mercoledì 29 settembre 2021

Digiuno e astinenza: un vademecum

Questo scritto non vuole essere la spiegazione del senso cristiano dell’astinenza e del digiuno, ma, più sinteticamente, costituire una guida, un vademecum, per i nostri lettori che volessero adeguarsi alla prassi occidentale tradizionale. Per compilare le regole seguenti, infatti, abbiamo pensato di tornare alla prassi più antica, risalente addirittura ai Padri della Chiesa per alcuni aspetti, eliminando quindi le concessioni e gli allargamenti che, soprattutto nel mondo latino, sono stati via via introdotti non tanto per le necessità della vita moderna ma per assecondare la pigrizia spirituale. Chiaramente, noi non siamo nessuno per poter dire cosa scegliere nella vita spirituale: vogliamo però fare una proposta, dove sia possibile fare esperienza della più autentica Tradizione anche in questa materia.

Tanto per cominciare, ribadiamo l’importanza di avere un padre spirituale con cui confrontarsi: sarà lui a concedere, se necessario, dispense o piccoli adattamenti della regola, agendo con acribia o economia.

Si ricorda inoltre che sono dispensati dal digiuno (e, in alcuni casi, dall’astinenza) coloro che svolgono lavori pesanti (e.g. muratori, minatori…), impieghi in cui è necessaria l’attenzione (e.g. chirurghi, studenti sotto esame, autisti di mezzi pubblici…) o persone malate e donne gravide.

Su tutto, deve prevalere il buon senso: non avrebbe alcun significato (se non di rispetto puramente formale della regola), per esempio, non mangiare neppure una fetta di carne in un giorno di astinenza ma gustare costose ostriche o satollarsi in un sushi all you can eat.

Nei giorni di astinenza sono proibiti gli alimenti di origine animale (carne, brodo, sugna, salumi, insaccati, uova, latticini), il vino e i superalcolici. Sul pesce i canonisti antichi sono molto divisi, anche complice l'ambigua classificazione aristotelica di questa specie; secondo la prassi a nostro avviso più coerente è ammesso il sabato e la domenica e nelle feste doppie di I classe feriate che cadano in Quaresima o in altri periodi di astinenza stretta. L'uso romano non considera l'astinenza dall'olio d'oliva. La tradizione monastica prevede anche la xirofagia, cioè l’astensione dai cibi cotti. Sono giorni di astinenza:

  • tutti i mercoledì e venerdì, eccettuati quelli in cui cade una festa doppia di I classe con precetto (festa feriata [1]), dal Natale alla vigilia dell’Epifania (esclusa), la settimana che precede la Settuagesima e l’Ottava di Pentecoste; se in essi occorre una festa doppia o semidoppia si può consumare il vino;
  • tutti i giorni nel tempo di Avvento (in senso largo, maggiore del tempo liturgico propriamente detto): dall’11 novembre (festa di S. Martino) alla vigilia di Natale, esclusi i mercoledì ed i venerdì (che sono di digiuno);
  • le settimane di Sessagesima e i tre giorni di Quinquagesima (sono escluse le carni, ma non i derivati animali);
  • le domeniche di Quaresima;
  • il giovedì santo (l’ultimo pasto va consumato prima delle Tenebrae, con cui inizia il venerdì);
  • il sabato santo (dopo la celebrazione vigiliare è concesso il vino);
  • tutti i giorni in preparazione alla festa dei Ss. Pietro e Paolo, dal lunedì successivo alla festa della SS. Trinità al 27 giugno compreso (in questo periodo il vino è generalmente concesso);
  • tutti i giorni in preparazione alla festa dell’Assunzione della BVM, dall’1 al 13 agosto;
  • le vigilie delle feste dei Ss. Apostoli (20 dicembre per S. Tommaso, 23 febbraio per S. Mattia, 24 luglio per S. Giacomo, 23 agosto per S. Bartolomeo, 20 settembre per S. Matteo, 27 ottobre per i Ss. Simone e Giuda, 29 novembre per S. Andrea).

Il digiuno, comprendendo anche l’astinenza (poiché la legge più stringente comprende sempre quella minore [2]), prevede che si consumi un solo pasto al giorno dopo il Vespro [3]. Le colazioni (“refezioncelle”) sono introduzioni più tarde, eventualmente da concordare con il padre spirituale.

Sono giorni di digiuno:

  • tutti i mercoledì e venerdì compresi tra l’11 novembre ed il 24 dicembre;
  • il mercoledì, il venerdì ed il sabato delle Tempora d’inverno (dopo la III domenica di Avvento);
  • la vigilia di Natale (24 dicembre), che però è un jejunium gaudiosum in quanto all'unico pasto si possono consumare grandi quantità di cibo incluso il pesce
  • tutti i giorni di Quaresima, tranne le domeniche, fino al mercoledì santo incluso;
  • il mercoledì, il venerdì ed il sabato delle Tempora di primavera (dopo la I domenica di Quaresima);
  • la vigilia dei Ss. Pietro e Paolo (28 giugno);
  • la vigilia dell’Assunzione della BVM (14 agosto);
  • il mercoledì, il venerdì e il sabato delle Tempora d’autunno (dopo la festa dell’Esaltazione della S. Croce, 14 settembre);
  • La vigilia di Tutti Santi (31 ottobre);

Vi sono poi due giorni di "digiuno nero", ovverosia il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo, in cui secondo tradizione non è permesso mangiare né bere alcunché. 

La birra, nei giorni di digiuno ordinario, è sempre consentita: ottenendosi dal malto d’orzo, essa è considerata una sorta di pane liquido [4].

Il vino si può consumare nelle feste grandi che occorrono in Quaresima (e.g. Annunciazione) e nei mercoledì e venerdì in cui occorre una festa che abbia almeno il grado semidoppio.

Nel tempo di Pasqua è sempre consentito il vino e non vi sono mai periodi di digiuno.

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NOTE

1: nella concezione antica, non esisteva il precetto: le feste più importanti in settimana si riconoscevano dal fatto che in esse non si amministrava la giustizia ed erano sospesi i commerci.

2: per esempio, il divieto di fermata per strada comprende anche il divieto di sosta, come è chiaro che sia. Non si vede quindi per quali motivi la legge del digiuno non debba comprendere quella dell’astinenza. E' perciò poco sensato che esistano dei giorni di digiuno senza astinenza, come invece previsto dalla riforma della legge del digiuno col codice piano-benedettino del 1917.

3: per questo motivi taluni sono soliti, in Quaresima, cantare il Vespro prima di mezzogiorno.

4: Questo spiega perché molti monasteri, soprattutto in Belgio e in Germania, si sono fatti produttori di ottima birra, capace di nutrire senza violare la regola dell’astinenza.


domenica 19 settembre 2021

6 settembre - In festo Sanctorum Patronorum terrae Sueciae

Nell’immaginario collettivo, la Svezia non è certamente associata alla Vera Fede: si pensa piuttosto alla chiesa nazionale riformata (religione di stato fino al 2000, praticata dalla famiglia reale e cui aderiscono, nominalmente, il 56,4% dei sudditi) o all’ateismo totale, dove il protestantesimo liberale si è ormai trasformato in aperta rinuncia di qualunque tipo di dogma.

Tuttavia, anche in queste fredde terre è brillata la luce della santità: tali figure, però, rischiavano di essere obliate dalla riforma luterana. È necessario comprendere bene: talora, in modo un po’ semplicistico (sovente nella prassi scolastica), si afferma che i protestanti rifiutano i Santi; in realtà, Lutero (non così Zwingli e Calvino) accetta la loro presenza come semplici testimoni da ricordare, a cui magari intitolare anche le chiese (e.g. S. Maria a Berlino, S. Tommaso a Lipsia…), ma se ne rifiuta la capacità di intercedere (principio del solus Christus).

Così, quando nel XVI secolo il protestantesimo giunse in Svezia, molte reliquie furono distrutte (ciò accadde anche nei Paesi Bassi, nella Francia ugonotta e in Norvegia, dove non vennero risparmiate neppure le spoglie del santo re Olaf II) con l’intento di sradicare il culto dei Santi. Per fare sì che tali figure non venissero dimenticate, si pensò che l’idea migliore fosse quella di istituire una festa liturgica in loro onore: entra qui in scena Sigismondo III Vasa.

Il sovrano, figlio di Giovanni III di Svezia e della cattolica Caterina Jagellona, fu eletto Re di Polonia nel 1587 e detenne il trono fino alla morte (1632). Affezionato ai Santi della sua terra, inviò a Papa Sisto V la richiesta di introdurre, in alcune diocesi polacche, la festa dei Santi Patroni della Svezia. Il pontefice, che già aveva favorito Sigismondo contro Massimiliano d’Austria nella successione al trono polacco, concesse la festa; le feste dei singoli santi svedesi furono parimenti adottate nei calendari locali delle diocesi della Pomerania e del nord della Polonia, regioni in stretto contatto con i paesi scandinavi.

Secondo la tradizione, questi erano i Santi patroni della terra svedese:

Sant’Ansgario: nacque nell’801 ad Amiens, fu monaco benedettino in Francia ed in Germania prima di essere inviato, nell’826, a evangelizzare anzitutto la Danimarca, poi la Norvegia e la Svezia. Nell’834 Papa Gregorio IV lo nominò primo Arcivescovo di Amburgo, nonché legato pontificio per la Svezia e la Danimarca. Nell’848 divenne anche Vescovo di Brema, dove morì nell’865. Le spoglie dell’Apostolo della Scandinavia si trovano ad Amburgo, in parte nella cattedrale e in parte in una parrocchia.

. Bornemann, S. Ansgario, 1454, chiesa di S. Pietro (Amburgo)

San Sigfrido di Växjö: nacque nel X secolo in Inghilterra, dove divenne monaco benedettino. Nonostante nel IX secolo Sant’Ansgario avesse portato il cristianesimo, le terre erano ricadute nel paganesimo. Fu pertanto inviato presso il Re di Norvegia Olaf I per poter iniziare la sua missione. In seguito giunse in Danimarca e in Svezia, dove fondò una chiesa coi suoi tre nipoti chierici (un sacerdote, un diacono e un suddiacono). Nel 1008 ebbe l’onore di battezzare, presso il lago Vänern, il re di Svezia Olof III. Fu Vescovo di Skara e anche di Växjö, dove fece costruire la prima cattedrale e dove morì nel 1045. Le sue reliquie furono poste proprio in quella cattedrale. La maggior parte di esse furono distrutte nel 1600 dal vescovo riformato Petrus Jonae Angermannus; porzioni minori si trovano a Copenaghen e Roskilde, rispettivamente capitale ed ex capitale della Danimarca.

Anonimo, S. Sigfrido, 1250 c., chiesa Överselö (Södermanland, Svezia)

Santi Eschilo e Davide: i due nacquero nell’XI secolo in luogo indefinito. Di origine anglosassone, furono inviati entrambi da S. Sigfrido nel Södermanland e nel Västmanland. S. Davide fu anche il primo vescovo di Munkathorp. Pur desideroso di morire martire, morì di vecchiaia nel 1082. Quando giunse il luteranesimo in Svezia, il suo sarcofago fu distrutto.

Anonimo, S. Davide, 1250 c., chiesa Överselö (Södermanland, Svezia)

S. Eschilo fu invece il primo vescovo della diocesi delle terre del lago Mälaren, oggi Strängnäs. La maggior parte delle sue reliquie si trovavano nel monastero di Eskilstuna, oggi perdute; altri frammenti minori si trovano sparsi tra la Svezia e la Danimarca.

Anonimo, S. Eschilo , 1250 c., chiesa Överselö (Södermanland, Svezia)

S. Botvido: nacque nell’XI secolo in Svezia. Secondo la tradizione, conobbe il cristianesimo in Inghilterra, si convertì e tornò in patria con dei monaci per evangelizzarla. Fu molto attivo nella predicazione, pur rimanendo semplice laico. Fu anche intenzionato a portare la fede in Finlandia, ma la sua guida, uno schiavo che il santo aveva riscattato, lo uccise nel Södermanland nel 1120. Fu sepolto nella chiesa di Botkyrka, che a lui fu intitolata.

Anonimo, S. Botvido, 1500 c., chiesa Ytterselö (Södermanland, Svezia)

S. Erik IX: nacque in Svezia, probabilmente nel 1120. Nel 1150 fu eletto re dell’Uppland, mentre era ancora in carica, sul trono nazionale, Sverker I. Quando costui venne assassinato, nel 1156, Erik poté divenire ufficialmente Re di Svezia. Durante il suo regno portò a completamento la cattedrale di Uppsala vecchia e incentivò la cristianizzazione della Finlandia, combattendo contro i pagani del luogo. Sposatosi con la nobile danese Cristina Bjørnsdatter, ebbe cinque figli. Secondo la leggenda, vide il sole trasformarsi in croce nel cielo limpido: da questo nacque l’immagine della bandiera svedese. Il giorno dell’Ascensione del 1160 o 1161 fu assassinato fuori dalla cattedrale, da lui completata in cui fu sepolto. Nel 1273 le reliquie furono traslate nella nuova cattedrale di Uppsala.

Anonimo, S. Eric di Svezia, XIII s. (?), cfr. Kulturhistoriskt lexikon för nordisk medeltid, band 4, 1959.

S. Elena di Skövde: nacque a Skövde, forse nel 1101. Era una donna aristocratica, si sposò ma rimase presto vedova. Quando il genero fu assassinato, i parenti l’accusarono di essere coinvolta nell’omicidio. Elena andò per quattro anni in Terra Santa, dove visse di elemosine e in grande orazione. Mentre si reca a Götene fu assalita e uccisa nel 1160; fu poi sepolta nella chiesa di Skövde. Nel luogo in cui venne sorpresa a tradimento sgorgò una fonte d’acqua miracolosa, fatta interrare nel 1569 dal vescovo luterano Abraham Andersson.

A. Traube, S. Elena di Skövde, 1950, chiesa di S. Elena a Skövde

S. Irene di Kiev: nacque in Svezia nel 1001 da Re Olof III e da Estrid degli Obotriti. Il suo nome originario era Ingigerd. Inizialmente fu fatta fidanzare con Olaf II di Norvegia, ma poi, nel 1019, fu unita in nozze a Jaroslav I di Kiev. Giunta nel principato, cambiò il proprio nome in Irene e fu coinvolta nella vita politica e militare dal marito. Gestì le relazioni tra i paesi scandinavi e i territori russi. Mise al mondo nove figli e gestì un monastero femminile a Kiev intitolato a S. Irene. Grazie a lei furono avviati i lavori per la costruzione della cattedrale di S. Sofia a Novgorod, dove fu sepolta. Secondo una tradizione morì nel 1050, secondo un’altra spirò nel 1056 dopo essere divenuta vedova ed essere entrata in monastero.

A.I. Trankovskij, Jaroslav il Saggio e la principessa svedese Ingigerd, fine XIX - inizio XX sec., collezione privata

Ant. ad Magn.: Recordare, Domine, gloriosae Matris tuae Mariae, et dilectorum servorum tuorum Joannis Baptistae, Laurentii, Ansgarii, Sigfridi, Aeschili, Davidis, Henrici, Erici, Botvidi, Helenae, Irenis et aliorum sanctorum Patronorum terrae Sueciae, et ne auferas misericordiam tuam a nobis.

Oratio. Infirmitatem nostram, quaesumus, Domine, propitius respice: et mala omnia, quae pro peccatis nostris juste meremur, sanctorum tuorum terrae Sueciae Patronorum intercessione clementer averte. Per Dominum.

venerdì 10 settembre 2021

L'Ufficio Divino Bizantino - 4. Il Vespro

 Ma l'inno vespertino espone questa medesima cosa:
la nostra glorificazione del nostro Creatore
poiché siam giunti al tramonto, cioè alla fine del giorno
e lo poniamo tutto quanto dinnanzi a Dio.

San Simeone di Tessalonica


Il Vespro (greco Ἑσπερινὸς, slavo ecclesiastico Bечернѧ) è la funzione del tramonto, come il nome stesso suggerisce; con essa ha inizio il giorno liturgico, che secondo la tradizione giudaico-romana inizia con la notte. E' una delle preghiere liturgiche quotidiane più antiche, quella "all'accensione della lampada vesperale" ricordata dalla Traditio Apostolica. La lampada vesperale, un costume di origine pre-cristiana, è rimasta simbolicamente in molte tradizioni cristiane, rappresentando la luce di Cristo che non tramonta, in un rituale detto "lucernario", che il rito bizantino conserva, insieme - ad esempio - all'ambrosiano tra gli occidentali.

Il Vespro bizantino si distingue in "Piccolo" o "Grande" a seconda della solennità della festa che si celebra: le feste "con polieleo" (paragonabili alle semidoppie latine) prevedono il Grande Vespro. Le feste "con veglia" (paragonabili alle doppie latine), dacché dovrebbero celebrarsi con una veglia di tutta la notte che inizi col Vespro e prosegua con Mattutino e Liturgia, prevedono un'anomalia che è il canto di un doppio vespro: il Piccolo Vespro alla sera, all'ora consueta, e il Grande Vespro a un'ora più tarda, dopo il pasto, unito al resto delle funzioni. Questa prassi è disusata fuori dai grandi monasteri: il solo Grande Vespro viene celebrato abitualmente in questi casi, sia che sia servito da solo, sia che sia seguito immediatamente dal Mattutino in forma di veglia.

Sebbene, con minimi adattamenti come l'omissione delle litanie, possa essere celebrata da soli laici o lettori come tutte le altre Ore, tuttavia la forma ordinaria del Vespro prevede la presenza del sacerdote e del diacono. Per il Piccolo Vespro il sacerdote indossa l'epitrachilio (stola) sopra l'exoraso (veste nera dalle ampie maniche che si pone sopra la talare; corrisponde idealmente alla cotta) e, nella prassi slava, le soprammaniche; per il Grande Vespro, indossa pure il felonio (casula). Secondo il tipico, esso andrebbe indossato dopo la lettura del salterio, e smesso dopo la litania di supplica, per compiere i restanti riti in stola; tuttavia la prassi consueta, specie nelle veglie di tutta la notte, è di indossare il felonio dall'inizio alla fine. Il diacono è sempre in sticario (facente funzione di camice, anche se esteticamente appare una dalmatica), soprammaniche nell'uso slavo e orario (stola diaconale). Il sacerdote dovrebbe stare a capo coperto per tutta l'officiatura, eccetto quando dice le preghiere segrete all'inizio, all'ingresso e quando compie la litia, ma secondo alcune usanze indossa il copricapo solo per le incensazioni, e sta altrimenti a capo scoperto.

La struttura generale del Vespro, che poi analizzeremo nel dettaglio, è la seguente:

  • Salmo proemiale (103) e preghiere segrete
  • Grande litania
  • Kathisma del salterio e piccola litania
  • Salmi vespertini con incensazione e stichire del giorno
  • Piccolo Ingresso
  • Prochimeno
  • Profezie (nelle grandi feste)
  • Litania ardente
  • Preghiera vesperale
  • Litania di supplica
  • Litia (nelle grandi feste)
  • Stichi vesperali
  • Ode di Simeone
  • Trisagio e Apolytikia
  • Congedo
Salmo proemiale e preghiere segrete

Dopo la benedizione consueta Εὐλογητὸς ὁ Θεὸς ἡμῶν... ("Benedetto il nostro Dio..."), data entro il Santuario con le porte regali aperte se è un Grande Vespro, o davanti alle porte regali chiuse se è un Piccolo Vespro, il lettore dice il triplice Δεῦτε προσκυνήσωμεν... ("Venite adoriamo"), e subito inizia a salmeggiare il salmo 103, che è detto "proemiale" (προοιμιακός). Questo salmo è stato interpretato dai Padri come un'allegoria della Creazione, poiché in essa si loda la potenza di Dio che ha stabilite le creature sulla terra e a loro provvede: e infatti, mistagogicamente, il Vespro essendo la prima ora del giorno liturgico rappresenta proprio la Creazione, di cui analogamente parlano gl'inni del Vespro feriale romano.

E' da notare che il Vespro è l'unica ora in cui mancano le preghiere iniziali (Βασιλεῦ οὐράνιε - "Spirito celeste"), con cui normalmente si aprono tutti i servizi liturgici bizantini; questo perché il Typikon prescrive che il Vespro sia celebrato immediatamente di seguito all'Ora Nona, durante la quale sono già state dette; anche se nella prassi non sempre l'Ora Nona viene premessa, le preghiere iniziali comunque non si recitano. Nell'uso slavo il solo celebrante le dice segretamente mentre incensa l'altare: difatti, quando si celebra una veglia di tutta la notte si compie un'incensazione dell'altare prima dell'inizio della funzione e poi, data la benedizione iniziale al modo dei mattutini (Δόξα τῇ Ἁγίᾳ... - "Gloria alla Santa...") durante questo salmo s'incensano le icone, i fedeli e tutta la chiesa. In questo caso, nella prassi slava, il salmo non è salmeggiato, ma ne sono cantati solo alcuni versetti con una melodia particolarmente ornata.

Durante il salmo, e dopo aver compiuto l'incensazione se prescritta, il sacerdote, stando a capo scoperto davanti alle porte sante chiuse, legge sette preghiere segrete di ringraziamento e supplica al Signore per esser giunti al termine della luce e chiedere protezione nelle tenebre addivenienti. Secondo autorevoli liturgisti, tali preghiere originariamente erano le orazioni segrete che accompagnavano alcune litanie diaconali durante il corso del Vespro che, una volta scomparse dal loro posto proprio, sono state aggregate come preghiere sacerdotali in questo punto. Quando si fa una veglia di tutta la notte, talora alcuni omettono qui le preghiere vesperali, e le uniscono a quelle mattutinali durante l'esapsalmo del Mattutino.

Grande Litania (Εἰρηνικὰ)

Si tratta di una litania diaconale, detta εἰρηνικὰ (cioè "pacifica") dalle sue parole iniziali (Ἐν εἰρήνῃ τοῦ Κυρίου δεηθῶμεν - "In pace preghiamo il Signore") comprendente parecchie invocazioni, con cui si prega per la pace, per la Chiesa, per il vescovo, per la città e la nazione, e per varie necessità. Questa medesima litania è posta all'inizio degli altri due grandi servizi liturgici, il Mattutino e la Divina Liturgia: come detto, però, in questo caso l'esclamazione (ecfonesi) finale del celebrante non è preceduta da un'orazione segreta da dirsi durante le invocazioni diaconali, che è stata spostata durante il salmo proemiale.

Kathisma del salterio e piccola litania

A questo punto, il lettore salmeggia il kathisma, cioè la porzione, del salterio assegnata per il giorno della settimana corrente: come nella quasi totalità dei riti apostolici, l'intero salterio è letto nel corso della settimana a Vespro e Mattutino. La domenica e le grandi feste il catisma del salterio è sempre il primo, cioè i salmi 1-8. Sfortunatamente, nella prassi parrocchiale greca il salterio molto spesso viene omesso, mentre è rigorosamente letto nei monasteri. Nella prassi slava, invece, il salterio domenicale è abbreviato in una raccolta di uno o due versetti da ciascun salmo, cantati con una melodia ornata e accompagnati da numerosi alleluia, in una composizione detta (dalle parole iniziali del salmo 1) Бл҃женъ мꙋжъ ("Beato l'uomo").

Dopo il salterio il diacono canta una piccola litania (Ἔτι καὶ ἔτι ἐν εἰρήνῃ... - "Ancora e ancora in pace..."), conclusa dall'ecfonesi del sacerdote.

Salmi vespertini

A questo punto, si cantano i salmi fissi del Vespro, quelli che accompagnano l'offerta dell'incenso: essi sono i salmi 140, 141, 129 e 116. Sono tutti salmi vespertini secondo la tradizione apostolica, e infatti si ritrovano pure nel cursus vesperale della tradizione occidentale. Il salmo 140, chiamato psalmus lucernalis dalla Traditio Apostolica risulta particolarmente adeguato al momento per il suo secondo versetto: Κατευθυνθήτω ἡ προσευχή μου, ὡς θυμίαμα ἐνώπιόν σου, ἔπαρσις τῶν χειρῶν μου θυσία ἑσπερινὴ ("Sia diretta la mia preghiera come incenso al tuo cospetto, l'elevazione delle mie mani come sacrificio vespertino"). Al canto di questo versetto (che, nella prassi greca, è cantato insieme al primo con una melodia molto ornata detta Κεκραυγάριον), il diacono incensa l'altare dai quattro lati, e poi, mentre con una melodia più rapida vengono cantati i salmi, egli uscendo dalla porta settentrionale incensa le icone, i fedeli e l'intera chiesa.

Durante i salmi, e precisamente negli ultimi dieci versetti (cioè gli ultimi due del salmo 141, e tutti i salmi 129 e 116) si inseriscono le stichire, cioè delle antifone mediamente lunghe, della feria o della festa che si celebra: se in un giorno si celebrano più ricorrenze, le stichire vengono sommate tra loro, fino a un massimo di dieci. Se fossero solo 6 od 8, si inizia a cantarle rispettivamente dagli ultimi sei od otto versetti. In una festa semplice, ad esempio, si cantano 3 stichire del santo e 3 del giorno; in una festa con polieleo, 6 tutte del santo. La domenica, invece, si cantano 4 stichire dell'ottoico (il libro che contiene i servizi per gli otto toni, che si alternano nel ciclo domenicale ordinario) e 4 anatoliche (nome non chiaro: potrebbero chiamarsi così perché composte dal monaco Anatolio, o perché originalmente cantate in un monastero situato nella Siria orientale); se però si commemora anche la festa di un santo semplice, se ne cantano 4 dall'ottoico, 3 anatoliche e 3 del santo, e via così.

Il typikon costantinopolitano revisionato da Violakis nel XIX secolo permette che nelle grandi feste, supponendo che le stichire saranno cantate in modo molto ornato, si possano omettere i versetti dei salmi 140 e 141 durante i quali non vi sono stichire; l'estensione di questa prassi al Vespro quotidiano, benché diffusa, è un abuso.

Dopo i salmi, viene cantato "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo", e una stichira molto lunga del santo del giorno detta doxastico. Quindi "E ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen" e una stichira alla Madre di Dio. In questo momento si aprono le porte regali per l'Ingresso.

Piccolo Ingresso

Durante la stichira della Madre di Dio, il diacono incensa con tre colpi verso l'altare, e un colpo verso la croce astile e l'immagine astile della Madre di Dio poste rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra. Quindi, fatta con il celebrante e gli accoliti coi candelieri reverenza all'altare, escono tutti dalla porta settentrionale e, fatta una breve processione, durante la quale il celebrante dice una preghiera segreta, si dispongono davanti alle porte regali. Il celebrante benedice l'ingresso: Εὐλογημένη ἡ εἴσοδος τῶν ἁγίων σου... - "Benedetto l'ingresso del tuo santuario..."

Quindi il diacono, tracciando un segno di croce col turibolo, canta: Σοφια! Ὀρθοί! ("Sapienza! In piedi!"). Il coro canta allora l'inno del Lucernario: Φῶς ἱλαρόν ("O luce radiosa"). Intanto il celebrante bacia le icone del Cristo e della Madre di Dio, benedice gli accoliti ed entra nel Santuario, accompagnato dal diacono che incensa.

L'inno Φῶς ἱλαρόν, benché chiamato "Poema di Sofronio" e attribuito all'omonimo patriarca gerosolimitano del VII secolo dalle edizioni slave, è in realtà uno degli inni cristiani più antichi conosciuti, risalente addirittura al II secolo. E' quel che resta nel rito bizantino del Lucernario, anche se fisicamente la lampada vesperale non è accesa.

Si deve notare che il Piccolo Vespro, propriamente, non avrebbe l'Ingresso: perciò le porte restano chiuse, e terminata lo stico della Madre di Dio il coro canta immediatamente il Φῶς ἱλαρόν senza cerimonie. In Grecia è tuttavia prassi compiere l'ingresso ogni giorno, anche al Piccolo Vespro. La prassi, parimenti diffusa in Grecia, di leggere il Φῶς ἱλαρόν anziché cantarlo, non trova invece giustificazioni storiche.


Prochimeno

Durante la conclusione dell'inno, il celebrante, fatta riverenza all'altare, va al seggio posto dietro lo stesso sul lato destro, e, voltosi al popolo, lo benedice. Quindi, il diacono intona il prochimeno "della sera", diverso per ogni giorno della settimana. Il prochimeno ha la struttura di un responsorio, con il primo verso ripetuto dal coro a ogni versetto cantato dal diacono; letteralmente προκείμενον significa "assegnato", e sottintende "stico", tuttavia potremmo traslatamente chiamarlo "graduale", poiché la sua funzione è quella di canto interlezionale durante la Divina Liturgia. Anche al Vespro esso è stato introdotto in ragione delle letture profetiche che seguiranno; tuttavia, l'uso ha fatto sì che questo venisse cantato anche nei giorni in cui le letture non sono previste, assumendo un significato a sé.

Letture profetiche

Terminato il prochimeno si chiudono le porte regali. Il lettore, portatosi al centro della chiesa, proclama il titolo della prima profezia, e il diacono annuncia: Πρόσχωμεν! ("Stiamo attenti!"). Le letture veterotestamentarie, in numero di tre, sono previste unicamente nelle grandi feste.

Litania ardente

Il diacono quindi canta la litania ardente (Εἴπωμεν πάντες... - "Diciamo tutti..."), simile a quella che si canta dopo il Vangelo durante la Divina Liturgia. Il coro risponde tre volte Kyrie eleison a ogni invocazione. Nel Piccolo Vespro questa litania è stata spostata per motivi ignoti alla fine della funzione, prima del congedo, forse per rassomigliare alle litanie conclusive della Compieta e del Mesonittico. Poiché questo spostamento è privo di ragione storica, non è sbagliata la prassi di molti sacerdoti di cantarla in questo punto pure nei feriali.

Preghiera vesperale

Segue la preghiera vesperale (Καταξίωσον, Κύριε - "Rendici degni, o Signore"), cantillata dal lettore o cantata dal coro secondo le rispettive prassi greca e slava.

Litania di supplica (Πληρωτικὰ)

Il diacono quindi prosegue con la litania di supplica (Πληρώσωμεν τὴν ἑσπερινὴν δέησιν ἡμῶν τῷ Κυρίῳ - "Completiamo la nostra preghiera della sera al Signore"), in cui si richiedono che la sera passi pacifica e senza peccato, un angelo di pace a guidarci, la remissione dei peccati, il dono della penitenza, una morte cristiana e una valida difesa al tribunale di Cristo. La stessa preghiera viene rivolta al termine del Mattutino e due volte durante la Divina Liturgia (dopo il Grande Ingresso e prima del Padre Nostro), e invocazioni simili contiene la litania gelasiana impiegata nel rito romano arcaico. Al termine di questa, il sacerdote si volge al popolo e lo benedice; il diacono invita quindi a chinare il capo, e il celebrante volto all'altare recita una preghiera segreta sui capi inclinati, concludendola a voce alta.

Litia

La litia è una processione culminante con una benedizione del pane, del grano, dell'olio e del vino, che si compie nelle grandi feste, e tutte le domeniche secondo il Tipico; nella prassi, è omessa nelle domeniche ordinarie. In antico, e ancora così in Grecia, si benedicevano solo cinque pani dolci, a memoria del miracolo della moltiplicazione dei pani; in Russia e in altre terre accanto ai cinque pani s'iniziarono a benedire del vino, dell'olio, del grano o altri prodotti della terra. Questi vengono posti su un tavolino al centro della chiesa, con tre candele accese.

Dopo la litania, il coro inizia a cantare le stichire della Litia: il celebrante esce dalle porte regali, accompagnato dal diacono col turibolo fumigante e da due accoliti coi candelieri. Si fa una processione interna lungo il lato settentrionale della chiesa, e ci si reca nel nartece. Ivi, quando il coro ha cantato il Gloria e le ultime stichire, il diacono canta la preghiera Σῶσον ὁ Θεὸς τὸν λαόν σου... - "Salva o Dio il tuo popolo", in cui si chiede l'intercessione di moltissimi santi; il coro risponde cantando 40 volte Kyrie eleison. Il diacono quindi prosegue con una litania con intercessioni molto lunghe ed elaborate: il coro risponde dapprima con 30 Kyrie eleison, poi 50, e infine 3 alle ultime invocazioni. Il celebrante quindi benedice il popolo, il diacono l'invita a chinare il capo e il celebrante dice una preghiera ad alta voce in cui rinnova la richiesta d'intercessione ai molti santi sopraddetti. Risposto "Amen", il coro prosegue con gli stichi vesperali, mentre il sacerdote attende nel nartece col clero.

Se la Litia non si tiene, dopo la litania di supplica il coro canta subito gli stichi vesperali, e il clero resta in Santuario.

Stichi vesperali

Il coro canta dunque alcune stichire, intervallate da versetti salmici scelti. Durante le domeniche ordinarie, le stichire sono tratte dall'ottoico in un ciclo ininterrotto di 24 (3 per ciascuna delle 8 domeniche del ciclo) in acrostico. Le feste minori non usano stichire proprie: si cantano quelle feriali, oppure dell'Ottava se ne ricorresse una o del tempo liturgico; per le feste con polieleo generalmente si ricorre a un "Comune" (stichire per i confessori, per i martiri, per i vescovi etc.), a differenza delle stichire dei salmi vesperali, che sono proprie di ciascun santo anche per i santi minori. Le grandi feste hanno anche queste stichire proprie.

Ode di Simeone

Subito dopo, si canta l'Ode di Simeone, cioè il Nunc dimittis (Lc II, 29-32): a differenza della prassi romana, essa costituisce il cantico evangelico del Vespro e non della Compieta; bisogna però considerare che nell'uso bizantino sia Benedictus che Magnificat sono cantati al Mattutino. Nella prassi greca il Cantico di Simeone è cantillato dal celebrante, mentre nell'uso slavo è cantato dal coro in tono sesto. Le due prassi diverse derivano dal fatto che, originariamente, l'Ode di Simeone era cantata dal coro in questo punto, e invece cantillata dal celebrante durante le preghiere di ringraziamento dopo la Divina Liturgia; la prassi greca uniformò le due facendole sempre cantare al celebrante, mentre la prassi slava le uniformò in senso opposto, dando anche quella dopo la Liturgia al coro.

Trisagio e Apolytikia

Il lettore cantilla quindi il Trisagio, seguito come sempre dal Gloria al Padre, dalla preghiera Παναγία Τριὰς, ἐλέησον ἡμᾶς... ("Santissima Trinità, abbi misericordia di noi..."), da un triplice Kyrie eleison, un altro Gloria al Padre e il Padre Nostro, concluso dal celebrante con l'ecfonesi Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ βασιλεία... ("Poiché tuo è il regno").

Il coro canta dunque gli apolytikia del giorno: originariamente nati con questa funzione (ἀπόλυσις = conclusione, stanno alla conclusione del Vespro), sono diventati i tratti riconoscibili di ogni giorno liturgico, venendo cantati alla Divina Liturgia dopo il Trisagio e a ogni altra ora liturgica (hanno un carattere identificativo simile alla colletta romana, però non sono né preghiere sacerdotali né impetratorie in senso stretto, seppure alcune si concludano con la richiesta al santo di pregare Iddio per noi). Se si è celebrata la Litia, in questo momento il celebrante procede dal nartece nel mezzo della chiesa, e ivi incensa i pani, girando tre volte attorno a essi e poi, preso un pane e tracciando con esso un segno di croce sugli altri quattro, pronuncia la preghiera di benedizione su di essi.

Se si celebra la veglia di tutta la notte di una domenica, poiché gli apolytikia domenicali saranno dopo poco ripetuti al Mattutino, vengono sostituiti da una triplice Θεοτόκε Παρθένε, χαῖρε ἡ κεχαριτωμένη Μαρία ("Vergine Deipara, Ave Maria, piena di grazia..."), che è la forma bizantina dell'Ave Maria. Se però si commemora anche una grande festa, si cantano due Ave Maria e l'apolytikio della festa.

Congedo

Come spesso accade, i congedi bizantini sono frutto di accavallamenti di diverse tradizioni, cattedrali e monastiche, studite, sabaite e aghiorite. I libri liturgici più antichi non sono affatto chiari nell'indicare le prassi dei congedi vesperali, e solo più recentemente sono stati uniformati.

Il Vespro feriale termina così: dopo la litania ardente (se si è spostata a questo punto; altrimenti subito dopo gli apolytikia) il diacono esclama: Σοφια! ("Sapienza!"), il coro domanda la benedizione, e il celebrante dice Ὁ ὢν εὐλογητὸς... ("Colui che è benedetto..."). Segue un'invocazione del coro per la conservazione della fede dei Cristiani Ortodossi, e quindi la consueta invocazione alla Madre di Dio (Τὴν τιμιωτέραν - "Tu più onorevole"), il Gloria, un triplice Kyrie eleison e la richiesta di benedizione, seguita dal congedo ordinario Χριστὸς ὁ ἀληθινὸς Θεὸς ἡμῶν... - "Cristo vero Dio nostro...".

Al Vespro festivo, invece, il coro canta tre volte, come alla Divina Liturgia, Εἴη τὸ ὅνομα Κυρίου... - "Sia benedetto il nome del Signore...", quindi il salmo 33 per intero, e a seguire il celebrante, voltatosi verso il popolo, lo benedice come alla Divina Liturgia Εὐλογία Κυρίου ἔλθοι ἐφ' ὑμᾶς... - "La benedizione del Signore venga su di voi...", e a seguire il congedo feriale come sopra o, se si celebra una veglia di tutta la notte, direttamente s'inizia il Mattutino. Questa seconda prassi origina dalla Litia: il salmo 33, quello di ringraziamento per eccellenza, si spiega infatti perché in questo momento avviene la distribuzione del pane benedetto durante la medesima (e nei libri liturgici slavi è stampato in rubrica un poemetto rivolto al sacerdote che gli ricorda di osservare i canoni e non benedire una seconda volta gli stessi elementi in occasione di un'altra officiatura); quando la veglia o il Vespro festivo sono celebrati senza Litia, il salmo è spesso omesso e sono cantati solo i tre introduttivi Εἴη τὸ ὅνομα Κυρίου.

Al Vespro quaresimale, la preghiera di S. Efrem s'inserisce subito prima del congedo, e dopo di esso - anche nei feriali - sono salmeggiati i salmi 33 e 144; questi due salmi accompagnano infatti la distribuzione dell'antidoro dopo la celebrazione dei Presantificati, che nei monasteri in Quaresima avviene ogni giorno.

martedì 7 settembre 2021

25 agosto - In festo S. Dionysii Zacynthensis

 Il 25 agosto (7 settembre) ricorre la festa di S. Dionisio di Zante, detto "il Nuovo", vescovo e taumaturgo, una delle gemme spirituali dell'isola ionica che a lungo fu della Veneta Repubblica.

Dionisio, al secolo Gradenigo Siguros, nacque nel 1547 ad Egialò, villaggio costiero dell'isola di Zante, da un'inclita famiglia iscritta nel Libro d'Oro della nobiltà: suo padre, Muzio Siguros, era stato onorato come benemerito della Repubblica di Venezia nelle guerre veneto-turche. Secondo una popolare tradizione dell'isola, ebbe come padrino al Battesimo nientemeno che san Gerasimo di Cefalonia. Sin dall'infanzia ricevette un'istruzione alle lettere cristiane, apprendendo, oltre al veneto e al greco, pure il latino; della sua educazione teologica è traccia una lettera giovanile conservatasi in cui Gradenigo esprime delle riflessioni su alcuni passi da S. Gregorio Nazianzeno.

All'età di 20 anni, dopo la morte dei genitori, decise di devolvere la sua parte di eredità ai fratelli e si ritirò nel monachesimo nel monastero delle Strofadi, isoletta a sud di Zante, col nome di Daniele. La sua devozione alla preghiera ascetica e allo studio delle Sacre Scritture fu tale, e tanti i suoi progressi spirituali, che nel giro di due anni divenne abate del monastero; l'anno successivo, nonostante le iniziali resistenze (poiché, come san Dionisio sapeva bene, la vocazione del monaco è l'ascesi, non il sacerdozio), ricevette l'ordinazione per le mani del vescovo Teofilo Loverdo di Zante, Itaca e Cefalonia.

Dopo qualche anno, nel 1577, lo ieromonaco Daniele decise di compiere un pellegrinaggio verso la Terra Santa: durante il viaggio, passando da Atene, volle andare a ricevere la benedizione dal vescovo locale, Nicanora, il quale fu tanto colpito dall'educazione e dall'ascesi del santo, che pensò di destinarlo a più luminosa carriera. Chiesta dunque la benedizione del Patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos, lo nominò vescovo dell'isola di Egina, nel golfo Saronico di fronte alla penisola dell'Attica, la cui sede era rimasta vacante dalla presa dell'isola da parte del corsaro ottomano Ariadeno Barbarossa nel 1537. Così, il 16 luglio di quell'anno lo ieromonaco Daniele fu consacrato all'episcopato col nome di Dionisio nella chiesetta della Madonna "Gorgoepikoos" e di S. Eleuterio, la cosiddetta "Piccola Metropoli" che funse da cattedrale di Atene tra la conquista ottomana e la costruzione della nuova cattedrale nel XIX secolo.

Dopo tre anni di episcopato, nel quale il santo visse in umile ascesi in una celletta sopra la chiesa della Madonna a Paleocora, dove aveva posto la sua sede, decise di ritirarsi e fare ritorno nella sua città natale. Lì dovette comunque esercitare funzioni di corepiscopo, svolgendo ordinazioni e visite pastorali col titolo di "Presidente di Zante" conferitogli dal Patriarca, poiché la sede era rimasta per diversi anni vacante e tra le varie isole e il governo veneto c'erano contese su chi dovesse essere il nuovo vescovo. Egli stesso a un certo momento venne indicato dal Patriarca come vescovo, ma il procuratore Nicolò Da Ponte si oppose, sospettando che la mossa fosse stata in qualche modo orchestrata dagli ottomani sotto la cui autocrazia si trovava di fatto il patriarcato di Costantinopoli. Perciò, nel 1583, la Comunità di Zante (organo amministrativo dell'isola sotto la Repubblica) lo nomino parroco della chiesa stavropegiale di San Nicola al Molo; egli tuttavia rimase lì un solo anno, scegliendo poi di ritirarsi nel monastero di Anafrionita, e visitando regolarmente pure il suo vecchio monastero nelle Strofadi, vivendo asceticamente in preghiera e digiuno, carità e guida spirituale

Nel dicembre dello stesso anno vi furono nell'isola dei disordini, causati dalla secolare rivalità tra le famiglie nobili Siguros e Mondinos, durante i quali il fratello del santo, Costantino, fu assassinato. Il suo ignoto assassino, per sfuggire alle guardie, si rifugiò nel monastero di Anafonitria, ignorando la parentela dell'abate con l'ucciso: quando questi gli chiese perché venisse al monastero, l'assassino confessò pentito, e san Dionisio mostrò grandissima pietà, nascondendo l'assassino nel monastero, dichiarando di non conoscerne la storia quando le guardie ivi giunsero a cercarlo, e poi aiutandolo a rifugiarsi a Cefalonia. La compassione del santo in questo episodio è cantata dal poeta Andrea Martzokis nella poesia "L'Abate di Anafonitria" (Ὁ γούμενος τῆς Ἀναφωνητρίας) del 1882:

Τέτοια τους λέει στενάζοντας, καὶ τὸ χρυσό του στόμα
ποῦ ἀφ'ὅτου ἐπρωτολάλησε δὲν εἶπε ψέμα ἀκόμα,
ἐψεύτηκε πρώτη φορὰ! Τὴν παρθενιά του χάνει,
κι ἁγιάζει ὁ ἀναμάρτητος τὴν ὥρα π’ ἀμαρτάνει!…

Queste cose le disse sospirando, e la sua bocca aurea
che, da quando per la prima volta avea parlato, giammai ancora avea detto una bugia,
mentì per la prima volta! Perse la sua verginità,
ma colui ch'è senza peccato santifica pure nel momento in cui pecca.

Tra i molti miracoli del santo, si narra che fermò il corso di un fiume durante un temporale per evitare che questo travolgesse un suo studente; che liberò dalla maledizione una donna morta durante un aborto; che ammonì dei pescatori che bestemmiavano e questi, come si furono pentiti, furono ricolmati di pesci. Il suo spirito di discernimento era tale da essere uno dei confessori più famosi del suo tempo, l'unico - secondo la tradizione - a cui lo ieromonaco Pancrazio ebbe il coraggio di confessare che un giorno gli cadde a terra dalle mani un pezzo del Corpo di Cristo mentre faceva la Comunione.

La "discesa" del santo che si compie alle 11 del 23 agosto di ogni anno, a memoria della traslazione delle sue reliquie. Il corpo incorrotto viene posto verticalmente davanti all'altare della cattedrale di Zante.

Il 17 dicembre 1622 si addormentò in Cristo all'età di 75 anni, e fu sepolto secondo il suo volere nella cappella di San Giorgio delle Strofadi, nell'isola di Stamfani, dove aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale. Dopo tre anni, il suo corpo fu ritrovato incorrotto, e perciò fu intronizzato nel katholikon del monastero, e sin da allora venerato da moltissimi pellegrini come patrono della sua terra: affermano di averlo veduto intatto e profumato sul trono despotico due visitatori veneziani nel 1717, lo storico Ferrari e l'ammiraglio Pisani.

Nell'agosto dell'anno stesso 1717, tuttavia, il pirata turco Mostrino saccheggiò l'isola, profanando il monastero e tagliando gli arti del santo, che poi vendettero a Chio. Più tardi queste sono state restituite, e ora si trovano nel monastero, dove sono usate per le benedizioni agl'infermi e gli esorcismi, visto che le reliquie del santo hanno un grande potere taumaturgico contro i demoni e le possessioni. Dopo la catastrofe dell'isola, il 24 agosto i monaci superstiti trasportarono il "santo corpo" (τ'ἅγιο Κορμί, come lo chiamano gli abitanti delle isole ioniche) in città a Zante, dove fu deposto nella cattedrale di San Nicola degli Stranieri, e più tardi nella chiesa della Natività della Vergine nel villaggio di Kaliteros, metochio del monastero delle Strofadi. Per questo il santo viene onorato nell'isola alla fine di agosto, con una lunghissima processione; lo ricorda invece il 17 dicembre la città di Atene, che ne conserva una reliquia e un'icona aurea seicentesca nella chiesa di S. Irene sulla via di Eolo, dove il santo è particolarmente onorato dalla comunità zacintese della capitale. Viene molto venerato pure nelle restanti isole ioniche, nonché ad Egina, della quale fu il primo patrono, prima dell'elezione di S. Nettario da parte degl'isolani a proprio speciale protettore nel XIX secolo.

PROPOSTE DI TESTI LITURGICI

Ad Magn. ant. Ton. VI. Festum hodie * laetissimum celebret civitas Zacynthus, quae cum Strophadis Aeginaque, hymnis et canticis conlaudat decus suum Dionysium.

Ad Benedict. ant. Ton. VIII. Novissimi * sancti festum celebremus Dionysii, ex quo Zacynthus decoratur, cunctique fideles ab omni periculo et spiritu malignitatis liberantur.