venerdì 6 agosto 2021

San Gregorio Magno e il Papato moderno - parte II

Proseguiamo la rassegna di testi con cui san Gregorio il Grande esprime la dottrina tradizionale e patristica sul papato, a confronto con quella ultramontana oggi diffusa nella chiesa Cattolica. Varie lettere di san Gregorio sull'argomento originano dalla disputa sul titolo di ecumenico, cioè universale che il patriarca di Costantinopoli si era attribuito in quanto vescovo della sede imperiale. Tra le numerose lettere agli altri Patriarchi ch'egli dedica alla questione, riportiamo - col prezioso commento ottocentesco dell'Archim. Wladimir Guettée, apologeta della dottrina patristica contro l'ultramontanismo del Vaticano I - una indirizzata direttamente al vescovo di Costantinopoli Giovanni. Utile non solo contro il papismo ultramontano, ma pure contro il papismo costantinopolitano dei giorni nostri.

LETTERA DI S. GREGORIO AL PATRIARCA GIOVANNI DI COSTANTINOPOLI
(V, 18)

Gregorio a Giovanni, vescovo di Costantinopoli.

Dal momento in cui la Vostra Fraternità è stata elevata alla dignità sacerdotale, ella si ricorda quanta pace e concordia tra le Chiese si sia avuta. Ma, ignoro per quale azzardo o per quale superbia, ella ha cercato di impossessarsi di un nuovo titolo, onde potesse causarsi scandalo nei cuori di tutti i fratelli. E della qual cosa assai mi stupisco, poiché ricordo che non volevi giungere all'episcopato, ma volevi fuggirlo. Eppure, una volta ottenutolo, lo vuoi esercitarlo così come se lo avessi ricercato con ambizioso desiderio. Tu infatti che ti dicevi essere indegno d'esser chiamato vescovo, sei arrivato ora, disprezzando i tuoi fratelli, al punto di voler aver tu solo il titolo di vescovo. E su questo argomento furono trasmessi alla vostra santità dei gravi scritti del mio predecessore Pelagio di santa memoria, nei quali rifiutò, per il titolo nefando di superbia, gli atti del sinodo che presso di voi era stato riunito in favore della causa del nostro allora fratello e co-episcopo Gregorio, e proibì di celebrare messa insieme a voi all'arcidiacono, che secondo consuetudine aveva mandato alla corte imperiale. Dopo la sua [di Pelagio] morte, invero, essendo stato condotto io indegno al governo della Chiesa [Per S. Gregorio Magno ogni vescovo prende parte al governo della Chiesa, risedendo l'autorità nell'episcopato (W. Guettée), ndt], e prima per mezzo dei miei inviati, e ora per il nostro comune figlio il diacono Sabiniano, ho avuto cura di rivolgermi alla vostra fraternità non già per iscritto, ma di persona, affinché rinunciasse a tale presunzione. E qualora rifiutaste di correggervi, gli ho proibito di celebrar messa insieme alla vostra fraternità, per instillare alla vostra santità un qualche timore della vergogna, prima che, qualora il nefando e profano orgoglio non potesse correggersi con la vergogna, di procedere per le vie prescritte e canoniche. E poiché prima di amputare la ferita essa va palpata dolcemente, vi prego, vi supplico, e v'imploro con quanta dolcezza posso, che la vostra fraternità si opponga a tutti i suoi adulatori e a quanti gli attribuiscono un titolo errato, e non permetta di farsi chiamare con un titolo tanto stolto e superbo. In verità piangendo lo dico, e con profondo dolore del cuore attribuisco ai miei peccati il fatto che un mio fratello non ha voluto sino ad ora ritornare all'umiltà, lui che si è stabilito solo nella dignità episcopale per ricondurre all'umiltà le anime degli altri; che colui che insegna agli altri la verità non la insegnerebbe a se stesso, né vi consentirebbe, nonostante le mie preghiere.

Considera, ti prego, che da questa presunzione temeraria è turbata la pace di tutta la Chiesa, e che contraddici alla grazia che su tutti è stata comunemente effusa. Nella quale tu potresti assai tanto più crescere, quanto più in te stesso ti umilierai. E tanto più grande diverrai, quanto più ti asterrai dall'usurpazione di tanto stolto e superbo titolo. E tanto trarrai profitto, quanto non ti adopererai per arrogartene a scapito dei fratelli. Ama dunque, fratello carissimo, l'umiltà con tutto il tuo cuore, per mezzo della quale possa esser custodita la concordia di tutti i fratelli e l'unità della santa Chiesa universale. Certamente Paolo apostolo quando udiva alcuni dire: Io son di Paolo, io d'Apollo, io invero di Cefa (I Cor. 1, 13), temendo assai fortemente tale dilacerazione del corpo del Signore, in conseguenza della quale le membra del suo corpo si attaccavano ad altri capi, esclamava dicendo: Forse che per voi è stato crocifisso Paolo, o siete stati battezzati in nome di Paolo (Ibid., 13)? Se dunque quegli si sforzava d'evitare che le membra del corpo del Signore fossero attaccati come a capi ad alcuni che non fossero Cristo, ancorché questi fossero apostoli, tu che dirai a Cristo, ovvero al capo della chiesa Universale, nell'interrogatorio dell'estremo giudizio, tu che tutte le sue membra vuoi sottomettere a te col titolo di univerale? Chi ti proponi a modello, ti domando, in questo perverso titolo, se non colui che, sprezzate le legioni di angeli costituite con sé in società, tentò di elevarsi al culmine della singolarità, acciocché non paresse sottomettersi ad alcuno ed anzi a tutti esser capo lui solo? Colui che pure disse: Salirò al cielo, esalterò il mio soglio sovra gli astri del cielo. Siederò sul monte dell'alleanza, sulle rocce dell'Aquilone. Salirò sopra la vetta delle nubi, sarò simile all'Altissimo (Isaia xiv, 13).

Cosa son dunque i tuoi fratelli, tutti i vescovi della Chiesa universale, se non le stelle del cielo, la cui vita e il cui insegnamento risplendono tra i peccati e gli errori degli uomini come tra le tenebre della notte? Quando per titolo ambizioso brami di elevarti al di sopra di loro, e svilire il loro titolo a confronto del tuo, che altro dici se non: Salirò al cielo, esalterò il mio soglio sovra gli astri del cielo? Forse che non son tutti i vescovi le nubi, che stillano le parole della predicazione, e splendono della luce delle buone opere? Quando la vostra fraternità, disprezzandoli, tenta di conculcarli sotto di sé, che altro dice, se non ciò che fu detto dal nemico antico: Salirò sopra la vetta delle nubi? E mentre piangendo veggo tutto ciò, e temo gli occulti giudizj di Dio, crescono le lacrime, i miei gemiti traboccano dal cuore, perché il signor Giovanni, quell'uomo così santo, di sì grande astinenza e umiltà, per la seduzione delle lusinghe dei parenti, è giunto a tal grado di superbia che, per la brama di quel titolo perverso, tenta d'esser simile a quegli che, volendo superbamente esser simile a Dio, perdè pure la grazia della somiglianza che gli era stata donata; e perciò perdè la vera beatitudine, poiché bramava una falsa gloria. Certamente Pietro, primo degli apostoli, e membro della santa e universale Chiesa, Paolo, Andrea, Giovanni, che altro sono se non capi di certi popoli? E pure tutte le membra son sotto un solo capo. E, per dir tutto in breve, i santi prima della Legge, i santi sotto la Legge, i santi sotto la grazia, tutti questi formano il corpo del Signore, son costituiti membri della Chiesa, e nessuno volle mai esser chiamato universale. La vostra santità dunque riconosca quanto sia gonfio, poiché brama d'esser chiamato con quel titolo con cui nessuno che fu veramente santo ebbe la presunzione di farsi chiamare.

Come sa la vostra Fraternità, forse che il venerando Concilio di Calcedonia ha, per l'onore tribuito, dato il titolo di universale ai vescovi di quella sede apostolica di cui, per volontà di Dio, io son servitore? E pure, nessuno mai avrebbe voluto essere chiamato con tale titolo, nessuno si attribuì un tanto temerario titolo, affinché, bramando la gloria della singolarità nella dignità episcopale, sembrasse negarla a tutti i fratelli.

Ma so che questo è stato conferito alla vostra santità da quelli che con capziosa familiarità vi adulano, contro i quali chiedo che la vostra fraternità sia solertemente vigile, e che non si lasci ingannare dalle loro lusinghe. Tanto più infatti debbono esser ritenuti pericolosi i nemici, quanto più adulano con finte lodi. Scaccia queste persone; e se devono necessariamente ingannare, almeno ingannino i cuori degli uomini terrei, e non dei sacerdoti. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Lucas ix, 60). Voi invece col Profeta dite: Si ritirino subito arrossendo, quanti mi dicono: Bene! Bene! (Psal. lxix, 4). E ancora: Ma l'olio del peccatore non profumerà il mio capo (Psal. cxl, 5). Laonde bene ammonisce il Saggio: Con molti tu sia in pace, ma il tuo consigliere sia uno solo tra mille (Eccli. vi, 6). Le cattive parole corrompono infatti i buoni costumi (I Cor. xv, 33). Quando infatti l'antico nemito non può penetrare in un cuore robusto, cerca persone deboli che gli siano vicine, e per mezzo loro, come scale appoggiate contro alte mura, vi ascende. Così ingannò Adamo per la donna che le era vicina (Genes. iii), così quando uccise i figli al beato Giobbe e gli lasciò la moglie malata (Job ii, 10), affinché, non essendo da sé in grado di giungere al suo cuore, almeno potesse penetrarvi per le parole della moglie. Quanti dunque presso di voi sono infermi e mondani, siano scacciati nella loro adulazione e lusinga, poiché da lì proviene l'eterna inimicizia di Dio, da dove essi si mostrano come adulatori perversi.

Un tempo l'apostolo Giovanni certò gridava: Figliuoli, questa è l'ultima ora (I Joan. ii, 18); ora avviene secondo la predizione della Verità. Peste e spada infuriano per tutto il mondo, le nazioni insorgono l'une contro l'altri, è scosso l'universo, la terra sia per inghiottire i suoi abitanti. Tutto ciò che è stato previsto, infatti, accadrà. Il re della superbia è vicino, e, cosa orribile a dirsi, gli è pronto un esercito di sacerdoti, poiché pensano solo a elevarsi, loro che sarebbero stati stabiliti solo per condurre gli altri all'umiltà. Ma in questo, ancorché la nostra lingua non sia minimamente contraria, s'ergerà a vindice della sua virtù contro l'insuperbire colui che è per se stesso speciale avversario del vizio della superba. Perciò infatti sta scritto: Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà grazia (Jac. iv, 6). Perciò ancora è detto: Impuro agli occhi di Dio è colui che si esalta in cuor suo (Proverb. xvi, 5). Perciò contro l'uomo che s'insuperbisce è scritto: Perché dovresti esser superbo, tu che se' terra e cenere (Eccli. x, 9)? Perciò la Verità stessa dice: Chiunque si esalta, sarà umiliato (Luc. xiv, 11). E per ricondurci sulla via dell'umiltà, Ella s'è degnata di mostrarlo nella propria persona, dicendo: Imparate da me, ché son mite ed umile di cuore (Matth. xi, 29). Per questo infatti l'unigenito Figlio di Dio ha preso la forma della nostra debolezza, per questo l'invisibile è apparso non solo visibile, ma pure disprezzato; per questo ha sopportato oltraggi, insulti, tormenti, peché l'uomo imparasse da un Dio umile a non esser superbo. Quanto grande dunque è la virtù dell'umiltà, dacché per insegnarci questa sola in verità colui che è grande senza comparazione, si è fatto piccolo sino al patir la morte? Poiché infatti la superbia del diavolo fu la fonte della nostra perdizione, fu trovato per istrumento della nostra redenzione l'umiltà di Dio. Il nostro nemico infatti volea esser esaltato sopra tutto le creature in mezzo alle quali era pur lui; il nostro Redentore invece, pur restando grande sovra ogni creatura, s'è degnato di diventar piccolo fra tutte. 

Perché dunque ci chiamiamo vescovi, noi che abbiam ricevuto la nostra dignità dall'umiltà del nostro Redentore, ed eppure imitiamo la superbia del suo nemico? Ecco, sappiamo che il nostro Creatore è disceso dalla vetta della sua grandezza per dare gloria all'umanità, e noi, infime creature, ci gloriamo dell'aver privato i fratelli. Iddio umiliò se stesso insino alla nostra polvere, e la polvere umana brama di porre lasua bocca sopra il cielo e sfiorare appena la terra, e non se ne vergogna, non teme d'elevarsi l'uomo che non è altro che sporcizia, il figlio dell'uomo che non è che un verme (Job xxv). Rimembriamo, fratello carissimo, ciò che fu detto dal saggissimo Salomone: Il fulmine precede il tuono, e il cuor s'esalta pria di cadere (Eccli. xxxii, 14). E d'altra parte soggiunge: Prima della gloria ci s'umilia. Umiliamoci dunque nel cuore, se vogliamo giungere a una solida grandezza. Che gli occhi del nostro cuore mai non siano oscurati dal fumo dell'orgoglio, che più in alto s'eleva, tanto più in fretta svanisce. Riflettiamo sui precetti con cui ci ammonì il nostro Redentore, dicendo: Beati i poveri in spirito, poiché di questi è il regno de' cieli (Matth. v, 3). Poiché infatti per mezzo del profeta disse: Su chi riposerà il mio Spirito, se non sull'uomo umile e mansueto, che riverisce le mie parole (Isaias lxvi, 2)? E volendo certo chiamare all'umiltà i cuori ancor deboli dei suoi discepoli, il Signore disse: Se qualcuno tra voi brama esser primo, sarà di tutti il più piccolo (Matth. xx, 27). In ciò ci fa apertamente capire che veramente esaltato è colui che ne' suoi pensieri s'umilia. Temiamo dunque di esser tra coloro che cercano i primi posti nelle sinagoghe, e i saluti nella pubblica piazza, e voglion farsi chiamare maestri dagli uomini. Poiché in contrario il Signore ha detto ai suoi discepoli: Voi invece non fatevi chiamare maestri. Uno infatti è il vostro maestro; voi invece tutti siete fratelli. E non chiamate qualcuno Padre sulla terra, uno infatti è il Padre vostro (Matth. xxiii, 7-8).

Che dirai allora, fratello carissimo, in quel terribile interrogatorio del giudizio venturo, tu che non solo padre, ma pure padre universale brami d'esser chiamato nel mondo? Si faccia dunque attenzione al pravo consiglio dei malvagi, si fugga ogni istigazione allo scanalo. E' invero necessario che accadano scandali, ma guai all'uomo per mezzo del quale viene lo scandalo (Matth. xviii, 7). Ecco, a causa di questo nefando titolo di superbia, la Chiesa è divisa, i cuori di tutti i fratelli son scandalizzati. Avete forse dunque dimenticato ciò che dice la Verità: Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, convien per lui che gli sia appesa al collo una macina girata da asini, e che sia gittato nel profondo del mare (Ibid.)? Invero sta scritto: La carità non cerca ciò che le appartiene (I Cor. xiii, 4). Ecco, la vostra fraternità brama ciò che non le appartiene. Ancor sta scritto: Onoratevi gli uni gli altri (Rom. xiii, 10). E tu cerchi di togliere a tutti quell'onore che illecitamente desideri usurpare ai singoli. Dov'è, fratello carissimo, ciò che fu scritto: Abbiate ne' riguardi di tutti la pace, e la santimonia senza la quale niuno vedrà Iddio (Ibid.)? Dov'è ciò che fu scritto: Beati i pacifici, poiché saran chiamati figli di Dio (Matth. v, 9)?

Vi conviene badare che non vi blocchi una radice di amarezza che nuovamente germina nel vostro cuore, e dalla quale molti son contaminati. Se infatti trascuriamo di considerarla, i giudizi saran vigilanti sopra il gonfiore di tanta superbia. E noi ne' confronti di coloro dai quali una sì grande colpa è stata commessa per un empio azzardo, serbiamo i precetti della Verità, dicendo: Se il tuo fratello ha peccato contro di te, va' e riprendilo tra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Se invece non ti ascolterà, porta teco uno o due, affinché tutto stia nella bocca di due o tre testimoni. E se questi non li ascolterà, dillo all'assemblea. E se non ascolterà nemmeno l'assemblea, sia per te come un pagano o un pubblicano (Matth. xvii, 3). Io dunque per mezzo de' miei legati ho cercato una e due volte di correggere con umili parole il peccato che vien commesso contro tutta la Chiesa, e ora da me stesso lo scrivo. Qualunque cosa umilmente dovevo fare, non l'ho tralasciata. Ma se son sprezzato nella mia correzione, mi resta solo d'appellarmi alla Chiesa.

Iddio onnipotente vi renda manifesto da quanto amore son preso ne' vostri confronti parlando così, e di quanto m'addoloro in questa faccenda non contro di voi, ma per voi. Ma per quanto riguarda i precetti evangelici e le istituzioni canoniche e il vantaggio dei fratelli, non posso preferire una persona, nemmeno quella che molto amo.

Ho ricevuto da vostra santità scritti dolcissimi e sinceri circa la causa dei presbiteri Giovanni e Atanasio, circa la quale, con l'aiuto del Signore, risponderò in altre lettere che seguiranno, poiché sono astretto da tali tribolazioni e premuto dalle spade de' barbari, che non m'è lecito non solo occuparmi di molte cose, ma a malapena respirare.

Dato alle calende di gennajo, indizione decimaterza.

S. Gregorio Magno, Epistolarium, lib. v, ep. xviij (PL 77:738-743). Trad. it. di Nicolò Ghigi.

S. Gregorio Magno ispirato dallo Spirito Santo
(Treviri Stadtbibliothek, miniatura 983)

COMMENTO

Si vede, da questa prima lettera di papa san Gregorio Magno: 1° che l'autorità ecclesiastica risiede nell'episcopato, e non in un tal vescovo, per quanto elevato possa essere il suo rango nella gerarchia ecclesiastica; 2° che non fu la sua causa particolare ch'egli difese contro Giovanni di Costantinopoli, ma quella di tutta la Chiesa; 3° ch'ei non aveva il diritto di giudicare personalmente questo caso, e che doveva deferirlo alla Chiesa; 4° che il titolo di vescovo universale è contrario alla parola di Dio, superbo, criminale, stolto ed inetto; 5° che nessun vescovo, nonostante l'elevatezza del suo rango nella gerarchia ecclesiastica, può rivendicare un'autorità universale senza incidere sui diritti dell'episcopato intero; 6° che nessun vescovo nella Chiesa può pretendere di essere il padre di tutti i cristiani senza attribuirsi un titolo contrario al Vangelo, superbo, stolto e criminale.

Chiediamo ai neo-cattolici di riflettere seriamente su queste verità espresse così chiaramente in questa prima lettera, e che appariranno con nuove evidenze in quelle che seguiranno.

San Gregorio aveva risparmiato Giovanni di Costantinopoli, pur dicendogli la verità sulle sue ambiziose pretese. La ragione di questa riserva era stata il rispetto che aveva per l'imperatore Maurizio, che Giovanni si era guadagnato alla sua causa. Giovanni aveva persuaso Maurizio che, avendo la città di Costantinopoli rimpiazzato Roma come capitale dell'impero, il titolo di primo vescovo della Chiesa gli apparteneva, poiché i concili l'avevano concesso a quello di Roma solo per l'importanza della sua sede, e unicamente perché questa città era la prima dell'impero romano. Era sulla base di questa pretesa che aveva usurpato il titolo di ecumenico o universale. Aveva persino ingaggiato Maurizio per intervenire contro Gregorio, in modo che quest'ultimo chiudesse un occhio sulle sue pretese e vivesse con lui in buono spirito. Troviamo questi dettagli nella lettera di san Gregorio al diacono Sabino, che era allora suo agente presso l'imperatore, e che fu poi suo successore sul soglio di Roma (Lettere di san Gregorio, lib. V ; lettera 19e, ed. con licenza).

Archimandrite Wladimir Guettée, La Papauté moderne condamnée par le pape saint Grégoire le Grand, Paris, Dentu, 1861, pp. 18-19. Trad. it. di Nicolò Ghigi. Corsivi e maiuscoli originali.

28 commenti:

  1. Mi permetto di segnalare un ottimo articolo del sempre preciso P. Kwasniewski: https://rorate-caeli.blogspot.com/2021/08/the-popes-boundenness-to-tradition-as.html. La cosa molto positiva di questo articolo è che s'iniziano a esporre in modo molto chiaro i problemi insiti nel Vaticano I e nell'accettazione della dottrina ultramontana, che senza remore l'autore chiama molto giustamente "eresia". Peccato manchi un accenno a come il primo distruttore della tradizione liturgica nel Novecento sia stato Pio X, ma ci si arriverà un passo alla volta: una volta individuato un vulnus, è facile e quasi secondario ispezionarne le conseguenze. Sarà più importante andare a fondo delle radici del vulnus, e non dubito che Kwasniewski potrà efficacemente farlo col tempo.

    P.S.: il medesimo articolo è stato pubblicato in traduzione italiana su un blog che qui non cito per almeno due motivi, ovvero il fatto che per la traduzione è stato usato (quantomeno come base) un traduttore automatico (nessun traduttore umano tradurrebbe "NOTES" nella sezione delle note a piè di pagina come "APPUNTI"...); e il fatto che chi l'ha pubblicato sembra non aver capito lo spirito di quel che v'è scritto, almeno a giudicare da alcuni suoi commenti posti sotto in risposta ai lettori.

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    1. Carissimo,

      Sono il predispositore della traduzione della conferenza del dott. Kwasniewski. Mi spiace che non abbia apprezzato il mio operato: indubbiamente poco elegante la svista delle "Note conclusive", ovviamente originata alla base di lavoro costituita, è vero, da una traduzione automatica; il dettaglio mi è sfuggito in fase si revisione, ma se non si fosse fermato lì, avrebbe visto che il lavoro di resa nel suo complesso è stato, credo, piuttosto attento e articolato. Ad ogni modo ho provveduto a segnalare il refuso ai curatori dei siti dove è avvenuta la pubblicazione.

      Leggo non di rado i suoi contributi, che in massima parte apprezzo. Sicuramente il ripensamento sullo "spirito del concilio Vaticano" è positivo, ma io, come penso anche il prof. Kwasniewski (per il quale tuttavia, è chiaro, non parlo) non mi spingerei certamente a negare la definizione dogmatica del primato di giurisdizione del Pontefice; né accoglierei tutte le deviazioni a livello di dottrina e prassi istituzionalizzata degli scismatici orientali, ancora di recente stigmatizzate da Mons. Schneider.

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    2. Gentilissimo,

      Grazie per questa Sua. Può capitare che un traduttore, umano od automatico, commetta una svista. Una redazione, se tale è, serve proprio a correggere tali sviste. Il problema è che il blog summenzionato non è una vera redazione e, come sovente capita, pubblica senza revisionare; perciò non ho apprezzato il lavoro del blog, piuttosto che il Suo che comunque è prezioso (tradurre è un'opera necessaria, ma faticosa e lunga, Dio benedica chi trova il tempo e la voglia di farla!).

      La ringrazio pel contributo. Credo che un ripensamento generale debba andare più in profondità, ma questo - ovviamente - il cattolicesimo, anche più attento a tali storture, non lo ha ancora fatto. Io mi limito a presentare i miei contributi, ognuno trarrà le proprie valutazioni.

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  2. Molto interessante. E papa Gregorio in questa lettera non cita neanche il famoso passo del Vangelo in cui il Cristo dice che su Pietro fonderà la sua Chiesa, segno che san Gregorio non si considera Pietro redivivo? Ecco, però mi colpisce il fatto che un Concilio Ecumenico abbia offerto al Vescovo di Roma il titolo di Vescovo Universale ma che i Papi non lo abbiano accettato e mi domando, come fa un concilio concepire un titolo "superbo" a un vescovo? Non sapevano a Calcedonia che questo sarebbe inaccettabile? E si potrebbe chiarire che cosa intendevano gli antichi quando riconoscevano a Roma una sorta di "primazialita'" al suo vescovo (o meglio alla chiesa romana) tanto da ricorrevi come ultima istanza nel giudizio nelle controve4sie ecclesiali? Mi sembra di capire che Gregorio parli del suo essere vescovo tra gli altri vescovi ma non sembra rifiutare a Roma un ruolo di gu8da o di portavoce universale della chiesa.
    Non so se mi sono spiegato bene.

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  3. Ho trovato estremamente interessante la lettura di questo, come del precedente contributo, e mi è venuto fatto di pormi la seguente domanda: Posto che non essere in comunione con il papa di Roma non implica necessariamente il non esserlo con la Chiesa, sarebbe anzi chi credesse il contrario, a porsene al di fuori?
    Perché qualificare l'ultramontanismo come eresia, in fondo, implica questo.

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    1. E' quantomeno un error theologicus, in astratto. Nel concreto, ovvero quando in una grave spaccatura ecclesiastica si usasse come metro l'essere in comunione col papa di Roma anziché l'ortodossia della fede, significherebbe sì porsi al di fuori della Chiesa.

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  4. Quello che mi risulta difficile da comprendere è il fatto di Calcedonia. Se i padri di quel concilio sono disposti a riconoscere al Vescovo di Roma il titolo di "vescovo universale" e i papi tra cui Gregorio Magno non hanno voluto avvalersene significa che un concilio ha i qualche modo, alterato la Tradizione Apostolica (poi quella deliberazione magari non avrà avuto valore dogmatico). Dunque gli oltramontani potrebbero usare il calcedonese come pezza di appoggio alle loro teorie: "vedete? Un concilio disse che il vescovo di Roma è vescovo universale" si potrebbe sentirsi dire. Quindi, o esagera il concilio o esagera all' opposto papa Gregorio (forse sto semplificando troppo). Dunque quando Cristo disse a Pietro "tu sei Pietro e su questa pietra ecc." Non intese dargli un ufficio supremo di guida e capo della Chiesa, o almeno che non si trasmettesse ai suoi successori (che poi oltre a Roma c'è Antiochia, la prina sede fondata da Pietro).
    Ma come i padri dunque intendono quel passo evangelico?

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    1. L'identificazione della "pietra" su cui è fondata la Chiesa, con la persona di Pietro, è una forzatura che si afferma nel II Millennio, in senso puramente strumentale alla strutturazione ecclesiologica in senso monarchico, ma è estranea alla lettura che ne danno la maggior parte dei Padri.
      Per questi, difatti, la "pietra" è la confessione della fede ortodossa, per cui il primato (questa è una mia inferenza, quindi la si prenda per tale), oltre a legarsi al prestigio della sede Romana, in quanto fondata dall'Apostolo, depositaria delle sue reliquie, e banalmente insediata nella capitale imperiale, sussiste nella misura in cui il papa regnante attesta effettivamente il proprio magistero su quella "pietra", ad imitazione del Beato Predecessore.
      Peraltro, ho notato che i Padri, se pure spesso manifestano la loro riverenza per Roma, lo fatto appunto nei riguardi di "Roma", non del suo patriarca in senso stretto: a noi moderni può apparire scontata l'equazione "Roma"="Papa", ma bisogna sempre vedere se questo è giustificabile in base alla mentalità che avevano quegli scrittori (che per forza di cose non è la nostra).
      Infine una domanda, se la coscienza tradizionale fosse effettivamente compatibile con la visione ultramontana, perché per, a occhio, 1500 anni, il problema teologico del "Papa Eretico" non è venuto mai in mente a nessuno di porlo a tema?

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    2. Perché avevano in mente esempi lampanti di papi eretici come Onorio, e la cosa si era risolta in modo del tutto normale, come per qualsiasi altra sede. Un nostro progetto sarebbe quello di fornire in traduzione italiana il pamphlet anti-infallibilista "Causa Honorii Papae" del cardinale De Hefele, ottimo dal punto di vista storico, per rendere più chiaro ai lettori questo punto.

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    3. Personalmente ve ne sarei molto grato.

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  5. Si sta facendo un po' di confusione. Gli atti del Concilio Calcedonese NON contengono alcuna definizione di "vescovo universale". L'unico canone che tratta del vescovo di Roma in quel Concilio è il 28, ma che dice ben altro. San Gregorio c'informa che alcuni padri proposero di conferirgli questo titolo, ma i suoi predecessori rifiutarono e l'assemblea conciliare votò contro. Quindi il Concilio di Calcedonia NON dice nulla di tutto ciò.

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    1. Durante il Concilio chiunque può dire quel che vuole. Quel che conta, alfine, è ciò che il Concilio ha stabilito, e non ha stabilito di conferire ad alcuno un titolo tanto superbo.

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    2. Grazie. Mi scuso, avevo frainteso.

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  6. Circa l'interpretazione di Matteo 16, scrivemmo diffusamente l'anno scorso: https://traditiomarciana.blogspot.com/2020/06/quos-in-petra-apostolic-confessionis.html

    Lei dice che san Gregorio non si considera un "Pietro redivivo". E come potrebbe, visto che questa lettura - contraria a tutti i Padri - se l'è inventata Pier Damiani nell'XI secolo!

    San Gregorio, da buon cristiano, non credeva nella reincarnazione, si potrebbe dire in battuta.

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    1. Certamente. Mi scuso per i miei commenti, ma riconosco che sono argomenti difficili per me. Rileggero il testo che ha pubblicato l' anno passato, evidentemente non ci ho capito molto. Circa il "Pietro redivivo" si, ovviamente la battuta è perfetta. Ho difficoltà a chiarirmi in testa i vari concetti. Il Vescovo di Roma è vescovo come gli altri e non eredita, sedendosi sul trono romano, alcun ufficio che lo rende superiore agli altri vescovi.
      Roma è la prima sede della cristianità perché li ha sofferto il martirio San Pietro principe degli Apostoli e li ci sono le sue reliquie. Ma questo non giustifica che il suo vescovo si consideri con un potere superiore agli altri, se cade in eresia potrebbe venire deposto. Quindi nessuna assistenza speciale dallo Spirito Santo e nessuna speciale Grazia di Stato in più rispetto agli altri vescovi.
      Ho capito bene?
      Altra considerazione: allora fece bene Paolo VI a deporre prima e poi a mai più usare il triregno (a questo punto simbolo per eccellenza della dottrina ultramontanista) e sedia gestatoria, baldacchino e flabelli.
      Molte grazie.

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  7. Infatti il nostro articolo è diretto pure agli "ultrabosporiani" (possiamo chiamarli così?), o "papisti costantinopolitani". Io sono per un'interpretazione radicale, secondo la quale essendo venuto meno l'Impero e quindi la ragione per cui Costantinopoli aveva ricevuto dai Concili la seconda cattedra, essa non ha più ragione di esistere nemmeno come primato onorifico. Figurarsi come "centro e vertice dell'ortodossia", come i fanarioti pretendono di farsi chiamare, che non è che l'ultramontanismo rivisitato!

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  8. Per quanto mi riguarda, anzi, bene che si facciano discorsi non preconfezionati, almeno si può approfondire e capire meglio le cose. Purtroppo è evidente che qualcosa non torna nell' atteggiamento del papato romano e la risposta non può essere in questo o in quel papa.
    Dunque sono molto grato di poter riflettere in questo senso, purtroppo non sono molto attrezzato in questi argomenti e dunque li devo digerire un pochino alla volta.

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  9. Gregorio magno non intendeva negare il primato romano, il quale però si esercitava indubbiamente non certo coll'assolutismo dei secoli seguenti. Non dimentichiamo che gli stessi patriarchi di Costantinopoli definiva il papa di Roma "padre" di tutti. Il problema è uscire dalla negazione stessa di qualunque potere papale da un lato e dalla concezione assolutistica del potere papale dall'altro. In tal senso una unione di forze tra cattolici tradizionalisti ed ortodossi potrebbe portare almeno al risultato di ricondurre i poteri papali nei loro confini. Una autorità che potremmo definire "di ultima istanza" è utile e necessaria in ogni comunità umana, altrimenti si scade nell'anarchia in cui poi potrebbe emergere il più forte, il più determinato, il più sguaiato. Che Roma abbia sempre avuto un ruolo importante per tutte le chiese è fuori discussione. Papa Vittore I, nel 190, impose con autorità, a tutta la Chiesa, la tradizione romana nella celebrazione della Pasqua ( il concilio di Nicea I, nel 325 non fece altro che ribadire l'obbligatorietà per tutti delle tradizioni romane). E in linea di principio sempre gli ortodossi hanno riconosciuto il primato romano. Da ultimo al concilio di Firenze dove tutti, compresi i monasteri del monte Athos, sottoscrissero la bolla di unione (lasciamo perdere le pressioni politiche che indubbiamente vi erano in tale unione, perché queste hanno avuto un ruolo nel portare a quella unione, non nel portare a farla con Roma piuttosto che con Aquileia o Mosca etc.). Se riuscissimo a scrollarci di dosso certe incrostazioni storiche la situazione attuale potrebbe realmente portare a risolvere (o per lo meno a porre basi solide per una risoluzione futura) la questione dello strapotere romano. Perché il problema, in fondo in fondo, non è il potere del vescovo di Roma, ma l'abuso di potere del vescovo di Roma. Un potere romano ben circoscritto e definito sarebbe una garanzia per tutti, ortodossi e tradizionalisti cattolici in primis. d. Filiberto

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    1. Infatti l'opera di Guettèe non vuole negare affatto il primato nella sua reale accezione antica, ma dimostrare l'insussistenza storica della giurisdizione universale e di quella terribile aberrazione per cui il papato è l'unico potere di diritto divino e l'episcopato lo è solo mediatamente per mezzo del papato medesimo. Che è la sostituzione della Chiesa con il papa, cioè della Chiesa con qualcosa che non è la Chiesa.

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    2. Il concetto di "sede di ultima istanza" è, de facto, rifiutato dalle definizioni dogmatiche in merito ai poteri del Papa formulate nel Concilio Vaticano I che invece si esprimono in modo molto netto sull'assolutismo papale. Il Papa è il sovrano terreno della Chiesa universale e le varie cerimonie della corte papale (almeno prima delle ultime riforme) esprimono bene come tutti i vescovi debbano non solo sottomettersi alla sua autorità, ma asservirsi a lui.
      La Chiesa Ortodossa non ha grandi problemi a riconoscere un primato al papa di Roma, ma si trova impossibilitata a riconoscere la dottrina del papato così come è stata formulata ed espressa dal magistero romano e dai suoi teologi di riferimento. Per la Chiesa Ortodossa il primato è di "diritto ecclesiastico" (se vogliamo usare delle categorie latine) e non di "diritto divino" come invece credono i romano-cattolici. Lo stesso Papa qui citato evidenzia come sia stato il Concilio Calcedonese ad attribuire questa autorità suprema alla sede di Roma (e lo fece, ricordiamolo sempre, perché Roma era capitale dell'Impero come gli stessi padri conciliari dichiarano)

      Non si può negare che le parole di San Gregorio qui riportate siano in palese contraddizione con la concezione romano-cattolica del papato.

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    3. Sembra evidente. Il punto è che i cattolici romani sono vincolati a credere alla dottrina moderna del papato in quanto vi è stata una definizione dogmatica. Dunque sembra che non ci sia soluzione, si è in un vicolo cieco: se non si credono le verità enunciate da Pio IX si è anatemizzati. E se la chiesa romana riconsidera la faccenda per ricondurre il papato alla mentalità degli antichi padri, si dirà che si vuole distruggere la chiesa come voluta da Cristo con la sua struttura gerarchica.
      Un bel problema.

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    4. Ogni problema ha le sue soluzioni, individuali se non riescono quelle collettive.

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    5. Certamente ci saranno: un qualche cataclisma ecclesiastico o diventare ortodossi. Magari di quelli che hanno il rito romano. Non mi viene in mente altro.
      Più concretamente questo è siamo nati nel XX secolo e battezzati nella chiesa cattolica di questi tempi. Le questioni analizzate sono di enorme portata, difficili persino da comprendere in tutte le loro sfaccettature. Ad oggi ci dobbiamo tenere le cose come sono: un papato alla Pio IX che cambia la religione un pezzetto alla volta e una liturgia com'è adesso, sempre più senza la possibilità di partecipare alle radici, almeno liturgiche.
      Non vedo concretamente altre soluzioni. Alla fine penso all' Inghilterra dopo la riforma, a un certo punto i cattolici dissidenti furono se non perseguitati almeno emarginati e normalizzati nei nuovi ranghi anglicani. Di nascosto hanno continuato ad esistere. Forse sarà così anche per il resto del cattolicesimo? Non so.

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  10. Leggo gli ultimi commenti con molto interesse. Infatti oggi nel cattolicesimo tutti concordano sul fatto che il papa può fare ciò che vuole, per questo si mira a mettere sul trono romano l' esponente di questa.o quella fazione per imporre atutta la chiesa questo o quel provvedimento. Finora ho visto che si è molto parlato dell' aspetto della giurisdizione: il papa romano avrebbe esteso impropriamente il suo potere su tutti gli altri episcopati (quello che Gregorio nagno aborriva), ma assodato questo, anche la pretesa del papa romano di essere portavoce dell' integrità della vera fede apostolica sarebbe da rigettare? Cioè l'infallibilita' benché sembri comunemente che il papa abbia il potere di affermare come vincolanti per fede qualunque dottrina che ritenga, non potrebve essere intesa come infallibilita' nel garantire di essere o no nella dottrina ortodossa? Ma pensandoci meglio ogni vescovo dovrebbe avere questa virtù.

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    1. Ma infatti, come altri commentatori e il nostro ospite hanno ricordato, nella visione tradizionale il "Pasce oves meas" è rivolto a Pietro ex persona Apostolorum, per cui non solo esso compete ad ogni vescovo in quanto tale, ma anche storicamente, in snodi cruciali, come quello della lotta all'eresia ariana, di fatto ha visto altri che il papa di Roma come suoi promotori.
      C'è anche quindi un tema che investe la capacità di riconoscere la "voce" dello Spirito Santo, a cui l'ecumene cristiano dell'antichità era enormemente più sensibile dell'attuale, e forse proprio la progressiva perdita di questa sensibilità,
      1. Ha reso meno rilevabile la profonda superbia che in fondo anima la folle pretesa di poter stabilire "a priori" per bocca di chi, necessariamente e sempre, debba esprimersi lo Spirito (peraltro travolgendo il principio per cui ogni uomo conserva la libertà di negarsi alla Grazia);
      2. non permette più di riuscire ad immaginare un mondo in cui, senza una autorità umana suprema, non regni l'anarchia più completa.

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  11. Ho riletto l' articolo dell' anno scorso sulla colletta della messa della Vigilia dei Ss. Pietro e Paolo, un ottimo articolo che spiega molte cose ma che continua a suscitare considerazioni intorno al tema importante del papato romano. Rileggendo quell' articolo si parla della Chiesa Ronana più che del suo Vescovo (che potrebbe anche personalmente cadere in eresia). Mi accorgo che forse identificare Chiesa Romana col suo Vescovo pensando alla concezione tradizionale è una sorta di clericalismo.
    Ma allora in cosa consiste e come si esprime questa Chiesa Romana che mai cadde in eresia e che veniva considerata l' ultima istanza nelle questioni ecclesiali? In teoria la Chiesa è il popolo dei battezzati e il clero nel loro insieme armonico: ma se i Vescovi di Roma da un certo punto in avanti abbandonano la concezione ricordataci da Gregorio Magno per approdare come sembra alle tesi ultramontaniste, che fine fa la Chiesa Romana? È continuata ad essere la prima sede della cristianità nella concezione tradizionale oppure ha cessato di essere tale?

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    1. La Chiesa Romana mai cadde in eresia nel primo millennio, ma non era escluso potesse cadervi in senso assoluto, poichè l'indefettibilità è della Chiesa intera e non di una singola chiesa locale.
      La prima sede resta sempre tale, ma chiaramente tale primato d'onore è sospeso finchè la tal sede non è occupata da qualcuno che professa la fede ortodossa.

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    2. Lei dice da "qualcuno che professa la fede ortodossa": immagino un vescovo in quanto guida della chiesa.

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