la nota necessaria che, pur parte del rito delle Litanie dei Santi quando esse sono celebrate singolarmente, esse si omettono alle Rogazioni, essendo supplite dalla Colletta della Messa.

Oremus:
Deus, cui proprium est misereri semper et parcere: suscipe deprecationem nostram; ut nos, et omnes famulos tuos, quos delictorum catena constringit, miseratio tuae pietatis clementer absolvat

Exaudi, quaesumus, Domine, supplicum preces, et confitentium tibi parce peccatis: ut pariter nobis indulgentiam tribuas benignus et pacem.

Ineffabilem nobis, Domine, misericordiam tuam clementer ostende: ut simul nos et a peccatis omnibus exuas, et a poenis quas pro his meremur, eripias.

Deus, qui culpa offenderis, paenitentia placaris: preces populi tui supplicantis propitius respice; et flagella tuae iracundiae, quae pro peccatis nostris meremur, averte.

Omnipotens sempiterne Deus, miserere famulo tuo Pontifici nostro N., et dirige eum secundum tuam clementiam in viam salutis aeternae: ut, te donante, tibi placita cupiat, et tota virtute perficiat.

Deus, a quo sancta desideria, recta consilia, et iusta sunt opera: da servis tuis illam, quam mundus dare non potest, pacem; ut et corda nostra mandatis tuis dedita, et, hostium sublata formidine, tempora sint tua protectione tranquilla.

Ure igne Sancti Spiritus renes nostros et cor nostrum, Domine: ut tibi casto corpore serviamus, et mundo corde placeamus.
   
Fidelium, Deus omnium Conditor et Redemptor, animabus famulorum famularumque tuarum remissionem cunctorum tribue peccatorum: ut indulgentiam, quam semper optaverunt, piis supplicationibus consequantur

Actiones nostras, quaesumus, Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere: ut cuncta oratio et operatio a te semper incipiat et per te coepta finiatur.
  
Omnipotens sempiterne Deus, qui vivorum dominaris simul et mortuorum, omniumque misereris, quos tuos fide et opere futuros esse praenoscis: te supplices exoramus;
ut pro quibus effundere preces decrevimus, quosque vel praesens saeculum adhuc in carne retinet vel futurum iam exutos corpore suscepit, intercedentibus omnibus Sanctis tuis, pietatis tuae clementia, omnium delictorum suorum veniam consequantur.
Per Dominum nostrum Iesum Christum.
 
V. Dominus vobiscum.
R. Et cum spiritu tuo.
V. Exaudiat nos omnipotens et misericors Dominus.
R. Amen.
V. Et fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace.
R. Amen.
Preghiamo:
O Dio, a cui si addice aver sempre misericordia e risparmiarci: accetta la nostra preghiera; acciocché noi e tutti i tuoi servi che son presi dai vincoli del peccato siamo assolti con clemenza dalla tua misericordia.

Ascolta, o Signore, te ne preghiamo, le preghiere dei supplici, e risparmia i peccati di chi ti loda; e donaci, benigno, pace e perdono.

O Signore, mostraci con clemenza la tua ineffabile misericordia, affinché tu ci mondi da tutti i nostri peccati e ci liberi dalle pene che a loro cagione abbiamo meritato.

O Dio, che sei offeso dalla colpa e placato dalla penitenza: guarda benigno alle preghiere del popolo che ti supplica, e storna da noi i flagelli della tua ira, che abbiamo meritato coi nostri peccati.
Dio onnipotente ed eterno, abbi misericordia del tuo servo, il nostro Pontefice N., e guidalo secondo la tua clemenza alla via dell’eterna salvezza, affinché, per tuo dono, desideri ciò che a te e gradito e sia perfetto nella virtù.

O Dio, da cui vengono i desideri santi, le idee buone e le opere oneste: dà ai tuoi servi quella pace che il mondo non è in grado di dare; affinché i nostri cuori sian dediti ai tuoi comandamenti, e, stornata la paura dei nemici, ogni tempo sia tranquillo per tua protezione.

Infiamma col fuoco del Santo Spirito le nostre viscere e il nostro cuore, o Signore, affinché ti serviamo con corpo casto, e ti siamo graditi con cuore puro.
O Dio di tutti Creatore e Redentore, concedi la remissione dei peccati alle anime dei tuoi servi e delle tue serve tutte, perché con le loro devote preghiere ottengono il perdono che sempre hanno sperato.

Signore, guida le nostre azioni col tuo spirito, te ne preghiamo, e falle proseguire col tuo aiuto: affinché ogni azione e preghiera abbia in te il suo inizio e, una volta iniziata, il suo fine.

Dio onnipotente ed eterno, che hai egualmente potere sui vivi e sui morti, abbi pietà di tutti coloro che sai che saranno tuoi per fede e per opera: te ne preghiamo supplici,
affinché coloro per cui abbiamo voluto innalzare orazioni, sia quelli che ancora il mondo presente trattiene nella carne, sia quelli che il mondo futuro ha già ricevuto, usciti dal corpo, per l’intercessione di tutti i tuoi Santi e per la tua clemenza, ottengano il perdono di tutti i loro peccati.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
V. Il Signore sia con voi.
R. E collo spirito tuo.
V. Ci esaudisca il Signore Onnipotente e misericordioso.
R. Amen.
V. E le anime dei fedeli, per la misericordia di Dio, riposino nella pace.
R. Amen.