venerdì 17 giugno 2022

Una liturgia ortodossa in S. Marco nel XV secolo

Come noto, è difficile individuare una data precisa della separazione effettiva tra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente, prescindendo da quella del tutto convenzionale e poco significativa del 1054. A titolo d'esempio, le crisobolle imperiali relative a Venezia, sia quella del 1081 che quelle del XII secolo, si riferiscono ai vescovi lagunari come vescovi ortodossi, concedendo loro onorificenze della corte imperiale. Sicuramente la percezione cambia dopo i tragici fatti del 1204, e possiamo dire che entro il XV secolo abbiamo una completa comprensione della differenza, ecclesiologica e dogmatica, tra la Chiesa Ortodossa e quella latina, anche nelle zone dell'Occidente più legate a Costantinopoli, quale era Venezia, unica realtà occidentale rimasta formalmente sotto il dominio romano, quantunque di fatto pienamente indipendente.

Ciò rende indubbiamente singolare il fatto che una liturgia ortodossa sia stata celebrata nel bel mezzo del XV secolo nella cappella palatina di Venezia, la Ducale Basilica di S. Marco, chiesa indubbiamente bizantina e costruita in un'epoca in cui la Chiesa Veneziana era pienamente ortodossa, ma trovandoci ora in un periodo in cui la signoria veneta era dichiaratamente e attivamente cattolica [1].

I fatti sono presto spiegati. Conclusosi il 6 luglio 1439 il Concilio di Ferrara-Firenze, che decretò la falsa unione tra le Chiese, il doge Francesco Foscari propose che il Patriarca di Costantinopoli celebrasse in S. Marco una Divina Liturgia alla presenza dell'Imperatore. Una nota del cerimoniale di S. Marco [2], la quale costituisce peraltro una delle fonti documentarie principali dell'accaduto, riferisce che il doge aveva manifestato questo desiderio "per honor e fermezza della stabilita unione, alla quale la Repubblica di Venezia era sommamente inclinata, per motivi di religione e di stato". Tuttavia, il Patriarca Giuseppe II era morto a Firenze a giugno, e il successore (Metrofane II) non sarebbe stato eletto prima dell'anno seguente; perciò l'Imperatore incaricò della celebrazione il metropolita Antonio di Eraclea, che portava anche il titolo di "metropolita d'Europa" [3]. Egli, però, era un deciso oppositore dell'unia, e per questo rifiutò di celebrare, come la scrittura veneziana summenzionata riporta; ma, essa prosegue, l'Imperatore insistette a tal punto che egli alfine fu costretto ad accettare, e tuttavia volle celebrare a suo modo.

Ovvero, come ci narra fedelmente nella sua Silvestro Siropulo nella sua Vera historia unionis non verae [4], con sicura precisione essendo stato egli personalmente presente alla cerimonia, il metropolita Antonio celebrò sul proprio antimensio, ordinò che il Credo si cantasse senza Filioque e si rifiutò categoricamente di commemorare il Papa o qualsiasi altro gerarca, pregando dunque "per tutto l'episcopato degli Ortodossi". In questo modo, quella che doveva essere una liturgia "uniata" per celebrare l'unia fiorentina, fu in realtà una liturgia pienamente ortodossa, l'ultima celebrata all'altar maggiore della Ducale Basilica nella sua storia.

Essa non fu però l'ultima liturgia ortodossa in assoluto nella Basilica poiché, come si può vedere, da diverso tempo questa è celebrata con cadenza pressoché annuale dal clero della Chiesa Ortodossa Russa nella cripta della Basilica stessa, ove riposarono le spoglie del Santo Evangelista dall'XI secolo fino al 1811, quando vennero collocate sotto l'altar maggiore (dove si trovano tuttora) in seguito a una ricognizione e agli stravolgimenti della Basilica conseguenti alla soppressione del primicerato. Nella foto, in particolare, l'allora Arcivescovo Innocenzo di Korsun (oggi metropolita di Vilnius e di tutta la Lituania) vi celebra la Divina Liturgia pontificale in occasione della festa di S. Marco secondo il calendario giuliano, forse del 2008 o 2009 [5].

NOTE

[1] Si vedano anche i coevi provvedimenti contro il clero greco delle colonie da mar, all'epoca particolarmente duri, e che invece lasceranno spazio a decisa tolleranza nei secoli successivi, fino a una sorta di vera e propria 'intercomunione' (cfr. K. Ware, "Orthodox and Catholics in the Seventeenth Century: Schism or Intercommunion?", in The Orthodox West 01.03.2018, https://journal.orthodoxwestblogs.com/2018/03/01/orthodox-and-catholics-in-the-seventeenth-century-schism-or-intercommunion/).

[2] Perduta in originale, ma riportata in copia in Archivio Storico Patriarcale, Scritture antiche e recenti della chiesa dei Greci in Venezia raccolte l'anno 1762 per comando e cura di mons. Giovanni Bragadin Patriarca, Cancelliere Spiridione Talù, fasc. B, f. 4.

[3] Non già il continente intiero, si badi bene, ma la omonima provincia romana della Tracia, che corrisponde sostanzialmente all'odierna Turchia europea e che era il lembo di terra di cui la fanciulla del mito era effettivamente eponima, cfr. Inno ad Apollo, vv. 247-251, nome poi esteso per sineddoche all'intero continente.

[4] Ed. postuma di R. Crayghton (Den Haag 1660), successivamente riveduta e purgata da alcune manomissioni inserite da questi in funzione polemistica ad opera di L. Allacci (Roma 1665).

[5] L'Arcivescovo fu difatti reggente pro tempore della Chiesa Russa in Italia dal dicembre 2007 al dicembre 2010.

BIBLIOGRAFIA GENERALE

J. GILL, The Council of Florence, Cambridge 1961, p. 302;
G. FEDALTO, Ricerche storiche sulla posizione giuridica ed ecclesiastica dei Greci a Venezia nei secoli XV e XVI, Firenze 1967, pp. 24-25.