In seguito alla proclamazione del dogma dell'Assunzione della Beata Vergine Maria solennemente proclamato il 1 novembre 1950 con la pubblicazione della bolla Munificentissimus Deus da parte di Papa Pio XII, la liturgia tradizionale della festa dell'Assunzione ha subito dei deprecabili cambiamenti che, cercando invano di rendere più "dogmatici" i testi della Messa, hanno di fatto distrutto gran parte della tradizione liturgica di questa festa.
Non entro qui nel dibattito attorno al dogma dell'Assunzione, dogma di Fede da sempre creduto nella Chiesa, ma mai proclamato per oltre diciannove secoli; un dogma anomalo quanto alla sua proclamazione, sotto almeno due aspetti (cioè la necessità dello stesso, in quanto non vi erano eresie che minacciavano la Fede, ma fu semplicemente una richiesta devozionale da parte di alcuni vescovi cattolici; ma anche l'opportunità dello stesso, in quanto tradizionalmente si ritiene poter essere proclamati dogmi di fede solo quegli aspetti necessariamente coinvolti nella dottrina dell'Incarnazione, Passione, Redenzione e Risurrezione di Nostro Signore; questi sono peraltro i motivi per cui gli Ortodossi, pur credendo l'Assunzione corporale della Beata Vergine, non ammettono che possa proclamarsi dommaticamente). Tuttavia mi soffermo su un passaggio della lunga e pomposa bolla, che coinvolge direttamente l'aspetto liturgico:
Ma poiché la liturgia della chiesa non crea la fede cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti dall'albero, le pratiche del culto, i santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi rivolti al popolo in occasione di questa festa non vi attinsero come da prima sorgente la dottrina; ma parlarono di questa come di cosa nota e ammessa dai fedeli; la chiarirono meglio; ne precisarono e approfondirono il senso e l'oggetto, dichiarando specialmente ciò che spesso i libri liturgici avevano soltanto fugacemente accennato: cioè che oggetto della festa non era soltanto l'incorruzione del corpo esanime della beata vergine Maria, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste «glorificazione», a somiglianza del suo unigenito Gesù Cristo.
Con questa frase Pacelli, dimostrando una grande ignoranza dello stile Patristico, o piuttosto volendo distruggere la tradizione Patristica per iniziare la costruzione di una nuova tradizione a proprio piacimento, sovverte la massima di Prospero d'Aquitania legem credendi lex statuat supplicandi, e la legge all'esatto contrario (come oggi fanno molti tradizionalisti, purtroppo), in modo da rendere la Liturgia quasi un aspetto superfluo o comunque secondario all'interno del Cristianesimo, sottomettendo l'ortodossia liturgica a una "più importante" ortodossia dottrinale (questo è anche il problema dell'impostazione di talune comunità tradizionaliste attuali). Per effetto di questa mentalità, di un approccio sbagliato alla dogmatizzazione del mistero, si sono così prodotti dei nuovi testi del Proprio della festa odierna che, oltre ad essere estranei alla tradizione liturgica, sono estremamente poco significativi addirittura per il dogma stesso, e suonano come una deprecabile disarmonia all'interno del quadro liturgico.
L'introito. La Chiesa riservava a questa solennità un Introito impiegato per alcune delle feste più importanti della Madonna e dei Santi, composto secondo la tradizione da Sedulio, che recita Gaudeamus omnes in Domino diem festum celebrantes sub honore beatae Mariae Virginis de cujus Assumptione gaudent Angeli, et collaudant Filium Dei (Rallegriamoci tutti nel Signore, celebrando la festa in onore della Beata Vergine Maria, della cui Assunzione si allietano gli angeli e insieme lodano il Figlio di Dio), accompagnato dal secondo versetto del salmo 44.
Con la riforma liturgica degli anni '50, esso viene sostituito da un Introito costruito a tavolino con l'incipit del XII capitolo dell'Apocalisse di S. Giovanni, principiante Signum magnum. Questa scelta è deprecabile anzitutto perché non si riferisce assolutamente all'Assunzione, e secondo alcuni nemmeno alla Madonna tout court, in quanto la "donna vestita di sole" secondo molte interpretazioni sarebbe la Chiesa. Probabilmente questo introito è stato scelto poiché si cercava la necessità di giustificare scritturalmente l'Assunzione, trovandovi un riferimento nel Nuovo Testamento. Questa è però una mentalità molto protestante, perché si affida a una sorta di sola Scriptura, quasi ignorando che la Tradizione Apostolica sarebbe sufficiente ad attestare la veridicità di questa dottrina. Inoltre, ritenere, come scrivono taluni, che l'Introito dev'essere giocoforza scritturale è una falsità, poiché sono non pochi quelli di composizione ecclesiastica.
Per ironia, in molti messalini del '62 il commentatore, cercando d'introdurre la festa, ricorre immancabilmente alle parole del vecchio introito... e questo la dice lunga.
L'orazione. Qui si vede bene la "predominanza" assoluta della dottrina sulla liturgia, tanto da cancellare l'orazione tradizionale Famulorum, attestata sin dall'Alto Medioevo, con una nuova orazione che si dilunga inutilmente riportando la definizione dogmatica nella sua interezza (corpore et anima ad caelestem gloriam assumpsisti), a discapito di quelli che sono i veri punti costitutivi della colletta, cioè la petizione dei fedeli (si chiama colletta perché raccoglie tutte le richieste del popolo di Dio). Questo fraintendimento si riscontra in molte orazioni composte nel XX secolo o poco prima. Anche il latino impiegato nella nuova orazione risulta penoso, di fronte alla semplicità, all'evidenza e all'armonia della vecchia colletta, che pregava l'intercessione della Beata Vergine, di cui abbiamo bisogno estremo, perché de actibus nostris placere non valemus (non siam capaci colle nostre azioni di essere graditi [a Dio]).
L'epistola. La lettura viene stravolta, peraltro non con l'introduzione di un testo originale ma con il ricupero (non molto sensato) di un passo del libro di Giuditta che nel tardo Medioevo si era assegnato alla festa francescana dei Sette Dolori, poi passata alla Chiesa Universale. Se per la festa dei Sette Dolori possono trovarsi alcune convergenze col passo, in questa occasione risulta del tutto insensato, dacché la Patristica generalmente non riconosce Giuditta come una prefigurazione di Maria, ma piuttosto della Chiesa. I Padri conoscevano profondamente le Scritture, e nei propri liturgici che vengono dall'antichità si vede come riescano a cogliere i più remoti riferimenti dalla Bibbia, riferendoli sapientemente alla Nuova Alleanza. L'Epistola della Messa pre anni '50 era tratta dal libro del Siracide, e faceva espliciti riferimenti al riposo in Dio (in omnibus requiem quaesivi), cioè alla Dormizione della Vergine, cui segue l'Assunzione (exaltata sum). Nel nuovo Proprio, come in altri Propri composti negli stessi anni, si vede bene quanto affermò un dotto domenicano inglese, cioè che i liturgisti del XX secolo, non essendo più in grado di cogliere i molteplici contenuti nascosti nelle Sacre Scritture, iniziarono a scegliere il primo testo utile tra quelli già impiegati in altre Messe che si potesse appaiare almeno apparentemente con la festività.
Il vangelo. L'incompetenza biblica dei nuovi liturgisti è ancora più palese nella scelta del Vangelo. La tradizione più antica scelse per questa festa l'armonica collazione di due passi del Vangelo di S. Luca, il primo (10,38-42) che narra la vicenda di Gesù in casa di Marta e Maria, e uno dal capitolo successivo in cui una donna esclama a Gesù: beata viscera quae te portaverunt et ubera quae suxisti (che è poi il brano del Comune delle Messe della Vergine Maria). Nel rito bizantino questo brano è ancora letto durante l'ufficio della Grande Paraklisi nei primi quindici giorni di agosto, e pure nel giorno stesso della festa. Nel rito romano fu sdoppiato, mantenendo solo l'episodio narrato nel capitolo 10 per la festa odierna, e spostando il secondo passo alla vigilia. Apparentemente, questo Vangelo non parla della Madonna, perché non è nemmeno nominata, ma in realtà è molto significativo: San Bruno d'Asti dice chiaramente che la Madonna è simboleggiata in entrambe queste donne, poiché Ella ha sia ruolo attivo che passivo nella Salvezza). Anche l'omonimia tra la Deipara e la sorella di Marta calza a pennello, poiché permette di isolare questo bellissimo versetto, impiegato pure come Communio: Optimam partem elegit Maria, quae non auferetur ab ea (Maria ha scelta la parte migliore, e non le verrà tolta).
All'opposto, il nuovo brano evangelico, pur parlando della Beata Vergine, non è affatto significativo circa la sua Assunzione, essendo banalmente il brano contenente l'incipit del Magnificat (1,41-50), che si riferisce genericamente alla condizione privilegiata della Genitrice di Dio.
Non mi soffermo qui sul versetto offertoriale (tratto dalla Genesi, anche qui rimpiazzando un testo più antico di composizione ecclesiastica ed esplicitamente menzionante l'Assunzione) o sulle altre orazioni, per cui possono valere i discorsi già fatti.
La conclusione che pongo a questo breve studio non è mia, ma una mia traduzione di un pensiero dello studioso cattolico inglese Patrick Sheriman, che prima di me si è occupato di questo tema, e che io trovo perfettamente in linea con le mie posizioni.
"Munificentissimus Deus fu il trionfo della supremazia Papale sulla Liturgia, non un trionfo della Tradizione sulla novità o della Verità sull'eresia. Io non vedo come possa l'uso antico compromettere il "dogma" [virgolette nell'originale, ndr] dell'Assunzione. Io direi anzi l'opposto, che quella è l'espressione migliore possibile di credere in tal dogma. Usare il Proprio più recente degrada questa festa antichissima e veneranda in onore della Madre di Dio, ed è indicativa dell'estremamente tragico rivoltamento della Tradizione operato da Pio XII nella Mediator Dei, soppiantando la Liturgia della Chiesa con il volere del Papa.
Per parafrasare George Orwell, se vuoi un'immagine della Chiesa Cattolica, immagina una pantofola del Papa impressa per sempre sulla Tradizione..."
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