Proseguiamo la rassegna di testi con cui san Gregorio il Grande esprime la dottrina tradizionale e patristica sul papato, a confronto con quella ultramontana oggi diffusa nella chiesa Cattolica. Varie lettere di san Gregorio sull'argomento originano dalla disputa sul titolo di ecumenico, cioè universale che il patriarca di Costantinopoli si era attribuito in quanto vescovo della sede imperiale. Tra le numerose lettere agli altri Patriarchi ch'egli dedica alla questione, riportiamo - col prezioso commento ottocentesco dell'Archim. Wladimir Guettée, apologeta della dottrina patristica contro l'ultramontanismo del Vaticano I - una indirizzata direttamente al vescovo di Costantinopoli Giovanni. Utile non solo contro il papismo ultramontano, ma pure contro il papismo costantinopolitano dei giorni nostri.
LETTERA DI S. GREGORIO AL PATRIARCA GIOVANNI DI COSTANTINOPOLI
(V, 18)
Gregorio a Giovanni, vescovo di Costantinopoli.
Dal momento in cui la Vostra Fraternità è stata elevata alla dignità sacerdotale, ella si ricorda quanta pace e concordia tra le Chiese si sia avuta. Ma, ignoro per quale azzardo o per quale superbia, ella ha cercato di impossessarsi di un nuovo titolo, onde potesse causarsi scandalo nei cuori di tutti i fratelli. E della qual cosa assai mi stupisco, poiché ricordo che non volevi giungere all'episcopato, ma volevi fuggirlo. Eppure, una volta ottenutolo, lo vuoi esercitarlo così come se lo avessi ricercato con ambizioso desiderio. Tu infatti che ti dicevi essere indegno d'esser chiamato vescovo, sei arrivato ora, disprezzando i tuoi fratelli, al punto di voler aver tu solo il titolo di vescovo. E su questo argomento furono trasmessi alla vostra santità dei gravi scritti del mio predecessore Pelagio di santa memoria, nei quali rifiutò, per il titolo nefando di superbia, gli atti del sinodo che presso di voi era stato riunito in favore della causa del nostro allora fratello e co-episcopo Gregorio, e proibì di celebrare messa insieme a voi all'arcidiacono, che secondo consuetudine aveva mandato alla corte imperiale. Dopo la sua [di Pelagio] morte, invero, essendo stato condotto io indegno al governo della Chiesa [Per S. Gregorio Magno ogni vescovo prende parte al governo della Chiesa, risedendo l'autorità nell'episcopato (W. Guettée), ndt], e prima per mezzo dei miei inviati, e ora per il nostro comune figlio il diacono Sabiniano, ho avuto cura di rivolgermi alla vostra fraternità non già per iscritto, ma di persona, affinché rinunciasse a tale presunzione. E qualora rifiutaste di correggervi, gli ho proibito di celebrar messa insieme alla vostra fraternità, per instillare alla vostra santità un qualche timore della vergogna, prima che, qualora il nefando e profano orgoglio non potesse correggersi con la vergogna, di procedere per le vie prescritte e canoniche. E poiché prima di amputare la ferita essa va palpata dolcemente, vi prego, vi supplico, e v'imploro con quanta dolcezza posso, che la vostra fraternità si opponga a tutti i suoi adulatori e a quanti gli attribuiscono un titolo errato, e non permetta di farsi chiamare con un titolo tanto stolto e superbo. In verità piangendo lo dico, e con profondo dolore del cuore attribuisco ai miei peccati il fatto che un mio fratello non ha voluto sino ad ora ritornare all'umiltà, lui che si è stabilito solo nella dignità episcopale per ricondurre all'umiltà le anime degli altri; che colui che insegna agli altri la verità non la insegnerebbe a se stesso, né vi consentirebbe, nonostante le mie preghiere.
Considera, ti prego, che da questa presunzione temeraria è turbata la pace di tutta la Chiesa, e che contraddici alla grazia che su tutti è stata comunemente effusa. Nella quale tu potresti assai tanto più crescere, quanto più in te stesso ti umilierai. E tanto più grande diverrai, quanto più ti asterrai dall'usurpazione di tanto stolto e superbo titolo. E tanto trarrai profitto, quanto non ti adopererai per arrogartene a scapito dei fratelli. Ama dunque, fratello carissimo, l'umiltà con tutto il tuo cuore, per mezzo della quale possa esser custodita la concordia di tutti i fratelli e l'unità della santa Chiesa universale. Certamente Paolo apostolo quando udiva alcuni dire: Io son di Paolo, io d'Apollo, io invero di Cefa (I Cor. 1, 13), temendo assai fortemente tale dilacerazione del corpo del Signore, in conseguenza della quale le membra del suo corpo si attaccavano ad altri capi, esclamava dicendo: Forse che per voi è stato crocifisso Paolo, o siete stati battezzati in nome di Paolo (Ibid., 13)? Se dunque quegli si sforzava d'evitare che le membra del corpo del Signore fossero attaccati come a capi ad alcuni che non fossero Cristo, ancorché questi fossero apostoli, tu che dirai a Cristo, ovvero al capo della chiesa Universale, nell'interrogatorio dell'estremo giudizio, tu che tutte le sue membra vuoi sottomettere a te col titolo di univerale? Chi ti proponi a modello, ti domando, in questo perverso titolo, se non colui che, sprezzate le legioni di angeli costituite con sé in società, tentò di elevarsi al culmine della singolarità, acciocché non paresse sottomettersi ad alcuno ed anzi a tutti esser capo lui solo? Colui che pure disse: Salirò al cielo, esalterò il mio soglio sovra gli astri del cielo. Siederò sul monte dell'alleanza, sulle rocce dell'Aquilone. Salirò sopra la vetta delle nubi, sarò simile all'Altissimo (Isaia xiv, 13).
Cosa son dunque i tuoi fratelli, tutti i vescovi della Chiesa universale, se non le stelle del cielo, la cui vita e il cui insegnamento risplendono tra i peccati e gli errori degli uomini come tra le tenebre della notte? Quando per titolo ambizioso brami di elevarti al di sopra di loro, e svilire il loro titolo a confronto del tuo, che altro dici se non: Salirò al cielo, esalterò il mio soglio sovra gli astri del cielo? Forse che non son tutti i vescovi le nubi, che stillano le parole della predicazione, e splendono della luce delle buone opere? Quando la vostra fraternità, disprezzandoli, tenta di conculcarli sotto di sé, che altro dice, se non ciò che fu detto dal nemico antico: Salirò sopra la vetta delle nubi? E mentre piangendo veggo tutto ciò, e temo gli occulti giudizj di Dio, crescono le lacrime, i miei gemiti traboccano dal cuore, perché il signor Giovanni, quell'uomo così santo, di sì grande astinenza e umiltà, per la seduzione delle lusinghe dei parenti, è giunto a tal grado di superbia che, per la brama di quel titolo perverso, tenta d'esser simile a quegli che, volendo superbamente esser simile a Dio, perdè pure la grazia della somiglianza che gli era stata donata; e perciò perdè la vera beatitudine, poiché bramava una falsa gloria. Certamente Pietro, primo degli apostoli, e membro della santa e universale Chiesa, Paolo, Andrea, Giovanni, che altro sono se non capi di certi popoli? E pure tutte le membra son sotto un solo capo. E, per dir tutto in breve, i santi prima della Legge, i santi sotto la Legge, i santi sotto la grazia, tutti questi formano il corpo del Signore, son costituiti membri della Chiesa, e nessuno volle mai esser chiamato universale. La vostra santità dunque riconosca quanto sia gonfio, poiché brama d'esser chiamato con quel titolo con cui nessuno che fu veramente santo ebbe la presunzione di farsi chiamare.
Come sa la vostra Fraternità, forse che il venerando Concilio di Calcedonia ha, per l'onore tribuito, dato il titolo di universale ai vescovi di quella sede apostolica di cui, per volontà di Dio, io son servitore? E pure, nessuno mai avrebbe voluto essere chiamato con tale titolo, nessuno si attribuì un tanto temerario titolo, affinché, bramando la gloria della singolarità nella dignità episcopale, sembrasse negarla a tutti i fratelli.
Ma so che questo è stato conferito alla vostra santità da quelli che con capziosa familiarità vi adulano, contro i quali chiedo che la vostra fraternità sia solertemente vigile, e che non si lasci ingannare dalle loro lusinghe. Tanto più infatti debbono esser ritenuti pericolosi i nemici, quanto più adulano con finte lodi. Scaccia queste persone; e se devono necessariamente ingannare, almeno ingannino i cuori degli uomini terrei, e non dei sacerdoti. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Lucas ix, 60). Voi invece col Profeta dite: Si ritirino subito arrossendo, quanti mi dicono: Bene! Bene! (Psal. lxix, 4). E ancora: Ma l'olio del peccatore non profumerà il mio capo (Psal. cxl, 5). Laonde bene ammonisce il Saggio: Con molti tu sia in pace, ma il tuo consigliere sia uno solo tra mille (Eccli. vi, 6). Le cattive parole corrompono infatti i buoni costumi (I Cor. xv, 33). Quando infatti l'antico nemito non può penetrare in un cuore robusto, cerca persone deboli che gli siano vicine, e per mezzo loro, come scale appoggiate contro alte mura, vi ascende. Così ingannò Adamo per la donna che le era vicina (Genes. iii), così quando uccise i figli al beato Giobbe e gli lasciò la moglie malata (Job ii, 10), affinché, non essendo da sé in grado di giungere al suo cuore, almeno potesse penetrarvi per le parole della moglie. Quanti dunque presso di voi sono infermi e mondani, siano scacciati nella loro adulazione e lusinga, poiché da lì proviene l'eterna inimicizia di Dio, da dove essi si mostrano come adulatori perversi.
Un tempo l'apostolo Giovanni certò gridava: Figliuoli, questa è l'ultima ora (I Joan. ii, 18); ora avviene secondo la predizione della Verità. Peste e spada infuriano per tutto il mondo, le nazioni insorgono l'une contro l'altri, è scosso l'universo, la terra sia per inghiottire i suoi abitanti. Tutto ciò che è stato previsto, infatti, accadrà. Il re della superbia è vicino, e, cosa orribile a dirsi, gli è pronto un esercito di sacerdoti, poiché pensano solo a elevarsi, loro che sarebbero stati stabiliti solo per condurre gli altri all'umiltà. Ma in questo, ancorché la nostra lingua non sia minimamente contraria, s'ergerà a vindice della sua virtù contro l'insuperbire colui che è per se stesso speciale avversario del vizio della superba. Perciò infatti sta scritto: Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà grazia (Jac. iv, 6). Perciò ancora è detto: Impuro agli occhi di Dio è colui che si esalta in cuor suo (Proverb. xvi, 5). Perciò contro l'uomo che s'insuperbisce è scritto: Perché dovresti esser superbo, tu che se' terra e cenere (Eccli. x, 9)? Perciò la Verità stessa dice: Chiunque si esalta, sarà umiliato (Luc. xiv, 11). E per ricondurci sulla via dell'umiltà, Ella s'è degnata di mostrarlo nella propria persona, dicendo: Imparate da me, ché son mite ed umile di cuore (Matth. xi, 29). Per questo infatti l'unigenito Figlio di Dio ha preso la forma della nostra debolezza, per questo l'invisibile è apparso non solo visibile, ma pure disprezzato; per questo ha sopportato oltraggi, insulti, tormenti, peché l'uomo imparasse da un Dio umile a non esser superbo. Quanto grande dunque è la virtù dell'umiltà, dacché per insegnarci questa sola in verità colui che è grande senza comparazione, si è fatto piccolo sino al patir la morte? Poiché infatti la superbia del diavolo fu la fonte della nostra perdizione, fu trovato per istrumento della nostra redenzione l'umiltà di Dio. Il nostro nemico infatti volea esser esaltato sopra tutto le creature in mezzo alle quali era pur lui; il nostro Redentore invece, pur restando grande sovra ogni creatura, s'è degnato di diventar piccolo fra tutte.
Perché dunque ci chiamiamo vescovi, noi che abbiam ricevuto la nostra dignità dall'umiltà del nostro Redentore, ed eppure imitiamo la superbia del suo nemico? Ecco, sappiamo che il nostro Creatore è disceso dalla vetta della sua grandezza per dare gloria all'umanità, e noi, infime creature, ci gloriamo dell'aver privato i fratelli. Iddio umiliò se stesso insino alla nostra polvere, e la polvere umana brama di porre lasua bocca sopra il cielo e sfiorare appena la terra, e non se ne vergogna, non teme d'elevarsi l'uomo che non è altro che sporcizia, il figlio dell'uomo che non è che un verme (Job xxv). Rimembriamo, fratello carissimo, ciò che fu detto dal saggissimo Salomone: Il fulmine precede il tuono, e il cuor s'esalta pria di cadere (Eccli. xxxii, 14). E d'altra parte soggiunge: Prima della gloria ci s'umilia. Umiliamoci dunque nel cuore, se vogliamo giungere a una solida grandezza. Che gli occhi del nostro cuore mai non siano oscurati dal fumo dell'orgoglio, che più in alto s'eleva, tanto più in fretta svanisce. Riflettiamo sui precetti con cui ci ammonì il nostro Redentore, dicendo: Beati i poveri in spirito, poiché di questi è il regno de' cieli (Matth. v, 3). Poiché infatti per mezzo del profeta disse: Su chi riposerà il mio Spirito, se non sull'uomo umile e mansueto, che riverisce le mie parole (Isaias lxvi, 2)? E volendo certo chiamare all'umiltà i cuori ancor deboli dei suoi discepoli, il Signore disse: Se qualcuno tra voi brama esser primo, sarà di tutti il più piccolo (Matth. xx, 27). In ciò ci fa apertamente capire che veramente esaltato è colui che ne' suoi pensieri s'umilia. Temiamo dunque di esser tra coloro che cercano i primi posti nelle sinagoghe, e i saluti nella pubblica piazza, e voglion farsi chiamare maestri dagli uomini. Poiché in contrario il Signore ha detto ai suoi discepoli: Voi invece non fatevi chiamare maestri. Uno infatti è il vostro maestro; voi invece tutti siete fratelli. E non chiamate qualcuno Padre sulla terra, uno infatti è il Padre vostro (Matth. xxiii, 7-8).
Che dirai allora, fratello carissimo, in quel terribile interrogatorio del giudizio venturo, tu che non solo padre, ma pure padre universale brami d'esser chiamato nel mondo? Si faccia dunque attenzione al pravo consiglio dei malvagi, si fugga ogni istigazione allo scanalo. E' invero necessario che accadano scandali, ma guai all'uomo per mezzo del quale viene lo scandalo (Matth. xviii, 7). Ecco, a causa di questo nefando titolo di superbia, la Chiesa è divisa, i cuori di tutti i fratelli son scandalizzati. Avete forse dunque dimenticato ciò che dice la Verità: Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, convien per lui che gli sia appesa al collo una macina girata da asini, e che sia gittato nel profondo del mare (Ibid.)? Invero sta scritto: La carità non cerca ciò che le appartiene (I Cor. xiii, 4). Ecco, la vostra fraternità brama ciò che non le appartiene. Ancor sta scritto: Onoratevi gli uni gli altri (Rom. xiii, 10). E tu cerchi di togliere a tutti quell'onore che illecitamente desideri usurpare ai singoli. Dov'è, fratello carissimo, ciò che fu scritto: Abbiate ne' riguardi di tutti la pace, e la santimonia senza la quale niuno vedrà Iddio (Ibid.)? Dov'è ciò che fu scritto: Beati i pacifici, poiché saran chiamati figli di Dio (Matth. v, 9)?
Vi conviene badare che non vi blocchi una radice di amarezza che nuovamente germina nel vostro cuore, e dalla quale molti son contaminati. Se infatti trascuriamo di considerarla, i giudizi saran vigilanti sopra il gonfiore di tanta superbia. E noi ne' confronti di coloro dai quali una sì grande colpa è stata commessa per un empio azzardo, serbiamo i precetti della Verità, dicendo: Se il tuo fratello ha peccato contro di te, va' e riprendilo tra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Se invece non ti ascolterà, porta teco uno o due, affinché tutto stia nella bocca di due o tre testimoni. E se questi non li ascolterà, dillo all'assemblea. E se non ascolterà nemmeno l'assemblea, sia per te come un pagano o un pubblicano (Matth. xvii, 3). Io dunque per mezzo de' miei legati ho cercato una e due volte di correggere con umili parole il peccato che vien commesso contro tutta la Chiesa, e ora da me stesso lo scrivo. Qualunque cosa umilmente dovevo fare, non l'ho tralasciata. Ma se son sprezzato nella mia correzione, mi resta solo d'appellarmi alla Chiesa.
Iddio onnipotente vi renda manifesto da quanto amore son preso ne' vostri confronti parlando così, e di quanto m'addoloro in questa faccenda non contro di voi, ma per voi. Ma per quanto riguarda i precetti evangelici e le istituzioni canoniche e il vantaggio dei fratelli, non posso preferire una persona, nemmeno quella che molto amo.
Ho ricevuto da vostra santità scritti dolcissimi e sinceri circa la causa dei presbiteri Giovanni e Atanasio, circa la quale, con l'aiuto del Signore, risponderò in altre lettere che seguiranno, poiché sono astretto da tali tribolazioni e premuto dalle spade de' barbari, che non m'è lecito non solo occuparmi di molte cose, ma a malapena respirare.
Dato alle calende di gennajo, indizione decimaterza.
S. Gregorio Magno, Epistolarium, lib. v, ep. xviij (PL 77:738-743). Trad. it. di Nicolò Ghigi.
S. Gregorio Magno ispirato dallo Spirito Santo
(Treviri Stadtbibliothek, miniatura 983)
COMMENTO
Si vede, da questa prima lettera di papa san Gregorio Magno: 1° che l'autorità ecclesiastica risiede nell'episcopato, e non in un tal vescovo, per quanto elevato possa essere il suo rango nella gerarchia ecclesiastica; 2° che non fu la sua causa particolare ch'egli difese contro Giovanni di Costantinopoli, ma quella di tutta la Chiesa; 3° ch'ei non aveva il diritto di giudicare personalmente questo caso, e che doveva deferirlo alla Chiesa; 4° che il titolo di vescovo universale è contrario alla parola di Dio, superbo, criminale, stolto ed inetto; 5° che nessun vescovo, nonostante l'elevatezza del suo rango nella gerarchia ecclesiastica, può rivendicare un'autorità universale senza incidere sui diritti dell'episcopato intero; 6° che nessun vescovo nella Chiesa può pretendere di essere il padre di tutti i cristiani senza attribuirsi un titolo contrario al Vangelo, superbo, stolto e criminale.
Chiediamo ai neo-cattolici di riflettere seriamente su queste verità espresse così chiaramente in questa prima lettera, e che appariranno con nuove evidenze in quelle che seguiranno.
San Gregorio aveva risparmiato Giovanni di Costantinopoli, pur dicendogli la verità sulle sue ambiziose pretese. La ragione di questa riserva era stata il rispetto che aveva per l'imperatore Maurizio, che Giovanni si era guadagnato alla sua causa. Giovanni aveva persuaso Maurizio che, avendo la città di Costantinopoli rimpiazzato Roma come capitale dell'impero, il titolo di primo vescovo della Chiesa gli apparteneva, poiché i concili l'avevano concesso a quello di Roma solo per l'importanza della sua sede, e unicamente perché questa città era la prima dell'impero romano. Era sulla base di questa pretesa che aveva usurpato il titolo di ecumenico o universale. Aveva persino ingaggiato Maurizio per intervenire contro Gregorio, in modo che quest'ultimo chiudesse un occhio sulle sue pretese e vivesse con lui in buono spirito. Troviamo questi dettagli nella lettera di san Gregorio al diacono Sabino, che era allora suo agente presso l'imperatore, e che fu poi suo successore sul soglio di Roma (Lettere di san Gregorio, lib. V ; lettera 19e, ed. con licenza).
Archimandrite Wladimir Guettée, La Papauté moderne condamnée par le pape saint Grégoire le Grand, Paris, Dentu, 1861, pp. 18-19. Trad. it. di Nicolò Ghigi. Corsivi e maiuscoli originali.