domenica 30 aprile 2017

Κυριακή τῶν ἁγίων μυροφόρων γυναικῶν καὶ τοῦ Ἰωσήφ δικαίου

di "Catholicam Apostolicam"



La II domenica dopo l'Ottava di Pasqua, che oggi ricorre, presenta due temi distinti nel rito romano e in quello bizantino, a differenza delle precedenti:

  • Nel rito romano è detta Domenica del buon Pastore, a causa della lettura evangelica, tratta da Giovanni X,11-16, appunto la parabola del buon Pastore.
    In realtà, questo 30 aprile, in Italia, in nessuna Chiesa sarà letto questo episodio, giacché la Festa di S. Caterina, essendo la patrona nazionale. ha assoluta prevalenza.
  • Nel rito bizantino è detta invece Domenica delle sante donne Mirofore e di Giuseppe il giusto, e attraverso la rilettura di un Vangelo della Risurrezione (Marco XV,43-XVI,8) vengono onorate queste sante donne, immagine di tante pie donne che nei secoli a venire han dedicato il loro tempo e il loro denaro a onorare l'Onnipotente, e son state degnamente ricompensate.

Considerate le note sottolineate, approfondiremo solo il tema proposto dal rito bizantino, riservandoci nelle prossime ore la pubblicazione di una biografia di Santa Caterina.

L'episodio delle donne mirofore

Nella trattazione evangelica sono chiamate "donne mirofore" le donne che si recarono al sepolcro di Gesù con gli unguenti profumati per rendere l'ultimo omaggio al maestro, nonostante il "timore dei giudei" che in quel momento tratteneva gli apostoli, portandoli a tenersi del tutto nascosti. Le donne infatti, venute  a conoscenza del luogo di sepoltura, decisero di recarvisi con l'intento di ungere con oli preziosi il corpo di Cristo
Sulla loro identificazione, i Vangeli sono discordi:

  • Maria Maddalena e l'altra Maria (secondo Matteo)
  • Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomia moglie di Zebedeo (secondo Marco)
  • Maria Maddalena, Giovanna, Maria di Giacomo (secondo Luca)
  • La sola Maddalena (secondo Giovanni)

A seguito del terremoto, le donne trovano la pietra spostata dall'entrata nel cubicolo, e all'interno vi scorgono un angelo, che spiega loro che Cristo "è risorto, siccome aveva detto".

Sero autem post sabbatum, cum illucesceret in primam sabbati, venit Maria Magdalene et altera Maria videre sepulcrum. Et ecce terrae motus factus est magnus: angelus enim Domini descendit de caelo et accedens revolvit lapidem et sedebat super eum. Erat autem aspectus eius sicut fulgur, et vestimentum eius candidum sicut nix. Prae timore autem eius exterriti sunt custodes et facti sunt velut mortui. Respondens autem angelus dixit mulieribus: “ Nolite timere vos! Scio enim quod Iesum, qui crucifixus est, quaeritis. Non est hic: surrexit enim, sicut dixit. Venite, videte locum, ubi positus erat. Et cito euntes dicite discipulis eius: “Surrexit a mortuis et ecce praecedit vos in Galilaeam; ibi eum videbitis”.
(Matteo XXVIII)



Maddalena inoltre, rimanendo sempre al sepolcro, credendo che il corpo del maestro fosse stato rubato, rimane a piangere davanti al sepolcro vuoto, quando  Cristo le appare. Confondendolo con il giardiniere, gli chiede dove secondo lui potesse essere messo il corpo del maestro, accorgendosi solo alla chiamata per nome che si tratta di Gesù stesso, che le ordina di annunciare la sua risurrezione,e, probabilmente in seguito ad un trasporto emotivo della donna, le proibisce di toccarlo, usando la famosissima frase "Noli me tangere" (Μή μου ἅπτου), che si trova in Giovanni XX,17

Al pari delle donne mirofore nella seconda settimana dopo la Pasqua sono ricordati Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo, il discepolo segreto di Gesù, entrambi onorati membri del Sinedrio: in particolare il primo è onorato dall'apolytikio (il quale già più volte era stato letto durante la Santa Settimana).

Ὁ εὐσχήμων Ἰωσήφ, ἀπό τοῦ ξύλου καθελών, τό ἄχραντόν σου Σῶμα, σινδόνι καθαρᾷ εἱλήσας καί ἀρώμασιν, ἐν μνήματι καινῷ κηδεύσας ἀπέθετο. Ἀλλὰ τριήμερος ἀνέστης, Κύριε, παρέχων τῷ κόσμῳ τὸ μέγα ἔλεος.

Il nobile Giuseppe, tratto dalla Croce il tuo Corpo incorrotto, avvoltolo in una sindone pura tra aromi e presosene cura, lo pose in un sepolcro nuovo. Ma il terzo giorno sei risorto, o Signore, donando al mondo la tua misericordia.

Secondo molti interpreti. la figura delle donne mirofore, oltre ad essere annunziatrici della Risurrezione, è paradigma della Chiesa, che porta piamente le sue doverose offerte a Iddio.

Post scriptum: facciamo gli auguri alla comunità russo-ortodossa di Venezia, dedicata proprio alle Sante Donne Mirofore, nel giorno della sua festa parrocchiale, continuando a pregare perché tutti gli agnelli finalmente si riuniscano sotto l'unico Pastore.

martedì 25 aprile 2017

Festa di San Marco Evangelista

S. Marco, di Emmanuel Tzanes, 1657

Oggi, addì 25 aprile, checché intendano festeggiare partigiani e repubblicani (la sconfitta dell'Italia, ndr), la Chiesa tutta e in particolare quella Veneziana, avendolo eletto a suo speciale patrono, festeggiano con i dovuti onori il martirio dell'Evangelista Marco.

Agiografia di S. Marco


Miracolo di S. Marco, narrato nella Leggenda Aurea, in cui
l'Evangelista salva uno schiavo dal martirio dissolvendo
gli oggetti con cui sarebbe stato torturato.
Opera del Tintoretto.
Il Leone Evangelico nacque secondo alcune fonti in Palestina, secondo altre a Cipro, attorno al 20 d.C., ebreo di stirpe levita, e cugino di S. Barnaba (cfr. Col IV,10). Non si sa se avesse fatto parte del numero dei discepoli di Gesù, ma sicuramente ne aveva sentito parlare, venne presto in contatto con gli Apostoli dopo la Risurrezione e divenne discepolo personale di S. Pietro. Una suggestiva interpretazione vede in Marco il giovinetto che fugge via nudo mentre Gesù vien catturato, citato solo nel di lui Vangelo (cfr. Mc XIV). Scrisse il suo Vangelo quando si trovava a Roma, ove era stato battezzato, e possedeva un'abitazione al Campidoglio, sulle cui spoglie ora sorge la Basilica romana a lui titolata, durante il regno di Claudio Imperatore (cfr. Eusebio di Cesarea,Historia Ecclesiastica), in compagnia proprio di Pietro, il quale, testimone oculare e uditore, è la fonte da cui trae ogni informazione per la stesura, non mancando però di criticare duramente il maestro quando necessario (Gueranger nota come il Vangelo di Marco sia quello che più duramente rimprovera Pietro per il rinnegamento). Il suo scritto fu particolarmente apprezzato dai Cristiani di Roma per la brevità, semplicità, concisione e al contempo completezza e precisione che sono caratteristiche del suo Vangelo, il più breve ma non per questo il meno ricco o importante.
Predicazione di S. Marco ad Alessandria, di Gentile Bellini

Dagli Atti degli Apostoli, sappiamo che Marco seguì dapprima Paolo, da cui poi si separò, per recarsi (attorno al 50 d.C.) a Cipro, insieme al cugino Barnaba. Dopo la morte di Paolo, iniziò la sua predicazione autonoma, che la Tradizione vuole egli abbia effettuato in Egitto, fondando l'episcopato di Alessandria che egli stesso ricoprì, e fornendo ai Cristiani d'Africa, proprio nella terra che era stata tanto fonte d'errori e sventure, una salda fonte di dottrina petrina, dopo Roma ed Antiochia (Alessandria viene definita la "terza cattedra di Pietro").

Contestualmente, attorno al 66 d.C., inizia ad avere i primi contatti con l'Italia ,quando vi si trova in aiuto a Paolo (cfr. II Thim IV, 9-11), e, prima di partire all'evangelizzazione dell'Alessandria,, procede verso l'Italia settentrionale, precisamente ad Aquileia, dove fu inviato probabilmente da Pietro, nominandone il primo vescovo, Ermagora, che lui stesso aveva convertito. Nella città sono facilmente riscontrabili testimonianze del passaggio dell'Evangelista: nella cripta della Basilica di Aquileia, interamente affrescata con i cicli della predicazione dell'apostolo, vi si trova "Vangelo di San Marco", oggetto di ampia venerazione, scritto attribuito direttamente alla mano dell'Evangelista, oggi separato in pezzi e custodito in tre diversi luoghi, tra cui la Biblioteca Marciana.

Partendo verso Alessandria, fu tuttavia sorpreso da una tempesta presso le isole Realtine (nucleo della futura città di Venezia) .Qui, secondo la tradizione, un angelo gli apparve insogno, salutandolo con la famosa formula "Pax tibi Marce, evangelista meus!", diventata poi quasi un motto del Santo, e dando origine al profondo vincolo legante l'apostolo ed evangelista Marco alla città di Venezia.



Secondo gli apocrifi Acta S. Marci, che danno informazioni riscontrabili anche nella Leggenda Aurea, S. Marco subì il martirio nel 68 ad Alessandria d'Egitto, incarcerato ed immolato da degli idolatri durante la festa pagana di Serapide. Secondo questi racconti, egli in carcere fu visitato dallo stesso nostro Signore Gesù Cristo risorto, il quale lo salutò ancora: "Pax tibi Marce, evangelista meus!", suscitando grande commozione nel Santo, che ebbe nella visione del suo Maestro il coronamento di tutta la sua missione e della sua devozione alla causa Cristiana. Il giorno dopo, affrontando terribili tormenti, nacque al Cielo, andando ad occupare il seggio glorioso che gli spettava. ad acquistare la sua veste candidata nel sangue che ha versato, che, da martire immagine del Cristo patente, è il sangue stesso dell'Agnello.

S. Marco e Venezia

La città di Venezia, tradizionalmente dedicata a S. Teodoro di Amasea (le cui reliquie si trovano
La Basilica di S Marco a Venezia
tuttora nel Veneziano, a Eraclea) e al suo doppione S. Teodoro Stratelate, divenne particolare protetta dell'Evangelista Marco nel IX secolo, in seguito ai travagliati ed avventurosi eventi che portarono in città le reliquie del Santo. La storia dell'arrivo delle ultime è più la storia di un furto, derivante dalla proibizione del Papa della continuazione di un effettivo commercio con gli infedeli. Furono due mercanti, Rustico da Torcello e Bono di Malamocco, a riuscire a trafugare nell'828 le spoglie da Alessandria, al tempo occupata dai musulmani, usando un'astuto stratagemma per evitare il controllo del carico: nascondere cioè i resti nelle ceste contenenti carne di maiale, ritenuta impura dai maomettani. L'acquisizione di una reliquia di inusitata importanza e magnificenza spinse i Veneziani all'edificazione di un tempio degno alla sua custodia; l'edificio, sorto sui resti della preesistente cappella dogale, venne iniziato nel 1063, ma vi fu in seguito un gravissimo incendio che portò alla ricostruzione completa della Basilica, nel corso della quale tuttavia si scoprì che la teca contenente il preziosissimo corpo era scomparsa: una perdita particolarmente sentita e sofferta dal popolo veneziano.
Il ritrovamento delle reliquie di S. Marco,
del Tintoretto
Un miracolo destinato agli annali veneziani avvenne il 25 giugno del 1098: durante la celebrazione
della Liturgia un braccio sembro apparire dal cielo ed indicare una colonna dell'ordine sinistro,la quale, forata ed aperta,rivelò di avere all'interno le tanto desiderate e compiante reliquie. Con quale gesto più degno che un miracolo San Marco avrebbe potuto scegliere personalmente di darsi ai Veneziani quale patrono, accettando di diventare il simbolo di una gloriosa Repubblica in Terra e Mare?

Oggi Venezia celebra con particolare solennità la Festa del suo Santo Patrono, onorandolo con numerose tradizioni, tra cui (almeno un tempo) una grande processione cittadina, che nella tradizione patriarchina andava a sostituire del tutto quella prettamente romana delle Litanie Maggiori. Altre importanti celebrazioni dedicate a S. Marco nel calendario proprio della città sono il 31 gennaio (giorno di traslazione delle Reliquie) ed il 25 giugno (data del succitato grande miracolo).

Processione in onore delle reliquie del Santo, del Tintoretto
A tutti i Veneziani e ai devoti a S. Marco, i nostri migliori auguri per la solenne ricorrenza di questo grande Santo, sul cui esempio la Repubblica di Venezia ha ottenuto fama e prestigio, e sul cui esempio anche noi possiamo meritarli nella perseveranza nella fede e nel costume Cristiano.


Sancte Marce, ora pro nobis!

domenica 23 aprile 2017

Dominica "in Albis"


Molti sono i nomi della I Domenica dopo Pasqua, con la quale si conclude il grande periodo di festa dell'Ottava Pasquale, con un ufficio già privo dell'esultanza di quelli dei giorni precedenti:

  • Dominica in Albis: è questo il nome tradizionale di questa Domenica nel calendario romano, giacché dopo il Vespro di ieri (Sabato in Albis) i catecumeni, che avevano ricevuto il Battesimo durante la Veglia Pasquale, deponevano, giusta l'antica tradizione romana, la veste bianca che avevano ricevuto, "lavata nel sangue dell'Agnello", simbolo del loro rinnovamento interiore. Essi avevano continuato ad indossare questo simbolo di purità per questi otto giorni, che di fatto sono la prosecuzione ininterrotta della Festa, evidenziata da elementi quale la soppressione dei digiuni e di gran parte delle genuflessioni (tutte nel rito bizantino, solo all'Ufficio Divino nel rito romano). La deposizione del segno tangibile della gioia pasquale, dovuta all'allontanarsi del gran giorno, non deve però farci smettere di celebrare gioiosamente la Risurrezione di Nostro Signore, festeggiando d'ora innanzi ogni domenica come una Pasqua (per dirla con dom Gueranger), né deve farci abbandonare quella purezza che abbiamo ricevuta nel Battesimo e rinnovata nelle celebrazioni pasquali, come ci ammonisce S. Agostino nel suo Sermone in Octava Paschae, che si legge nel II Notturno del Mattutino odierno, rivestendoci in ogni aspetto della nostra vita della luce gioiosa di Cristo. Questa domenica, dunque, nella tradizione romana, chiude il periodo immediatamente contiguo alla Festa delle Feste (la Messa Stazionale di oggi veniva celebrata nella Basilica di un Santo Martire, lontano dal centro della città, caso pressoché unico), ma apre al contempo un lungo periodo di gioia, che è il Tempo Pasquale, il quale si protrarrà fino alla gran festa dell'Ascensione, il quale ci deve far trascorrere ogni giorno come una Pasqua, al canto dei lieti Alleluia, come del resto già afferma S. Ambrogio, sostenendo che come gli Ebrei ogni sette anni prolungano il sabato per un intero anno, tanto più è doveroso per i Cristiani prolungare per 50 giorni le gioie del Risorto.
  • Domenica di Quasimodo: questo è il tradizionale nome derivato dalle prime parole dell'introito
    , Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja (I Pet II, 2), bell'invito ai neofiti (cui era anticamente dedicata la liturgia odierna, e a noi tutti per estensione) a gustare le gioie spirituali dei primordi della vita cristiana.
  • Domenica di S. Tommaso: quest'altro nome, maggiormente diffuso in Oriente, deriva invece dall'episodio evangelico letto in questo giorno, ossia la mirabile Teofania scaturita dall'incredulità dell'apostolo Tommaso, il quale non crede al Risorto sino a che non lo ha toccato. Dall'omelia di S. Gregorio Magno su questo Vangelo (XXVI), possiamo trarre il seguente insegnamento: Gesù appare ai discepoli riuniti, dopo essere entrato a porte chiuse (così come egli era entrato, nascituro, nell'utero ancora chiuso della Vergine Maria), e pur essendo incorrotto, essendo egli Risuscitato, è al contempo palpabile: con quali segni incomprensibili il Signore si manifesta, ut rebus mirabilibus fidem praebeant facta mirabiliora! 
  • Domenica della Divina Misericordia: questo è invece il nome più recente, assegnato ufficialmente solo nel 2000, ma su indicazione della Santa Faustina Kowalska, la quale scrive nel suo Diario la rivelazione che Gesù gli fece, chiedendogli di dedicare questo giorno alla divina bontà con cui Egli ci ha redenti e continua a redimerci dalla nostra povera condizione: Desidero che la Festa della Misericordia sia di riparo e di rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori. In quel giorno sono aperte le viscere della Mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine.
    In questo giorno, a chi devotamente si confessa e si comunica, aggiungendo la recita recita della Coroncina della Divina Misericordia (serie di invocazioni a questo attributo della Divinità), è concessa l'Indulgenza Plenaria.
  • Domenica bassa: questo nome è diffuso solo nei paesi di lingua inglese ("Low Sunday"), in opposizione alla "High Sunday" che è stata ovviamente la Domenica di Pasqua

Sagrestia di S. Simeon Piccolo dopo la S. Messa solenne - 23 aprile 2017
Da destra: Marcus Williams (suddiacono), don Jean Cyrille Sow (sacerdote celebrante), Aaron Liebert (diacono)
(Foto di: Alessandro Franzoni)
Pubblichiamo di seguito, per gentile concessione, la bella omelia pronunciata dal rev. p. Jean Cyrille Sow, FSSP, durante la S. Messa Solenne celebrata stamattina in S. Simeon Piccolo, allegando contestualmente foto e video della cerimonia.

Vangelo: Joannes 20, 19-31
In illo tempore: Cum sero esset die illo, una sabbatorum, et fores essent clausae, ubi erant discipuli congregati propter metum Judaeorum: venit Jesus, et stetit in medio, et dixit eis: Pax vobis. Et reliqua.


+ Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo

Carissimi fratelli,
Oggi, in questa domenica in Albis, quando nella chiesa antica i catecumeni battezzati a Pasqua depositano le loro bianche vesti, in questa domenica, chiamata anche "Quasi modo" perché sono le prime parole dell'introito latino, denominata anche domenica della misericordia su volontà di Santa Faustina;
Oggi dunque, il Vangelo parla del dubbio con il ben noto episodio di S. Tommaso. Possiamo avere l'impressione che questo Vangelo corrisponda particolarmente al nostro tempo.
Abbiamo perso oggi la cultura cristiana antica che un tempo ha favorito una fede forte e comune. Siamo circondati da tante voci diverse e contraddittorie, dimodoché è difficile avere una fede certa. Siamo nel tempo del apostasia, un’apostasia immensa e senza una forte convinzione, vaga.
L'Incredulità di S. Tommaso, del Caravaggio
S. Tommaso sembra corrispondere molto bene a questa mentalità moderna. Per alcuni, è anche diventato il loro patrono. Ma, il dubbio di Tommaso non è quello dei nostri tempi. Tommaso non è vago: dubita, ma sa esattamente di che cosa dubita. Piuttosto, non dubita affatto; lui nega, nega che il Cristo sia risorto dai morti. È perché egli sa ciò che crede; Egli crede che il Cristo sia morto, è morto per sempre. Ed è una ragionevole certezza, perché tutti sanno che è impossibile resuscitare i morti. Tommaso non vuole pertanto credere alla testimonianza di altri discepoli che affermano di aver visto il Cristo vivo. Egli non risponde loro: «Sì, forse è possibile, ma ne dubito». Dice: «se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi... non credo».

Cristo risorto si mostra allora a tutti i discepoli quando anche Tommaso è presente. Egli non approva il dubbio di Tommaso; Gli dice: «non essere incredulo, credi». Per Gesù, il dubbio non è una virtù. Tommaso vede Gesù, e crede. Egli non nega la resurrezione. Il suo dubbio scompare; o meglio, la sua certezza negativa è sostituita da certezza di fede; Dice: «Mio Signore e mio Dio». Per Gesù, non è solo Tommaso a poter credere così, ma anche tutte le successive generazioni: «Beati coloro che credono senza vedere.» ed è così che si conclude il Vangelo di Giovanni, con questo invito a tutti noi credenti.
Fratelli, come Tommaso, accettiamo la mano di Gesù, accettiamo la sua presenza! Poi noi possiamo ascoltare con fiducia queste parole di Gesù a Santa Faustina: «Le anime che hanno una fiducia senza limiti mi danno una grande gioia, poiché io verso in loro l'intero tesoro delle mie grazie.»
Sia lodato Gesù Cristo

Foto e video della Messa Solenne (da M. Yastrebova)
vi saranno presto aggiornamenti!

Preparazione alla S. Comunione

Confiteor solenne

Ultimo Vangelo


venerdì 21 aprile 2017

MMDCCLXX abhinc annis


Duemilasettecentosettant'anni fa esatti, addì 21 aprile (giorno che oltre quattordici secoli dopo sarebbe stato dedicato dalla Chiesa alla memoria del pio asceta, teologo e polemista Atanasio Sinaita, autore del noto trattato Ὁδηγός, "La Via" contro il monofisismo e di numerosi, purtroppo perduti, trattati apologetici contro eretici, pagani, nestoriani e giudei) dell'anno 753 avanti la nascita del Signore Nostro Gesù Cristo, ebbe i suoi natali la città di Roma, l'Urbe Immortale.

Questa festa, spesso sfruttata da movimenti anticristiani (specialmente in età risorgimentale e durante il periodo dell'autoproclamatasi abusivamente nel 1849 libera Repubblica Romana) come festività celebrante la gloria laica di Roma, in opposizione a quella Cristiana. Niente di più fuorviante, poiché anche dalla grandezza che ebbe nel passato, nel tempo degli dei falsi e bugiardi, Roma ha cavato molte delle basi e dei privilegi che la portarono ad essere eletta "capitale" del Cristianesimo Occidentale. E' dunque opportuno che il buon Cattolico festeggi il Natale della propria città capitale, guardando sempre al profondo significato mistico che questa città, immagine di Gerusalemme, città redenta dalla Madre di Dio (cfr. il kontakion dell'Inno Akathistos).

Approfittiamo di questa ricorrenza per fare qualche brevissima considerazione sul ruolo fondamentale che questa città ha per il Cristiano, essendo stata scelta dal Principe degli Apostoli come sua sede episcopale, e da lì avendo i suoi vescovi ricevuto il compito in perpetuo di guidare la Chiesa nel suo transito terreno. La città di Roma è sinonimo di gloria, di onore, è la capitale della fede, nonché della cultura latina cui molto deve la società occidentale, debitamente cristianizzata dai Santi Padri. La città di Roma è il cuore e il fulcro dell'Occidente Cristiano: benché essa al momento si trovi all'interno della Repubblica Italiana e non del legittimo suo proprietario, lo Stato Pontificio, cui fu bellicosamente sottratta il 20 settembre 1870, essa continua ad essere un punto di riferimento morale ed ideologico per tutti. Essa è sempre stata il baluardo della fede: a Roma bisogna guardare, poiché ivi è stato istituito il Pastore che conferma i fratelli nella fede.

Ma le profezie che riguardano Roma hanno anche un lato negativo, terribile: Roma è destinata a perdere la fede, a diventare sede della Grande Apostasia che precederà l'avvento di Nostro Signore qual giudice. Innumerevoli sono le visioni, gli scritti, le apparizioni che confermano questa triste sorte: il sogno di Leone XIII (per cui poi egli deciderà di scrivere la preghiera a S. Michele da recitarsi in fine d'ogni Messa), San Nicola di Flue che annuncia un decadimento nella fede della città di Pietro, il beato Gioacchino da Fiore che vide l'Anticristo sedere a Roma, alcuni antichi Padri (Ippolito, Atanasio di Roma ...) e finanche Nostra Signore, che apparsa a La Salette nel 1846, ricordò che è destino che Roma perda la fede. Del resto, anche le Sacre Scritture parlano in più passi di fatti del genere.
Questa triste profezia, che mai vorremmo si avverasse, essendo noi tanto cari all'immagine della nostra Città gloriosa e splendente di divina grazia, trionfatrice sul mondo e regina della terra, è purtroppo destinata ad avverarsi. Ripetiamo, è destinata, poiché molti eretici ad oggi la ritengono già avvenuta: essi sono i sedevacantisti, i quali hanno rotto ogni comunione con la Sede Romana, dalla quale tuttavia dipende completamente il Cattolicesimo Romano, e sono venuti a mancare alle verità della fede, che ci assicurano che giammai Dio abbandonerà la sua Chiesa. La Grande Apostasia infatti, che sicuramente avverrà, non dovrà alienare mai i veri Cattolici da Roma, perché nelle gerarchie ecclesiastiche vi saranno sempre dei Santi che manterranno viva, ancorché piccola e perseguitata come nei primi secoli in mezzo alla grande devastazione, la Chiesa Cattolica, alla quale Nostro Signore medesimo ha garantito l'indefettibilità.
Può forse dirsi che la Grande Apostasia è vicina: già recentemente sono sorti non pochi contrasti tra i vertici della Chiesa, tra Francesco I e alcuni Principi della Chiesa, che potrebbero portare in futuro a situazioni di scisma. Sintantoché però nulla è avvenuto, non lice a noi di prendere posizioni in materia, rischiando anzi con troppe elucubrazioni di scivolare in eresia sedevacantista ed alienarsi dalla salutare comunione con la Chiesa Cattolica. Del resto, già nel Settecento alcuni dicevano che Roma aveva perso la fede, e semplicemente perché nella Città si soleva dar la Comunione al popolo ad ogni Messa, cosa poco frequente nel resto della Cattolicità di quel secolo. Esortiamo dunque ad essere ben cauti a pronunciare qualsiasi giudizio su questo tema.
Potrebbe infatti anche darsi che la perdita di fede di Roma non sia legata necessariamente al Papato, bensì alla città intesa nella sua parte urbana e civile: in tal caso, Roma avrebbe perso la fede nel momento in cui l'Italia l'ha perduta, avendo approvato e continuando ad approvare leggi inique ed empie (aborto, divorzio, unione tra sodomiti ...), sostenute a gran voce dalla Massoneria. Proprio oggi, peraltro, risale l'anniversario della pubblicazione della enciclica di Leone XIII (pur portando essa la data di 20 aprile 1884) Humanum genus, condanna ferma e forte del relativismo filosofico, morale e religioso dell'empia setta dei Frammassoni, della loro violenta guerra contro il Papa e la Chiesa, da cui origina l'Apostasia generale che ha colpito l'Europa negli ultimi due secoli, la quale sta abbandonandosi ai demoni del protestantesimo e dell'ateismo, e che probabilmente ha colpito anche Roma.

Veduta del Tevere e Castel S. Angelo, di Antonio Joli (1700-1777)

Ma è nostro dovere stare tranquilli e pregare con fede Iddio per la città di Roma, per il Papa, per l'Orbe Cattolico e per tutti, poiché ci è stato garantito che portae Inferi non praevalebunt, e alfine il Cuore Immacolato della nostra Madre Maria trionferà.

Una lieta e santa celebrazione del Natale della Grande e Santa Città Apostolica di Roma a tutti i lettori,

Laudetur Jesus Christus!

giovedì 6 aprile 2017

Perché la S. Messa Tridentina?



Come sarà apparso chiaro ai nostri primi lettori, questo blog sostiene fortemente che l’unica liturgia romana degna di questo nome sia quella cosiddetta “Tridentina”, ma che più correttamente dovrebbe essere chiamata Messa Romana o Messa di sempre, due attributi che chiariscono il suo carattere prettamente Urbano (era il rito proprio della Città Eterna, prima che S. Pio V lo imponesse a tutto l’Orbe Cattolico), nonché la sua storicità e tradizionalità. Non si può infatti non sostenere la superiorità di un rito che sin dai suoi aspetti esteriori trasmette un senso di grandissima dignità, ed infonde un profondo timore sacro dinnanzi ai Misteri celebrati, soprattutto rispetto alle Messe celebrate secondo il cosiddetto Novus Ordo Missae, scritto ex novo, in profonda rottura con tutto ciò che prevedeva la consuetudine latina, attorno al 1970 da una commissione di liturgisti guidata dal cardinale presunto frammassone Annibale Bugnini e poi approvato da Papa Paolo VI.
Della liturgia romana tradizionale, dei suoi caratteri, della sua storia, dei suoi profondi significati teologici, nonché del suo splendore esteriore e interiore, avremo numerose occasioni per parlarne durante i prossimi mesi di vita del blog. Nel frattempo, vogliamo limitarci, per i lettori che hanno le idee ancora vaghe sull’argomento, a dare una prima infarinatura sulle differenze sostanziali che ci inducono a preferire il rito antico rispetto a quello nuovo. Alla base di questo discorso vi sono spunti di numerosi saggi che hanno trattato diffusamente la questione, ma in particolar modo del famoso Breve esame critico del Novus Ordo Missae presentato da S.E. il card. Alfredo Ottaviani nel 1969 per scongiurare l’imminente approvazione pontificia delle riforme liturgiche, nonché l’ottimo libello del reverendo don Pietro Leone Il Rito Romano antico e nuovo, che si può liberamente scaricare dal web al seguente indirizzo: http://www.parrocchiavetrego.it/images/Articoli/Antonio/Il_Rito_Romano_Antico_e_nuovo.pdf
In generale, le differenze che si possono riscontrare sono di due ordini sovente collegati tra loro: differenze di dignità e di teologia.


Differenze di dignità
Chiunque abbia assistito ad entrambe le forme del rito romano può asserire che il carattere di una Liturgia Sacra è spiccatamente proprio del Rito Antico, mentre il clima generale in cui si celebra il Rito Nuovo assomiglia più al contesto di una riunione della comunità, tipicamente protestante, che di un servizio divino dedicato a Dio. Porto ad esempio i seguenti punti:

  • L’orientamento del celebrante: quello che potrebbe parere un aspetto minore nell’economia del rito, è in realtà un segno molto profondo, come è stato sottolineato da Papa Benedetto XVI e più recentemente da S.E. il Card. Sarah. Infatti, l’orientamento del celebrante verso il popolo, oltre ad essere un’innovazione introdotta per la prima volta dal riformatore protestante Carlostadio, è dannoso ed illogico. Dà infatti l’impressione di una comunità chiusa, il cui scopo parrebbe essere lodare il sacerdote, oppure il popolo stesso (non si capisce mai molto bene nel NO…). Viceversa, il sacerdote orientato ad Deum, secondo un uso antichissimo e condiviso da tutti i Cristiani meno che dagli eretici, è espressione dell’intera comunità che, guidata dal sacro ministro, si rivolge a Oriente, donde sorgerà il Sole di Giustizia che è Cristo, per offrire a Dio il sacrificio a lui gradito. L’impressione che si ha vedendo questi due differenti orientamenti è dunque completamente diversa.
  • I paramenti e gli altri oggetti sacri: la Messa tridentina prevede l’uso di un gran numero di paramenti di foggia antica e significato profondo, aboliti nel rito nuovo (come il manipolo). Le pianete tradizionali inoltre, generalmente in seta, intarsiate in oro e riccamente decorate, risultano essere molto più degne delle moderne casule, le quali sono conformate a uno spirito di povertà esteriore che tuttavia non può né deve sussistere trattandosi di un culto a Dio, cui ogni sfarzo s’addice e mai è sufficiente (basti pensare all’episodio della Maddalena e dell’olio di nardo, in Giovanni XII). Stesso discorso può farsi per i lini sacri, oppure per i vasi (i quali nel rito tradizionale devono sempre avere almeno l’interno d’oro) che devono contenere il Corpo e il Sangue del Signore. Ancora può farsi per l’incenso, i candelieri, e tutti gli altri oggetti che, prescritti come obbligatori nel rito antico, grazie alla facoltatività concessa sono pressoché scomparsi nel rito nuovo.
  • Il canto e la lingua: sarà nostro compito pubblicare al più presto uno studio sulla lingua sacra. Intanto, farei riflettere sul fatto che l’uso della lingua vernacolare durante la Messa (tacciato di probabile eresia da diversi Papi del Concilio di Trento, poiché introduzione delle riforme carlostadiane della liturgia protestante): la presenza di una lingua sacra estrania il fedele dal contesto del mondo, fa comprendere come egli stia partecipando a un servizio divino, in cui si è a diretto contatto con dei Misteri inintelligibili che non possono essere degnamente esposti nella stessa lingua con cui si litiga con il vicino o si parla al fornaio. Lo stesso discorso può dirsi del canto sacro: la funzione anagogica del canto gregoriano, che eleva lo spirito del fedele a Dio solennizzandone la Parola, è stata sostituita malamente nel rito nuovo da canzonette folk anni 70, estremamente indegne a una Sacra Liturgia, dal contenuto spesso acattolico, che distraggono il fedele e mescolano il sacro al profano.
  • La distribuzione della S. Comunione: la comunione in piedi è una prassi effettivamente esistita nei primi secoli della Chiesa (così fanno ancora gli Orientali), ma sostituita da una più pia pratica in Occidente, che è quella di ricevere il Sacramento inginocchiati alla balaustra, atteggiamento di estrema umiltà dinnanzi a Gesù Sacramentato che si dona quale cibo per gli uomini. Ancora più grave è stata l’introduzione, nella messa nuova, della Comunione sulla mano: teorizzata secoli or sono dal domenicano apostata Martin Bucer e sviluppatasi in ambiente cattolico nell’Olanda del postconcilio, è una totale mancanza di rispetto dinnanzi al Corpo di Nostro Signore (nel rito tradizionale il sacerdote, che ha toccato le Sacre Specie, non può disgiungere le dita con cui le ha toccate prima di aver fatto le abluzioni prescritte!), e favorisce la profanazione.
  • Il senso del sacro in generale: una differenza notevolissima che chiunque avrà osservato trovandosi la prima volta, anche ignaro dei particolari teologici, ad assistere a una Messa antica, è il maggior senso del sacro che vi si trova rispetto alla Messa moderna, dalla quale sono state abolite quasi tutte le genuflessioni (da oltre 20 a 2; nel rito antico inoltre la si fa sempre passando dal centro dell’altare), le inclinazioni di capo (nel solo Canone Eucaristico, da 5 a 3, ma sono abolite anche tutte quelle che i ministri fanno per rispetto tra loro o al sacerdote), i segni di croce (nel solo Canone, da 24 a 0), i baci rituali (il sacerdote nel rito tradizionale bacia l’altare 10 volte, nel rito nuovo 1 sola; i ministri baciano ripetutamente nel rito antico anche le ampolle, il turibolo, la navicella, la berretta, nonché la mano del sacerdote). Anche elementi esteriori, non propri del rito ma dell’atteggiamento del sacerdote e di chi vi partecipa, come il silenzio, lo stare in ginocchio, l’indossare il velo, il sacro timore per cui nessun laico, tantomeno donna, accede al presbiterio … tutti questi aspetti delineano chiaramente la differenza sostanziale di dignità tra le due forme liturgiche, nonché una concezione differente del rispetto e della venerazione da portare alla Divinità.


Differenze teologiche

La Commissione che riformò la liturgia cattolica includeva anche – so quanto stupore desti all’udire la prima volta tale notizia – ben sei teologi protestanti in qualità di consulenti. Dopo la proclamazione del nuovo Messale, uno di questi, Max Thurian, dichiarò: «Uno dei frutti del nuovo Ordo sarà forse che le comunità non cattoliche potranno celebrare la santa cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica». Il problema della Nuova Messa è che in alcuni punti essa si esprime in modo non conforme alla dottrina cattolica, anzi, spesso in accordo piuttosto con quella luterana o con altre dottrine eretiche. Considererò per ora solo questi punti:

  • La definizione di “Messa”: così si apre il secondo capitolo del Novus Ordo: «La cena del Signore, o Messa, è la sacra liturgia, o la congregazione del popolo di Dio che si raduna, sotto la guida del sacerdote, per celebrare la memoria del Signore». In questa concezione tipicamente protestante della liturgia, manca completamente quello che è realmente la S. Messa, ossia la ripresentazione efficace del Glorioso Sacrificio di Nostro Signore come unico olocausto gradito al Padre. La cosa è quanto mai grave, considerando che un canone del Concilio di Trento specifica che: «Se qualcuno negasse che nella S. Messa si offre realmente un sacrificio, sia anatema».
  • Le finalità della Messa: triplice è secondo la dottrina cattolica la finalità della S. Messa: la lode alla SS. Trinità, l’offerta di un sacrificio propiziatorio, l’offerta di un sacrificio a Dio gradito. Ora, nel nuovo rito tutti questi punti sono gravemente travisati: il nome della SS. Trinità, pregata nel rito antico alla fine di ogni azione, scompare pressoché dai testi liturgici; il carattere propiziatorio dell’Eucaristia è svilito dal concetto di cena fraterna; il Sacrificio a Dio era chiaramente espresso nell’Offertorio cattolico tanto in odio a Lutero, che è sostituito da una preghiera di derivazione ebraica nel quale si presenta un mero “scambio di doni” tra Dio e gli uomini (si pensi che Paolo VI dovette intervenire d’ufficio perché si creassero questi testi, così come per mantenere il segno di croce almeno all’inizio della Messa, perché i riformatori avevano abolito del tutto anche l’Offertorio).
  • Il sacerdozio sacramentale: nel rito antico, è ben distinta la figura del sacerdote, ministro di Dio consacrato, dai fedeli, i quali non sono nemmeno necessari all’efficacia della funzione (mentre nel rito nuovo pare il contrario, considerando il ruolo attribuito loro già nella definizione di Messa…). Nel rito nuovo, viceversa, tutto sembra ricondurre ad un sacerdozio battesimale eretico e protestante: la soppressione del doppio Confiteor, che distingue bene i fedeli dal sacerdote, così come quella del singolare in diverse espressioni dell’Offertorio, o dei sette paramenti che il sacerdote assume agendo in persona Christi, e infine lo stesso nome con cui viene chiamato dalle rubriche, un mero “presidente dell’assemblea dei fedeli”.
  • L’altare e il Tabernacolo: l’altare tradizionale è in pietra, poiché su di esso si deve svolgere un vero Sacrificio, è sopraelevato e sormontato dalla Croce, poiché rappresenta il Monte Calvario, è coperto con tre tovaglie (simboli dei sudari in cui fu avvolto il Cristo morto), è impreziosito da immagini, statue e soprattutto reliquie di santi martiri, e dal Concilio di Trento è coronato dal Tabernacolo, il tempio di Nostro Signore realmente presente nella Eucaristia. Con la scusa di voltare l’altare al popolo (cosa di cui abbiamo già dibattuto), se ne sono costruiti di nuovi, di stampo protestante, ossia semplici tavole su cui consumare la Cena del Signore, e non vere e proprie are su cui consumare l’Eterno ed Unico Sacrificio. Non sono più necessarie le reliquie, le tovaglie sono sensibilmente ridotte, scompaiono la Croce e i candelieri, così come le statue e le immagini, e l’altare viene abbassato al livello dei fedeli, proprio perché è una mera tavola. Il Tabernacolo viene financo spostato, e Gesù vivo e vero viene messo in disparte, mentre al centro del presbiterio s’erge tronfio il trono del “presidente”, il quale diventa spesso vero oggetto dell’adorazione liturgica, che dovrebbe essere resa a Dio solo, in una concezione antropocentrica pressoché blasfema.

    L'altare tradizionale sullo sfondo e quello nuovo davanti (Chiesa di S. Bernardino a L'Aquila)
  • La Presenza Reale: tutti sanno che questo dogma infallibile della Chiesa fu duramente negato dagli eretici, e fu viceversa solennizzato nel rito cattolico attraverso le molteplici adorazioni di Nostro Signore realmente presente nelle Sacre Specie. Tale adorazione passò in secondo piano nel nuovo rito, sia con lo spostamento del Tabernacolo, che con il cambio delle espressioni con cui ci si rivolge all’Eucaristia, nonché di gran parte dei gesti rituali di venerazione che le erano associati (le genuflessioni, le dita congiunte, i segni di croce …)
  • I testi del Messale che esprimono il mistero: senza andare a commentare ogni singola parte del nuovo Messale, ci limitiamo a far notare come l’intenzione dei riformatori di cambiare la formula consacratoria e in generale il Canone Eucaristico fu quanto di più deprecabile, poiché andarono a toccare un patrimonio liturgico risalente al IV secolo per mutarlo con una serie di testi fumosi, dubbi, alcuni inventati, altri invece mantenuti dalla tradizione ma con significative modifiche, e per di più sostituirne la pia recita silenziosa con una proclamazione a voce alta di stampo chiaramente protestante (in cui bisogna “sentire” per poter “partecipare” all’azione liturgica). Un breve cenno va sicuramente fatto anche alle orazioni, alle antifone e alle letture bibliche, da dove paiono essere scomparsi quasi del tutto nella riforma del lezionario dei concetti fondamentali come Inferno, Giudizio, peccato …


Conclusioni

Le conclusioni che trae don Pietro Leone, e che sono le stesse che noi ci permettiamo di trarre, sono le seguenti: i caratteri tipici della nuova liturgia comportano un grave travisamento della fede, una riduzione sensibile delle grazie scaturite dalla preghiera della Chiesa (poiché essa è meno ricca e meno significativa), nonché una svalutazione del culto reso a Dio che diventa una vera e propria offesa nei suoi confronti. Esso è frutto di una concezione falsamente ecumenica, sicuramente protestante, che ha avuto come principali motori una semplificazione barbara, l’avvicinamento alla sensibilità del mondo, nonché la trasformazione di un culto di Dio in un culto dell’uomo, della comunità; queste trasformazioni inoltre sono certamente avvenute sotto la mano occulta dalla Massoneria (si legga qualche protocollo risalente agli anni del Vaticano II per avere un’idea di ciò). Una precisazione secondo noi necessaria è che il rito romano moderno è completamente valido e legittimo, poiché è stato approvato e controfirmato da un Sommo Pontefice; è giusto dibattere sulla sua dignità, sulla sua adeguatezza, financo sulla sua ortodossia, ma mai si può mettere in dubbio la sua efficacia (consacra realmente) o validità (consacra legittimamente) sacramentale.
È chiaro che la nostra trattazione è stata oltremodo superficiale, avendo solo l’intenzione di presentare rapidamente il conflitto esistente tra le due forme del Rito Romano, per approfondire il quale torniamo a consigliare la lettura delle fonti sopraccitate. Riprenderemo sicuramente il tema della Messa Antica in futuro, poiché dalla conoscenza della liturgia scaturiscono sempre maggiori grazie per i fedeli che pregano attraverso di essa; nel frattempo, esortiamo vivamente tutti a cercare di partecipare il più possibile con devozione alla Messa di sempre, soprattutto in questo tempo particolare che ci attende, in cui il mistero fondamentale della nostra fede ha necessità di un rito che possa esprimerlo nella pienezza della sua sacralità e nell’integrità della sua dignità.





Alcune Messe Tridentine nella nostra chiesa veneziana di S. Simon Piccolo


Ad majorem Dei gloriam!



martedì 4 aprile 2017

A chi sostiene che le riforme liturgiche abbiano avvicinato liturgia orientale e occidentale

Abbiamo nella nostra esperienza, reale e virtuale, trovato molti sostenitori della tesi espressa nel titolo, la quale è visibilmente contraria a quella che vogliamo invece sostenere noi, autori di questo blog. Senza perdere ulteriore tempo, controbattiamo citando le parole di S.E. il Card. Ottaviani:

"La Costituzione accenna esplicitamente a una ricchezza di pietà e di dottrina mutuata nel Novus Ordo dalle Chiese di Oriente. Il risultato appare tale da respingere inorridito il fedele di rito orientale, tanto lo spirito ne è, piú che remoto, addirittura opposto.  
A che si riducono queste scelte ecumeniche?
In sostanza
- alla molteplicità delle anafore (non certo alla loro bellezza e complessità),
- alla presenza del diacono e alla comunione sub utraque specie.
Per contro, pare si sia voluto eliminare deliberatamente tutto quanto, nella liturgia romana, era piú prossimo all'orientale e, rinnegando l'inconfondibile ed immemorabile carattere romano, abdicare a ciò che piú gli era proprio e spiritualmente prezioso. Lo si è sostituito con elementi che soltanto a certi riti riformati (e nemmeno a quelli piú prossimi al cattolicesimo) lo avvicinano degradandolo, mentre vieppiú ne allontaneranno l'Oriente, come l'hanno già allontanato le ultime riforme.
In compenso, esso piacerà sommamente a tutti quei gruppi, vicini alla apostasia, che devastano la Chiesa inquinandone l'organismo, intaccandone l'unità dottrinale, liturgica, morale e disciplinare in una crisi spirituale senza precedenti."
A. Ottaviani e AA.VV., Breve esame critico del Novus Ordo Missae, VII

A breve la pubblicazione di un piccolo studio sulla S. Messa, che approfondirà anche le tematiche proposte attraverso questa citazione