mercoledì 2 maggio 2018

In Inventione S. Crucis

3 MAJI
in Inventione S. Crucis
duplex II classis

Hierosolymis Inventio sacrosanctae crucis Dominicae, sub Constantino Imperatore
A Gerusalemme, il Ritrovamento della sacrosanta Croce del Signore, sotto l'Imperatore Costantino

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Nella tradizione romana, la Santa Croce viene onorata con due distinte festività: quella più nota del 14 settembre, definita Exaltatio S. Crucis, che ne commemora il ricupero (nel 630) ad opera dell'Imperatore Eraclio dalle mani del persiano Cosroe II in cui era caduta; quella meno nota (in quanto scomparsa nelle riforme degli anni '60), ma liturgicamente più importante ("doppio di II classe" contro il "doppio maggiore" della precedente), del 3 maggio, data del rinvenimento della Santa Croce da parte dell'Imperatore Costantino grazie alla madre Elena.

In realtà, gli autori latini sono piuttosto divisi in materia, soprattutto perché la festa del 3 maggio era stata quella maggiormente apprezzata in Occidente, mentre l'Oriente festeggiava con ogni solennità quella del 14 settembre (che nella Chiese Romana ebbe più difficoltà a diffondersi, soprattutto perché il 14 settembre è anche il dies natalis dei due santi Martiri Cornelio e Cipriano, la cui antichissima venerazione nell'Urbe è attestata dalla loro menzione nel Canone Romano, e non senza difficoltà si ottenne di spostare la loro memoria al 16 dello stesso mese), sicché il card. Ildefonso Schuster, liturgista e pastore della Chiesa ambrosiana, sostenne che la restituzione delle reliquie da parte di Eraclio al patriarca Zaccaria fosse da individuarsi nel 3 maggio del 630. Tant’è che per Schuster la messa del 3 maggio è “post-gregoriana” e per l’Introito e l’Offertorio si sono mutuati testi da messe più antiche. Notiamo che l’Introito del 3 maggio e del 14 settembre è lo stesso e coincide con quello del Giovedì santo (Gal. 6,14), parimenti l’epistola è la stessa (Filipp. 2, 5-11) che coincide con quella della messa della Domenica delle palme. È simile l’opinione dell’abate Righetti che in modo perentorio e senza mezzi termini afferma che “il titolo della prima ricorrenza (3, maggio, Invenzione della Croce) è sbagliato in pieno”. Sempre per il Righetti l’adozione della festa della Exaltatio fu frutto di un processo di imitazione di Gerusalemme, che si diffuse specialmente in quei centri che avevano ricevuto frammenti del legno della Croce. Interessante quanto ci ragguaglia il Righetti circa il fatto che già sotto il sommo pontificato di Benedetto XIV – segnatamente nel 1741 – la questione delle due feste si era evidenziata presso la commissione preposta alla riforma del Breviario, che però intese lasciare lo status quo. Altri autori invece, cercando di confutare la Leggenda della Vera Croce di San Giuda Ciriaco (testo di riferimento per la storia del Sacro Legno, a cui si riferiscono le interpretazioni che abbiamo dato all'inizio), cercarono di sostenere che la data dell'Invenzione della Croce da parte di Sant'Elena fosse stata il 14 settembre 327, rovesciando dunque le prospettive tradizionali. Dom Gueranger, dal canto suo, tralasciando di identificare gli eventi che titolano le due feste (ritrovamento e ricupero della Croce), di cui afferma che che ignoriamo le date reali, intese semplicemente dare un'origine gallicana alla ricorrenza del 3 maggio e una gerosolimitana a quella del 14 settembre, spiegando che confluirono a Roma in epoche diverse

Matteo Rosselli, Invenzione della Santa Croce

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OMELIA
di San Giovanni Damasceno

Il linguaggio della croce è follia per quelli che si perdono; per noi che ci salviamo, invece, potenza di Dio (1 Cor. 1, 18). L'uomo spirituale, infatti, "giudica ogni cosa" (1 Cor. 2, 15), mentre quello animale non accetta le cose dello Spirito (1 Cor. 2, 14). Follia è, infatti, quella di coloro che si rifiutano di credere e di riflettere sulla bontà e l'onnipotenza di Dio, indagando sulle realtà divine con le loro categorie umane e naturali, senza rendersi conto che tutto ciò che riguarda la divinità trascende la natura, la razionalità e la conoscenza. Se ci si domanda, infatti, il come ed il perché Iddio abbia creato dal nulla tutte le cose, e si cerca di scoprirlo con le sole facoltà razionali che la natura ci mette a disposizione, non si approda a nulla, giacché una scienza come questa è terrestre e diabolica. Tutto è semplice e lineare invece, ed il cammino è spedito per chi, condotto per mano, per cosi dire, dalla fede, va alla ricerca del Dio buono, onnipotente, vero, sapiente e giusto. Senza la fede, infatti, nessuno può salvarsi (cf. Eb 11, 6): è in virtù della fede che

tutte le cose, sia le umane che le trascendenti, acquistano significato e valore. Senza l'intervento della fede il contadino non ara il suo campo, il mercante non mette a repentaglio la sua vita, su di una piccola nave, fra le onde tempestose del mare; senza fede non si contraggono matrimoni né si porta a termine alcun'altra attività della vita. È la fede a farci comprendere come tutto sia stato creato dal nulla grazie alla potenza divina. Con la fede intendiamo correttamente ogni cosa, umana o divina che sia. La fede, insomma, è il consenso formulato senza riserve.

Tutte le opere ed i miracoli compiuti dal Cristo, dunque, appaiono manifestazioni grandiose, divine, straordinarie; la più strepitosa di tutte, però, è la sua venerabile croce. t grazie a questa, infatti, e non ad altro, che la morte fu sconfitta, il peccato del progenitore ricevette la sua espiazione, l'inferno venne spogliato, fu elargita la risurrezione; è stata la croce a guadagnarci la forza di disprezzare i beni del mondo e persino la morte, a prepararci il ritorno all'antica beatitudine, a spalancarci le porte del cielo; soltanto la croce del Signore nostro Gesù Cristo, infine, ha elevato l'umanità alla destra di Dio, promuovendoci alla dignità di suoi figli ed eredi. Tutto questo ci ha procurato la croce! Tutti noi, infatti, ricorda l'Apostolo, che siamo stati battezzati in Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte (Rm. 6, 3). Tutti noi, battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (Gal. 3,27). E Cristo, poi, è potenza e sapienza di Dio (1 Cor. 1, 24). Ecco, la morte di Cristo, cioè la croce, ci ha rivestito dell'autentica potenza e sapienza di Dio. La potenza di Dio, da parte sua, si manifesta nella croce, sia perché la forza divina, cioè la vittoria sulla morte, ci si è mostrata attraverso la croce; sia in quanto, allo stesso modo come i quattro bracci della croce si uniscono fra loro nel punto centrale, così pure, attraverso la potenza di Dio, si assimilano l'una con l'altra l'altezza e la profondità, la lunghezza e la larghezza: in altre parole, tutta la creazione, nella sua dimensione materiale come in quella invisibile.

La croce è stata impressa sulla nostra fronte come un segno, non diversamente dalla circoncisione per Israele. In virtù di questo segno, noi fedeli siamo riconosciuti e distinti dagli increduli. La croce è per noi lo scudo, la corazza ed il trofeo contro il demonio. È il sigillo grazie al quale l'angelo sterminatore ci risparmierà, come afferma la Scrittura (cf. Ebr. 11, 28). E lo strumento per risollevare coloro che giacciono, il puntello a cui si appoggia chi sta in piedi, il bastone degli infermi, la verga per condurre il gregge, la guida per quanti si volgono altrove, il progresso dei principianti, la salute dell'anima e del corpo, il rimedio di tutti i mali, la fonte d'ogni bene, la morte del peccato, la pianta della risurrezione, l'albero della vita eterna.

Questo legno davvero prezioso e degno di venerazione, perciò, sul quale Cristo si sacrificò per noi, deve giustamente divenire oggetto della nostra adorazione, giacché fu come santificato dal contatto con il santissimo corpo e sangue del Signore. Come pure si dovrà rivolgere la nostra devozione ai chiodi, alla lancia, agli indumenti ed ai santi luoghi nei quali il Signore si è trovato: la mangiatoia, la grotta, il Golgota che ci ha recato la salvezza, il sepolcro che ci ha donato la vita, Sion, roccaforte delle Chiese, e tutti gli altri... Se, infatti, ricordiamo con affetto, fra gli oggetti che son stati nominati, la casa ed il letto e la veste del Signore, quanto più dovranno esserci care, tra le cose di Dio e del Salvatore, quelle che ci hanno procurato anche la salvezza?

Adoriamo l'immagine stessa della preziosa e vivificante croce, di qualunque materia sia composta! Non intendiamo onorare, infatti. l'oggetto materiale (non sia mai!), bensì il significato ch'esso rappresenta, il simbolo, per così dire, di Cristo. Egli stesso, d'altronde, istruendo i suoi discepoli, ebbe a dire: Apparirà allora nel cielo il segno del Figlio dell'uomo (Mt. 24, 30), cioè la croce. Ed anche l'angelo che annunciò alle donne la risurrezione di Cristo disse: Voi cercate Gesù di Nazaret, il crocifisso (Mc. 16, 6). E l'Apostolo, da parte sua: Noi predichiamo, avverte, il Cristo crocifisso (1 Cor. 1, 23). Vi sono, infatti, molti Cristi e Gesù; uno solo, però, è il crocifisso. L'Apostolo, poi, non dice: "colui che è stato trafitto dalla lancia", bensì "il crocifisso". Dobbiamo, perciò, adorare il simbolo del Cristo: ovunque, infatti, si troverà quel segno, lì sarà presente il Signore stesso. La materia di cui è composta l'immagine della croce, invece, anche se fosse d'oro o di pietre preziose, non è più degna di alcuna venerazione, una volta scomparsa, per qualsiasi motivo, la figura originaria. Tutti gli oggetti consacrati a Dio, perciò, noi li veneriamo in modo tale, da riferire alla persona divina il culto che osserviamo per essi.

(S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, IV, 11)

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