mercoledì 20 febbraio 2019

Il ciborio della Basilica Ducale di S. Marco


Il ciborio viene eretto sopra l'altare maggiore della basilica di San Marco, dove si trova tuttora, in un momento ancora imprecisato della prima metà del XIII secolo, probabilmente negli anni venti.
Il dibattito sul ciborio ha riguardato principalmente la datazione e la provenienza delle quattro preziose colonne impiegate come sostegno della volta del baldacchino. I bassorilievi che le ornano, pur differenti per taluni aspetti, sono sostanzialmente unitari e non possono provenire che da un unico centro di produzione, anche se realizzati da artisti di diverso valore.
I quattro fusti monolitici di alabastro orientale, lavorati a coppie da un Maestro eccellente e da aiutanti di minor valore, sono suddivisi in nove comparti separati da strisce orizzontali, a loro volta articolati in nove archetti ospitanti una o più figure in altorilievo.
Lo sfondo scuro delle nicchie dona alle scene una plasticità quasi totale. Nelle 324 nicchie si contano, complessivamente, 108 scene a una o più figure, che riproducono la vita della Vergine, la vita e la passione di Gesù Cristo: ben rappresentati in più cicli dettagliati, disposti in sequenza orizzontale nel senso della lettura o in verticale, sono singoli episodi tratti dai Vangeli canonici e da quelli apocrifi.
La colonna posteriore sinistra riporta trenta scene della vita di Maria, dal Sacrificio di Gioacchino fino al Consulto dei sacerdoti sul futuro della Vergine dodicenne, per la cui realizzazione lo scultore si attenne fedelmente alle descrizioni della versione greca del protovangelo apocrifo di Giacomo.
Con l'Annunciazione a Maria ha inizio la sequenza di ventisei scene della colonna anteriore sinistra che propone vicende tratte dall'infanzia di Gesù e, tra gli altri, diversi racconti di miracoli e guarigioni. Tali episodi, raffigurati con straordinaria vivacità, rimandano da un lato al protovangelo di Giacomo e dall'altro ai Vangeli canonici, soprattutto a quello di Giovanni.
Il ciclo scultoreo continua sulla colonna posteriore destra con ventotto scene raffiguranti gli insegnamenti e i miracoli di Gesù così come sono narrati nel Vangelo di Luca.
La colonna anteriore destra illustra infine le ventiquattro scene della passione di Cristo.

T. WEIGEL, Le colonne del ciborio dell'altare maggiore di San Marco a Venezia: nuovi argomenti a favore di una datazione in epoca protobizantina, 2000 (estratto)

In passato le colonne del ciborio sono state considerate ora come opere della tarda antichità, ora come opere dei secoli centrali del medioevo, così che le datazioni proposte hanno oscillato tra il V-VI e l'XI-XIII secolo.
Nella letteratura si trova talvolta espresso anche il giudizio secondo il quale le due colonne anteriori, che da un punto di vista artistico e tecnico sono evidentemente di qualità più elevata, sarebbero il prodotto di una bottega dell'impero romano d'Oriente, siro-palestinese o ravennate, eventualmente collocabile anche in Istria (cfr. Cappella di Santa Maria Formosa a Pola, n.d.r) e quindi apparterrebbero ancora al periodo dell'arte tardo-antica. Invece per la coppia delle colonne posteriori, eseguite da una mano più inesperta, si tratterebbe di un'imitazione di modelli antichi eseguita nei secoli centrali del medioevo, realizzata a Venezia nell'XI, XII o XIII secolo per portare a quattro il numero dei supporti.
Sulla scorta dei contributi di ricerca di Weigand (1940), Lucchesi Palli (1942) e Demus (1953, 1955a/b, 1960), l'intero insieme scultoreo viene tuttavia oggi considerato quasi esclusivamente come opera di una bottega veneziana della la metà del XIII secolo. Secondo questa tesi tale bottega, nel quadro di una precisa propaganda di stato, mirante alla ricostituzione di un imperium christianum comprendente l'Adriatico e il Levante, sarebbe stata specializzata nella produzione di copie di pezzi antichi, al fine di fare apparire la città più antica di quanto essa in realtà fosse e porla sullo stesso piano delle città imperiali di Roma e Costantinopoli.
Già Anti (1954), Gosebruch (1985) e Herzog (1986) avevano dimostrato come i principali argomenti a sostegno di una datazione proto-rinascimentale in ambito veneziano, vale a dire le analogie con il rilievo frontale del sarcofago del doge Marino Morosini (1249-1253) nel nartece settentrionale di S. Marco, così come con le tavole a rilievo dell'architrave della porta di S. Alipio erano smentiti dal fatto che entrambi questi elementi erano a loro volta, anziché copie duecentesche, spoglie tardoantiche, probabilmente provenienti dall'area costantinopolitana.

Numerosi indizi sembrano invece connotare tutte e quattro le colonne come materiale di reimpiego:

 1) Le caratteristiche scheggiature presenti nell'estremità superiore dell'astragalo, comuni anche ad altro materiale di spoglio, al di sopra delle quali corrono senza soluzione di continuità i titoli latini, databili all'incirca al primo quarto del XIII secolo. Il fatto che le iscrizioni corrano anche sulle scheggiature rappresenta un ulteriore argomento a sostegno della loro incisione successiva, all'epoca del reimpiego delle colonne come sostegno del baldacchino;
2) I fusti delle colonne sono sprovvisti di anello all'imoscapo;
3) Il singolare e del tutto inusuale collegamento di basi e fusti attraverso un impianto di questi ultimi nel blocco della base. Attraverso questo espediente vengono evidentemente sottratti alla vista dell'osservatore ulteriori possibili danni causati dalla spoliazione.

Se già questi indizi parlano a favore di un reimpiego delle colonne, questa ipotesi trova ulteriore conferma nell'analizzare il rapporto tra testo e immagine, che in parte presenta grosse discrepanze. Un'importanza particolare per l'attribuzione del complesso all'arte bizantina ha avuto sicuramente l'acquisizione già espressa da Gabelentz (1903), poi con sufficiente chiarezza da Costantini (1915) e in tempi più recenti ribadita più volte da Lafontaine-Dosogne, che le scene della vita di Maria sulla colonna A seguono rigorosamente il testo greco del protovangelo di Giacomo, mentre i titoli latini che spesso forniscono un'interpretazione sbagliata dell'immagine rappresentata, si basano sul testo del vangelo latino dello Pseudo-Matteo, sorto probabilmente molto più tardi e ampiamente diffuso in Europa occidentale, oppure su una sua rielaborazione del IX secolo. Il testo di questo vangelo differisce in molti episodi dall'apocrifo greco.
Sulla base di queste osservazioni che depongono contro un'origine unitaria di testo e immagine e sulla base di altri indizi Lafontaine-Dosogne ha sostenuto la tesi che, nel programma delle scene della vita di Maria come in quelle dell'infanzia di Cristo, si tratterebbe di un'iconografia bizantina, più precisamente pre-iconoclasta, in ogni caso non occidentale. Questa opinione è stata condivisa anche da altri autori, che in particolare hanno fatto riferimento all'eccezionalità della scena della Crocifissione con l'agnello nel clipeus al posto del crocifisso, da datare prima del Concilio Quinisesto (Costantinopoli, 692) (1).


Un ulteriore elemento a favore di un'origine protobizantina del complesso scultoreo viene addotto da Weigel mediante la decifrazione di un enigmatico rilievo figurativo sulla colonna C, il quale fino ad oggi è stato sempre interpretato falsamente. Secondo la nuova decifrazione non si tratterebbe qui di una rappresentazione della parafrasi delle parole del Cristo Qui sequitur me tollat crucem (Luca, IX, 23, Matteo, XVI, 24, Marco, VIII,34), come il titolo latino vuole far credere e come finora è stato generalmente ammesso, confidando nella veridicità dell'iscrizione, ma della rappresentazione dell'episodio sulla questione della riscossione dei tributi: Reddite ergo quae Caesaris sunt Caesari et quae Dei sunt Deo (Luca, XX, 22-25).
La raffigurazione dell'imperatore, che è centrale in questa scena, fornisce, insieme alle altre raffigurazioni di un sovrano sulla colonna B, dei punti di riferimento decisivi per una più precisa datazione delle colonne in questione e con esse di tutto l'insieme. Infatti le insegne del potere, le forme degli abiti così come le acconciature imperiali e certi elementi ritrattistici erano soggetti a un continuo cambiamento che, considerato insieme ad altri dettagli stilistici specifici, offre dei chiari criteri di classificazione.
Dal confronto con altri monumenti della fase di sviluppo tardoantica e protobizantina della scultura figurativa se ne deduce un'appartenenza a quel gruppo di opere dell'impero romano d'Oriente che con certezza o quanto meno con grande probabilità risalgono al regno dell'imperatore Anastasio I (491-518).
Affinità evidenti, anzi addirittura sorprendenti, con le figurazioni delle colonne del ciborio, mostrano i rilievi figurali su due frammenti di fusto di colonna conservati nel Museo archeologico di Istanbul. Essi vengono datati di recente concordemente, sulla base della grande somiglianza nell'ornamentazione a viticci, non più, come prevalentemente in passato, al V secolo, ma allo stesso periodo a cui risalgono l'allestimento scultoreo e i decori plastici della chiesa di S. Polieucto a Costantinopoli (524-527).
Weigel non esclude la possibilità che i due gruppi scultorei siano opera quanto meno della stessa bottega, se non addirittura della stessa mano, anche se quest'ultimo giudizio riguarda solo la coppia delle colonne frontali del ciborio, di ottima fattura, mentre la coppia posteriore deve essere attribuita a un maldestro aiutante del maestro principale. Questi tuttavia, diversamente da quanto pensava von der Gabelentz, potrebbe aver lavorato contemporaneamente al maestro e non soltanto più tardi.



Con ogni probabilità la bottega in questione dovrebbe aver avuto sede nella capitale imperiale, Costantinopoli. Quanto meno i frammenti di fusto di colonna con intrecci di viticci furono lì ritrovati nel XIX secolo, e precisamente nelle vicinanze di Santa Sofia. La qualità particolare della realizzazione, il prezioso materiale utilizzato, così come il ricorrere abbastanza frequente di raffigurazioni di sovrani, potrebbero essere addotti a sostegno dell'ipotesi che le colonne del ciborio, quale prodotto di una bottega di corte, forse appartenevano originariamente alla decorazione di una chiesa realizzata su commissione imperiale. Non è probabilmente un caso che, proprio per Anastasio I, Procopio tramandi la notizia che egli dotò di dieci colonne ornate di rilievi provenienti da Tessalonica la chiesa costantinopolitana di S.Platone da lui fondata e oggi non più conservata. Questo è inoltre l'unico caso tramandato di una donazione del genere.
La presenza di autentiche raffigurazioni protobizantine dell'imperatore consente inoltre di trarre la conclusione che qui non si può trattare di un'imitazione fatta nei secoli centrali del medioevo di opere dell'antichità, come il confronto con il rispettivo materiale veneziano del XII e XIII secolo ampiamente dimostra, perché lì sono sconosciute delle rappresentazioni di sovrani di epoca tardoantica con intenti storicizzanti e di correttezza antiquaria.
Ma anche a partire da motivi ideologici e giuridico-istituzionali non è possibile ammettere che un'immagine imperiale con il significato che ad essa viene ad essere attribuito dall'episodio evangelico del tributo e con la implicita esortazione a sottomettersi alla sovranità imperiale potesse essere tollerata nella cappella palatina dei Dogi e quindi nel centro del santuario di stato veneziano nell'epoca in questione. In tal senso il cambiamento dell'iscrizione dedicatoria – come nel caso paragonabile della raffigurazione del Doge nella Pala d'oro – deve essere inteso come un atto volontario nel contesto di precise trasformazioni politiche, e particolarmente in quello dell'indipendenza ormai conquistata da Venezia nei confronti dell'impero bizantino.
Dopo la dimostrazione dell'erroneità di precedenti teorie e la successiva individuazione del carattere di spoglio delle colonne, del loro rapporto reciproco, della relazione tra testo e immagine, della loro datazione e provenienza, Weigel affronta la questione, se dei dati a conferma di alcune delle tesi citate possano essere ricavati da fonti o documenti più antichi.
In questa ricerca l'Autore si è imbattuto nelle affermazioni di cronache veneziane del XVI secolo che finora non erano state prese in considerazione, in particolare nella cronaca attribuita al cardinale Daniele Barbaro, finora inedita. Da essa si ricava che Enrico Dandolo dopo la conquista di Costantinopoli nell'anno 1204 avrebbe spedito a Venezia delle preziose colonne di spoglio per la realizzazione di un ciborio in S.Marco. Weigel dimostra che questi dati, a causa di vari elementi discordanti molto probabilmente non si riferiscono alle colonne dell' Altare del Capitello nominate nel testo, ma piuttosto a quelle dell'altare maggiore.
Weigel esamina inoltre in che misura l'accusa dei chierici della chiesa dell'Anastasi a Costantinopoli, secondo la quale il patriarca latino Tommaso Morosini (1205-1211) sottrasse delle colonne di marmo dalla loro chiesa per adornare con esse l'altare di Santa Sofia (ad ornatum altaris), si possa mettere in relazione con le colonne del ciborio di S. Marco che, sulla base di motivi non solo stilistici, si possono dire provenienti da Costantinopoli. Le ricerche sulla chiesa dell'Anastasi, fondata già nel IV secolo, e in seguito abbellita anche grazie a donazioni imperiali, non giungono ad alcun risultato documentario sicuro per quanto concerne l'ornamentazione della chiesa nel periodo protobizantino, ma consentono – sulla base di un articolato complesso di indizi – di formulare almeno l'ipotesi che le colonne del ciborio di S. Marco potrebbero provenire da questa chiesa, oggi non più esistente e non ancora fatta oggetto di scavi archeologici. Essa, ancora all'epoca del sacco crociato del 1204 era una delle chiese più importanti della capitale.


Ascensione


Infine Weigel cerca di fornire una spiegazione plausibile alle domande, perchè e quando le colonne del ciborio furono ancora una volta rimosse dall'altare di Santa Sofia per essere portate a Venezia, sempre ammesso che le colonne summenzionate citate dalle fonti siano effettivamente quelle del ciborio dell'altare maggiore di S.Marco. A questo proposito è fatta oggetto particolare dell'indagine la delicata posizione del patriarca Morosini, appartenente a un'influente famiglia nobile veneziana, all'interno delle diverse potenze presenti a Costantinopoli. Tra queste sono da annoverarsi il papa e i suoi legati, l'imperatore latino di Costantinopoli e la parte franca dei cavalieri crociati e non da ultimo la Signoria di Venezia con i suoi rappresentanti diplomatici e anche il podestà della colonia veneziana sul Bosforo. Si noterà che Morosini era obbligato con un giuramento fatto alla Signoria di Venezia e per molti aspetti era ricattabile, in quanto si era impegnato sotto minaccia di pena a investire di benefici nella sede del patriarcato, Santa Sofia, esclusivamente chierici veneziani. Tra le misure minacciate in caso di trasgressione del giuramento c'era anche il pignoramento del tesoro della chiesa di Santa Sofia da parte del governo della Serenissima. Per questa chiesa c'è da notare che nella spartizione del bottino tra i crociati essa era già toccata al Doge di Venezia prima della conquista di Costantinopoli.
Pur considerando il carattere ipotetico dell'affermazione che segue, si ha tuttavia l'impressione che la Serenissima abbia preteso per sè il prezioso insieme delle spoglie come conseguenza della rottura del giuramento da parte di Morosini relativamente all'occupazione dei canonicati di Santa Sofia (una rottura che in ultima analisi fu imposta dal papa a causa del suo diritto sulle provvigioni) e dunque come compensazione della corrispondente perdita di potere, prestigio e influenza nell'impero latino sul Bosforo.
Con molta probabilità il trasporto delle colonne a Venezia è da mettere in relazione con la ristrutturazione dell'area dell'altare maggiore di S.Marco, che è individuabile in base alla data sicura del 1209, con il restauro e l'ampliamento della Pala d'oro.
In conclusione, le quattro colonne del ciborio dell'altare maggiore di S.Marco possono a ragione essere identificate come un'opera scultorea della parte orientale dell'impero romano particolarmente preziosa e di alto livello artistico, la cui datazione è da collocarsi nel secolo VI. Esse offrono addirittura per molte scene il primo esempio documentabile in assoluto, il che non è senza importanza per la controversa datazione di un apocrifo, e precisamente la versione greca del cosiddetto Vangelo di Nicodemo. Dalla datazione proposta per le colonne si ricavano anche nuovi punti di riferimento per la valutazione dell'iconografia dei cicli dalla vita di Cristo e di Maria sia nell'occidente medioevale che nell'area bizantina, tra i cui modelli potrebbero esserci state anche opere come le colonne del ciborio o i suoi possibili diretti antecedenti. Non da ultimo viene ad essere fortemente ridimensionata dalle ricerche qui condotte l'importanza della cosiddetta corrente proto-rinascimentale tra le diverse scuole scultoree che concorrevano tra loro nella Venezia della prima metà del XIII secolo.

(1) Il concilio fu convocato dall'imperatore Giustiniano II durante il suo primo regno (685-695) per elaborare canoni disciplinari di sviluppo alle decisioni del V e VI concilio ecumenico, per ciò è detto Concilio Quinisesto (quinto e sesto). E' detto anche Concilio in trullo o trullano perché si svolse nel Crisotriclinio del palazzo imperiale (il "trullo" era la cupola di questa fastosa sala di rappresentanza dove erano trattati gli affari di Stato).
Fu convocato all'insaputa della chiesa occidentale e vi parteciparono 215 vescovi orientali: il vescovo Basilio di Creta, la cui diocesi dipendeva da Roma, firmò i canoni conclusivi aggiungendovi di rappresentare il papa, non avendo però alcun mandato.
Nel canone I il concilio ribadì le condanne contro le eresie stabilite dai precedenti concilii, in particolare quelle del VI Concilio ecumenico (680-681) contro il monotelismo. Gli altri 101 canoni hanno carattere esclusivamente disciplinare e alcuni erano già stati precedentemente enunciati. Vennero trattati anche argomenti circa la venerazione delle immagini: in particolare il canone 73 richiama l'importanza della Santa Croce e della sua venerazione, il canone 82 prescrive di rappresentare Cristo in forma umana e non simbolica, come Agnello.

[Fonte]

sabato 16 febbraio 2019

Diario della preghiera di Teofane il Recluso - parte 2

Vedasi qui la prima parte, con l'introduzione e la contestualizzazione.

Mi è stato correttamente segnalato che le centurie esprimono in estrema sintesi pensieri spiritualmente molto intensi, e ciascuna di esse meriterebbe un'ampia trattazione analitica per metterne in luce tutti gl'importanti contenuti pneumatici. Si è scelto nondimeno di proporre il testo sine glossa, in modo che il lettore possa affrontare questo "diario della preghiera" proprio nel modo in cui il santo monaco lo scrisse. Alcuni aspetti più importanti potranno poi essere ripresi per delle opportune considerazioni, calandoli nel contesto attuale che ha quasi completamente dimenticato lo spirituale. Segnalo sin d'ora in particolar modo la centuria n. 81, da tenere in gran considerazione.

51) Le opere sono obblighi che non possono essere rimandati. Non si possono tralasciare, sono preziose. Su di esse bisogna, quindi, fondare la salvezza dell'anima. Ma questa non proviene da queste in quanto tali, è opera della grazia di Dio, della grazia che ci salva e della grazia che ci dà la forza di salvarsi.

52) Com'è una casa morta? È deserta, ammuffita, incomoda. Così è l'anima impenitente, che non conosce il timore di Dio.

53) Dio che ha creato il mondo, lo conserva e lo conduce all'ultimo fine. Ogni creatura è come un suo strumento. Le creature senza ragione sono strumenti pacifici, ma le creature libere resistono, rallentano il progresso del mondo verso la line. Ma siccome senza la loro debita collaborazione il fine non può essere raggiunto, allora tutta l'economia della salvezza divina si concentra sullo sforzo di mettere e tenere sul debito cammino le creature ragionevoli. Nel fondamento di questa cura sta l'economia incarnata. È ciò che disse Gesù: il mio Padre opera sempre e anch’io opero.

54) Il nemico fa dell'anima dell'impenitente un fosso di scarico dove egli getta ogni straccio.

55) Hai visto qualche volta un uomo circondato da un branco di cani? Quell'uomo disgraziato cerca di difendere se stesso e ciò che ha tra le mani. Ma soltanto se gli corre in aiuto qualcuno più forte, il branco viene scacciato. Lo stesso accade con quelli che si sono convertiti e camminano sulla retta strada. Il nemico talvolta incita contro di essi un branco di passioni che sono come cani staccati dalla catena e l'una dopo l'altra cominciano a lacerarlo. Allora solo l'aiuto dall'alto scaccia quel branco.

56) Quando osserviamo dentro di noi le tracce delle passioni e, nonostante ciò, non operiamo ciò che ci spingono a fare, non dobbiamo avere una buona opinione di noi stessi. Non realizziamo opere perché, forse, non troviamo l'occasione per eseguirle. Appena si presenta l'occasione, ti manifesterai più eccitabile di un turco, più cattivo di un bascibuzuco [1], più avaro di un ebreo.

57) All'inizio le opere di penitenza, anche se sono grandi, sembrano senza valore; ma più tardi, quando la coscienza si appaga con esse, possono apparire di grande valore. Bisogna arrivare a questa disposizione.

58) Il perdono sacramentale dei peccati avviene subito dopo la confessione, dopo l'assoluzione sacerdotale. Ma il perdono delle conseguenze che i peccati hanno lasciato nella natura avviene solo dopo le fatiche della penitenza. I defunti, che non sono riusciti ad arrivarci in questa vita, lo raggiungeranno nell'al di là, per mezzo delle preghiere della Chiesa.

59) Non è di buon senso lo spirito di un desiderio malinconico e di inquietudine che, dal basso, s'impossessa del cuore e lo tenta. Bisogna liberarsene. Questo desiderio è indeterminato; la buona tristezza ha sempre come oggetto determinato i propri peccati e la propria indegnità.

60) Può accadere che la liturgia sia esteriormente ben ordinata, ma interiormente disordinata. Tale può essere anche lo stato di colui che la celebra: esternamente si comporta come si deve, ma internamente è come diviso.

61) Sembra che sarebbe meglio chiamare la vita spirituale vita interiore. E' più comprensibile, più raggiungibile, più preciso.

62) Non è peccato solo quello che chiamiamo carnale, ma ogni soddisfazione della carne, nel mangiare, nel bere, nel riposo, nella posizione del corpo, quando con questo si interrompe l'attività spirituale o s'indebolisce la forza della sua azione.

63) Non accedere alla preghiera con qualche preoccupazione, altrimenti la tua preghiera non sarà preghiera. Ognuno cerchi, per se stesso, l'arte di liberarsi delle preoccupazioni per mezzo della preghiera. Per mezzo della preoccupazione il nemico getta l'anima di qua e di là come il frumento nel passino.

64) L’anima senza preoccupazione è pronta alla preghiera e per il Signore. Con essa la preghiera non è completa e dopo la preghiera la preoccupazione torna integralmente.

65) Il furto spirituale appare in diversi modi e può essere causa dell'allontanamento della grazia ma è anche educativo. Da ciò proviene sterilità, dimenticanza, oscuramento, perdita dell'energia. Il mezzo che si deve usare contro questo difetto è quello di ricevere tutto come proveniente dalla mano di Dio, con riconoscenza, come dono; e poi offrendo se stessi a Dio, sperando tutto dall'alto.

66) I buoni pensieri che, all'improvviso, vengono a visitare l'anima, vengono dal Signore o dall'angelo custode. Mettono ordine in tutto ciò che abbiamo dentro, illuminano ciò che è dentro e fuori e creano un atteggiamento liturgico. I pensieri provenienti dal nemico, anche se non sono, in se stessi, cattivi, producono turbamento e oscuramento, accompagnati da compiacimento di sé; se poi sono cattivi portano con sé la tempesta degli impulsi passionali, più o meno forti e disturbanti.

67) La vita interiore, sia giusta sia sbagliata, ha le sue regole e le sue leggi, i suoi meriti e le sue punizioni, che non corrispondono a quelle esterne, ma vanno secondo un proprio ordine. L'atteggiamento esteriore è tutt'altra cosa da quello interiore.

68) Dopo la penitenza e la pratica della purificazione l'anima dà tempo al tempo e ricorda tutti i peccati della vita e li giudica. Questo giudizio è diverso dal precedente e dà molta pace. Ma il nemico talvolta si associa nel farci ricordare alcune opere che non sono buone secondo il giudizio umano, opere irragionevoli e superficiali, e non ci fa interessare di quelle con le quali Dio è stato offeso. Il giudizio della coscienza, si può dire, è benefico, vivifica la penitenza e la contrizione unitamente alla speranza, è aperto alla misericordia; il giudizio del nemico, invece, porta con sé un desiderio disperato e pesante.

69) Da che cosa l'anima si sente vuota? Perché ha abbandonato il Consolatore delle anime attraverso qualche sua colpa o anche per qualche indottrinamento. Può trattarsi anche di una certa pausa, l'inattività di tutte le forze, le quali, dato che appartengono alla realtà creata, non posso­no essere continuamente tese senza rilassamento e riposo.

70) Ecco gli stadi dell'allontanamento dall'unico necessario: 1) l'attaccamento a qualche opera, all'imparare qualche cosa, al fare qualche cosa di manuale o artistico, ma con qualche preoccupazione; 2) dopo viene la pigrizia nelle opere per la salvezza, nelle preghiere, nella vigilanza, nel digiuno, eccetera; 3) da ciò deriva un indebolimento dell'attenzione a se stesso e l'interna struttura si scompone; ciò dà al nemico l'accesso per seminare cattivi pensieri e suscitare movimenti passionali; 4) l'inclinazione non è più lontana dalla passione e, alla fine, dal peccato.

71) Bisogna mescolare dentro di noi due sentimenti: quello di sentirsi un uomo perduto e quello di sentirsi uomo salvato.

72) Vi sono due modi per purificare il cuore: la pratica e la contemplazione. Si cominciano a praticare insieme; in colui che cammina rettamente vanno di pari passo ma, al principio, la pratica precede; in seguito viene vivificata dalla contemplazione che, alla fine, la sostituisce del tutto.

73) Nel periodo della purificazione Dio non solo ammette avversità e altre miserie, ma le consente come mezzi adatti alla stessa purificazione. Queste sono molto feconde, perché in seguito viene data all'anima anche una forza speciale per sopportarle. Un inesperto può sbagliare in ogni caso. Presta attenzione a questo!

74) Inizialmente le leggi e la voce della coscienza mostrano ciò che in noi è distorto, più tardi ciò ci viene mostrato dalla pacifica disposizione del cuore e, alla fine, l'occhio di Dio nel cuore.

75) Nell'economia della salvezza è fondamentale immergersi il più possibile nel profondo del cuore; e, alla base di questo vi deve essere qualche sentimento irremovibile: sentirsi cieco, nudo, lebbroso, debole.

76) Dio organizza gli incontri con gli uomini affinché noi comunichiamo l'uno all'altro i beni ricevuti da Lui e ci arricchiamo a vicenda. Il nemico ci spia e in tutti i modi si sforza di realizzare degli incontri inutili e anche nocivi. Capiscilo!

77) Il nemico, per tentarci, si uniforma al carattere degli uomini: con gli intellettuali agisce in un modo, con gli emotivi in modo diverso. E non suggerisce sempre una cosa cattiva, è contento quando riesce a occupare l'attenzione con delle sciocchezze. Gli importa solo di far distrarre l'attenzione dallo scopo principale, dall'unico necessario, facendo perdere tempo; tutto ciò è vantaggioso per lui.

78) Nel nostro intimo la concentrazione dei pensieri su quello che è lo scopo principale differisce secondo i diversi tempi, ma l'atteggiamento essenziale deve restare inamovibile, cioè: io sono peccatore, degno della condanna e della pena, ma rimango nella speranza della salvezza a causa della morte in croce del Signore Salvatore.

79) Quando hai iniziato la fatica della penitenza e non vedi successo, non scoraggiarti, ma cerca, sperando nelle promesse di Dio. Ti sei allontanato da una riva, e ancora non vedi l'altra per niente. Lavora più fortemente con i remi (con i mezzi della penitenza e dell'ascesi) e la riva apparirà. È già sufficiente accontentarsi con un solo aiuto sicuro - esso viene con l'apparizione della seconda riva. Ivi non avrà più posto la preoccupazione per l'esito della fatica, se non nel caso in cui diventi pigro. Ma chi potrebbe averne colpa, se non tu stesso?

80) Costruisci, presso la porta del tuo cuore, una sbarra e mettici una guardia severa. A chiunque viene - pensiero, sentimento, desiderio - chiedi: sei dei nostri o un estraneo? Scaccia gli estranei senza pietà e sii implacabile.

81) L'uomo psichico fa ciò che è piacevole, utile, necessario; ma l'uomo spirituale pneumatico si concentra su quello che è il suo dovere, sulla virtù, su ciò che piace a Dio. Anche nella vita spirituale vi sono cose piacevoli, utili e necessarie per l'anima, ma in questo caso esse sono sottomesse alle leggi della vita, nello spirito in Cristo Gesù.

82) La giustizia esteriore, senza essere giustificata internamente, sembra guarire le piaghe, ma resta l'infermità, dalla quale le piaghe scaturiscono; è come se la casa rimanesse putrescente, sporca, brutta.

83) Dio Padre, con la sua benevolenza, chiama noi peccatori presso il suo Figlio Unigenito, per mezzo della grazia dello Spirito santo. Il Figlio di Dio lava con il suo sangue e lo Spirito santo colui che ha accettato questa chiamata, lo rigenera, lo veste in Cristo. Allora il Padre lo accetta nella sua vera e viva benevolenza, nel suo abbraccio.

84) La santa Chiesa sulla terra è come una fabbrica di mattoni. Il tempio di Dio, in modo definitivo, si costruisce nel ciclo, ma i mattoni e il resto vengono preparati sulla terra. L'argilla viene impastata, battuta, pestata, ma tace; così diviene mattone, adatto all'edificio. Cerca di applicare questa similitudine alla tua vita spirituale e apparirai adatto per il celeste tempio di Dio.

85) Quando un sacco, pieno d'acqua, viene stretto, l'acqua comincia a spingersi verso l'alto come da una fontana, fino a quando non trova o realizza una apertura. Stringi te stesso nel tempo della preghiera con il timore del giudizio e il tuo grido si alzerà dal cuore verso l'alto, come in una fontana, chiedendo misericordia.

86) Dio realizza la sua opera nel mondo. Tutte le forze celesti sono attente, sii attento anche tu. Tutto è un mezzo, il fine lo sa solo Dio. Tutto passa, solo Dio veramente esiste. Rimani con Lui. Egli è presente ovunque, con la sua sostanza e non soltanto con la sua scienza. Guardati dall'essere dannato come uno che si manifesta malizioso e pigro davanti al volto dell'imperatore.

87) Durante il battesimo dei bambini si fa obbligo ai padrini di fare ciò che i bambini stessi non sono ancora capaci di eseguire. Analogamente per quei morti che sono passati nell'altra vita prima ancora di aver iniziato la vera vita, non conducendola al termine; ciò che essi non hanno potuto eseguire viene svolto, per essi, dalla comunità dei fedeli fino a quando si purificano e diventano maturi. Dopo di ciò essi daranno la ricompensa ai fedeli con la loro preghiera. Questa è la circolazione delle forze in Cristo Gesù, nostro Signore.

88) Nel mondo interiore, dietro il velo, nessuno entra con opere esteriori; solo il Signore Salvatore vi è entrato. Ma vi entrano anche i cristiani, vi entrano con la mente, con il sentimento, con la contemplazione. E' uno stato, non un movimento, è frutto di tutta la struttura. Il velo significa che il Signore è invisibile.

89) Qualcuno ha detto che si può ritenere che nelle grandi festività, cioè nella luminosa risurrezione di Cristo, nella natività di Cristo, nella Pentecoste e nelle altre feste, oltre che nelle domeniche e nei giorni del ricordo per i defunti, a questi ultimi, nel periodo della purificazione [2], è data licenza di essere presenti là dove vivevano prima, specialmente presso coloro che pregano per loro; nel sogno rivelano loro il proprio stato chiedendo le preghiere e la consolazione.


90) Come si può contemplare Dio nel cuore senza diminuire la sua grandezza? Tieni a mente che egli rimane del tutto nascosto e non dare alcuna forma alla sua presenza.

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[1] I bashi-buzuki (lett. in turco "teste matte") erano la soldataglia irregolare dell'esercito ottomano, nota per la sua ferocia.
[2] Questa è una delle molteplici testimonianze che si potranno trovare, tanto nei testi liturgici che in quelli spirituali della tradizione bizantina, della purgazione delle anime defunte prima di giungere in Paradiso, concetto del tutto affine a quello latino di loci purgatorii giusta la definizione dommatica del 1439 (Concilio di Ferrara-Firenze). Contrariamente a quanto comunemente si pensa, infatti, anche la tradizione orientale conosce tale principio, discendente direttamente dalla Chiesa antica (e che del resto giustifica la pratica di preghiere in suffragio per i defunti), seppur lo concepisca in un modo diverso rispetto alla teologia scolastica (purgatorio come terzo regno, distinto e fisico). Questo aspetto meriterebbe ovviamente una trattazione approfondita.

Laicismo&Clericalismo. Gemelli diversi, ma non troppo – di Alessandro Gnocchi

Alcuni lettori mi hanno chiesto di tornare su due temi trattati in passato e strettamente legati tra loro: laicismo e clericalismo. Così strettamente legati che si potrebbe scrivere Laicismo&Clericalismo, gemelli diversi, ma non troppo. Dunque, mi ripeto, ma su gentile richiesta.

Il concetto da cui partire è quello di laicità, invenzione prettamente anticristiana che solo dei cattolici senza midollo possono prendere per buono mettendosi al riparo della tranquillizzante reminiscenza che il termine laico appartiene in origine al linguaggio della Chiesa e indica la persona non consacrata. Ma questa derivazione linguistica è fasulla e non riguarda la sostanza, in quanto il laico inteso come non consacrato appartiene alla cristianità, mentre il laico comparso nell’epoca moderna appartiene alla laicità. Il laico che taglia teste cristiane in nome della libertà non ha ascendenza alcuna nel laico chiamato così per distinguerlo dal consacrato: è colui che pone nella società un ordine diverso da quello voluto da Dio.

L’idea di un laicismo che sarebbe la fase estrema e maligna di un concetto sano come la laicità è una delle tante facce dell’inganno in cui sono caduti i cattolici. Cosicché diventa praticamente impossibile opporre argomentazioni serie ai due cavalli di battaglia che sono stati utilizzati dal mondo laico per aggredire il concetto di Regalità sociale di Nostro Signore. Il primo sta nell’idea che lo stesso Gesù Cristo avrebbe sancito la separazione tra Chiesa e Stato affermando: “Date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio”. Il secondo sostiene che la laicità e poi il laicismo sarebbero nati per sostenere le ragioni della libertà in contrapposizione al clericalismo.

Rispondere al primo dei due cardini della laicità è molto semplice. Cesare è un uomo e quindi deve a Dio quel che gli devono tutti gli altri uomini. Anzi, deve a Dio più di quanto gli debbano gli altri, perché ha una grande responsabilità sul destino eterno dei cittadini. San Tommaso, nel De regimine principum scrive: “Il fine della vita onesta che qui viviamo è la beatitudine celeste. Perciò rientra nei compiti del re curare la vita onesta della moltitudine, perché concorre al conseguimento della beatitudine celeste, comandando le cose che portano alla beatitudine celeste e proibendo, per quanto è possibile, quelle che le sono contrarie. Quale sia poi la via alla vera beatitudine e quali siano le cose che la ostacolano si conosce dalla Legge divina, il cui insegnamento rientra nel compito dei sacerdoti, secondo quanto dice Malachia”.

Se il primo argomento utilizzato dai laici è falso sul piano dottrinale, il secondo è falso sul piano storico. Si dice che la laicità e poi il laicismo sarebbero nati in contrapposizione al clericalismo per difendere le ragioni della libertà. In realtà, è vero il contrario. Dalla fine del XIII secolo, nella storia europea è iniziato un singolare fenomeno. I laici, questa volta nel senso di non consacrati appartenenti alla cristianità, hanno progressivamente demandato al clero il dovere di essere religioso anche per conto loro. Poco alla volta, i principi e poi la gente comune si sono allontanati dalla necessità di improntare alla fede ogni istante della loro vita pubblica e privata. Ma, demandando a un ceto preposto il dovere di essere religioso per proprio conto, si sancisce il fatto di essere completamente laici, non più nel senso di non consacrati. Si è passata la linea oltre la quale il termine laico muta radicalmente natura e indica un concetto opposto a quello precedente. Il laico non è più il non consacrato che vive secondo religione, ma diviene colui che non ha più niente a che fare con la dimensione religiosa e ripudia la fede come criterio fondante della sua vita, dapprima solo pubblica e poi, inesorabilmente, anche privata: è nata la laicità.

A sua volta, il clero che assume imprudentemente il compito assegnatogli dall’uomo laicizzato, diventa, perdoni il gioco di parole, un clero clericale. Inizialmente applica arbitrari atti di imperio nel campo religioso, ma poi finisce per farlo anche nel campo civile. Questa è effettivamente ingerenza. Ma non è l’ingerenza della Chiesa, non è l’ingerenza della religione: è l’ingerenza di un clero clericalizzato inventato dalla laicità. Questo è tanto vero che il laico è ben contento di avere davanti a sé un clericale, invece che un cattolico. Perché quest’ultimo tornerà sempre all’unica regola del suo agire in campo civile: la Regalità sociale di Nostro Signore, cioè il dovere di fare in modo che Cristo regni sempre e il più possibile su questa terra. Se il cattolico rinuncia senza problemi ai suoi interessi economici e politici per salvare i principj, il clericale rinuncia senza problemi ai principj per salvare gli interessi economici e politici. Un partitino che usurpa il simbolo della Croce e l’otto per mille, valgono bene una Messa.

Romano Amerio, nel suo Iota Unum, parlando del Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica, firmato nel 1984, riporta l’articolo 1 del protocollo addizionale: “Si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato nei Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”. E poi commenta così: “Questo dispositivo del nuovo patto implica l’abbandono del principio cattolico secondo il quale l’obbligazione religiosa dell’uomo oltrepassa l’ambito individuale e investe la comunità civile. Questa deve come tale avere un riguardo positivo verso la destinazione ultima dell’umana convivenza a uno stato di vita trascendente. Il riconoscimento del nume è un dovere non puramente individuale, ma sociale. Oggi la Chiesa chiama laicità quello che ieri chiamava laicismo”.

Mi pare che non si possa fotografare in modo più impietoso il dramma in atto. Oppure si pensi, per esempio, a un mondo cattolico che, dopo aver combattuto contro la legge sull’aborto, oggi la difende sostenendo che è la migliore del mondo, ma, purtroppo, non viene applicata integralmente. Una metamorfosi prodottasi in soli trent’anni.

Altro esempio veramente clamoroso è stata la cosiddetta vittoria al referendum sulla fecondazione assistita. Il fatto che nella consultazione popolare non sia stato raggiunto il quorum è stato salutato come un successo del mondo cattolico e del genio del cardinale Ruini. Ma nessuno ha avuto il coraggio e l’onestà di dire che quel referendum non passò semplicemente perché nessuno è andato a votare e la maggior parte degli astenuti era composta da gente più interessata al weekend che alla difesa della legge naturale. Senza contare che si fece passare truffaldinamente per cattolica una normativa che alla prova dei principj e dei fatti non lo è.

Il problema di fondo non è una questione di strategia, di impegno o di attivismo: è la fiacchezza della fede. Sempre e solo grazie al vigore della fede i cristiani hanno avuto intelligenza e coraggio per ridurre alla ragione gli avversari di Cristo. Penso sempre con ammirazione e devozione all’esempio di Sant’Antonio Abate, che, come racconta Sant’Atanasio, tenne testa ai ragionamenti dei filosofi greci opponendo la fede in Cristo: “I filosofi greci si giravano da una parte all’altra imbarazzati. Allora, Antonio sorrise e disse di nuovo tramite l’interprete: ‘Si vede a prima vista che tali dottrine hanno in se stesse la loro condanna, ma poiché voi vi fondate soprattutto su dei ragionamenti e siete esperti in quest’arte e volete che anche noi non adoriamo Dio prima di aver dimostrato con discorsi la nostra fede, diteci anzitutto: in che modo avviene la conoscenza della realtà e in particolare quella di Dio, mediante dimostrazioni verbali o mediante l’operare della fede? E che cosa è più antico, la fede operante o la dimostrazione per argomenti?’.

Quelli risposero che era più antica la fede operante e che in essa consisteva la vera conoscenza; Antonio allora disse: ‘Avete detto bene, perché la fede nasce da una disposizione dell’anima, la dialettica, invece, dall’arte di chi l’ha composta. Per quelli che possiedono la fede operante, dunque, non è necessaria ed è forse superflua la dimostrazione per argomenti. Quello che noi comprendiamo per fede, voi cercate di dimostrarlo a parole e spesso non riuscite nemmeno a esprimere quello che noi comprendiamo. E così è migliore e più sicura la fede operante che non i vostri ragionamenti sofistici. Noi cristiani non abbiamo ricevuto il mistero tramite la sapienza dei discorsi greci, ma nella potenza della fede che ci viene data da Dio in Gesù Cristo. Ed ecco la prova della verità di quel che diciamo: noi non abbiamo appreso le lettere, eppure crediamo in Dio e riconosciamo per mezzo delle sue opere la Provvidenza universale. La nostra fede è efficace e ne è la prova il fatto che noi facciamo assegnamento sulla fede in Cristo, voi, invece, su discussioni filosofiche sofistiche. L’illusione dei vostri idoli crolla, la nostra fede invece si diffonde ovunque.  Con i vostri ragionamenti e i vostri sofismi non convincete nessun cristiano a passare dal cristianesimo al paganesimo, mentre noi, insegnando la fede in Cristo, indeboliamo la vostra superstizione perché tutti riconoscono che Cristo è Dio e figlio di Dio. Voi con la vostra eloquenza non riuscite a ostacolare l’insegnamento del Cristo; noi, invocando il nome di Cristo crocifisso, mettiamo in fuga tutti i demoni che voi temete come dei. E là dove si fa il segno della croce la magia perde ogni forza e i sortilegi non hanno più efficacia”.

Un integralista? Un massimalista? Un pazzo? Cos’altro potrebbe dire un cristianuccio di oggi di un gigante simile? Eppure sono questi integralisti, questi massimalisti, questi pazzi che fanno bene al mondo. Non quelli che ci vanno a letto insieme, financo nelle stanze di Santa Marta.

[fonte]

mercoledì 13 febbraio 2019

Diario della preghiera di Teofane il Recluso - parte 1

Teofane il Recluso, al secolo Georgij Vasilievič Govorov (1815-1894), fu un insigne monaco ed esicasta russo: nel 1866, dopo un'intensa attività di docente di teologia e ambasciatore, si ritirò nella vita solitaria in una cella nel monastero di Vjša, dalla quale non uscì mai dal 1872 fino alla morte. Autore di numerose opere spirituali, molte delle quali volte all'educazione dei giovani alla fede, si ricorda la sua traduzione in russo moderno della versione slavonica della Filocalia. 

Il testo che segue fa parte delle "Lettere" del santo monaco, essendo uno scritto inviato a un figlio spirituale per dargli un esempio di come dovrebbe scrivere il suo diario della vita spirituale. L'autore è Teofane stesso anche se usa la figura retorica di "un uomo". Sotto forma di annotazioni di diario della preghiera, Teofane imitando lo stile delle Centurie dei Padri della Filocalia offre un efficace compendio di teologia mistica. In 162 piccoli paragrafi, ripercorre le tematiche principali della vita spirituale: esortazione al combattimento spirituale, alla purificazione, al ricordo costante di Dio, indicazioni per il discernimento degli spiriti, eccetera. Le immagini sono particolarmente significative: il cuore come una spugna, le passioni come l'umidità sulla legna che le impedisce di accendersi all'amore di Dio.

Vi ho Scritto parecchie volte di annotare su un quaderno speciale i pensieri che vi vengono durante la preghiera o anche al di fuori di essa; tali pensieri sono brevi, vengono ma non se ne allontanano presto, occupano la mente e il cuore e con la loro immagine fanno bene all'anima. Per Stimolarvi a questa diligente occupazione e per darvi un esempio, vi invio un quaderno nel quale, a suo tempo, un uomo scriveva simili pensieri. Guardate come si fa e fate altrettanto!


Vi ho Scritto parecchie volte di annotare su un quaderno speciale i pensieri che vi vengono durante la preghiera o anche al di fuori di essa; tali pensieri sono brevi, vengono ma non se ne allontanano presto, occupano la mente e il cuore e con la loro immagine fanno bene all'anima. Per Stimolarvi a questa diligente occupazione e per darvi un esempio, vi invio un quaderno nel quale, a suo tempo, un uomo scriveva simili pensieri. Guardate come si fa e fate altrettanto!

1) Il cuore è come una spugna, piena di diversi liquidi. Spremiamola, e il liquido uscirà. Stiamo attenti al cuore; le stimolanti impressioni e le situazioni della vita corrente che escono dal cuore sono buone o cattive: dipende da ciò che conserva quella parte del cuore alla quale prestiamo attenzione. Osservalo. Questo può condurre alla buona conoscenza di te stesso.

 2) A volte accade che qualcuno, dove capita, venga allontanato da tutti. Ciò è immagine della coscienza colpevole; quando essa si rivolge a Dio scopre che egli avverte il suo volto; va allora dagli Angeli e dai santi, ma anch'essi non vogliono vederlo; si rivolge agli uomini con i quali vive e anche questi sembrano comportarsi con dispetto verso di lui; si rivolge a se stesso e non trova niente che possa consolarlo. Accade già così come accadrà, poi, nell’al di là? Tienilo spesso presente nella mente.

 3) Hai esaminato il caso di una speranza fallita? Guai, come è desolante! L'hanno sperimentato le vergini stolte. Speravano di incontrare lo sposo e non vi sono riuscite. Questo, in sé, non sarebbe così pesante. potrebbero consolarsi con la speranza di vederlo in qualche modo. Ma il guaio sta nel fatto che lo stesso Sposo le ha ripudiate per sempre. Queste vergini non erano peccaminose ma mancava loro qualche cosa di molto necessario. Che cosa? Dobbiamo pensarci ora, quando c'è ancora tempo per rimettere in ordine ciò che manca, per non avere noi stessi una tale esperienza.

 4) Accade, a volte, che a scuola, durante gli esami, si suppone che qualcuno conosca bene una certa materia, ma quando viene interrogato non pronuncia neppure una parola, si realizza il "nulla" del vuoto. Sta attento a che non ti succeda una cosa simile quando ti chiameranno a quell'esame che non può essere ripetuto. Qui la cosa è ancora riparabile, ma là non sarà più possibile la riparazione.

 5) Incombe la miseria della dannazione? Sì, perché anche Satana è dannato. Quindi neanche tu puoi supporre di avere il privilegio della non  dannazione se ti sei caricato con il peso dei peccati. Allora che cosa c'è da fare? Bisogna correggersi, chiedere misericordia senza posa, similmente alla vedova davanti al giudice.

 6)  Guardando i peccati, senti la testa bruciare, il corpo gonfio, livido, pieno di cattivo odore e, intorno a te, tenebre profondissime.

 7) Il Signore è sulla croce. Mettiti davanti a lui e, riflettendo, pensa con quale sguardo si rivolgerebbe a te il Signore dalla croce. Rimani il più a lungo possibile in questa posizione e la tua coscienza ti dirà ciò che devi capire.

 8) Fu detto dell'antico Israele: È divenuto pingue, largo, "ma ha dimenticato il Signore".  Lo stesso vale anche per i figli del nuovo Israele, quando essi, contenti di ciò che possiedono, vivono nell'incuria e nella negligenza nel soddisfare il Signore; sono sazi e riposano.

9) Dio si trova, per te, a seconda di dove tu riponi la tua speranza. e allora Se sono le ricchezze, allora le ricchezze sono il tuo Dio. Se desideri il potere, allora il potere è tuo Dio.  Se speri in un'altra cosa, questa è per te Dio. Se il vero Dio vuole convertire qualcuno a se stesso, distrugge prima i falsi dèi, facendo in modo che si capisca che non si può sperare in essi. Allora convertiti presto e sinceramente a Dio!

10) Nella vita naturale accade così: il servitore ritenuto colpevole dopo essere stato scacciato, viene accolto di nuovo a condizione che confessi  la sua colpa e prometta di comportarsi bene. Lo accettano anche la seconda volta, commossi dalle sue preghiere e dalle promesse. Lo accettano anche per la terza e quarta volta e, in seguito, fin quando non si esaurisce la pazienza e la benevolenza. Ma se lui ricade sempre nelle stesse colpe, essi alla fine gli diranno: Va' via e non darti arie, non possiamo più crederti! Non potrebbe accadere lo stesso con un peccatore, che cade molte volte negli stessi peccati, ma non smette di ricaderci? Rifletti su tale figura di uomo che è colpevole di tante ricadute!

 11) Accade che a qualcuno viene affidata l'amministrazione dei beni. Egli si sente superiore, progetta diversi piani, li scambia l'uno con l'altro, non cura gli interessi della proprietà, ma agisce secondo la propria fantasia; fatica molto, ma non si può parlare con lui e i beni sono presto dissipati. Lo stesso succede nella vita morale quando uno soffre di fantasticherie mentali; egli non è povero, fa delle opere, ma non si può ragionare con lui; tutto ciò che fa non è finalizzato, è come pula nel vento.

12) Dove arrivò colui che non aveva la veste nuziale? Già si era seduto a tavola, ma come è finito? Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre. Su questo riflettano spesso quelli che credono di essere importanti.

13) Qualche opera, fatta bene manualmente, viene lodata da tutti. Ma un buon conoscitore vi getta lo sguardo e subito scopre che è falsa, per colpa dell'errore o dell'ignoranza o anche fatto appositamente. Lo stesso succede nella vita morale: alcune azioni appaiono molto buone e lodevoli, altre vengono stimate persino sante. Ma un buon conoscitore subito analizza l'opera e da poche sue parole riconosce la persona.

14) Ricordati da dove sei caduto! È un avvertimento che si sente nella coscienza di chi ha cominciato l'opera della sua salvezza ma è progredito poco; si è lasciato distrarre ed è ritornato a ciò che faceva in precedenza o, ancora, a cose peggiori. Quanto è amaro questo!

15) Qualcuno che ritorna sul cammino della penitenza, comincia a soffrire in se stesso: gli sembra che tutto cada dalle sue mani perché le sue forze sono indebolite e viene ostacolato dalle precedenti abitudini. Allora spontaneamente sospira: «Tu che tieni la bilancia del giudizio, Signore, salvami! »

16) Che cosa è lo spirito, se viene posto sotto il dominio dell'anima e del corpo? E cosa sono l'anima e il corpo se si trovano sotto il dominio dello spirito? Lo può giudicare ognuno dalla propria esperienza. Il passaggio dalla sfera della carne a quella dello spirito ci viene mostrato da santa Pelagia, santa Maria Egiziaca, santa Taisia, san Mosè Mauro, san Davide, e da tanti altri. [1]

17) Sotto l'influsso dell'economia dell'incarnazione del Signore Gesù Cristo stiamo realizzando un'opera di estrema importanza nel mondo, nell'umanità e in ogni uomo particolare. Per partecipare a questa disposizione siamo condotti anche noi dalla onnipotente mano di Dio. Perciò non è lecito prendere alla leggera non soltanto la vita stessa, ma neanche ogni singola azione, quando ricordiamo dove questa deve tendere. Del tempo non dobbiamo perdere invano neppure un solo minuto. Come nelle piante, così nel corpo animale non passa neppure un momento che non si verifichi ciò che è necessario per la vita in generale e per ognuna delle sue parti. In loro succede senza conoscenza e senza libera volontà, ma la creatura razionale deve fare lo stesso nell'ordine morale e religioso in modo indipendente, consapevole e libero.

18) L'uomo che lavora con l'anima, sia come esperto in qualche materia sia come artista, spesso sacrifica per le sue opere tutto ciò che è divino, in particolare la preghiera, il pensiero a Dio, le opere di devozione. Tu, al contrario, colloca allora la speranza nell'opera del Signore e nelle tue forze.

19) Dato che ogni peccato viene giudicato, il peccatore dovrebbe sentirsi come si sente un condannato, come uno contro il quale è stato pronunciato il verdetto di morte e gli rimangono solo pochi minuti prima dell'esecuzione, prima che si aprano le porte ed entrino i giustizieri.

20) L'azione della grazia dello Spirito santo precede il perdono dei peccati e la purificazione del cuore dalle passioni. Il perdono e la purificazione precedono l'odio per tutto ciò che è peccaminoso e questo odio è preceduto dal sentimento di condanna del rigetto da Dio. Quest'ultimo si manifesta quando si sveglia la coscienza e, sotto l'influsso del timore di Dio, l'uomo comincia a riflettere su tutte le sue iniquità e le irregolarità della sua vita. La cosa principale è il risveglio del timore di Dio. Tali sono gli elementi del progresso nello spirito. Essi sono vivificati dall'influsso della grazia.

21) Il patriarca Giacobbe lavorò sette anni per ottenere Lia e sette anni per Rachele.  Lia è immagine della vita pratica, Rachele della vita contemplativa. L'una e l'altra si raggiungono con fatica.

22) L'uomo al quale viene mostrata mancanza di rispetto e freddezza diviene scontento e irritato. E Dio? Rimane presente dovunque, anche se da parte nostra non possiamo gloriarci di una continua attenzione verso di lui e di una calda relazione con lui da parte del nostro cuore.

23) A chi si trova al proprio posto, la vita si presenta come stabile ed egli è contento. Ma se accade che perde il suo posto, si trova completamente nei guai. Esiste il proprio posto anche nella vita spirituale. Chi vi rimane è contento interiormente, ma chi lo abbandona comincia a sentire subito delle sofferenze interiori, più terribili e dannose di qualsiasi disgrazia esterna.

24) Chi si comporta come deve, colui che si sforza e non si risparmia, è attento a se stesso e alimenta nel cuore sentimenti religiosi. Appena comincia a risparmiarsi dalle fatiche della vita devota viene come conseguenza un turbamento nei pensieri e una freddezza del cuore. Se non arresta il cammino su questa strada, cadrà presto nell'iniquità e nell'incuria, nell'insensibilità e nella dissipazione. Lo stato di paralisi di un'anima è un avviamento alla morte della stessa.

25) Esistono anche pene spirituali provenienti da Dio: vengono tolti i sentimenti spirituali. Ciò accade quando il cuore prova gusto per qualche passione, pur avendo la possibilità di evitarla. Allora diviene incapace di ricevere sentimenti spirituali; rimane così fino a quando non corregge ogni attaccamento al suo desiderio passionale.

26) È un sentimento che si chiama "possesso del mondo": l'uomo dimentica se stesso, comincia a spostare tutto nel mondo e a riorganizzare, secondo la propria opinione, le cose, le persone, le situazioni. Il nemico lo mette sul trono e lo trasfigura nella scimmia del governatore del mondo. Si può immaginare una cosa più ridicola di questa follia?

27) Nel tempo della preghiera il nemico suggerisce alla nostra mente alcune opere come se fossero estremamente necessarie, ma, in seguito, ci convince a lasciare anche queste e ad andare chissà dove. Bisogna, quindi, avere una stabile convinzione del cuore nella risoluzione di dare la precedenza a Dio, o almeno alla preghiera, davanti a tutte le altre cose. A lui deve appartenere ogni tempo, ma bisogna consacrargli totalmente almeno il breve tempo della preghiera. E anche questo è poco. Cerchiamo di arrivare a camminare costantemente davanti a Dio, con timore e con devozione. Egli infatti è dovunque nella sua grandezza.

28) L'unzione delle porte con il sangue dell'agnello pasquale è un simbolo anche per noi. Che cosa significa? Significa la sacramentale unzione delle nostre anime con il sangue del Signore Salvatore nel santo battesimo. Bisogna pregare, affinché quel sangue penetri ovunque in noi e con esso sia segnato tutto nello spirito, nell'anima, nel corpo. Ci proteggerà davanti al giudizio che dovrà decidere sulla nostra vita o morte eterna.

29) La preghiera può essere mentale, ossia intellettuale, o del cuore, preghiera del sentimento. La prima non riesce mai a essere pura e indisturbata. Soltanto il sentimento può procurare alla preghiera queste proprietà, e ciò accade quando il cuore è pienamente compenetrato con qualche sentimento religioso. Si tratta di un dono di Dio, ma anche noi dobbiamo preoccuparci di introdurre nel cuore tali sentimenti, specialmente prima di pregare. La preghiera, poi, riscalderà questo sentimento consentendo, così, di procedere giustamente.

30) Per progredire nella penitenza si comincia con il doloroso pentimento di aver offeso Dio con i nostri peccati. Segue la decisione di non peccare per il futuro; ciò è più importante del semplice pentirsi del fatto che ci distruggiamo con i peccati; anche questo sentimento ha il suo posto durante la penitenza e la conversione.

31)     Chi non sperimenta l'azione dello Spirito santo nel cuore vede messa in discussione la propria salvezza. Tale situazione può anche dipendere dal fatto che nell'anima non vi è nulla. Ma di solito lo Spirito santo non manifesta apertamente le azioni della sua grazia fino a quando c'è il pericolo che l'uomo possa considerare questo bene come procurato da se stesso.

32)     Vi sono due specie di assoluzione dai peccati: quello misterioso e quello ontologico, come se fosse fisico. Nel primo caso si assolve la coscienza e l'uomo si sente gioiosamente assolto da ogni condanna per i peccati. Nel secondo caso si assolve la natura da tutte le passioni che la legano. A questo secondo conducono le pratiche ascetiche della mortificazione, le opere di beneficenza e la preghiera. Ciò può essere definito epitimia divina fisica, anche se il sacerdote non impone quella ecclesiale; ma se la impone, per mezzo di essa l'epitimia  divina viene ad abbreviarsi. A ottenere questa assoluzione per i defunti provvedono le preghiere della Chiesa e le opere di beneficenza, fatte per essi.

33) "Vacate" e vedete che io sono Dio."Vacare" significa scacciare dall'anima tutto ciò che potrebbe velare il volto di Dio contemplato con la mente insieme con i sentimenti corrispondenti, scacciare tutto ciò che devia l'attenzione e il sentimento da Dio. Ma come si può vacare in questo modo durante le opere? Eseguirle con le disposizioni che ti vengono imposte da Dio e non con quelle che provengono dalla propria iniziativa o da qualche stimolo proveniente dal di fuori.

34) Il nemico opera senza posa presso di noi. La sua prima opera è di tenerci occupati con qualche cosa di secondario, anche se non cattivo, sottraendoci da quelle principali, dall'unica necessaria. Quando ha successo in questo, comincia a suggerirci anche le sciocchezze; passo per passo le introduce nei nostri pensieri e nei nostri sentimenti.

35) Immagina lo zar e la sala dove riceve. Vi sono entrate molte persone di vario genere con lo scopo di chiedergli qualche cosa. Ma invece di rivolgere le domande allo zar, alcuni guardano dalla finestra, altri raccolgono cose inutili, altri godono della bellezza della sala, altri disputano. Vi è molta confusione, ma quasi nessuno guarda lo zar. Di questo tipo sono spesso le nostre riunioni in chiesa e le preghiere a casa. Eppure tutti si lamentano che le loro preghiere non vengono esaudite!

36)  Dio costruisce il suo castello spirituale nel cielo. Il materiale viene preparato qui, sulla terra, nella Chiesa di Dio, dalle anime umane. La loro idoneità si manifesta dopo la morte. Ciò che è idoneo si colloca nell'edificio al proprio posto e ciò che non è idoneo viene rigettato anch’esso nel proprio posto.

37)  Come immaginarsi Dio? Nel cielo, dentro di noi o in un altro modo? In nessun modo. Bisogna acquisire l'abitudine di essere consapevoli che Dio è dovunque, conseguentemente anche dentro di te; vede tutto, allora anche i tuoi segreti; rimani in questa convinzione devotamente davanti al Dio invisibile, senza alcuna immaginazione. Ma prega affinché Dio stesso te lo insegni.

38) Dio è creatore dell'uomo interiore. Ma Dio comincia ad agire dentro quando l'uomo riconosce che non è niente in tutte le sue parti e quando si affida totalmente nelle mani di Dio, dell'onnipotenza divina.

39) Siamo tutti nel nostro Salvatore. Egli ci rende misericordioso il Padre e ci manda lo Spirito santo. Quando ebbe condotto al termine l'economia della salvezza, divenne il nostro governatore e noi siamo diventati i suoi servi, acquistati con il suo sangue. Lo senti?

40) Quando senti che qualcuno parla molto del fatto che uno divenne sazio, si mise a giacere e a russare, non dimenticare che questa è l'immagine della tua incuria e della contentezza di sé.

41) La preghiera, in via abituale, deve essere intesa così come si dice generalmente: si è attaccato e non lo distrarrai tirandogli le orecchie. Ma può essere anche così: tiralo anche con la corda, non lo attirerai.

42) Di qualcuno si dice che si è smarrito. Guarda se non direbbero lo stesso di te gli angeli di Dio, giudicando come ti comporti rispetto a Lui nella preghiera. Non sei arrivato a comportarti con troppa disinvoltura? Lo zar terreno, anche quando è molto misericordioso e benevolo, non può sopportare la disinvoltura e non permette l'accesso a sé da parte di uno svagato. E pensi che lo Zar celeste ne gioirà?

43) La soddisfazione della carne distrugge ogni bene acquisito con fatica. Ciò rassomiglia al caso del proprietario che, con le proprie mani, rompe il bell’albero che è cresciuto con molta cura.

44) Cuore - caverna dei serpenti. I serpenti sono le passioni e il loro abisso senza fondo sono: la condiscendenza alla carne, mangiare e bere a sazietà; il non far niente, la pigrizia; l'amore dei beni, delle cose; l'avarizia, il desiderio di guadagno; l'egoismo, la vanagloria, il desiderio di piacere agli uomini, darsi le arie; l'ira, l'odio, l'invidia, la malizia; l'eccessiva preoccupazione, la dissipazione, eccetera. Cosa dobbiamo fare? Appena appare una di queste, battila sulla testa. Con quale martello? Si chiama: il non aver compassione per sé.

 45) Uno degli startsi scrisse: Sono simile a un cavallo che pascola senza padrone, chi vuole mi cavalca; appena quel primo mi ha cavalcato abbastanza e mi lascia, subito si mette sopra di me un altro e fa lo stesso, eccetera. Con ciò vuol esprimere il vagabondare qua e là dei nostri pensieri e, per mezzo di essi, il nemico che cavalca su di noi. Bisogna aggiungere che fa lo stesso anche per mezzo delle molteplici attività e delle molteplici preoccupazioni che portano a un incontrollabile smarrimento.

46) Chi fa penitenza vede, all'inizio, soltanto i suoi peccati. Ma quando la disposizione interiore si consolida, comincia a vedere che sotto i peccati vi sono le passioni che opprimono l'anima. All'inizio sospirava: Signore, abbi pietà di me peccatore; ma, in seguito, vi aggiunge: Signore, purifica me peccatore, ossia: Signore, guarisci la mia anima.

47) Al mistero dell'annunciazione e dell'incarnazione corrisponde, dentro di noi, l'inizio della ricerca della salvezza e l'accettazione della grazia che viene dentro di noi dal seme della nuova vita. Alla natività (del Signore) corrisponde la formazione del nuovo uomo interiore.

48) Davvero siamo seduti nelle tenebre e questo non soltanto quando viviamo male, ma anche quando cominciamo a riflettere sulla salvezza. La vita ci dà occasione di osservarlo e sentirlo, ma speculando non lo risolveremo.

49) Senti che dicono di qualcuno: dove si è bloccato? E' un'espressione adatta rispetto ai momenti in cui i pensieri di un'alta opinione di sé s'impossessano di noi.

50) I sentimenti di penitenza si manifestano, inizialmente, dall'istinto di conservazione di noi stessi: "sono perduto"; più tardi mutano nella tristezza di aver offeso Dio. Bisogna supporre di rimanere così per tutta la vita.




[1] Santa Pelagia di Antiochia (II-III secolo) fu una ricca mima e meretrice siriana, che, convertita dal vescovo Nonno, ottenne il Battesimo, e si recò pellegrina a Gerusalemme, ove morì da eremita (cfr. Vita Sanctæ Pelagiæ meretricis, PL 73).
Santa Maria Egiziaca (IV-V) fu una giovane e dissoluta prostituta di Alessandria, che, giunta per svago a Gerusalemme, fu chiamata alla penitenza dalla Madre di Dio: purificatasi nel fiume Giordano e comunicatasi, si recò nel deserto ove visse per quarantasette anni, nutrendosi solo di erbe selvatiche. Ivi incontrò il santo monaco Zosimo, intento un pellegrinaggio quaresimale, che la comunicò nuovamente e le promise di tornare a visitarla l’anno successivo, quando la trovò santamente morta.
Altra prostituta alessandrina fu Santa Taisia (o Taide, IV secolo), convertita da san Pafnuzio, e quindi ritiratasi in un convento, ove visse murata viva per tre anni per espiare le proprie colpe.
San Mosè Mauro (III secolo) fu uno schiavo etiope, che fuggì dal proprio padrone dopo averlo derubato e si mise a capo di una masnada di briganti. Pentito, scelse la vita ascetica presso San Macario il Grande nel deserto di Scete; ordinato successivamente sacerdote, visse da eremita tra il deserto di Petra e quello di Scete.
San Davide (X secolo a.C.) è il re d’Israele di cui ci narrano i Libri dei Re e i Libri delle Cronache. Qui è richiamato l’episodio in cui il sovrano concupì Betsabea, moglie di Uria l’Ittita, soldato dell’esercito israelitico, facendo mandare a morte quest’ultimo. Dopo il duro rimprovero da parte del profeta Natan, Davide si pentì delle sue azioni, e le scontò con la morte del primo figlio avuto da Betsabea. Il salmo 50 (Miserere) sarebbe stato composto da Davide per chiedere perdono a Iddio dopo questo suo peccato di lussuria.